La giustizia riparativa nel prisma del diritto comparato: le criticità del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e le prospettive per il loro superamento
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Pasquale Mastrolia
La giustizia riparativa presenta una struttura ancipite: su un fronte restituisce l’immagine di una forma di risoluzione del conflitto derivante dal reato di matrice relazionale (autore del reato, vittima e comunità), alternativa alla giustizia penale; su un altro quella di un modello di risposta al reato che presuppone l’ordinamento penale, in quanto complesso di precetti indicativo dei beni meritevoli di tutela riparativa. Il contributo propone un ritratto impressionistico sulla compenetrazione giuridica tra i due profili della restorative justice dall’angolazione comparatistica, dalla quale si prefigge di ricavare indicazioni utili per ottimizzare la normativa italiana sulla materia.
Restorative Justice in the Prism of Comparative Law: Critical Issues on d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 and Overcoming Perspectives
Restorative justice discloses a double-edged structure: on the former side it points out the portrait of a ‘relational’ approach to the criminal matter (indicted, victim, community), alternative to the criminal justice; on the latter the image of a response against the crime founded on the criminal law system: indeed this one sets out the values that restorative justice aims to protect. This paper depicts an impressionistic portrait of the interplay between the above mentioned sides of justice by a law comparative perspective, in order to get useful indications to improve the italian law.Sommario: 1. L’asservimento della giustizia riparativa alla logica efficientista: note critiche al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150; 2. Origine ed evoluzione del paradigma riparativo: l’esperienza nordamericana; 2.1 (segue) Australia e Nuova Zelanda; 2.2 (segue) uno sguardo d’insieme sul panorama europeo; 3. Rilievi di sintesi e prospettive di riforma.
1. L’asservimento della giustizia riparativa alla logica efficientista: note critiche al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha istituito la giustizia riparativa, colmando un’aporia nell’ordinamento derivante dalla incompleta attuazione della direttiva comunitaria 25 ottobre 2012, n. 29, in materia di tutela delle vittime del reato e di giustizia riparativa1.
Il suddetto decreto definisce la giustizia riparativa un «programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore, che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo» (art. 42, comma primo, lett. a, d.lgs. 150/2022)2.
La materia è ripartita fra il medesimo decreto attuativo, il quale contempla all’art. 42 e ss. il glossario della giustizia riparativa, e la normativa che regola il fenomeno sanzionatorio nella fase comminatoria (codice penale), nella fase applicativa (codice penale e codice di procedura penale) e nella fase esecutiva (legge sull’ordinamento penitenziario)3. Lo spettro normativo della giustizia riparativa restituisce la prima scelta di campo dei legislatori (deleganti e delegato) sulle funzioni e sulle finalità del paradigma: il decreto legislativo contiene l’architettura della giustizia riparativa, unitamente all’articolazione delle sue infrastrutture (vittima del reato, persona indicata come autrice dell’offesa, servizi di giustizia riparativa, formazione del mediatore etc.), mentre il codice di procedura penale e la legge sull’ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354) stabiliscono, rispettivamente agli artt. 129 bis c.p.p. e 15 bis o.p., l’autonomia funzionale tra procedimento riparativo e procedimento giurisdizionale. In definitiva il quadro sinottico espone il principio generale che presiede l’istituto riparativo, consistente nel rapporto, di regola, soltanto occasionale fra procedimento riparativo e procedimento penale.
Di contro sia il codice penale sia il codice c.d. di rito, prevedono eccezionalmente risvolti applicativi del procedimento di mediazione nel procedimento penale mediante misure di diversion 4 : in particolare il codice penale introduce la condotta riparativa fra gli elementi costitutivi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. e all’interno dell’art. 62, comma primo, n. 6, c.p.5; il codice di procedura penale introduce il paradigma riparativo fra i contenuti della “messa alla prova” (art. 464 bis ss. c.p.p.), con la contestuale estensione dell’area applicativa di siffatta causa di non punibilità, mediante l’arricchimento delle fattispecie di reato di cui all’art. 550 c.p.p.6 Infine anche l’ordinamento penitenziario si arricchisce di contenuti riparativi, mediante la previsione del ricorso ai programmi di giustizia riparativa fra le modalità idonee per l’accesso ai benefici penitenziari (artt. 4 bis, 13 e 47, o. p.).
Muovendo l’analisi verso l’orizzonte concettuale conviene subito rilevare che, sebbene la matrice ideologica della giustizia riparativa coincida con la giustizia comunitaria tipica di talune popolazioni dell’antichità (i clan delle comunità aborigene, Grecia antica, tribù mediorientali), è indubbia l’autonomia della prima dalla seconda. Infatti diversamente dalla giustizia relazionale, la restorative justice non reclama la gestione sociale dei conflitti in opposizione alle agenzie di controllo istituzionali, ma richiede di governare in sinergia con queste ultime la ‘questione criminale’.
Su questo profilo del rapporto fra giustizia riparativa e giustizia penale, è necessario soffermarsi ancora per un momento per prevenire equivoci ricorrenti: il paradigma riparativo intrattiene una relazione di necessaria tensione con il diritto penale, che tramuta in contrapposizione allorquando il sistema penale assume fisionomia ‘carcerocentrica’, in cui il c.d. Monopolgewalt (monopolio nell’esercizio del potere coercitivo) collima con la previsione di pene detentive7.
In quest’ultima ipotesi, tuttavia, in cui la componente retributiva della pena sovrasta tutte le altre, l’ordinamento penale entra in contraddizione, prima ancora che con il paradigma riparativo, con lo scopo di limitare la violenza nella convivenza sociale8. Viceversa negli ordinamenti nei quali la pena detentiva – non soltanto quella carceraria – rappresenta l’opzione residuale nel prisma sanzionatorio, il rapporto fra sistema riparativo e sistema penale non si snoda secondo una logica avversativa, ma cooperativa: la giustizia riparativa nella funzione criminologica di ‘coscienza critica del diritto penale’ sottopone a verifica epistemologica le scelte di politica criminale (quod puniendum est) e di politica penale (quomodo puniendum est) compiute dal legislatore.
Dopo aver tratteggiato il concetto di giustizia riparativa, il quale trova riscontro nei suoi lineamenti essenziali nella legislazione degli ordinamenti stranieri (infra, 2, 2.1, 2.2), occorre verificare l’aderenza della normativa italiana al paradigma teorico profilato poc’anzi. Molteplici sono state infatti le notazioni critiche verso la configurazione della restorative justice risultante dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, concentrate sull’assoggettamento del paradigma alle dinamiche deflative perseguite dalla c.d. riforma Cartabia nel perseguimento di una decisa riduzione dei tempi del procedimento penale. Le critiche si appuntano in prima battuta sulle modalità di accesso ai servizi di giustizia riparativa: in particolare le censure riguardano la frizione con la presunzione di innocenza e il suo corollario costituito dal libero convincimento del giudice9; quindi sull’estromissione della vittima dal procedimento decisorio diretto all’attivazione dei servizi di giustizia riparativa 10.
Riguardo al primo profilo, autorevole dottrina rileva criticamente l’incompatibilità logica della nozione di ‘autore del fatto’ con la presunzione di innocenza; riguardo al secondo profilo le osservazioni critiche si indirizzano contro l’espropriazione delle parti, in particolare della vittima, del potere di valutare la congruità del procedimento di mediazione in relazione alla natura e alla gravità del conflitto insorto dal reato.
In relazione al primo rilievo critico, non può disconoscersi che il conferimento all’organo giudicante – al termine delle indagini preliminari – del potere di rilevare allo stato degli atti l’opportunità di esperire un servizio di giustizia riparativa, unitamente alla mancata previsione di una specifica ipotesi di incompatibilità nel parallelo procedimento penale da parte del medesimo organo giudicante, entra in tensione con la presunzione di innocenza (art. 27, comma terzo, Cost.) e con il suo corollario costituito dal principio del libero convincimento dell’organo giudicante (art. 192 c.p.p.) 11.
In relazione al secondo rilievo critico, per un verso l’estromissione della vittima dal procedimento decisionale, per l’altro la subordinazione dell’accesso ai servizi di giustizia riparativa alla valutazione di idoneità degli stessi da parte dell’organo giudiziario in relazione alla gravità del rapporto conflittuale insorto fra le parti, appare in contraddizione con le garanzie richieste dalla direttiva 2012/29/Ue (sub specie, art. 12) 12, peraltro condivise in linea di principio dal d.lgs. 150/2022 (art. 42 ss.), a tutela della volontaria, consensuale e informata partecipazione della vittima e dell’autore del fatto al procedimento di mediazione.
In considerazione di quanto precede, non si può negare il potenziale asservimento della giustizia riparativa a obiettivi di economia processuale, consistenti nella prevenzione di inutili stagnazioni del procedimento penale nella attesa di definizione del procedimento di mediazione, il quale, in caso di esito negativo, non avrebbe ricadute su di esso. L’assetto normativo della giustizia riparativa rivela una considerazione sul ruolo della vittima profondamente condizionata da una concezione organicistica del sistema penale, secondo la quale lo Stato deve surrogarsi alla vittima, per salvaguardarla e garantire al contempo equità e proporzionalità nella risposta sanzionatoria contro il colpevole. Osserva acutamente Viganò:
«Nei manuali di diritto penale si parla poco di diritti. Anzitutto, non si parla quasi mai di diritti quando si definisce l’oggetto della tutela. Il diritto penale, si legge sui manuali, tutela “beni giuridici”: un concetto, peraltro, solidamente ancorato nella tradizione penalistica tedesca e in quelle ad esse tributarie, ma dai contorni piuttosto oscuri, tanto da risultare pressoché intraducibile in inglese o in francese. Comunque sia, anche quando la legge penale vieta l’omicidio, le lesioni personali, o il sequestro di persona, l’interesse tutelato dovrebbe essere sempre inteso come un “bene giuridico”: rispettivamente, la vita, l’integrità fisica, la libertà personale. Mai, o quasi mai, questi beni vengono chiamati con il nome di “diritti” denominazione che, pure, parrebbe a prima vista naturale, trattandosi di interessi individuali giuridicamente tutelati, come tali pacificamente riconosciuti come “diritti” della persona»13.
Di qui a breve si avrà modo di rilevare, al lume del raffronto con la realtà normativa composta dagli ordinamenti stranieri, i correttivi esperibili per via interpretativa e di politica del diritto contro ‘la crisi di rigetto’ dell’ordinamento italiano verso la restorative justice.
2. Origine ed evoluzione del paradigma riparativo: l’esperienza nordamericana
L’indagine comparativa prende necessariamente le mosse dall’ordinamento canadese, al quale risalgono i natali della restorative justice 14. Conviene immediatamente rilevare che il paradigma riparativo interagisce all’interno dell’ordinamento canadese principalmente nella fase di commisurazione della pena, a complemento e attuazione della funzione rieducativa che informa in misura preponderante la sanzione penale. In particolare l’art. 718.2 c.p. stabilisce un nesso stringente fra restorative justice e il finalismo risocializzativo del trattamento sanzionatorio, stabilendo alla lett. d) che “l’autore di un reato non dovrebbe essere privato della libertà personale, se sanzioni meno afflittive siano ritenute proporzionate alla gravità del fatto” e alla lett. e) che “tutte le sanzioni diverse dalla reclusione, se ragionevoli in relazione alla gravità del fatto e coerenti in relazione al danno cagionato alle vittime del reato o alla comunità, devono essere considerate per tutti gli autori del reato, e in particolare per gli autori aborigeni”. Dalle disposizioni richiamate traspaiono i due caratteri essenziali della restorative justice in Canada: il primo consistente nella sua integrazione nell’ordinamento sanzionatorio, come conferma anche la dislocazione sistematica della disposizione successivamente all’art. 718.1 c.p. (“Principio fondamentale”), che individua nella proporzionalità fra sanzione e fatto commesso il criterio principale di determinazione del trattamento sanzionatorio; il secondo consistente nell’attenzione riservata alle comunità autoctone (la popolazione aborigena).
Per quanto riguarda il primo aspetto, il nesso funzionale fra giustizia riparativa e trattamento sanzionatorio non deve indurre a considerarla il surrogato di una ‘giustizia negoziata’, alimentata da logiche premiali-deflative. Negli ordinamenti di area anglosassone, infatti, la tradizionale segmentazione del processo penale in due fasi, la prima diretta all’accertamento della responsabilità e la seconda alla graduazione della pena (sentencing), favorisce l’integrazione del paradigma riparativo nel procedimento penale: riservando una fase autonoma del processo all’accertamento della c.d. colpevolezza dell’autore, gli ordinamenti di matrice anglosassone valorizzano ogni circostanza di fatto denotativa della resipiscenza o, all’opposto, dell’impenitenza del reo.
Così stando le cose, non sorprende che proprio negli ordinamenti di quell’area linguistico-culturale siano affiorati intorno agli anni 70’ le prime modalità di risposta al reato di ‘matrice’ comunitaria mediante i c.d. sentencing circles, gruppi di individui appartenenti alla comunità del locus commissi delicti interpellati dall’organo giudicante per la determinazione della pena15.
Il secondo profilo restituisce la seconda ragione della proliferazione dei programmi di restorative justice nell’ordinamento canadese, consistente nel multiculturalismo che informa la società civile.
La natura congenita della commistione fra comunità etnicamente eterogenee ha avuto un effetto performativo sull’ordinamento penale, in riferimento al quale la restorative justice rappresenta un esempio emblematico: la consapevolezza che i procedimenti di mediazione fra autore del reato e vittima rappresentavano e rappresentano, mediante i familiy group conferencing (ai quali partecipano vittima e famiglia da una parte e autore del reato dall’altra), le community conferences (alle quali partecipano, oltre ai summenzionati, anche esponenti della comunità locale) modalità diffuse fra le popolazioni aborigene per la risoluzione del conflitto insorto dal reato, ha indotto il legislatore non solo a sancire espressamente la natura residuale delle pene restrittive della libertà personale, ma anche a riservare, proprio in riferimento agli autori di reato aborigeni, specifica attenzione ai metodi di risoluzione del conflitto post delictum alternativi alle pene detentive.
Occorre invero registrare, tuttavia, che l’esperienza riparativa non manifesta sempre risultati incoraggianti: nel 2018/2019 su un totale di circa 370.000 procedimenti penali, solo circa 30.000 sono stati oggetto di procedimenti di mediazione penale (28.000 circa definitisi con esito positivo). Incoraggiante è invece che una significativa percentuale di casi (il 36% dei 30.000 ricordati) riguardino delitti contro la persona16: il dato conferma che i procedimenti di mediazione e di giustizia riparativa risultano particolarmente adeguati nei casi di offesa contro beni di natura personale, nei quali le vittime – persona offesa dal reato e famigliari – avvertono evidentemente l’esigenza di una partecipazione in primo piano nel procedimento nei confronti dell’autore del fatto.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti occorre preliminarmente segnalare l’impossibilità, nell’economia del presente lavoro, di analizzare il quadro normativo di ciascuno degli Stati federati in materia di restorative justice. La disamina sarà pertanto limitata agli Stati nei quali il paradigma riparativo assume maggiore rilievo nella legislazione e nella prassi.
Seguendo questa direttrice, preme anzitutto riferirsi allo Stato del Minnesota, in cui fu istituito il primo centro per la giustizia riparativa degli Stati Uniti nel 1985 17. Analogamente a quanto rilevato per l’ordinamento canadese, si può osservare in riferimento agli ordinamenti che compongono la Federazione statunitense la rilevanza dei restorative justice programs nella fase di sentencing, specificamente sia nella graduazione della pena sia in funzione di sanzione supplementare a quella edittale 18.
Alcuni Stati consentono inoltre il ricorso ai programmi di giustizia riparativa anche ai fini di diversion, come modalità di risoluzione del conflitto generato dal reato sostitutiva rispetto al procedimento penale.
Al di fuori degli ordinamenti, i quali, in frizione con i principi elaborati dalle Nazioni Unite in materia, precludono il ricorso ai programmi di restorative justice per talune fattispecie di reato 19 o alcuni ‘tipi normativi’ di autore 20, o impongono la mediazione fra autore del reato e vittima21, è interessante notare che nella larga maggioranza degli ordinamenti statunitensi, a fronte di una rimarchevole pluralità dei programmi di mediazione disponibili si riscontra una loro dislocazione sistematica in tensione con i principi che informano il paradigma della giustizia riparativa.
La possibilità di sfuggire a un procedimento penale e al rischio di un’eventuale condanna (nell’ipotesi di probation); il timore di un trattamento sanzionatorio particolarmente rigoroso (nell’ipotesi di programmi di mediazione reo-vittima previsti in funzione della commisurazione della pena) ovvero di una sanzione supplementare (nell’ipotesi di programmi di mediazione reo-vittima previsti successivamente all’applicazione della pena) corrompono il procedimento di formazione della volontà dell’imputato, il quale, solo apparentemente libero di aderire al programma di mediazione, è indotto a intraprendere il tentativo di riconciliazione con la vittima allo scopo – si può assumere – di sfuggire alle conseguenze pregiudizievoli derivanti nei suoi confronti nel caso di diniego. Fin da ora, quindi, si può rilevare l’opportunità della scelta compiuta del legislatore italiano di ribadire, all’interno della Relazione illustrativa del decreto, l’irrilevanza contra reum del rifiuto o del fallimento del percorso di mediazione22.
In sede di bilancio sullo stato dell’arte della giustizia riparativa nell’area nordamericana è possibile individuare due profili di forza e un profilo di debolezza all’interno dei modelli canadese e statunitense: il primo profilo di forza è costituito senz’altro dalla varietà di programmi di mediazione, conforme alla complessità della vicenda delittuosa, che il paradigma riparativo non riduce alla mera violazione di una norma incriminatrice; il secondo profilo di forza non attiene strettamente alla restorative justice ma alla sua efficace implementazione nel processo ‘bifasico’23, segnatamente nella fase di commisurazione della pena; il profilo di debolezza consiste, invece, negli effetti in malam partem che la mancata adesione al o il fallimento dei programmi di restorative justice può produrre.
Riguardo al primo profilo le esperienze canadese e statunitense offrono un campionario di programmi di mediazione il quale, per l’attenzione agli interessi di autore del reato, vittima e comunità, deve senz’altro costituire il punto di riferimento per elaborare i servizi di giustizia riparativa nell’ordinamento italiano. Riguardo al secondo profilo senz’altro rimarchevole risulta l’incidenza nella fase di commisurazione della pena della vittima e della collettività, in quanto valorizza, in una sintesi efficace, gli interessi della vittima e della collettività congiuntamente all’interesse statuale all’individualizzazione della pena sulla scorta delle esigenze di prevenzione speciale (positiva e negativa): attraverso il filtro del potere discrezionale mediante il quale l’organo giurisdizionale stempera eventuali eccessi di rigore o, all’opposto, di indulgenza in collisione con il principio di proporzionalità della pena, in questo senso l’audizione della vittima e di esponenti della collettività può favorire il conseguimento di una pena non solo simbolicamente (“in nome del popolo [...]”) , ma realmente rispondente alla volontà della collettività. Il punto di debolezza poc’anzi rimarcato consiste proprio nel nugolo di rischi che si annida nella preminente incidenza della giustizia riparativa nella fase successiva all’accertamento della responsabilità penale. In questa fase, nella quale l’autore del fatto, in quanto già condannato, è ‘parte debolissima’ di fronte allo Stato, la giustizia riparativa dovrebbe necessariamente rivestire la funzione di ‘legge del più debole’, salvaguardando la libertà del già condannato di partecipare al procedimento di mediazione dal timore di ‘ritorsioni istituzionali’. I
nfatti senza la garanzia che il rifiuto del procedimento di mediazione non inasprisca la pena, la giustizia riparativa tramuterebbe in una coazione morale sull’autore del reato in contraddizione con il principio di laicità e, correlativamente, di liberalità che informano il diritto penale di matrice illuminista: secondo i principi fissati dalle Nazioni Unite in materia, oltre che in considerazione della concorde letteratura sul tema, il libero consenso dell’autore del fatto rappresenta il presupposto per un’autentica assunzione di responsabilità da parte di quest’ultimo; viceversa se l’assunzione di responsabilità è determinata dal timore di reazioni negative da parte delle agenzie di controllo la giustizia riparativa si riduce in uno strumento di controllo pervasivo che supera le soglie della materialità del fatto (Tatstrafrecht) per penetrare nell’atteggiamento interiore (Tätersstrafrecht o Gesinnungsstrafrecht) del colpevole.
2.1(segue) Australia e Nuova Zelanda
Se l’archetipo della giustizia riparativa, secondo la sua accezione corrente, alligna nella prassi giurisprudenziale canadese, indubbiamente l’ascendente del paradigma risiede nella cultura aborigena delle popolazioni che tutt’ora abitano l’Oceania. Permangono tutt’ora nei clan nei quali si articola la popolazione locale modelli di giustizia comunitaria tipici delle società «protogiuridiche» o «metagiuridiche»24. In queste ultime, forme di aggregazione civile acefale, il controllo sociale della violenza è demandato ad agenzie di controllo non istituzionali e non professioniste, ma composte dai membri, generalmente i più anziani, della comunità.
Se è indubbio che, al di là della comune matrice ideologica consistente nella ‘restituzione’ del conflitto alle parti, il paradigma riparativo e la giustizia di comunità delle c.d. società semplici presentano fisionomie marcatamente diverse, cionondimeno il persistere di una non trascurabile componente indigena sul territorio ha favorito la commistione fra giustizia penale e giustizia riparativa. Per quanto attiene sia all’ordinamento australiano sia all’ordinamento neozelandese, questi ultimi hanno mutuato dalle c.d. società semplici i modelli di forum sentencing circles, in particolare le familiy conferences (composti dalla vittima e dai prossimi congiunti) e le community conferences (composte, oltre che dalle parti suddette, anche da rappresentanti della collettività)25.
Per quanto riguarda l’ordinamento neozelandese, nel quale l’etnia Māori rappresenta circa il 16,5% della popolazione (demografia derivante dal censimento del 2018), la giustizia riparativa si sostanzia talvolta in programmi di diversion, talaltra in procedimenti di mediazione senza ricadute sul procedimento penale 26.
Nella fase delle indagini preliminari, secondo le linee guida redatte per il Prosecutor Office del 201327, il pubblico ministero, ancorché abbia acquisito le prove dalle quali desumere “una ragionevole previsione di condanna” (“a reasonable prospect of conviction”) dell’indagato (§ 5.5), è tenuto a “considerare concretamente la possibilità di esperire un procedimento di diversion” (“Prosecutors should positively consider the appropriateness of any diversionary option”) in luogo del procedimento penale (§ 5.7). Inoltre anche l’esercizio dell’azione penale non preclude l’adozione di un programma di diversion, dal quale, se definitosi con esito positivo, può conseguire l’assoluzione dell’imputato per il reato contestato (§§ 147 - 148, Criminal Procedure Act). Secondo il Sentencing Act del 2022 in seguito all’accertamento della responsabilità dell’imputato l’organo giurisdizionale è tenuto a considerare l’opportunità di escludere la condanna o in ogni caso a valorizzare nella fase di commisurazione della pena l’adempimento degli obblighi riparativi assunti dal reo nei confronti della vittima (§ 10.3).
Infine nella fase di esecuzione della pena il Corrections Act e il Parole Act del 2004 stabiliscono che l’assunzione e l’adempimento di prestazioni a contenuto riparativo nei confronti della vittima e della comunità sono valutati dal Parole Board (Organo giudiziario con funzioni affini a quelle svolte dal Tribunale di Sorveglianza) per decidere in ordine alla concessione della liberazione condizionale.
Per quanto riguarda l’ordinamento australiano, nel quale la comunità indigena si attesta in misura nettamente residuale rispetto alla popolazione di origine europea (circa il 2% di aborigeni a fronte della restante popolazione di discendenza europea), la giustizia riparativa trova il suo principale precipitato normativo nel Crimes (Restorative Justice) Act del 2004, nel quale l’accesso ai programmi di giustizia riparativa è modulato secondo differenti modalità dipendenti dal tipo di delitto commesso: in relazione alle c.d. “less serious offences” l’accesso ai programmi di giustizia riparativa non conosce orizzonti temporali, risultando possibile prima dell’esercizio dell’azione penale e anche successivamente (§ 14); in relazione alle c.d. serious offences 28 (§ 15), invece, l’accesso ai programmi di mediazione è subordinato all’esercizio dell’azione penale e, alternativamente, o all’assunzione della responsabilità per il fatto da parte dell’imputato (comunque ininfluente sul procedimento giudiziario) o all’accertamento giurisdizionale della sua colpevolezza (indipendentemente da una sentenza di condanna).
Originariamente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa era precluso ai soggetti adulti, mentre successivamente è stato esteso anche a questi ultimi e, da ultimo, nel 2021, è stato esteso anche per i delitti caratterizzati dall’uso della violenza e commessi nell’ambito familiare e per i delitti sessualmente motivati (§ 16).
Complessivamente l’esperienza di restorative justice restituita dagli ordinamenti australiano e neozelandese risulta rimarchevole e di auspicabile importazione nei termini che preciseremo (infra, 3), in quanto attenta agli interessi della vittima e della collettività e contemporaneamente non foriera di risvolti applicativi pregiudizievoli per l’effettiva libertà di partecipazione dell’autore del fatto ai programmi di mediazione.
2.2. (segue) uno sguardo d’insieme sul panorama comunitario
Dopo aver tracciato la genealogia della restorative justice, individuando il suo paradigma concettuale nell’area nordamericana e il suo antesignano nelle comunità aborigene dell’Oceania, è tempo di verificare in che misura il paradigma riparativo sia stato importato nel continente europeo.
Evidentemente l’orizzonte comune per tutti gli ordinamenti appartenenti all’acquis comunitario è costituito dalla direttiva 2012/29/Ue e, in via gradata, dal soft law rappresentato dalle Raccomandazioni emanate dalle Istituzioni europee (retro, nt. 1)29.
Come è agevole intuire, nella maggioranza degli ordinamenti europei il paradigma riparativo si concreta, dapprincipio, nel procedimento minorile e, successivamente, in modalità di diversion, valvole di sfogo (gateways) del procedimento penale30.
A titolo esemplificativo si può osservare, in riferimento all’ordinamento austriaco, che anzitutto il §191 StPO esclude la rilevanza penale del fatto nell’ipotesi di esiguità dell’offesa, derivante, fra gli altri presupposti, dalla condotta riparativa susseguente al reato, a condizione che: (i) si tratti di un’ipotesi di reato sanzionata esclusivamente con pena pecuniaria o pena detentiva massima non superiore a tre anni di reclusione; (ii) secondo valutazioni di politica criminale devolute al Pubblico Ministero non risulti opportuno sanzionare l’agente, alla luce sia delle esigenze di prevenzione speciale (“den Beschuldigten von der Begehung strafbarer Handlungen abzuhalten”), sia di quelle di prevenzione generale (“der Begehung strafbarer Handlungen durch andere entgegen zu wirken”).
Accanto a questa ipotesi di ‘diversion’ non condizionata dall’assunzione di alcun obbligo riparativo da parte dell’autore del fatto (c.d. schlichte Diversion) si riscontrano le c.d. ipotesi di intervenierende Diversion (§§ 198 ss. StPO), stando alle quali la rinuncia all’azione penale si fonda sull’adempimento da parte dell’indagato di talune prescrizioni in favore della persona offesa. In particolare i §§ 198 ss. disciplinano un complesso di cause di non procedibilità, applicabili in riferimento alle fattispecie di reato (i) sanzionate con la pena massima pari a cinque anni di reclusione (§ 198, Abs. 2, n. 1, StPO); (ii) le quali non contemplano la morte31 della persona offesa tra i loro elementi costitutivi (§ 198, Abs. 2, n. 3, StPO); (iii) in relazione alle quali il fatto non esprime un elevato grado di colpevolezza dell’agente (“die Schuld nicht als schwer”, § 198 StPO, Abs. 2, n. 2, StPO). Fra le cause che impongono l’archiviazione del procedimento penale (§§200 – 204, StPO) figura la mediazione con la vittima (Tatausgleich, §§ 204 – 207 StPO), la quale esige l’assunzione della responsabilità da parte dell’indagato per il fatto contestato congiuntamente al risarcimento del danno e, eventualmente, alla promessa di astensione nel futuro dalla commissione di ulteriori reati (§ 204 StPO)32.
Nell’ordinamento tedesco il § 153a StPO prescrive l’archiviazione del procedimento penale limitatamente alle fattispecie di reato sanzionate con la pena massima pari a un anno di reclusione (Vergehen) al ricorrere di due presupposti: l’assenza di un interesse pubblico all’accertamento del fatto (“Interesse an der Strafverfolgung”) e la mancanza di un elevato grado di colpevolezza (“die Schwere der Schuld nicht entgegensteht”) 33.. Ricorrendo questi ultimi l’imputato può adempiere determinate prescrizioni, delle quali il § 153a offre un elenco esemplificativo, fra cui rientra il procedimento di mediazione (Täter-Opfer- Ausgleich), disciplinato compiutamente dai §§ 153a, 153b StPO.
Questi ultimi, oltre a prevedere l’esperibilità del tentativo di riconciliazione senza orizzonti temporali, si contraddistinguono per improntare il procedimento di mediazione sulla ‘parità delle armi’, salvaguardando l’equidistanza del mediatore da autore del reato e vittima: anzitutto il § 153b postula che l’organismo preposto a sovrintendere lo svolgimento del procedimento di mediazione operi senza avere contezza sui risultati acquisiti in corso di indagine sull’indagato.
Infatti, stando alla disposizione poc’anzi richiamata, “l’Ufficio della Procura e il Tribunale possono (“Die Staatsanwaltschaft und das Gericht können”) – quindi non devono – […] trasmettere le informazioni personali necessarie all’organismo incaricato di presiedere il procedimento di mediazione fra autore del reato e vittima”. Inoltre solo nel caso in cui ai fini dell’efficace svolgimento del procedimento l’organismo incaricato lo richieda, provandone la necessità, l’Ufficio del pubblico ministero può trasmettere a quest’ultimo il fascicolo relativo all’indagine penale. Come risulta evidente il §153b rappresenta una fondamentale norma di garanzia della presunzione di innocenza, prevenendo la formazione di pregiudizi, non solo da parte dell’organo giudicante ma anche dell’ente preposto alla supervisione del procedimento di mediazione, in ordine alla responsabilità dell’imputato. Come si osserverà a breve, si tratta di una misura, la quale per la garanzia di imparzialità ed equità nella gestione del procedimento di mediazione che configura, merita di essere importata nell’ordinamento italiano.
Nell’ordinamento francese a norma dell’art. 41-1, comma primo, n. 5 c.p.p., “se una delle misure di seguito indicate risulti idonea a riparare il danno causato dal reato alla vittima, o a eliminare la situazione conflittuale derivante dal reato, ovvero a contribuire al reinserimento sociale dell’autore del fatto, il pubblico ministero, prima dell’esercizio dell’azione penale, può […] su richiesta della vittima o comunque con il suo consenso, organizzare una mediazione tra l'autore del reato e quest’ultima”. Come risulta evidente, diversamente dagli ordinamenti austriaco e tedesco, in quello francese il procedimento di mediazione non esclude l’esercizio dell’azione penale da parte dell’organo di pubblica accusa.
Concentrando ancora l’analisi sull’ordinamento transalpino, occorre segnalare che una recente riforma (l. 15 agosto 2014, n. 896) ha dotato la giustizia riparativa di una disciplina organica, sancendo all’art. 10.3 c.p.p. che “in ogni procedimento penale, in qualsiasi fase, anche in quella di esecuzione della pena, alle parti deve essere consentito il ricorso a un programma di giustizia riparativa. Il programma può essere adottato solo se la vittima e l'autore del reato sono stati pienamente informati sul contenuto dello stesso e hanno espressamente acconsentito a parteciparvi. Deve essere presieduto da un soggetto terzo formato a tale scopo, sotto la supervisione dell'autorità giudiziaria o, su richiesta di quest’ultima, dall'amministrazione penitenziaria. Esso è confidenziale, salvo diverso accordo tra le parti e salvo i casi in cui un interesse pubblico prevalente relativo alla necessità di prevenire o reprimere i reati giustifichi la trasmissione delle informazioni relative allo svolgimento del programma al pubblico ministero”34.
In Belgio, anteriormente alla recente riforma la quale ha istituito la giustizia riparativa (l. 22 giugno 2015)35, il procedimento di mediazione veniva in rilievo come strumento di diversion esclusivamente nella fase delle indagini preliminari.
Ai sensi dell’art. 216 ter c.p.p. “se il pubblico ministero ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a due anni, invita l’indagato a risarcire o a riparare il danno causato e a fornirne la prova. Se necessario, convoca anche la vittima e organizza una mediazione sul risarcimento e sulle modalità di quest’ultimo”. In caso di esito positivo del procedimento di mediazione, o comunque in caso di riparazione/risarcimento del danno causato dal reato, il pubblico ministero rinuncia all’esercizio dell’azione penale. Viceversa, in caso di esito negativo il pubblico ministero può – ergo non deve – proporre il rinvio a giudizio dell’indagato 36.
L’ordinamento spagnolo, il quale con la l. 27 aprile 2015, n. 4 – Estatuto de la Victima del Delito – ha attuato, ancorché parzialmente, la direttiva 2012/29/Ue 37, si interfaccia con la giustizia riparativa con un atteggiamento evidentemente cauteloso38: anzitutto preclude l’accesso ai servizi per la restorative justice per i reati espressivi di violenza di genere (l. 28 dicembre 2004, n. 1) 39 e, inoltre, in assenza di una disciplina di carattere generale, sembra circoscrivere alla fase esecutiva del procedimento penale l’accesso ai servizi di giustizia riparativa, il quale rientra fra le condizioni determinanti la sospensione dell’esecuzione della pena (art. 84, comma primo, c.p.)40.
Mette conto rilevare, infine, riguardo alla penisola iberica, un disegno di legge per la riforma del codice di procedura penale (Anteproyecto de Ley de Enjuiciamiento Criminal), il quale positivizza i principi della giustizia riparativa (libero consenso delle parti alla partecipazione al programma; confidenzialità e riservatezza delle comunicazioni fra le parti nello svolgimento del programma; irrilevanza nel procedimento penale del rifiuto o del fallimento del servizio di giustizia riparativa) e, inoltre, introduce un principio di opportunità dell’azione penale temperato: anche allo scopo di attuare in modo efficace il paradigma riparativo, il disegno di legge accorda al pubblico ministero il potere di definire con un’archiviazione il procedimento penale omologando il programma di impegni che l’indagato ha assunto verso la vittima. Inoltre l’esito positivo del programma di mediazione incide, secondo il disegno di legge, sia alla stregua di circostanza attenuante, sia di condizione per ottenere la sospensione della pena (art. 924)41.
La prospettiva comparatistica ha rivelato la progressiva metamorfosi, che come già osservato caratterizza anche il sistema italiano, del diritto riparativo da misura di diversion con funzione deflativa, relativamente alla quale alla vittima sono accordati, al più, poteri di impulso nei confronti dell’autorità giudiziaria, a procedimento di mediazione nel quale la vittima è titolare del diritto soggettivo di promuovere il tentativo di riconciliazione con l’indagato/imputato. Sotto quest’ultimo profilo, nei termini che si esporranno a breve, diverse soluzioni implementate dagli ordinamenti osservati risultano meritevoli di importazione nel sistema italiano.
3. Rilievi di sintesi e prospettive di riforma
In apertura si ha avuto modo di esporre i principali rilievi critici alla configurazione normativa della restorative justice nell’ordinamento italiano: alcune critiche di metodo si stagliano sull’incompatibilità fra la presunzione di non colpevolezza-libero convincimento del giudice e l’estensione del procedimento riparativo alla fase delle indagini; ulteriori critiche di merito si stagliano invece sulla lacunosità della riforma, nella misura in cui in essa figurano punti di intersezione fra procedimento riparativo e procedimento penale, senza tuttavia favorire l’interazione fra i due poli; da ultimo si segnala la critica di un indirizzo dottrinale che ravvisa, nell’estensione della giustizia riparativa a ogni fattispecie delittuosa, l’acritica adesione a un orizzonte criminologico obliterante acquisizioni vittimologiche di segno contrario, le quali escludono la congruità del paradigma riparativo con i reati sessualmente motivati e i reati caratterizzati dall’uso della violenza nell’ambito familiare 42.
Riguardo alla prima censura, alla quale si ritiene di aderire, l’attuale disciplina di accesso alla giustizia riparativa potrebbe essere rimeditata prospettando la riduzione del potere dell’organo giudicante nella fase di accesso al procedimento di mediazione. Un esito siffatto appare imposto dalle principali fonti di diritto sovranazionale: tanto la direttiva 2012/29/Ue, quanto la Risoluzione quadro delle Nazioni Unite 12/2002, quanto ancora la Raccomandazione 2018 (8) emessa dal Consiglio d’Europa riservano all’autore del fatto e alla vittima effettivi poteri decisori in ordine all’accesso ai servizi di giustizia riparativa, estromettendo, salvo i casi di necessaria incidenza del procedimento riparativo sul processo penale, il sindacato dell’organo giudicante.
Diversamente da altri ordinamenti, come quello belga in cui le parti interessate presentano la richiesta di accedere a un servizio di giustizia riparativa direttamente all’organismo certificato il quale, in caso di accettazione della richiesta, sovrintende il suddetto servizio (artt. 554-553 c.p.p.), nell’ordinamento italiano l’art. 129 bis c.p.p. demanda – successivamente alla definizione delle indagini preliminari – all’organo giudicante l’accertamento prognostico sull’efficacia del programma riparativo alla risoluzione del conflitto insorto fra le parti. A tacere della già segnalata indebita estromissione del consenso della vittima fra i presupposti per l’accesso a un itinerario di giustizia riparativa, la regolamentazione dell’accesso ai servizi di giustizia riparativa andrebbe emendata, riservando alle parti, coadiuvate da un facilitatore, la verifica prospettica in ordine alle possibilità di successo del procedimento di mediazione.
Inoltre, in questo caso in precipuo riferimento alla tutela del libero convincimento dell’organo giudicante, si considera opportuno, analogamente a quanto previsto dal succitato progetto di riforma spagnolo, ascrivere, almeno fino alla definizione della fase di cognizione, esclusivamente al pubblico ministero l’accertamento sulla sussistenza dei presupposti per l’accesso delle parti ai servizi di giustizia riparativa. Infatti in aderenza al canone del libero convincimento dell’organo giudicante, il giudizio sulla responsabilità dell’imputato deve conseguire, di regola, alla definizione della fase dibattimentale, successivamente, quindi, all’assunzione dei mezzi di prova e alla discussione delle parti. In alternativa alla soluzione prospettata, si adombra la previsione di una ulteriore causa di incompatibilità del giudice competente in ordine all’accesso ai servizi di giustizia riparativa nel procedimento penale complementare al procedimento di mediazione.
Peraltro una tutela analoga in materia di libero convincimento, ancorché in questo caso non imposta dal diritto positivo, andrebbe assicurata nel procedimento di mediazione: analogamente al dettato del §153b StPO, si ritiene conveniente in tal senso precludere all’organismo di mediazione e ai suoi incaricati, salva la fondata necessità di acquisire informazioni sul procedimento penale, l’accesso alle informazioni contenute nel fascicolo delle indagini preliminari diverse da quelle necessarie all’identificazione dell’indagato e della persona offesa.
Per quanto concerne la seconda censura, essa, ancorché valida in chiave critica sull’assenza, secondo l’impianto processuale vigente, di una fase autonoma destinata alla dosimetria della pena alla luce della personalità del colpevole emergente dal reato, essa non risulta del tutto conferente in relazione alla necessità di attuare, mediante l’istituzione della giustizia riparativa, la direttiva 2012/29/Ue: quest’ultima richiede alle Parti contraenti l’introduzione, se necessario, nel sistema normativo di misure dirette a favorire l’effettiva partecipazione della vittima nel procedimento penale, incrementando al proposito l’interlocuzione fra vittima e agenzie di controllo istituzionali.
Una delle misure può consistere nell’eventuale partecipazione a programmi di giustizia riparativa, ma, cionondimeno, la direttiva non attribuisce a quest’ultima effetti sul procedimento giudiziario e, conseguentemente, non richiede alcun adattamento del procedimento penale in funzione di una più efficace attuazione dei servizi di giustizia riparativa.
La seconda riserva critica dischiude un desideratum, tuttavia non imposto dal diritto comunitario. Al più si potrebbe prospettare, per valorizzare l’esito positivo del procedimento di mediazione la previsione di una circostanza attenuante a effetto speciale, per differenziare le conseguenze premiali derivanti dall’investimento di risorse patrimoniali e morali da parte dell’imputato per il completamento del percorso riparativo da quelle derivanti dall’adempimento di obblighi a contenuto meramente risarcitorio, rilevanti già secondo l’originaria formulazione dell’art. 62, comma primo, n. 6, c.p. per mitigare la pena.
La terza critica va rimarcata particolarmente, in quanto ha il pregio di segnalare la contrapposizione, forse eccessivamente sottaciuta nell’ottica di una completa implementazione del paradigma riparativo, fra una corrente del pensiero criminologico che esclude in vitro l’efficacia dei programmi di giustizia riparativa in relazione alla violenza di genere, a reati contrassegnati dall’uso della violenza in ambito familiare, e ancora a reati sessualmente motivati e, di contro, una corrente del pensiero criminologico che, con il supporto dell’esperienza giuridica nordamericana, considera astrattamente compatibile con i servizi di giustizia riparativa ogni fattispecie di reato.
In relazione al primo indirizzo criminologico mette conto notare che l’ordinamento penale italiano, sostanziale e processuale, schiera, a presidio della persona offesa, un poderoso novero di misure sanzionatorie in senso stretto (l’art. 384 bis c.p., rubricato “violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”) e in senso lato (le misure cautelari personali consistenti nell’obbligo di allontanamento dalla casa familiare ex art. 282 bis c.p.p. e nel divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p.). All’opposto, per quanto attiene al secondo indirizzo criminologico la riforma in atti apre importanti spazi di dialogo fra autore del reato e vittima successivamente all’episodio criminoso, indipendentemente dalla natura dell’offesa e del bene aggredito.
La censura, ancorché rimarchevole per aver segnalato un profilo di innegabile tensione tra giustizia riparativa e talune fattispecie incriminatrici, non risulta decisiva: è agevole osservare infatti che la possibilità per le parti di adire i servizi di giustizia riparativa in ogni fase e grado del procedimento assolve proprio alla funzione di consentire a queste ultime di affrontare il tentativo di riconciliazione nel momento considerato più opportuno.
Si può ipotizzare che in relazione ai delitti connotati dalla reiterazione di condotte a carattere violento (ad esempio il delitto di stalking ex art. 612 bis c.p.; il delitto di abuso di mezzi di correzione e disciplina ex art. 571 c.p.; il delitto di maltrattamenti contro famigliari e conviventi ex art. 572 c.p.) ovvero sessualmente motivati, la vittima abbia bisogno di un lasso di tempo considerevole prima di, eventualmente, accettare di partecipare a un programma di mediazione con l’autore del fatto. In questo senso l’art. 129 bis c.p.p., coerentemente al reticolato normativo sovranazionale e allo statuto epistemologico della restorative justice, autorizza il ricorso ai servizi di giustizia riparativa anche nella fase esecutiva del procedimento penale, nella quale verosimilmente sono destinate a concentrarsi la maggior parte dei procedimenti di mediazione inerenti alla suindicata tipologia di reati.
Il rilievo critico dell’insigne Studiosa lumeggia un ulteriore campo tematico della restorative justice, il quale, in considerazione dei limiti dello spazio accordato, può essere solo tratteggiato: si tratta della pretesa o reale compatibilità del paradigma riparativo con qualunque tipo di reato. In questa sede si considera sufficiente rilevare che il successo del procedimento riparativo con alcune fattispecie di reato, ad esempio i reati offensivi di beni metaindividuali (eguaglianza, incolumità pubblica etc.), superindividuali (ambiente, fede pubblica etc.), istituzionali (personalità dello Stato, pubblica amministrazione etc.) dipenderà dalla capacità dell’ordinamento italiano di assimilare quelle configurazioni del procedimento di mediazione che coinvolgono la comunità del locus commissi delicti, già osservate nell’area nordamericana e in Oceania (community panels, sentencing circles etc.).
Delineate le proposte per addivenire a un’attuazione della giustizia riparativa nell’ordinamento italiano più aderente ai suoi paradigmi concettuale e normativo (secondo le fonti sovranazionali), occorre, allo scopo di scongiurare il rischio di ‘crisi di rigetto’ paventate in esordio, rimarcare che la giustizia riparativa implica dei costi per la giustizia penale. Senz’altro nella sua accezione moderna essa non si propone di scalzare il diritto penale, la quale peraltro seleziona il reticolato di valori (mediante la componente precettiva della norma) verso i quali (anche) la prima irradia la sua tutela. Cionondimeno è altrettanto indubbia la vocazione abolizionista della giustizia riparativa43, ossia il moto verso il progressivo abbandono di una risposta al reato di estrazione retributiva, la quale altro non è che una sublimazione della vendetta, imbrigliata, soltanto apparentemente, nelle maglie di un sistema sanzionatorio informato dai principi di proporzionalità e uguaglianza.
Evidentemente in tal senso il progressivo avanzamento del paradigma riparativo richiede un profondo mutamento, probabilmente una rivoluzione culturale, idonea a trasmettere dapprima l’idea che la pena, nella sua ineliminabile componente afflittiva, non costituisce un superamento della vendetta; in secondo luogo rimarcare una verità tanto desolante quanto sapienziale, consistente nell’impossibilità per la pena, specialmente nei reati offensivi di beni ‘infungibili’, di restituire alla vittima quanto il reato ha dissolto.
Conviene mutuare le indimenticate riflessioni di un Autore considerato dalla letteratura il precursore della concezione moderna della giustizia riparativa:
«Chiunque consideri senza preconcetti, nella sua tragica realtà, la serie delle aberrazioni succedutesi in tal materia durante i secoli, deve confessare che la storia delle pene, in molte delle sue pagine, non è meno disonorevole per l’umanità che quella dei delitti. Non ci dissimuliamo che, attenendosi ai principî anzidetti, la giustizia penale dovrebbe ridurre alquanto il suo campo anche attuale di azione, modificando più o meno radicalmente non pochi dei suoi istituti; e ciò anche presso quei popoli che già hanno compiuto in cotesto campo notevoli riforme e abolizioni. […] La riparazione compensatrice deve accostarsi il più possibile al proprio fine, ma mirando soprattutto a un’equivalenza morale e salvando in ogni caso la ratio juris, nel significato più alto di questo termine: e perciò appagandosi anche di una soddisfazione parziale o indiretta, e financo, come accennammo, solo simbolica, quando altrimenti non sia possibile senza una nuova e forse più grave ingiustizia»44
Conformemente alle sue origini metagiuridiche, la giustizia riparativa dovrà quindi anzitutto tracciare, per inverarsi nella realtà giuridica, due viatici nella coscienza collettiva: il primo verso l’idea che il reato costituisce la risultante di un complesso di fattori e che, conseguentemente, necessita di una risposta ordinamentale altrettanto complessa; il secondo, correlato al primo, verso l’idea che la risposta più razionale al reato non consiste necessariamente nell’isolamento del colpevole dalla vittima e dalla collettività, bensì nella partecipazione dell’autore del fatto, della vittima e della collettività al ripianamento del conflitto insorto dal reato.
1 Per una critica allo stato della legislazione italiana prima della recente riforma e una circostanziata rassegna della normativa sovranazionale (comunitaria, europea e internazionale) in materia di giustizia riparativa, v. MANNOZZI, Sapienza del diritto e saggezza della giustizia: l’attenzione alle emozioni nella normativa sovranazionale in materia di restorative justice, su Discrimen, 23 aprile 2020.
2 La definizione normativa riproduce, inglobandone i corollari, quella contenuta nella direttiva europea 25 ottobre 2012, n. 29, stando alla quale la giustizia riparativa «è qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale» (trad. in MANNOZZI, voce Giustizia riparativa, in Enc. dir., 2017, 470). Come è noto, oltre al diritto comunitario (art. 117 Cost.) l’ordinamento italiano si conforma anche alle norme, di matrice consuetudinaria, legislativa o giurisprudenziale, vigenti nella generalità degli ordinamenti giuridici (art. 10 Cost.) e perciò, tanto considerato, si ritiene opportuno richiamare anche le fonti di c.d. soft law in materia di restorative justice. Le fonti sovranazionali non vincolanti in materia di giustizia riparativa sono costituite dalle Dichiarazioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU): Dichiarazione dei principi fondamentali di giustizia per le vittime del crimine e di abusi di potere mediante Risoluzione del 29 novembre 1985, n. 40/34; Dichiarazione di Vienna su Criminalità e Giustizia del 10 aprile del 2000; Risoluzione del Consiglio Economico e Sociale sui “Principi fondamentali per l’adozione dei programmi di giustizia riparativa in materia penale”, 12/2002 (New York), recepiti nell’Handbook on Restorative Justice Programmes, New York, 2006; dalle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa: (i) 28 giugno 1985, n. 11, concernente la posizione delle vittime nell’ambito del diritto e della procedura penale; 17 settembre del 1987, n. 21, concernente l’Assistenza alle vittime e la prevenzione della vittimizzazione secondaria; del 15 settembre 1999, n. 19, relativa alla Mediazione in ambito penale; 14 giugno 2006, n. 8; 3 ottobre 2018, n. 8, concernente “la giustizia riparativa in materia penale”. In letteratura la prima elaborazione concettuale della restorative justice appartiene a ZEHR, Changing Lenses. A New Focus on Crime and Justice, Scottsdale, 1990, 181, il quale la definisce un «modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo», (trad. in MANNOZZI, voce, cit., p. 469).
3 Sulla configurazione normativa della restorative justice v. EUSEBI, Giustizia riparativa e riforma del sistema sanzionatorio-penale, in Dir. pen. proc., 2023, I, 79 ss.; PERINI, Prime note sulla disciplina “organica” della giustizia riparativa: “infrastrutture” e raccordi di sistema, in Dir. pen. proc., 2023, I, 97 ss.; PARISI, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I. «Disciplina organica» e aspetti di diritto sostanziale, su Sistema penale, 27 febbraio 2023; MAGGIO, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte II. «Disciplina organica» e aspetti di diritto processuale, su Sistema penale, 16 febbraio 2023.
4 Per diversion si intende “ogni deviazione dalla normale sequenza di atti del processo penale, prima della pronuncia sull’imputazione”, secondo la definizione emergente dalla Risoluzione del XIII Congresso internazionale di diritto penale del 1984 al Cairo, sul tema “Diversion e mediazione”.
5 Peraltro va ricordato che tra i principi direttivi della l. 27 settembre 2021, n. 134 (sub specie, art. 1, comma 18, l. e), non figura alcuna prescrizione in merito agli effetti dell’esito favorevole del procedimento di mediazione sul trattamento sanzionatorio, in quanto la legge delega si limita a stabilire che esso “possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena”. Sulla genericità della delega legislativa sul punto v. CAVALIERE, Considerazioni ‘a prima lettura’ su deflazione processuale, sistema sanzionatorio e prescrizione nella l. 27 settembre 2021, n. 134,
c.d. riforma Cartabia, in Pdp, 2022, 17.
6 Al proposito il decreto attuativo sposa la filosofia in materia di restorative justice emergente dal disegno di legge elaborato dalla Commissione Ministeriale, la quale aveva proposto l’istituzione del procedimento di mediazione in forma complementare al procedimento penale, caldeggiando la biunivoca indipedenza fra procedimento riparativo e procedimento giudiziale, congiuntamente a tassative aree di intersezione (art. 131 bis c.p.; art. 464 bis ss. c.p.p.), adatte a valorizzare la volontà riconciliativa delle parti interessate e al contempo dirette a incrementare l’efficienza del procedimento penale. Sul punto v. Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435, 74.
7 Limpidamente in argomento, PALAZZO, Plaidoyer per la giustizia riparativa, in Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in onore di Domenico Pulitanò, a cura di Ruga Riva et al., Torino, 2022, 435 ss.
8 Chiaramente al proposito, CIAVOLA, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, Torino, 2010, 54; DE FRANCESCO, Uno sguardo d’insieme sulla giustizia riparativa, in LP, 2021, 8 ss.
9 Tensione con la presunzione di innocenza che la Commissione incaricata dell’elaborazione dello schema di legge delega in materia aveva tentato, evidentemente senza esito, di sventare: «A tal proposito, com’è evidente, le esigenze di tutela offerte ai soggetti coinvolti nel conflitto (indagato/imputato e persona offesa) possono trovare momenti di tensione con principi, anche costituzionali, che devono regolare il procedimento/processo che li riguarda. L’utilizzo del percorso mediativo nella fase della cognizione può comportare, in particolare, un potenziale attrito con le garanzie a tutela dell’indagato/imputato (non solo in relazione alla presunzione di non colpevolezza, lambita, pur non pregiudicata, dalla ricerca di un esito conciliativo, ma anche dall’eventuale ricaduta, implicita – pur nel divieto di utilizzo – del risultato negativo della mediazione) che devono essere tenute in considerazione e risolte anche alla luce dell’esperienza, peraltro assai positiva, maturata nel contesto della giustizia penale minorile». Cfr. Relazione di accompagnamento al format presentato dal Tavolo 13. Giustizia riparativa, tutela delle vittime e mediazione, sul sito del Ministero della Giustizia, 3.
10 Nella Relazione illustrativa del decreto l’interlocuzione solo eventuale con la vittima è giustificata dalla “necessità di non appesantire eccessivamente il procedimento onerando il giudice della ricerca della vittima e della sua audizione”. Cfr. Relazione illustrativa al Decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, su Supplemento straordinario n. 5 alla Gazzetta Ufficiale, 19.10.2022, 411.
11 Sul punto MAZZA, Il processo che verrà: dal cognitivismo garantista al decisionismo efficientista, in Arch. pen., 2022, 23 ss.; ID., Il decreto attuativo della riforma Cartabia (ignorato dai partiti) ha vizi di costituzionalità, su Il Dubbio, 20 agosto 2022; ORLANDI, Giustizia penale. Il punto di vista processuale, in Dir. pen. proc., 2023, 90; PARLATO, La giustizia riparativa. I nuovi e molteplici incroci con il rito penale, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di Castronuovo et al., 2022, 230 ss.; BONINI, Le linee programmatiche in tema di giustizia riparativa. Il quadro e la cornice, in LP, 2021, 26 ss.; GUIDI, Profili processuali della giustizia riparativa, in Discrimen, 16.11.2022, 6 ss. V. anche, sebbene in riferimento al disegno di legge proposto dalla Commissione Lattanzi, MANNA, Considerazioni critiche sulle proposte della Commissione Lattanzi in materia di sistema sanzionatorio penale e di giustizia riparativa, in Arch. pen., 2021, 9 ss., a proposito dell’occasione (perduta) di introiettare la filosofia riparativa nel processo, estendendo la perizia criminologica dalla fase esecutiva a quella di cognizione, per modulare l’intensità della risposta sanzionatoria sul profilo criminologico dell’imputato.
12 A memoria dell’art. 12 della direttiva 2012/29/Ue, una delle condizioni per l’accesso ai servizi di giustizia riparativa consiste “[…] nell’interesse della vittima, in base ad eventuali considerazioni di sicurezza, […] sul suo consenso libero e informato, che può essere revocato in qualsiasi momento”.
13 VIGANÒ, Diritto penale e diritti della persona, in Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, a cura di Mannozzi et al., Milano, 2022, 845.
14 Sul punto, con particolare riguardo al c.d. caso 0 nella città di Kitchener (Ontario) di giustizia riparativa, v. MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2003, 159 ss. e bibliografia ivi citata. Sullo stato dell’arte della restorative justice nell’ordinamento canadese v. LA PRAIRE, Some Reflections on New Criminal Justice Policies in Canada, in Aust N Z J Criminol., 1999, 139 ss.; TOMPOROWSKI et al., Reflections on the Past, Present, and Future of Restorative Justice in Canada, in Alta. Law Rev., 2011, 4, 816 ss.; TOMPOROWSKI, Restorative Justice and Community Justice in Canada, in IJRJ, 2015, 218 ss.
15 Per una panoramica esaustiva sui modelli di restorative justice disponibili in Canada v. SHAW
- JANÈ, Restorative Justice and Policing in Canada. Bringing community into focus, Ottawa, 1998, 23 ss.
16 Le statistiche sono consultabili sul sito del Dipartimento di Giustizia canadese.
17 Per la genealogia della giustizia riparativa nel continente statunitense si rinvia alla produzione ‘enciclopedica’ sul tema di Mark Umbreit e, in particolare, a UMBREIT, Crime and Reconciliation Creative Options for Victims and Offenders, New York, 1985, 28 ss.; UMBREIT – GREENWOOD, National Survey of Victim-offender Mediation Programs in the United States, New York, 2000, 3 ss.; UMBREIT, The Handbook of Victim Offender Mediation An Essential Guide to Practice and Research, New York, 2002, 161 ss. Per una rassegna completa dei programmi di giustizia riparativa elaborati dal Centro per la Giustizia riparativa dello Stato del Minnesota cfr. PRANIS, Restorative Justice in Minnesota and the USA: development and current practice, in International Senior Seminar Visiting Experts Paper, 2004, 114 ss.
18 Sulle interrelazioni fra giustizia riparativa e procedimento giudiziario, con puntuali critiche in ordine alla veicolazione mediante la prima di un controllo sociale, ancorché meno afflittivo di quello consistente nella sanzione restrittiva della libertà personale, più pervasivo (secondo lo schema del c.d. net widening effect), v. STENDARDI, Per una proposta legislativa in tema di giustizia riparativa: spunti di riflessione dall’analisi degli ordinamenti degli Stati uniti e del Regno Unito, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1900 ss. e bibliografia ivi menzionata.
19 Cfr. STENDARDI, Per una proposta, cit., 1912.
20 Gli Stati del Nebraska, di New York e del South Carolina precludono ai soggetti recidivi l’accesso ai programmi di restorative justice. Cfr. ibidem.
21 Cfr. ivi, 1915.
22 Non sembra meritevole di censura, invece, la mancanza di espressa previsione all’interno dell’art. 129 bis c.p.p. sull’impossibilità dell’esito negativo del procedimento di mediazione di incidere in malam partem nella commisurazione della pena. Infatti, stando al dettato dell’art. 133 c.p., la mancata adesione al o il fallimento (evidentemente, imputabile al reo) del progetto di mediazione non importano una prognosi negativa sulla possibilità di risocializzazione del colpevole, in quanto le due scelte indicate (respingimento dell’offerta di un programma di mediazione e fallimento di quest’ultimo) non colorano, sul versante della colpevolezza d’autore, il fatto di un disvalore maggiore, ma si limitano a rivelare l’assenza di resipiscenza da parte del reo per il fatto commesso (la quale, come è noto, se assistita da condotte lato sensu riparative può determinare, sotto forma di circostanza attenuante, una riduzione della pena, ma in nessun caso, se non sussistente, motivo di inasprimento di essa).
23 Sul procedimento penale di tipo bifasico di matrice anglosassone (c.d. bifurcated system), con particolare riferimento alle potenzialità di siffatto sistema processuale a introiettare le istanze della giustizia riparativa nella fase di commisurazione della pena, v. MANNOZZI, Razionalità e “giustizia” nella commisurazione della pena. Il Just Desert Model e la riforma del Sentencing nordamericano, Padova, 1996, 81 ss.; DEI CAS, Sentencing inglese e prospettive di un processo bifasico in Italia: potenzialità e insidie di un mutamento a lungo invocato, in Arch. pen., 1, 2022, 66 ss.
24 Sulle differenze tra società protogiuridiche e società metagiuridiche v. MANNOZZI, La giustizia senza spada, cit., 11, 16.
25 In argomento cfr. SPRICIGO, La giustizia riparativa nel sistema penale e penitenziario in Nuova Zelanda e Australia: ipotesi di complementarietà, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 4, 1934 ss.
26 Sulla iniziale propagazione della giustizia riparativa come modalità di diversion nel settore della giustizia minorile v. BRAITHWAITE, Diversion, Reintegrative Shaming and Republican Criminology, in Albrecht - Ludwig -Mayerhofer, Diversion and Informal Social Control, Berlino, 1995, 149-152, 154 ss.; MAXWELL-HAYES, Restorative Justice Development in the Pacific Region: A Comprehensive Survey, in Contemporary Justice Review, 2006, 128, 135; STRANG, Restorative justice programs in Australia: A report to the Criminology Council, Canberra, 2001.
27 Consultabili sul sito del Dipartimento di Pubblica Accusa.
28 Definite dal § 3 del Criminal Procedure Act del 1986 per antitesi rispetto alle indictable offences, ossia i reati procedibili innanzi alla magistratura togata. Si tratta di reati generalmente sanzionati con la pena massima non superiore a due anni di reclusione, dei quali il Summary Offences Act del 1998 svolge un elenco esemplificativo: linguaggio offensivo, atti osceni in luogo pubblico, interruzione della viabilità, porto abusivo di armi, detenzione di liquori in luoghi abitualmente frequentati da minori, attività venatoria non autorizzata.
29 Per una magistrale ricostruzione della stratificazione normativa sovranazionale, internazionale e comunitaria, in materia di restorative justice, v. MATTEVI, Una giustizia più riparativa. Mediazione e riparazione in materia penale, Milano, 2017, 143 - 168.
30 Per un resoconto circostanziato dello stato dell’arte della restorative justice negli ordinamenti appartenenti alla comunità europea v DÜNKEL, Restorative justice in juvenile and adult criminal law: European comparative aspects, in Giustizia Riparativa. Responsabilità, partecipazione, riparazione, a cura di Fornasari – Mattevi, 2019, 49 ss; BOUCHARD, Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Questione Giustizia, 2015, 2, 66.
31 Salve le ipotesi di omicidio colposo in danno di un parente, nell’ipotesi in cui la pena non sembra necessaria a causa del grave disagio psicologico causato dal fatto (“schwere psychische Belastung”).
32 In argomento v. SUMMERER, La giustizia riparativa nell’esperienza austriaca, in Giustizia riparativa. Responsabilità, partecipazione, riparazione, a cura di Fornasari - Mattevi, Trento, 2019 143 ss. e bibliografia ivi indicata; MANCUSO, La giustizia riparativa in Austria e in Germania: tra Legalitätsprinzip e vie di fuga dal processo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1959 ss. e bibliografia ivi indicata.
33 In argomento v. MATTEVI, Una giustizia, cit., 210 ss.; MANCUSO, La giustizia, cit., 1969 ss.; SUMMERER, La giustizia, cit., 147 ss.; BARTOLI - BIANCHI, Ortofoto degli istituti di probation tedeschi per progettare una riforma del sistema sanzionatorio italiano, in Le misure sospensivo- probatorie. Itinerari verso una riforma, a cura di Dolcini - Della Bella, Milano, 2021, 97 ss.
34 In argomento v. TOULLIER, La giustizia riparativa in Francia: quadro attuale e ipotesi di sviluppo, in Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali, a cura di Luparia, Milano, 2015; MATTEVI, Una giustizia più riparativa, cit., 182 ss. e bibliografia ivi indicata; VENTUROLI, Il sursis franco-belga tra “gradualità” e diversificazione sospensivo-sanzionatoria. Il contributo della comparazione e di un’esperienza sul campo, in Le misure, cit., 29 ss.; GASPARINI, La giustizia riparativa in Francia e in Belgio tra istituti consolidati e recenti evoluzioni normative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1984 ss. Per dati statistici sull’utilizzo del procedimento di mediazione in Francia v. BOUCHARD, Servizi di assistenza alle vittime. Il ritardo rispetto agli altri Paesi europei: i dati dell’Inghilterra e della Francia, consultabile su Rete Dafne.
35 La riforma, vigente dal 2015, ha introdotto nel Titolo VI del Libro II del Code d’instruction criminelle, denominato “De la médiation” la disciplina in materia di giustizia riparativa,autorizzando il ricorso ai relativi programmi in ogni stato e grado del procedimento penale. L’art. 553 c.p.p. dispone quanto segue: “Salvo quanto previsto dall’art. 216 ter del presente codice, chiunque abbia un interesse diretto può, in qualsiasi fase del procedimento penale e dell'esecuzione della pena, presentare una richiesta di mediazione. 2. Il pubblico ministero, il giudice istruttore, i tribunali istruttori e l’organo giudicante si assicurano che le parti coinvolte nel procedimento giudiziario siano informate della possibilità di richiedere la mediazione. Se lo ritengono opportuno in casi specifici, possono proporre essi stessi la mediazione alle parti. 3. La domanda di mediazione è indirizzata a un servizio di cui all'articolo 554, paragrafo 1. 4. Il servizio può informare il pubblico ministero della richiesta e, se necessario, chiedere l'autorizzazione a esaminare il fascicolo. Le parti possono essere assistite da un avvocato durante la mediazione”.
36 Sull’evoluzione del paradigma riparativo in Belgio v. AERTSON - PETERS, Mediation and Restorative Justice in Belgium, in Eur. J. Crim., 1998, 507 ss.
37 Per una ricognizione dell’evoluzione normativa nel sistema spagnolo della tutela della vittima di reato, v. DE LA CUESTA – JERMAN, La justicia restaurativa en España, Madrid, 2022, 22 ss.; 53 ss.; CANO, Breve reflexión sobre los avances de la Unión Europea en materia de mediación penal, in Justicia restaurativa una justicia para las victimas, a cura di Soleto - Carrascosa, Madrid, 2019, 43 ss. Per una rassegna circostanziata degli istituti a contenuto eventualmente riparativo nella cornice europea; GOISIS, Le misure sospensivo-probatorie nell’ordinamento giuridico spagnolo: spunti per il legislatore italiano, in Le misure, cit., 135 ss.
38 Sul punto v. le considerazioni di DELLA TORRE, L., Attuazione di meccanismi di "restorative justice" in alcuni paesi sudamericani e nella penisola iberica: Delle differenti sfumature di un paradigma alternativo di giustizia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1954 ss. e bibliografia ivi citata.
39 In argomento v. le puntuali considerazioni (in chiave critica) di VILLACAMPA, Justicia restaurativa en supuestos de violencia de género en España: situación actual y propuesta político- criminal, in Polít. crim., 2020, 15, 47 ss.
40 Sulla configurazione della giustizia riparativa nell’ordinamento spagnolo v. PEDRERO, La introducciòn de la justicia resturativa en el sistema juridìco penal, in Fundación Internacional de Ciencias Penales, 2017, 1 ss.
41 Sul disegno di legge v. le considerazioni di TORRES, La justicia restaurativa en el Anteproyecto de Ley de Enjuiciamiento Criminal como manifestación del principio de oportunidad, in RECPC, 2022, 1 ss.
42 Appunta questo rilievo critico DEL TUFO, Giustizia riparativa ed effettività nella Proposta della Commissione Lattanzi (24 maggio 2021), in Arch. pen., 2021, 2, 7, la quale rileva peraltro che le acquisizioni criminologiche richiamate trovano un addentellato normativo nella “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” (c.d. Convenzione di Istanbul), la quale all’art. 48, rubricato “Divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie” interdice il “ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione” (reati consistenti in atti di violenza in famiglia e in atti di violenza sessualmente motivati). Si tratta, come è agevole rilevare, di un divieto che si attaglia sulla imperatività delle misure di mediazione, il quale tuttavia denuncia evidentemente una diffidenza verso il paradigma riparativo in relazione a queste fattispecie delittuose.
43 Come è indubbio (DONINI, Il delitto riparato: una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in DPC, 2015, 2, 243), per converso, che «la pena è un male aggiunto al male commesso […], in quanto ogni sua riduzione in chiave specialpreventiva, umanistica, appare successiva ed eventuale».
44 DEL VECCHIO, La giustizia, Roma, 1951, 194 e 196.
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