Restorative Justice: un esame delle potenzialità applicative in materia di reati gravi
Modifica paginaautori Marco Edgardo Florio ,
Negli ultimi anni l’idea di poter pervenire ad un superamento del “diritto penale” classico, fondato su pene sempre e solo afflittive, retrospettive, e passivamente subìte dal reo, ha indubbiamente acquisito slancio, e lo ha fatto soprattutto grazie al diffondersi di un ideale – quello della c.d. “giustizia riparativa” (GR) – in cui convivono in realtà molte anime. Scopo del contributo è verificare quali siano i reali spazi d’operatività della GR “interpersonale” (una delle due anime della riparazione, dagli spazi applicativi maggiormente “incerti”) a fronte dei crimini più gravi ed efferati.
Sommario: 1. Premessa – 2. La “ritrosia” registrata nell’applicazione concreta della RJ in materia di crimini "gravi" in diversi ordinamenti. – 3. RJ e reati "gravi": cosa dicono gli studi empirici recenti sui potenziali “benefìci” per la vittima e per l’autore? – 4. Esistono davvero crimini che non si possono perdonare? L’esperienza delle TRCs. – 5. Osservazioni sulla (parziale) inconcludenza dei dati esaminati: i limiti delle risultanze empiriche; le peculiarità della c.d. "giustizia di transizione”. – 6. Conclusioni.
Abstract: Negli ultimi anni, l’idea di poter pervenire ad un superamento del “diritto penale” classico, fondato su pene sempre e solo afflittive, retrospettive, e passivamente subìte dal reo, ha indubbiamente acquisito slancio, e lo ha fatto soprattutto grazie al diffondersi di un ideale – quello della c.d. “giustizia riparativa” (GR) – in cui convivono in realtà molte anime. Scopo del contributo è verificare quali siano i reali spazi d’operatività della GR “interpersonale” (una delle due anime della riparazione, dagli spazi applicativi maggiormente “incerti”). Si potrebbe pensare, come vien logico a tutta prima di supporre, invero, che la stessa sia destinata a trovare “posto” soltanto nell’area presidiata da certe fattispecie bagatellari. La domanda, però, è: siamo davvero sicuri che quel che l’intuito sembrerebbe a tutta prima suggerire risponda anche a realtà? Per cercare di dare una (almeno parziale) risposta a tale interrogativo, nel contributo verranno esaminati: a) sia gli spazi che la stessa ha sino ad oggi trovato nel diritto penale di altri Stati e nel diritto internazionale penale; b) sia le principali indagini empiriche che sono state condotte all’estero negli ultimi anni; c) sia, infine, talune considerazioni dottrinali “scettiche” che sono state formulate in materia, sulla base delle più svariate logiche generalpreventive, specialpreventive, retributive ed espressivo-comunicative.
1. Premessa.
Negli ultimi anni, l’idea di poter realmente pervenire ad un superamento del “diritto penale” classico, fondato su pene sempre e solo afflittive, retrospettive e passivamente subìte dal reo, ha indubbiamente acquisito slancio, e lo ha fatto soprattutto grazie al diffondersi di un ideale – quello della “giustizia riparativa” (d’ora in poi GR) – in cui convivono in realtà molte anime.
Non vi è, in effetti, un unico concetto di GR, né si registra totale accordo su quanto mediante l’utilizzo della stessa ci si dovrebbe ripromettere di fare. Per dare risposta all’interrogativo che in via principale anima il presente contributo, però, è probabilmente solo necessario intendersi su alcuni profili “preliminari”, senza trattare in dettaglio tutte quelle tematiche che hanno già trovato altrove un adeguato approfondimento teorico.
Innanzitutto, è opportuno osservare come il presente tema possa essere trattato da un punto di vista “astratto” o “concreto”. Ci si può chiedere, cioè: a) da un lato, se sia condivisibile venir a far uso della GR per “trattare” crimini gravi ed efferati; b) dall’altro, se, dando per presupposto che sia così, la GR possa trovare spazi “fruttuosi” d’applicazione in materia. Invertendo l’ordine che potrebbe sembrare più naturale (prima l’astratto, poi il concreto), dal momento che ha poco senso chiedersi se sia “giusto” venir a far uso della GR se la stessa, comunque, non potrebbe avere alcun tangibile spazio d’impiego in materia, esamineremo dapprima la questione “pratica”, poi quella “teorica”.
Per rispondere all’interrogativo sub lett. b), è poi preliminarmente necessario comprendere come la GR abbia (almeno) due diverse anime: una “prestazionale” e una “interpersonale”. L’interrogativo se la GR possa avere spazi d’applicazione concreti nei reati più “gravi”, infatti, sembra aver senso soprattutto ove riferito a quest’ultima tipologia di GR (anche detta Restorative Justice, d’ora in poi RJ). Gli spazi operativi della RJ, in effetti, si mostrano assai più “incerti” e “circoscritti”[1] di quanto non siano quelli della GR “prestazionale”, senz’altro applicabile a tutti i reati, anche a quelli di «pericolo» e a quelli «dove la vittima non c’è o è indeterminata»: del resto, «una riparazione è sempre possibile», almeno per equivalente[2].
Per quanto riguarda la questione sub lett. a), invece, è bene ulteriormente avvertire di come: a) essa verrà approfondita soprattutto con riferimento alla RJ, poiché l’impiego della GR “prestazionale”, che presenta una componente sanzionatoria di default[3] (non così la RJ), e perciò maggior “contiguità” con la pena “classica”[4], sembra quasi sempre potersi riguardare come un adeguato sostitutivo (almeno “parziale”) di quest’ultima[5]; b) la sua soluzione (positiva o negativa) non potrà che dipendere, almeno in parte, anche da cosa ci si riprometta esattamente di fare mediante la stessa[6].
2. La “ritrosia” registrata nell’applicazione concreta della RJ in materia di crimini violenti.
In linea di massima è oggetto di condivisione il fatto che la RJ (con tutto il bagaglio di strumenti di cui si serve)[7] possa trovare “sicuri” e “concreti” spazi operativi a fronte di fatti bagatellari, reati colposi e fattispecie contraddistinte da un non elevato tasso di “conflittualità”.
Non altrettanto chiaro, invece, è se la stessa possieda analoghe virtualità d’impiego pure con riferimento ai reati più gravi[8], dove la “ferita” aperta dall’illecito potrebbe portare la vittima (che deve acconsentire a prendervi parte) o lo Stato (la cui valutazione sembra aver rilevanza ove la RJ si trovi in rapporto d’integrazione col sistema penale) a esigere qualcosa di più di una semplice “mediazione” come sostitutivo della pena.
Fino a non molti anni fa, invero, vi era uno scetticismo diffuso circa l’applicabilità dei meccanismi tipici della RJ a fronte delle fattispecie di reato non riconducibili alla criminalità “bagatellare”[9]. Al giorno d’oggi, invece, sono assai numerosi anche i sistemi in cui si è voluta “sdoganare” a livello normativo l’idea che gli strumenti tipici della RJ possano prestarsi a “trattare” crimini ben più seri e violenti di quanto si creda.
Così, ad es., in Nuova Zelanda e Australia si fa ormai uso della RJ anche a fronte di crimini molto efferati[10]; e lo stesso accade in alcuni Paesi europei (tra cui oggi l’Italia)[11], dove si prevede che la RJ possa applicarsi ad una vasta platea di fattispecie[12]. Dobbiamo quindi concludere che, in quanto legislativamente ritenuta applicabile a tutti i reati, la RJ sia, per ciò solo, in grado di trovare concreti spazi d'applicazione anche a fronte dei crimini più “efferati”? Le cose si presentano verosimilmente molto più complesse di così, giacché in alcuni dei menzionati ordinamenti si è ad es. registrata una naturale tendenza a “retrocedere” verso un utilizzo della RJ assai più “parsimonioso” di quello che pur, teoricamente, sarebbe stato consentito per legge.
È quanto accaduto ad es. in Francia, dove, nonostante l’art. 41-1 c.p.p. avesse aperto ad una “mediabilità” anche dei reati più gravi, non essendo state predeterminate le fattispecie cui le ipotesi di “terza via” da tale norma contemplate avrebbero dovuto ritenersi applicabili: a) la dottrina ha continuato a ritenere che lo spazio d’operatività dalla stessa delineato coincidesse per lo più con le contravvenzioni e i reati minori; b) i dati statistici pubblicati in merito all’applicabilità della disposizione hanno semmai portato ad osservare, comunque, come le mediazioni delegate alle associazioni abbiano per lo più avuto riguardo ad ipotesi di violenza all’interno della famiglia, mancato pagamento di alimenti, mancata consegna di minori all’avente diritto, nonché, infine, a taluni casi meno significativi di ingiuria, furto e danneggiamento[13].
La “mediazione vittima-autore” (Täter-Opfer-Ausgleich), però, non ha trovato spazi d’impiego molto più significativi neppure nel sistema tedesco. In effetti, nonostante l’introduzione di tale istituto nello StGB (v. § 46a) e nello StPO (v. § 155a) risalga a più di vent’anni fa, e lo stesso risulti imperniato su requisiti a dir poco “elastici”, che ne avrebbero consentito un impiego piuttosto esteso (si prevede infatti che la “mediazione” possa impiegarsi a fronte di qualsiasi caso “adatto”, ma nulla si dice in merito alle caratteristiche che contribuirebbero a rendere un caso realmente tale)[14], la Täter-Opfer-Ausgleich ha fino ad oggi trovato spazio soltanto in un numero “esiguo” di casi. I sondaggi e le indagini statistiche condotte negli anni, oltretutto, hanno dato conto di come: a) la maggior parte dei pubblici ministeri continui ancora oggi a reputare i Verbrechen (69%) e i reati sessuali (53,4%) inadatti per la “mediazione”[15]; b) la mediazione venga solitamente utilizzata in concreto quasi soltanto a fronte di reati minori[16]; c) spesso siano considerati fattori “imprescindibili” per poter accedere alla mediazione il fatto che il reato si sia situato nella fascia della “criminalità medio-bassa”, che lo stesso non abbia prodotto conseguenze gravi per la vittima e che sia stato comunque commesso da soggetti senza precedenti penali rilevanti.[17]
Ebbene, questa generale “ritrosia” applicativa crediamo sia da imputare, almeno in parte, alla conclamata mancanza di conoscenze empiriche idonee a comprendere quali effetti potrebbe avere un impiego “massiccio” della RJ per “trattare” crimini gravi. Anche negli ordinamenti che da più tempo hanno concesso spazi operativi alla RJ in materia di crimini gravi, invero, si sono spesso finite per ravvisare «grandi lacune nella valutazione […] riguardante l’efficacia della» stessa, essendo questo un campo «in cui la RJ» è stata «utilizzata sempre più frequentemente, ma con pochissime conoscenze empiriche sugli effetti o sull’impatto» che realmente «essa» potrebbe avere «sui colpevoli, e soprattutto sui benefìci e sulla sicurezza per le vittime» che la stessa sarebbe realmente in grado di assicurare[18]. Negli ultimi anni, in verità, si è registrata una nuova “ondata” d’indagini empiriche sul punto, ma resta ancora da capire quanti e quali dei molti timori affacciatisi in merito alla “spendibilità” della RJ per “trattare” i crimini più efferati tali studi siano effettivamente riusciti a dissipare.
3. RJ e crimini violenti: cosa dicono gli studi empirici recenti sui potenziali “benefìci” per la vittima e per l’autore?
Di recente, come detto, si è assistito ad un proliferare di nuovi studi volti a verificare se – guardando in particolare alla soddisfazione manifestata da vittime e autori[19] – gli strumenti caratteristici della RJ potessero considerarsi realmente adatti a “trattare” anche fattispecie non bagatellari. Studi che hanno riguardato alcune delle principali fattispecie criminose violente (“omicidio”, “violenza sessuale”, “violenza domestica”, ecc.), in cui il trauma psicologico presentato dalle vittime risulta spesso essere “estremo”[20].
Ebbene, quel che sembra emergere dalle indagini “empiriche” menzionate è che: a) sia le vittime dei reati in questione sia i loro autori hanno in media manifestato un elevato tasso di soddisfazione per i programmi di RJ intrapresi (condotti tramite conferencing, circles e mediazioni vittima-autore)[21]; b) tali programmi hanno condotto ad un notevole miglioramento delle condizioni psicologiche delle vittime e ad una diminuzione significativa del tasso di “recidiva” degli autori[22].
Per quanto riguarda le vittime, molte hanno avvertito, dopo la conclusione del programma svolto, un notevole senso di “giustizia”[23], sviluppando un certo grado di empatia per il loro aggressore[24]. Più in generale, poi, la maggior parte delle vittime di crimini violenti, all’esito del percorso intrapreso, sembrerebbe aver beneficiato di un senso di soddisfazione e “chiusura” nei confronti dell’esperienza traumatica vissuta, dichiarandosi finalmente sulla via della “guarigione”[25]. Proprio con riferimento al senso di “guarigione” avvertito dalle vittime, è significativo notare come quasi tutte quelle che sono state intervistate nell’ambito di un importante studio svolto in Texas e in Ohio siano rimaste sorprese di quanto le conversazioni con l’autore del reato avessero potuto rivelarsi “terapeutiche” e in grado di rappresentare un “avanzamento” significativo lungo il percorso di guarigione dalle stesse intrapreso[26].
Del resto, il dato della “terapeuticità” della RJ sembra aver trovato conforto anche in un numero significativo di studi successivi, in cui si sono riportate informazioni circa i miglioramenti nel benessere delle vittime di crimini violenti riscontrato dopo che le stesse avevano preso parte a programmi di RJ. Miglioramenti particolarmente importanti sono stati ad es. riscontrati nel contesto della violenza sessuale[27], dove molte vittime hanno riportato una riduzione dello stress post-traumatico sofferto[28], un significativo “affievolimento” dei propri sentimenti di “paura” e un deciso miglioramento della propria vita sociale e relazionale[29].
Come se non bastasse, peraltro, non meno “entusiastici” si sono sovente rivelati anche i giudizi espressi dagli autori dei crimini esaminati. Come dimostrato da ricerche svolte sugli effetti prodotti dalla RJ sulla psiche, sul comportamento e sul benessere dei detenuti, la partecipazione ai programmi di RJ, invero, ha spesso “stimolato” e “favorito” negli stessi una generale assunzione di “responsabilità” per i danni cagionati alle proprie vittime[30]. Il dato che desta forse più interesse, però, è senz’altro quello relativo alla “facilità” di reinserimento all’interno della comunità manifestata dagli autori che hanno preso parte a programmi di RJ. La letteratura che sino ad oggi ha misurato il “tasso” di reintegrazione di questi ultimi, infatti, ha riscontrato una notevole riduzione delle loro possibilità di recidiva[31]. Una riduzione che, oltretutto, si è manifestata con maggior evidenza proprio laddove erano stati commessi crimini di una certa “gravità”[32].
4. Esistono davvero crimini che non si possono perdonare? L’esperienza delle TRCs.
Dai dati sin qui emersi, insomma, sembrano potersi ricavare segnali piuttosto incoraggianti in merito alla possibilità di venir a far un impiego davvero “soddisfacente” dei programmi di RJ anche a fronte dei crimini più “gravi”. Con riferimento alla concreta applicazione del diritto penale nazionale, poi, si può imparare verosimilmente qualcosa anche dall’esperienza del diritto internazionale penale[33], la quale sembra qui portare inevitabilmente a chiedersi se esistano davvero crimini impossibili da “trattare” con gli strumenti tipici della RJ. I significativi spazi d’applicazione che la stessa ha trovato in tale settore, invero, pongono una “sfida” significativa a chiunque volesse verificare funditus l’esistenza di reati così “gravi” da non poter esser affatto “trattati” con la RJ.
Lasciando da parte il contestato meccanismo “riparativo” adottato dalla Corte Penale Internazionale (CPI)[34], numerose sono state invero le esperienze che hanno coinvolto vittime e autori di crimini efferati in processi “riconciliativi” fondati sul dialogo e sul perdono, cioè su meccanismi analoghi a quelli della RJ nazionale. L’esempio senz’altro più conosciuto è quello della Commissione per la verità e la riconciliazione (TRC) del Sudafrica[35], ma molti altri sono i casi in cui la “punizione” ha ceduto il passo ad una giustizia più “conciliativa”, fondata sul dialogo e sul superamento di un passato “tragico” in un’ottica non orientata ad una mera retribuzione dei colpevoli. Si va: a) dall’esperienza ruandese dei gacaca, in cui la competenza di secolari assemblee tribali di campagna, fino ad allora riservata alla risoluzione di “liti di vicinato”, venne estesa per trattare della responsabilità degli autori di crimini gravissimi[36]; b) sino alle commissioni istituite nel Timor Est al fine di conferire l’immunità per alcuni crimini gravi in cambio di un’attività conciliativa determinata volta per volta[37]; c) senza peraltro dimenticare anche tutte le altre commissioni “minori” (v. quella del Sierra Leone) create allo scopo di favorire una riconciliazione tra autori e vittime di atrocità di massa[38]. Ebbene, tutte queste esperienze portano a sottoporre ad attenta riconsiderazione le convinzioni pregresse che ciascuno di noi sarebbe istintivamente portato ad avere in merito a cosa possa (o non possa) ritenersi effettivamente perdonabile, riparabile, riconciliabile.
Se i sudafricani sono riusciti a riconciliarsi nonostante le gravi violenze occorse durante il periodo dell’apartheid e i ruandesi hanno potuto “barattare” con un po’ di verità parte della pena altrimenti irrogabile ai genocidiari, com’è possibile che per noi, figli della “culla della civiltà” occidentale, resti ancora vieppiù inconcepibile l’idea di venir a fare a meno della punizione (o di ridurla consistentemente) con riferimento a talune particolari tipologie di reati, e anzi s’ipotizzi persino che nessuna vittima “sana di mente” acconsentirebbe mai ad incontrare il proprio aggressore per perdonarlo?
Come anche si è detto, insomma, «la storia della TRC» per il Sudafrica (ma lo stesso potrebbe dirsi dei gacaca e delle altre TRCs) «scuote i benpensanti fra noi e quelli di noi che, credendosi “giusti”, diventano “giustizieri”, trasformando la giustizia nel “colpo restituito” che perpetua la violenza, il male, il dolore, espellendo dall’umanità comune chi è ritenuto peggiore, ritorcendo a suo danno il male che gli si imputa, rinunciando a chiamarlo a rispondere sul terreno di una pari dignità»[39].
5. Osservazioni sulla (parziale) inconcludenza dei dati esaminati: i limiti delle risultanze empiriche; le peculiarità della giustizia “di transizione”.
Se ci fermassimo qui, dovremmo probabilmente favorevolmente osservare come la RJ sia uno strumento davvero adoperabile a fronte di tutti i reati (a cagione degli effetti positivi che potrebbe produrre, nonché delle esperienze internazionali che hanno dato conto di come anche in sistemi che hanno vissuto atrocità di massa la “riconciliazione” sia stata spesso vista come una meta di fatto raggiungibile). Senonché, sia i dati raccolti “sul campo”, sia quelli ricavabili dalle esperienze registratesi a livello internazionale, si rivelano, ad una più attenta considerazione, ancora (almeno in parte) non del tutto “concludenti”.
Partendo dai dati “empirici”, invero, bisogna rilevare come vi siano diversi elementi che portano a ridimensionare di molto il valore “dimostrativo” loro attribuibile. Gli studi sin qui svolti, in effetti, hanno presentato un’evidente limitatezza “quantitativa”, giacché gli stessi sono stati non solo pochi, ma anche circoscritti nella loro “portata”: è infatti da notare come la maggior parte delle prove acquisite abbia riguardato programmi di RJ svolti con piccoli gruppi di partecipanti[40]. Ora, per quanto alcuni siano dell’avviso che la ricerca qualitativa possa rivelarsi più rilevante di quella quantitativa nel misurare il potenziale d’impiego della RJ[41], è a nostro avviso evidente che la “quantità” dei dati raccolti sia non meno essenziale della loro “qualità”: come si può altrimenti sperare di valutare sensatamente il tasso di recidiva manifestato dagli autori di crimini gravi che hanno partecipato a programmi di RJ (solo per dirne una)[42]?
Gli studi empirici effettuati, inoltre, hanno fin troppo spesso presentato varie limitazioni: a) ora involgendo solo soggetti naturalmente inclini ad acconsentire ad una mediazione; b) ora avendo luogo in condizioni particolari (ad es. situandosi a distanza di molti anni dalla commissione del crimine o affiancandosi a contestuali sessioni di terapia per le parti); c) ora, infine, assumendo un’ottica vieppiù “parziale”.
Prendendo le mosse da quest’ultimo profilo, in particolare, è da registrare come gli studi svolti sull’efficacia della RJ si siano quasi tutti concentrati su “cosa” funzioni, senza quasi mai andare a scandagliare anche per quali soggetti e in quali circostanze concrete la RJ possa realmente rappresentare un’alternativa percorribile[43].
I menzionati studi, poi, si sono pressoché tutti limitati ad analizzare gli effetti della RJ su vittime e autori, quasi che la commissione di un reato potesse ritenersi sempre un mero “fatto privato”. Di rado, invece, gli stessi si sono dati cura di verificare, altresì, se e in che misura l’impiego di simili strumenti, a fronte di reati “gravi”, avrebbe potuto “impattare” sulla comunità (termine che potrebbe essere inteso in vario modo; in ogni caso sembra un esame rilevante per chiunque nutra preoccupazioni generalpreventive)[44].
Latitano, oltretutto, anche le ricerche tese a verificare se talvolta possa ritenersi più opportuno un abbinamento in “astratto” dei casi da trattare col metodo riparativo più appropriato, piuttosto che una “delega” in bianco al mediatore circa l’individuazione degli strumenti più adeguati da impiegare[45].
È inoltre da notare come non siano state acquisite neppure prove “dirimenti” in merito alla permanenza nel tempo degli effetti “benèfici” asseritamente prodotti dalla “riconciliazione” sulle vittime. La realtà dipinta dagli studi condotti ha cristallizzato in uno specifico momento storico la soddisfazione da queste manifestata, così come il senso di “guarigione” dalle stesse avvertito, non dandosi però cura di riesaminare quanto di quella “soddisfazione” fosse rimasta “intatta” anche a distanza di tempo dalla conclusione del programma di RJ [46].
Per quanto riguarda gli altri profili critici menzionati, poi, se c’è un dato che è emerso dagli studi menzionati in maniera inconfutabile, è che non tutte le vittime abbiano reagito alla stessa maniera di fronte agli strumenti impiegati dalla RJ (ad es. le mediazioni svolte da/con vittime “vicarie” si sono spesso rivelate assai poco efficaci), oppure abbiano manifestato la stessa inclinazione a prender parte ai programmi di RJ. Sicché, dal fatto che le vittime di violenza domestica si siano ad es. mostrate inclini ad acconsentire ad una “mediazione” con l’autore (ciò che farebbe ben sperare per un’ampia partecipazione “volontaria” delle vittime ai programmi tipici della RJ, pur a fronte di crimini connotati da “violenza”) non può affatto ricavarsi la conclusione che ogni vittima acconsentirebbe sempre con la stessa “facilità” a prender parte ad un programma di RJ[47].
Se guardiamo con attenzione al successo avuto da molti dei programmi di RJ sin qui “condotti”, infine, ci accorgiamo di come esso possieda a conti fatti uno scarsissimo valore euristico, a causa delle peculiari “circostanze” in cui molti studi hanno trovato concreto svolgimento. Così, ad es., in molti dei programmi che hanno riguardato reati di violenza sessuale le vittime che vi hanno preso parte erano altresì in terapia e non è stato possibile valutare fino in fondo quanto del successo avuto dalla RJ dovesse attribuirsi alla mediazione[48].
Si prenda poi il già menzionato studio svolto in Texas e Ohio, che sembrava aver dimostrato come «molti dei princìpi della RJ potessero essere» proficuamente «applicati in caso di crimini di particolare violenza, incluso l’omicidio, con evidenti effetti nel supportare sia il processo di guarigione della vittima che la responsabilizzazione del reo»[49]. Ebbene, pure i dati ottenuti da tale studio sono in verità risultati “inconcludenti”. Molti degli studi empirici che hanno avuto luogo nel corso degli ultimi anni (tra cui quello appena menzionato) sono stati invero condotti ad anni di distanza dalla condanna dei responsabili (condanna già scontata in tutto o in parte)[50]. Sicché, «non è affatto chiaro» se e in che modo essi avrebbero impattato sulla comunità in condizioni diverse[51], oppure se «avrebbero soddisfatto così tanto le vittime» anche «se si fossero» invece «tradotti in una significativa diminuzione della pena detentiva irrogata» agli autori, a breve distanza di tempo dalla loro commissione[52].
Le analisi empiriche svolte, insomma, presentano ancora un valore contenuto, non consentendo di chiarire definitivamente se la RJ possa considerarsi davvero una strada sempre “fruttuosa”, anche a fronte dei crimini più “gravi”[53].
Del resto, neppure le esperienze registratesi a livello “internazionale” permettono di guardare alla RJ come ad un “abito per tutte le occasioni”. Pensarla diversamente, per il solo fatto che la RJ abbia trovato talvolta applicazione in contesti di “transizione”, a fronte di atrocità di massa, vorrebbe dire, invero, compiere un passo decisamente azzardato. Ciò che accomuna molte delle esperienze internazionali menzionate, in effetti, è il fatto di aver avuto luogo in contesti peculiari, quali sono quelli tipici della c.d. “giustizia di transizione”, sovente contrassegnati da culture particolari (v. l’ubuntu in Sudafrica o le particolari convinzioni degli abitanti del Timor Est)[54]: un dato certo non privo di rilevanza nel valutare il “peso specifico” loro attribuibile.
Frequentemente, infatti, le atrocità di massa che contraddistinguono il diritto penale internazionale si caratterizzano, molto più che per la loro efferatezza, per il fatto di aver luogo in società che cercano faticosamente di “trascinarsi” fuori dalle macerie di un regime “illiberale”. L’outcome desiderato, dunque, è più che altro la “guarigione” della società dai crimini commessi[55], che faciliterebbe la transizione verso la “democrazia”: un obiettivo che verrebbe ostacolato da una “retribuzione” di tutti i colpevoli (spesso peraltro impossibile)[56] e che, comunque, non ha quale scopo primario la “riduzione del crimine” (non foss’altro perché ci si confronta con fatti di una gravità talmente "eccezionale" che, in una società “epurata” dall’humus culturale in cui le atrocità hanno avuto luogo, difficilmente potrebbero tornare a verificarsi in futuro). C’è molta politica, insomma, dietro la scelta di fondare “amnistie” (o consistenti riduzioni di pena) sulla “riconciliazione” in contesti che hanno vissuto atrocità del genere[57].
Dal fatto che la RJ abbia trovato spazi d’applicazione significativi a livello internazionale non si può quindi verosimilmente ricavare la conclusione che la stessa potrebbe (o dovrebbe) trovare virtualità d’impiego analoghe pure altrove, come ad es. in contesti nazionali di “normale criminalità”, ovvero in sistemi penali pur sempre "internazionali", ma differenti (come ad es. quello della CPI)[58].
6. Conclusioni.
Il sintetico quadro tratteggiato dà conto di come la mediabilità effettiva dei crimini più efferati – per quanto si registrino segnali incoraggianti sulla “spendibilità” della RJ – patisca incognite rilevanti e un deficit d’approfondimento empirico che ancora attende di essere colmato.
Senonché, considerato che molti soggetti si sono già mostrati inclini a prender parte a programmi di RJ anche per reati più “gravi” del previsto, nonché alla luce dei potenziali effetti benèfici che la “mediazione” si è mostrata in grado di produrre per vittima e autore (pur con i caveat segnalati), non ci sembra che le “incognite” ravvisabili in materia possano giustificare una “chiusura” legislativa in merito alla sua potenziale spendibilità anche a fronte dei crimini più efferati[59]. Il che non significa, però, che non possano teoricamente avanzarsi alcune considerazioni “di merito” contro una generalizzata applicazione della RJ – quale equivalente della pena – per “trattare” crimini gravi (ad onta dei benefìci che essa potrebbe produrre).
Non tutti, invero, sono dell’idea che la commissione di un reato possa ritenersi un mero fatto “privato”, una questione “intimistica” tra vittima (anche indiretta) e autore, ove a contare sarebbe soltanto ciò che questi soggetti desiderano, quel di cui potrebbero appagarsi (che si tratti di scuse o di qualcosa di più consistente e significativo)[60]. Del resto, la scelta di perdonare un autore pericoloso – come si è osservato – potrebbe talvolta rappresentare anche «un atto di egoismo con cui la vittima, rinunciando alle richieste di responsabilità» emergenti dalla società, «in favore di un pagamento in denaro o di scuse» (o per ottenere una “rigenerazione” psicologica di cui il più delle volte sarebbe solo lei a beneficiare)[61], non farebbe altro che palesare disinteresse per «i bisogni della comunità messa in pericolo dal reato»[62]. Se ne dovrebbe allora inferire – secondo taluni – che la risposta al quesito in esame dovrebbe in realtà dipendere (perlomeno se la mediazione e il suo output ambiscono ad acquisire rilevanza giuridica, e non a rimanere confinati nei più angusti spazi di un “umanismo” extraprocessuale), anche e in egual misura da quel che lo Stato sarebbe effettivamente chiamato ad assicurare alla collettività scossa dalla commissione del reato.
In quest’ottica, insomma, seppur l’ordinamento non dovrebbe mai ostacolare la riconciliazione tra vittima e autore[63], il solo fattore determinante per decidere dell’applicabilità della RJ con riferimento ai reati più gravi non potrebbe comunque rinvenirsi: a) né nella semplice possibilità materiale di addivenire all’esito conciliativo; b) né nei potenziali benefìci che la mediazione potrebbe produrre per le parti. Piuttosto, l’ago della bilancia dovrebbe qui ritenersi spostato su quanto l’ordinamento – quale portatore dei valori fatti propri dall’intera collettività – dovrebbe fare, a seconda delle opinioni, per: a) prevenire la commissione dei crimini[64]; b) manifestare la legge dello Stato e ristabilirne il diritto[65]; c) evitare che soggetti non reintegrati nella società possano esservi avventatamente riammessi, per il solo fatto di aver ricevuto il perdono delle proprie vittime[66]; d) ovvero, ancora, distribuire “giustizia” agli occhi di tutti, e non solo dei singoli soggetti coinvolti (dal momento che la maggior parte delle persone identificherebbe la “giustizia” con il “castigo meritato” dall’autore, in termini cioè retributivi)[67].
I rischi che simili impostazioni “critiche” ritengono verrebbero corsi aderendo ad un’ottica differente sono evidenti, e vanno dalla determinazione di un crollo “verticale” della fiducia dei consociati nello “Stato” e nel modo in cui questo amministra la sua “giustizia” (pur nella evidente “opacità” di questo concetto, che storicamente ha vieppiù finito per identificarsi con la “vendetta”)[68], sino ad un generale indebolimento dei precetti[69], che renderebbe più facile la loro violazione, senza ovviamente dimenticare il rischio di "riammettere" in società soggetti che, pur perdonati delle proprie vittime, sarebbero ancora pericolosi per la stessa[70]. Come si vede, in breve, anche a voler riconoscere la potenziale applicabilità della RJ in materia di reati “gravi”, la possibilità di far sì che la stessa venga poi ammessa a “trattare” questi ultimi (a cagione dei suoi benefìci), è a forte rischio di resistenze “ideologiche”.
Come abbiamo preannunciato sin dall’inizio, in ogni caso, dire se sia o meno opportuno far uso della RJ anche per “trattare” i crimini più gravi è una questione che crediamo dipenda in gran parte anche da cosa ci si riprometta esattamente di fare mediante la stessa. Se si vuole che questa resti un terzo binario “parallelo”, da percorrere senza grandi “ripercussioni” in ambito penale, ad es., nulla quaestio: la RJ dovrebbe restare un’opzione “aperta” a tutti, giacché tutti gli autori che siano genuinamente intenzionati a riconciliarsi con le proprie vittime dovrebbero poterlo fare (d’altronde, se la volontà di esser perdonati è autentica, non dovrebbe neppure richiedere per forza delle contropartite)[71], ed è compito precipuo dello Stato fare tutto il possibile affinché il «superamento esistenziale» del crimine (sul piano orizzontale, dei rapporti vittima-autore), là dove esso si riveli concretamente possibile, possa aver luogo[72]. Ma lo stesso potrebbe dirsi anche se con la GR si volesse invece fare qualcosa di giuridicamente più “significativo”, come rendere ad es. la stessa un equivalente tout court o “parziale” della pena[73]?
Nel primo caso – salvo che a fronte di fattispecie bagatellari – è in realtà dubbio che la RJ (ma lo stesso vale per la GR “prestazionale”) possa operare come un equivalente funzionale "a tutto tondo" della pena, assicurando il soddisfacimento di tutte le esigenze cui l’ordinamento ha sempre inteso far fronte mediante quest’ultima[74]. Il rischio di uno scadimento generale della tenuta del “precetto” – a fronte di una non punibilità elargita all’esito di una mediazione poco “tassativizzata” o di una riparazione di un crimine “irreparabile” – sarebbe ad es. forte[75], e tale comunque da spingere molti ad escludere la possibilità di un impiego della RJ con simili esiti applicativi. Alla RJ si potrebbe forse ricorrere come sostitutivo tout court della pena anche per i reati più gravi qualora si arrivasse a concepire la possibilità di rispondere al delitto non col “castigo”, bensì col “perdono”[76], con una "giustizia senza spada"[77] che si disinteressi in tutto o in parte dei risultati generalpreventivi e di deterrenza (quali che siano) eventualmente ottenibili mediante la pena "classica"[78]; ma si tratta di una “soluzione” difficilmente recepibile (e non da tutti ritenuta auspicabile) nella realtà attuale[79], senza un previo mutamento culturale "globale" che, di certo, è ancora di là da venire[80].
La seconda evenienza desta senz’altro meno preoccupazioni anche per quanti ritengono che una qualche “afflizione” per il reo debba pur sempre far seguito alla commissione di un reato (specie se grave): a fronte di una mera “attenuazione” di pena, invero, sembrano esservi più spazi per la RJ, dal momento che la conseguenza che qui si punta a produrre è solo una mitigazione della risposta sanzionatoria comminata dall’ordinamento, che però resta in piedi, permanentemente incentrata sulle logiche più consuete.
Certo è, però, che anche in questo caso, per evitare elargizioni di attenuazioni di pena anche a fronte di “riconciliazioni” del tutto prive di componenti “afflittive”, che potrebbero dar vita ad un indebito «discount sanzionatorio», ad un «moderno traffico delle indulgenze» pure per i fatti più “gravi”[81], è facile che si possa comunque arrivare a ritenere necessario uno “statuto” almeno in parte differenziato per la RJ, quando la stessa risulti chiamata a intervenire a fronte dei casi più "efferati".
Non è invero da escludere che qualcuno possa avvertire la necessità, ad es., d’incrementare il numero e il “peso” delle opzioni “riparative” che già in via legislativa dovrebbero esser imposte all’autore per il “buon esito” della mediazione, riducendo la discrezionalità del “mediatore” man mano che la gravità del reato commesso aumenta (se delle semplici scuse possano bastare a ritenere raggiunto l’esito riparativo non dovrebbe forse restare una scelta immancabilmente rimessa alla prudente discrezionalità del mediatore o al “buon cuore” della vittima)[82]. D’altronde, l’esperienza della GR, per taluni, tutto dovrebbe essere fuorché «una passeggiata»[83] per il reo; e considerato che «se gli esiti della mediazione sono […] privi di dati obiettivi di riscontro, la loro manipolabilità diventa evidente»[84], a fronte dei reati più “gravi” è facile che si possa comunque finire per ritenere necessaria l’imposizione all’autore di (almeno) alcuni oneri “prestazionali” (in quanto più facili da verificare e meno scevri da componenti “sanzionatorie”)[85].
Per rendere il diritto penale più “umano”, invero, occorre di certo concepire la pena non più come fine a sé stessa, come un cieco “raddoppio del male”, una pena meramente subìta, ma non è del tutto chiaro se occorra anche epurare il diritto penale stesso di ogni valenza “sanzionatoria”, di ogni componente di afflittività “positiva” o “costruttiva” di cui si possa eventualmente immaginare di venir a gravare il reo[86]. E comprendere se l’ordinamento possa permettersi o meno – per favorire la ricomposizione del conflitto aperto dal reato – di non imporre a quest’ultimo soggetto, anche a fronte dei crimini più “gravi”, “oneri” significativi (di una gravosità crescente, man mano che il danno si fa meno “riparabile”)[87], è un nodo tanto complesso da sciogliere[88], quanto essenziale per comprendere appieno quanto e cosa si potrà realmente venir a fare in futuro con la RJ.
[1] La “mediazione”, ad es., non sembra applicabile – almeno non senza notevoli accorgimenti – in caso di reati senza vittime (almeno indirette) o che vedono lo Stato coinvolto come unica p.o. [cfr. R. Delgado, Prosecuting Violence. A Colloquy on Race, Community, and Justice. Goodbye to Hammurabi: Analyzing the Atavistic Appeal of Restorative Justice, in Stanford Law Review, 52, 2000, 762; ma similmente si v. anche G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, 2017, 372; L. Zedner, Reparation and Retribution: Are They Reconcilable?, in The Modern Law Review, 57, 1994, 241 («il modello di mediazione di una controversia tra due parti può funzionare con una certa plausibilità per quanto riguarda i reati interpersonali di violenza o furto, ma offre ben poco per la risoluzione di reati come le infrazioni al codice della strada, il vandalismo o i reati in materia di ordine pubblico»)].
[2] Cfr. M. Donini, Il delitto riparato. Una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, a cura di Mannozzi, Lodigiani, Bologna, 2015, 135, 151. Critico, però, D. Pulitanò, Il penale tra teoria e politica, in www.sistemapenale.it, 9 novembre 2020, 9.
[3] Cfr. T. Padovani, Lectio brevis sulla sanzione, in Le pene private, a cura di Busnelli, Scalfi, Milano, 1985, 56 e 60; F. Helferich, Le condotte riparatore tra immancabile afflittività e potenzialità preventive. Un’indagine comparata, in Riv. it. dir. proc. pen., 1, 2022, 323.
[4] Cfr. G. Fiandaca, Note su punizione, riparazione e scienza penalistica, in www.sistemapenale.it, 28.11.2020, 10 ss., 14-15; M. Van de Kerchove, Sens et non-sens de la peine. Entre mythe et mystification, Bruxelles, 2009, 231 ss.
[5] Cfr. M. Donini, Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE, in www.sistemapenale.it, 20.12.2022, 19: «la riparazione, se non è pena (la mediazione non lo è), ha comunque valenza sanzionatoria (“scomputa” una parte della pena edittale) e sottrae di regola un quantum alla pena classica: ne modifica alla base il calcolo».
[6] Sostituire il diritto penale? Elidere la pena in concreto (che però rimarrebbe sempre come minaccia astratta)? Attenuare la sanzione irrogata? O soltanto facilitare la riconciliazione tra le parti in una sede parallela e autonoma rispetto a quella del processo penale [cfr. R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, in www.sistemapenale.it, 29.11.2022, 10 ss.]? Considerato che la prima e l’ultima “soluzione” sembrano difficilmente praticabili [v. quanto verrà detto infra, nt. (72) e (73)], la questione verrà trattata qui con riferimento esclusivo al modello della complementarità (“forte” o “debole”), per come esso ha trovato riconoscimento in svariati ordinamenti.
[7] Sui quali v. le sintetiche rassegne di L. Goodmark, Decriminalizing Domestic Violence. A Balanced Policy Approach to Intimate Partner Violence, Oakland, 2018, 89-90; E. Mattevi, Una giustizia più ripartiva. Mediazione e riparazione in materia penale, Napoli, 2017, 120 ss.. Per un inquadramento del concetto di RJ (storia, fini, potenzialità, limiti, strumenti impiegati, ecc.), però, fodamentali restano soprattutto i molti scritti di Grazia Mannozzi e Claudia Mazzucato (con ampi richiami anche alla restante letteratura italiana e straniera occupatasi del tema, di cui non sarà purtroppo possibile dar esaustivamente conto in questa sede): G. Mannozzi, From the "Sword" to dialogue: towards a "dialectic" basis for Penal Mediation, in Restorative Justice: Theoretical Foundations, a cura di Weitekamp, Jurgen, Cullompton, 2002, 224 ss.; Id., Positioning mediation in the criminal justice system, in Repositioning Restorative Justice: Restorative Justice, Criminal Justice and Social Justice, a cura di Walgrave, Cullompton, 2003, 284 ss.; Id., La giustizia senza spada: uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione, Milano, 2003, passim; Id., La giustizia riparativa: percorsi evolutivi culturali, giuridici e sociali, in La mediazione penale nel diritto italiano e internazionale, a cura di Bartoli, Palazzo, Firenze, 2011, 27 ss.; G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, cit., passim; G. Mannozzi, R. Mancini, La giustizia accogliente, Milano, 2022, passim; C. Mazzucato, Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Spunti di riflessione tratti dall'esperienza e dalle linee guida internazionali, in Verso una giustizia penale "conciliativa". Il volto delineato dalla Legge sulla competenza penale del giudice di pace, a cura di Picotti, Spangher, Milano, 2002, 85 ss.; Id., Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni politico-criminali e profili giuridici, in Lo spazio della mediazione, a cura di Cosi, Foddai, Milano, 2003, 151 ss.; Id., Appuni per una teoria "dignitosa"del diritto penale a partire dalla restorative justice, in Dignità e diritto: prospettive interdisciplinari, Piacenza, 2010, 99 ss.; Id., Ostacoli e "pietre di inciampo" nel cammino della giustizia riparativa in Italia, in Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, cit., 119 ss.; Id., Tra il dire e il fare. Sfide attuali e "crisi di crescita" della giustizia riparativa in Italia. Brevi riflessioni sulla giustizia senza ritorsione in un sistema penale ancora retribuzionistico, in El sistema de justicia penal y nuevas formas de observar la cuestion criminal. Ensayos en honor a Massimo Pavarini, a cura di Tenorio Tagle, Tlalpan, 2015, 289 ss.
[8] Cfr. S. Levrant, F.T. Cullen, B. Fulton, J.F. Wozniak, Reconsidering Restorative Justice: The Corruption of Benevolence Revisited?, in Crime and Delinquency, 45, 1999, 11; M. Niemeyer, D. Shichor, A Preliminary Study of a Large Victim/Offender Reconciliation Program, in Federal Probation, 60, 1996, passim
[9] Cfr. C. Hoyle, F.F. Rosenblatt, Looking back to the future: Threats to the success of restorative justice in the United Kingdom, in Victims & Offenders, 11(1), 2016, 30–49; M. Umbreit, R.B. Coates, B. Vos, The Impact of Victim-Offender Mediation: Two Decades of Research, in Federal Probation, 65(3), 2001, 33 ss.; L. Kurki, Restorative and Community Justice in the United States, in Crime & Just., 27, 2000, 240 («le iniziative di RJ negli Stati Uniti sono tipicamente utilizzate come programmi di diversion per i giovani coinvolti in reati minori, non violenti e non sessuali»); I Wellikof, Victim-Offender Mediation and Violent Crimes: On the Way to Justice, in Cardozo Online Journal of Conflict Resolution, 5.1, 2003, 7 («fino a non molto tempo fa, quasi tutti i programmi di mediazione vittima-reo accettavano solo casi riguardanti reati di natura poco grave e poco violenta» e «la maggior parte dei casi mediati riguardava reati contro la proprietà e aggressioni minori»).
[10] Cfr. W.R. Wood, M. Suzuki, H. Hayes, J. Bolitho, Roadblocks and Diverging Paths for Restorative Justice in Australia and Aotearoa/New Zealand, in Comparative Restorative Justice, a cura di Gavrielides, Berlin, 2022, 197 ss.
[11] Si v. F. Palazzo, Plaidoyer per la giustizia riparativa, in Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in onore di Domenico Pulitanò, a cura di Ruga Riva, Pecorella, Dova, Torino, 2023, 442 ss., definendo la scelta del legislatore italiano di attribuire alla GR “interpersonale” un campo di applicazione sostanzialmente illimitato quanto a tipologie criminose (v. art. 44, d.lgs. n. 150/2022) come un atto d’«indubbio coraggio».
[12] Per un quadro esaustivo sulla situazione in Europa cfr. i report raccolti nell’opera collettanea curata da F. Dünkel, J. Grzywa-Holten, P. Horsfield, Restorative Justice and Mediation in Penal Matters. A stock-taking of legal issues, implementation strategies and outcomes in 36 European countries, Mönchengladbach, 2015, passim, ma in part. 13 ss. (Austria), 45 ss. (Belgio), 267 ss. (Francia), 293 ss. (Germania), 757 ss. (Scozia).
[13] Cfr. C. Ambroise-Casterot, P. Bonfils, Procédure pénale, Paris, 2011, 84; R. Cario, Justice restaurative, Paris 2005, 117; J. Faget, Le tensioni della mediazione penale. Valutazione delle pratiche francesi, in Dei delitti e delle pene, 3, 2000, 81; F. Desportes, L. Lazerges-Cousquer,Traité de procédure pénale3, Paris 2013, 793; P. Boulisset, Guide de la médiation, Aix en Provence, 2006, 154; I. Gasparini, La giustizia riparativa in Francia e in Belgio tra istituti consolidati e recenti evoluzioni normative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1987; P. Mbanzoulou, La médiation pénale2, Paris, 2004, 53 ss
[14] La “mediazione vittima-autore” non è dunque aprioristicamente limitata a determinati casi specifici [come osservano A. Schiemann, K. Kunde, A. Krzysanowski, Der Täter-Opfer-Ausgleich in Deutschland – Auf der Suche nach den Gründen für eine defizitäre Nutzung des rechtlichen Instrumentariums zur Wiedergutmachung, in KriPoZ, 5, 2021, 305]. A decidere dell’applicabilità o meno dell’istituto, piuttosto, è un giudizio d’idoneità in concreto aperto ad ogni possibile soggettivismo. Così, se ci sono stati autori che hanno ritenuto la mediazione – di fatto – impiegabile seriamente soltanto in caso di lesioni personali, delitti d’onore, reati contro la libertà e casi meno rilevanti di rapina o estorsione [B. Schmitt, § 155a, in Strafprozessordnung mit GVG und Nebengesetzen65, a cura di Meyer-Goßner, Schmitt, München, 2022, Rn. 2], non sono mancate sentenze che hanno ritenuto invece possibile una “mediazione vittima-autore” anche a fronte di estorsioni violente (§ 255), rapine aggravate (§ 250) e violenze sessuali (§ 177) [cfr. A. Schiemann, K. Kunde, A. Krzysanowski, Der Täter-Opfer-Ausgleich, cit., 305].
[15] Cfr., in particolare, B.D. Meier, Anwendungsprobleme bei § 46a StGB – Ergebnisse einer Umfrage bei den Niedersächsischen Staatsanwaltschaften, in Tagungsdokumentation, a cura di Friedrich, Ebert, Stiftung, Potsdam, 1998, 36 ss.
[16] Secondo le statistiche tedesche sulla mediazione tra vittima e reo, dal 2006 al 2009 circa la metà dei reati ha riguardato le lesioni personali (con un'oscillazione tra il 47% e il 53%), seguiti dai reati contro la proprietà (tra il 12% e il 15%), l’ingiuria (tra l'11% e il 14%), i reati contro la libertà personale (tra il 9% e il 13%) e, in misura minore, il furto, l’appropriazione indebita, la rapina e l’estorsione. Circa due terzi degli imputati, in ogni caso, conosceva la persona offesa [v. le statistiche riportate da H.-J. Kerner, A. Eikens, A. Hartmann, Täter-Opfer-Ausgleich in Deutschland. Auswertung der bundesweiten Täter-Opfer-Ausgleichsstatistik für die Jahrgänge 2006 bis 2009, mit einem Rückblick auf die Entwicklung seit 1993, Mönchengladbach, 2011, 26-29].
[17] Cfr. sul punto N. Bals, C. Hilgartner, B. Bannenberg, Täter-Opfer-Ausgleich im Erwachsenenbereich. Eine repräsentative Untersuchung für Nordrhein-Westfalen, Mönchengladbach, 2005, 312.
[18] Lo osservano W.R. Wood, M. Suzuki, H. Hayes, J. Bolitho, Roadblocks, cit., 214.
[19] Cfr. G. Robinson, J. Shapland, Reducing recidivism: a task for restorative justice?, in The British Journal of Criminology, 48(3), 2008, 337 ss.; K.J. Bergseth, J.A. Bouffard, Examining the effectiveness of a restorative justice program for various types of juvenile offenders, in International Journal of Offender Therapy and Comparative Criminology, 57(9), 2012, 1054 ss.; J. Bouffard, M. Cooper, K. Bergseth, The effectiveness of various restorative justice interventions on recidivism outcomes among juvenile offenders, in Youth Violence and Juvenile Justice, 15(4), 2017, 465 ss.; J. Latimer, C. Dowden, D. Muise, The effectiveness of restorative justice practices: a meta-analysis, in The Prison Journal, 85(2), 2005, 127; P. McCold, B. Wachtel, Community is not a place: a new look at community justice initiatives, in Contemporary Justice Review, 1(1), 1998, 71 ss.; J. Shapland, G. Robinson, A. Sorsby, Restorative justice in practice. Evaluating what works for victims and offenders, London, 2011, passim; M. Keenan, E. Zinsstag, Restorative justice and sexual offenses: can ‘changing lenses’ be appropriate in this case too?, in Monatschrift für Kriminologie und Strafrechtsreform, 97(1), 2014, 93 ss.
[20] Cfr. E.Q. DeValve, A qualitative exploration of the effects of crime victimization for victims of personal crime, in Applied Psychology in Criminal Justice, 1(2), 2005, 71-89, in part. 72 ss.
[21] Cfr. J. Couture, T. Parker, R. Couture, R., P. Laboucane, A cost-benefit analysis of Hollow Water Community holistic healing circle process, Ontario, 2001, 18; S.J. Jülich, J. Buttle, C. Cummins, E. Freeborn, Project Restore: an exploratory study of restorative justice and sexual violence, Auckland, 2010, 50.
[22] Cfr. M.S. Umbreit, M. Williams, W. Nugent, Participation in Victim-Offender Mediation and the Prevalence and Severity of Subsequent Delinquent Behavior: A Meta-Analysis, in Utah Law Review, 2003, 163, i quali hanno hanno registrato una riduzione del tasso di recidiva del 9%.
[23] Cfr. L. Goodmark, Decriminalizing, cit., 90, il quale osserva che spesso «le vittime sentono che hanno ottenuto maggior “giustizia”, per come intendono il termine, dalle alternative restorative», che non da quelle tradizionali. Sebbene il numero delle ricerche su ciò che le vittime di violenza sessuale ritengano esattamente per "giustizia" sia limitato [K. Richards, J. Death, C. Ronken, What do victim/survivors of sexual violence think about Circles of Support and Accountability?, in Victims & Offenders: An International Journal of Evidence-based Research, Policy, and Practice, 16(6), 2020, 893], non sono mancati sforzi nel tentativo di gettar luce anche su tale profilo, fin troppo spesso negletto [v. ad es. K. Daly, Sexual violence and victim’s justice interests, in Restorative responses to sexual violence: legal, social and therapeutic dimensions, a cura di Zinsstag, Keenan, London, 2017, 108-139]. Taluni interpreti ritengono che «la giustizia», ad es. «nel contesto della violenza sessuale, venga più comunemente equiparata ai “risultati positivi” (di solito una condanna e una sentenza punitiva)» derivanti dai «sistemi di giustizia penale tradizionali» [C. McGlynn, N. Westmarland, Kaleidoscopic justice: sexual violence and victimsurvivors’ perception of justice, in Social & Legal Studies, 28(2), 2019, 180]. Altri, invece, sono dell'idea che ciò che sovente interessa alle vittime di violenza sessuale sia soltanto prevenire che il reato venga di nuovo commesso in futuro [K. Richards, J. Death, C. Ronken, What do victim/survivors, cit., 911]. Come taluni hanno evidenziato, poi, non è neppure da escludere che i risultati che le vittime sperano di ottenere dal sistema possano in qualche misura variare col tempo [C. McGlynn, N. Westmarland, Kaleidoscopic justice, cit., 187]. Mentre la retribuzione del male subìto con un altro male di eguale natura sembra la forma di “giustizia” inizialmente desiderata dalla maggior parte delle vittime di reati violenti, infatti, questo desiderio (come alcune delle indagini empiriche svolte hanno rivelato) lascia spesso spazio col tempo ad “obiettivi” di diversa natura, non così strettamente legati all’ottenimento di un’irrefragabile “punizione” retributiva dell’autore. D’altronde, l’idea che non tutte le vittime di violenza sessuale reputino la punizione dell’autore del reato l’unico modo di ottenere realmente “giustizia” sembra trovare riscontro anche nell’esperienza avutasi con il progetto RESTORE [sul qualche cfr. S. Jülich, F. Landon, Achieving justice outcomes: participants of Project Restore’s restorative processes, in Restorative responses to sexual violence: legal, social and therapeutic dimensions, a cura di Zinsstag, Keenan, London, 2017, 202], in cui le vittime di violenza sessuale coinvolte «non sempre» avevano alla fine fatto mostra di voler ottenere la condanna dell’autore al «carcere come risultato della denuncia di abuso sessuale» sporta, manifestando anzi idee non troppo dissimili da chi vuol concepire la punizione come una forma di perdono istituzionale [di chi, in breve, vorrebbe «punire con il perdono»: N. Lacey, H. Pickard, To blame or to forgive? Reconciling punishment and forgiveness in criminal justice, in Oxford Journal of Legal Studies, 35(4), 2015, 668 e 678]. Quanto sembra emergere da queste prime investigazioni sul tema, insomma, è come non sia possibile escludere in radice che la GR possa talvolta rivelarsi, in fin dei conti, uno “strumento” adatto a soddisfare la “domanda” di "giustizia" delle vittime (per come esse intendono il termine), anche a fronte di crimini particolarmente “efferati”.
[24] Cfr. J. Geske, Restorative justice and the sexual abuse scandal in the Catholic Church, in Cardozo Journal of Conflict Resolution, 8, 2007, 658; A. Goldsmith, M. Halsey, D. Bamford, Adult restorative justice conferencing pilot: an evaluation, Adelaide, 2005, 27; S. Miller, K. Hefner, Procedural justice for victims and offenders? Exploring restorative justice processes in Australia and the US, in Justice Quarterly, 32(1), 2013, 142 ss.; T. Van Camp, J.A. Wemmers, Victim satisfaction with restorative justice: more than simply procedural justice, in International Review of Victimology, 19(2), 2013, 123.
[25] Cfr. S.J. Jülich, J. Buttle, C. Cummins, E. Freeborn, Project, cit., 56; M.P. Koss, The RESTORE program of restorative justice for sex crimes: vision, process and outcomes, in Journal of Interpersonal Violence, 29(9), 2014, 1623 ss.; S. Miller, K. Hefner, Procedural, cit., 142 ss.
[26] Cfr. M.S. Umbreit, B. Vos, R. Coates, K. Brown, Facing violence: the path of restorative justice and dialogue, Monsey, 2003, 16.
[27] Cfr. M. Keenan, A. Griffith, Two women’s journeys: restorative justice after sexual violence, in The praxis of justice, a cura di Pali, Lauwaerl, Pleysier, Den Haag, 2019, 305 ss.; Id., Restorative justice after sexual violence: an international perspective, in Sexual violence on trial: local and comparative perspectives, a cura di Killean, Dowds, McAlinden, London, 2021, 188 ss.
[28] Cfr. D. Gustafson, Exploring treatment and trauma recovery implications in facilitating victim-offender encounters in crimes of severe violence: lessons from the Canadian experience, in New directions in restorative justice, a cura di Elliot, Gordon, Cullompton, 2005, 221; M.S. Umbreit, B. Vos, R. Coates, K. Brown, Facing, cit., 122.
[29] Cfr. J. Shapland, G. Robinson, A. Sorsby, Restorative, cit.,144-146; A. Lloyd, J. Borrill, Examining the effectiveness of restorative justice in reducing victim’s post-traumatic stress, in Psychological Injury and Law, 2019, 77 ss.; D. Gustafson, Exploring, cit., 199; J. Wemmers, K. Cyr, Can mediation be therapeutic for crime victims? An evaluation of victims’ experiences in mediation with young offenders, in Canadian Journal of Criminology and Criminal Justice, 47(3), 2005, 540.
[30] Cfr. J. Bouffard, M. Cooper, K. Bergseth, The effectiveness, cit., 465; J. Couture, T. Parker, R. Couture, R., P. Laboucane, A cost-benefit, cit., 18; J. Geske, Restorative, cit., 657-658; A. Goldsmith, M. Halsey, D. Bamford, Adult, cit., 33-35; M.P. Koss, The RESTORE, cit., 1623 ss.; S. Miller, K. Hefner, Procedural justice, cit., 142 ss.; M.S. Umbreit, B. Vos, R. Coates, K. Brown, Victim offender dialogue in violent cases: the Texas and Ohio experience, in VOMA Connections, 14(1), 2003, 16; Id. Facing, cit., 164; M. King, Restorative justice, therapeutic jurisprudence and the rise of emotionally intelligent justice, in Melbourne University Law Review, 32, 2008, 1106; S. Miller, After the Crime. The Power of Restorative Justice Dialogues Between Victims and Violent Offenders, New York, 2011, 64 ss, 199; M. Keenan, Sexual trauma and abuse: restorative and transformative possibilities? A collaborative study on the potential of restorative justice in sexual crimes in Ireland, Dublin, 2014, passim; J. Shapland, G. Robinson, A. Sorsby, Restorative, cit.,134.
[31] Cfr. J. Shapland, G. Robinson, A. Sorsby, Restorative, cit.,134; S. Miller, K. Hefner, Procedural, cit., 142 ss.; M.S. Umbreit, B. Vos, R. Coates, K. Brown, Victim, cit., 16; D. Gustafson, Exploring, cit., 200-212; T.L. Stulberg, The restorative justice program evaluation, Washington, 2011, 8 e 22; K. Lauwaert, S. Maruna, Special issue - Desistance and restorative justice, in Restorative Justice: An International Journal, 4(3), 2016, 289 ss.; M. Keenan, Training for restorative justice work in sexual violence cases, in The International Journal of Restorative Justice, 1(2), 2018, 291-302; K. Daly, Restorative justice and sexual assault: an archival study of court and conference cases, in The British Journal of Criminology, 46(2), 2006, 334 ss.; J. Bouffard, M. Cooper, K. Bergseth, The Effectiveness, cit., 465 ss.
[32] Cfr. W. Sherman, H. Strang, Repairing the Harm. Victims and Restorative Justice, in Utah Law Review, 15, 2003, 40; Id., Restorative justice: the evidence, London, 2007, passim; W. Sherman, H. Strang, E. Mayo-Wilson, D.J. Woods, B. Ariel, Are restorative justice conferences effective in reducing repeat offending? Findings from a Campbell systematic review, in Journal of Quantitative Criminology, 31, 2015, 1-24.
[33] Cfr. D. Robinson, Justice in Extreme Cases. Criminal Law Theory Meets International Criminal Law, Cambridge, 2020, 1 ss.
[34] Pur essendo il regime “riparativo” più completo ravvisabile a livello internazionale [cfr. L. Moffett, Elaborating Justice for Victims at the International Criminal Court: Beyond Rhetoric and The Hague, in Journal of International Criminal Justice, 13, 2015 281–311], nello stesso, infatti, la riparazione non serve a escludere la punibilità, né a diminuire la pena, ma rappresenta un mero “corollario” retributivo della previa dimostrazione della responsabilità dell’autore del crimine. Le “riparazioni” possibili, poi, non sono di certo quelle “interpersonali” che interessano in questa sede, ma soltanto quelle “prestazionali” (materiali o simboliche) [cfr. M. Cohen, Realizing Reparative Justice for International Crimes, Cambridge, 2020, 78 ss.].
[35] Cfr. A. Lollini, Costituzionalismo e giustizia di transizione. Il ruolo costituente della Commissione sudafricana verità e riconciliazione, Bologna, 2005, 161 ss.; A. Ceretti, La South African Truth and Reconciliation Commission. Un esempio paradigmatico di rito di passaggio per ricreare un senso di comunità, in Storie di giustizia riparativa. Il Sudafrica dall’apartheid alla riconciliazione, a cura di Potestà, Mazzucato, Cattaneo, Bologna, 2017, 61 ss.
[36] Cfr. W. Schabas, Genocide Trials and Gacaca Courts, in Journal of International Criminal Justice, 2005, 879 ss.; A. Lollini, L’istituzione delle giurisdizioni Gacaca: giustizia post-genocidio e processo costituente in Ruanda, in Dir. pubbl. com. europeo, 2004, 1513 ss.; M. Vogliotti, Quale giustizia per il genocidio? La soluzione gacaca in Ruanda, in Soggetti deboli e giustizia penale, Torino, 2003, 93 ss.
[37] Cfr. P. Burgess, Justice and Reconciliation in East Timor. The Relationship Between the Commission for Reception, Truth and Reconciliation and the Courts, in Truth Commissions and Courts. The Tension Between Criminal Justice and the Search for Truth, a cura di Schabas, Darcy, Dordrecht, 2004, 135 ss., 146 ss.; Id., A new approach to restorative justice – East Timor’s Community Reconciliation Processes, in Transitional Justice in the Twenty-First Century. Beyond Truth vs. Justice, a cura di Roth-Arriaza, Mariezcurrena, Cambridge, 2006, 177 ss., 184 ss.
[38] Per una panoramica cfr. É. Jaudel, Giustizia senza punizione. Le commissioni verità e riconciliazione (trad. it. a cura di G. Prucca), Milano, 2010, 127 ss.
[39] C. Mazzucato, “Apparteniamo a una generazione cresciuta con l’ubuntu”. Albie Sachs e Pumla Gobodo-Madikizela in dialogo sulla giustizia riparativa, in Storie di giustizia riparativa, cit., 189-190.
[40] Cfr. J. Bolitho, K. Freeman, The use and effectiveness of restorative justice in criminal justice systems following child sexual abuse or comparable harms. Report for the Royal Commission into institutional responses to child sexual abuse, Sydney, 2016, 7; K. Daly, Sexual violence and victim’s justice interests, in Restorative responses to sexual violence: legal, social and therapeutic dimensions, a cura di Zinsstag, Keenan, London, 2017, 108 ss.; M. Keenan, E. Zinsstag, Sexual Violence, cit., 123.
[41] Cfr. S.J. Jülich, J. Buttle, Beyond conflict resolution: towards a restorative process for sexual violence, in Te Awatea Review, 8, 2010, 21-25.
[42] Ciò che potrebbe non esser considerato un problema soltanto ove si accedesse all’idea che la GR in realtà non miri anche a ridurre il tasso di recidiva degli autori, che tale eventuale conseguenza sia solo un “effetto collaterale”, «un sottoprodotto positivo della GR», da «accogliere con favore», ma a cui non bisognerebbe prestare eccessiva attenzione, dal momento che «altri» sarebbero i veri «scopi e obiettivi che soddisfano le esigenze di giustizia e gli interessi delle vittime» [cfr. M. Keenan, E. Zinsstag, Sexual Violence and Restorative Justice, cit., 132]. Peccato che così verosimilmente non sia, almeno non quando la GR miri ad esplicare anche effetti "giuridicamente” rilevanti, anziché a rimaner confinata in una sede extraprocessuale, in un sistema ispirato (anche soltanto in parte) da logiche specialpreventive.
[43] Cfr. M. Suzuki, From ‘what works’ to ‘how it works’ in research on restorative justice conferencing: the concept of readiness, in The International Journal of Restorative Justice, 3(3), 2020, 356-373; M. Keenan, E. Zinsstag, Sexual Violence, cit., 123.
[44] Cfr. L. Zedner, Reparation, cit., 241-242.
[45] Osservano ad es. M. Keenan, E. Zinsstag, Sexual Violence, cit., 308, che, se «di norma prescrivere una metodologia particolare per qualsiasi caso o tipo di caso non è saggio», «tuttavia, ci possono essere delle eccezioni».
[46] Cfr. R.R. Corrado, I.M. Cohen, C. Odgers, Multi-problem violent youth: a challenge for the restorative justice paradigm, in Restorative Justice in Context. International practice and directions, a cura di Weitekamp, Kerner, Portland, 2003, 18.
[47] Se manca una (previa) relazione continuativa con la l’autore del reato, ad es., si è osservato come la vittima sarà ovviamente molto meno incline ad acconsentire ad una “riconciliazione” [cfr. C. Lindner, VORP: An Unproven Fringe Movement, in Perspectives, 20, 1996, 15-17].
[48] Cfr. M. Keenan, E. Zinsstag, Sexual Violence, cit., 127 («nelle situazioni in cui le vittime partecipano alla terapia e alla GR, può essere difficile distinguere tra gli effetti positivi della GR da quelli della terapia»). Specularmente, per quanto riguarda gli effetti sugli autori dei reati, Daly aveva già avuto modo di notare come alla partecipazione ad un programma terapeutico, noto come Mary Street Programme, si fosse accompagnata la più bassa prevalenza di recidiva riscontrata nei suoi studi dopo lo svolgimento di un programma di RJ, conseguentemente ipotizzando che proprio la partecipazione alla terapia, piuttosto che al programma di GR, potesse aver contribuito a produrre il minor tasso di recidiva nei soggetti coinvolti [K. Daly, Restorative justice and sexual assault, cit., 349].
[49] Cfr. M. Umbreit, W. Bradshaw, R.B. Coates, Victim of Severe Violence Meet the Offender: Restorative Justice Through Dialogue, in International Review of Victimology, 6, 1999, 323.
[50] Si v. ad es. anche l’esperienza italiana che ha coinvolto – a distanza di decenni dai fatti (con una serie d’incontri svoltisi tra il 2009 e il 2015 – protagonisti e vittime della lotta armata degli “anni di piombo”, il cui resoconto si può trovare oggi nel libro redatto a cura dei mediatori, G. Bertagna, A. Ceretti, C. Mazzucato, Il libro dell’incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto, Milano, 2015, passim. Una esperienza che, peraltro, come ricorda D. Pulitanò, Riparazione e lotta per il diritto, in www.sistemapenale.it, 9 febbraio 2023, 13, non è neppure andata del tutto esente da critiche e «reazioni negative».
[51] La rabbia ferocemente scatenatasi nella comunità omosessuale di San Francisco alla notizia della lieve pena irrogata a Dan White per l’omicidio di Harvey Milk [di cui si discorre in J. Hampton, The retributive idea, in Forgiveness and Mercy, a cura di Murphy, Hampton, Cambridge, 1988, 142] (ma molti altri esempi potrebbero farsi in tal senso), ad es., non fa di certo ben sperare circa le reazioni che l’opinione pubblica e le vittime potenziali di crimini analoghi potrebbero avere a fronte di consistenti diminuzioni di pena o declaratorie di non punibilità “elargite” a breve distanza di tempo dalla commissione dei fatti, a fronte del solo “buon esito” della mediazione, anche in caso di crimini “gravi” e/o particolarmente “efferati”.
[52] Cfr. N.A. Combs, Guilty Pleas in International Criminal Law. Constructing a Restorative Justice Approach, Stanford, 2007, 140; R.R. Corrado, I.M. Cohen, C. Odgers, Multi-problem, cit., 18. Si tratta di un dato tutt’altro che irrilevante, giacché, come ci rammenta P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, Bologna, 2004, 92, «il senso di ciò che è accaduto non è fissato una volta per tutte […] gli eventi del passato possono essere interpretati altrimenti» a distanza di tempo dalla loro verificazione.
[53] Sembra trovare conferma l’opinione espressa da G. Fiandaca, Note, cit., 6-9, circa la mancanza di dati sufficienti a «lumeggiare sul piano empirico i presupposti di una virtuosa interazione riparazione-rieducazione» o a dimostrare che «una risposta in chiave riparativa può risultare idonea – ed eventualmente più idonea rispetto alla normale punizione – a rimuovere nella coscienza dei cittadini il turbamento sociale provocato dal reato, così da contribuire alla stabilizzazione normativa».
[54] Cfr. D. Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Milano, 2001, 31-32; D. Cornell, M. Muvangua, Introduction, in Ubuntu and the Law. African Ideals and Post-apartheid Jurisprudence, a cura di D. Cornell, M. Muvangua, New York, 2012, 3; D. Babo-Soares, N. Biti, The Philosophy and Process of Grassroots Reconciliation (and Justice) in East Timor, in Asia Pac. J. Anthropology, 15, 2004, 15 ss.
[55] Cfr. J. Braithwaite, Setting standards for restorative justice, in The British Journal of Criminology, 42(3), 2002, 569 ss.; J.P. Lederach, Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies, Washington, 1997, passim. Le peculiarità della giustizia di transizione, del resto, erano già state colte da Jaspers, all’indomani del crollo del regime nazionalsocialista. Nel suo noto libro [K. Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Milano, 1996, passim] si trovano invero già tematizzate le basi fondamentali di questa forma di “giustizia”, il cui principale obiettivo è rappresentato dal cercare di «trovare un modus vivendi spirituale che» consenta ai consociati di tornare a «vivere insieme» dopo la commissione di certe atrocità di massa, di cui tutti, in fondo, potrebbero considerarsi (in diversa misura) variamente “responsabili”.
[56] Cfr. C.S. Nino, Radical Evil on Trial, Yale, 1998 142 ss.; D. Zolo, Peace through Criminal Law?, in Journal of International Criminal Justice, 2004, 727 ss.; R. Bartoli, La "giustizia di transizione". Amnistia. giurisdizione, riconciliazione, in La mediazione penale nel diritto italiano e internazionale, cit., 75 ss.; G. Fiandaca, Gli obiettivi della giustizia penale internazionale: tra punizione e riconciliazione, ivi, 99 ss.; Id., I crimini internazionali tra punizione, riconciliazione e ricostruzione, in Punire, mediare, riconciliare. Dalla giustizia penale internazionale all’elaborazione dei conflitti individuali, a cura di Fiandaca, Visconti, Torino, 2009, 15 ss. Anche perché, come osservato pure dalla Commissione d’Inchiesta sul Darfur, «quando sono commessi crimini di massa […] il numero necessariamente limitato dei processi penali rischia, qualunque sia il tasso di condanne, di dare alle vittime l’impressione che quanto è stato fatto non sia proporzionato alle loro sofferenze».
[57] Istruttive le pagine di A. Garapon, Crimini che non si possono né punire né perdonare. L’emergere di una giustizia internazionale, Bologna, 2004, 247 ss.
[58] Non a caso, «i sostenitori della GR» quale modello di giustificazione del diritto penale internazionale tout court [C. Menkel-Meadow, Restorative Justice: What Is It and Does It Work?, in Annual Review of Law and Social Science, 3, 2007, 161; A.J. MacLeod, All for One: A Review of Victim-Centric Justifications for Criminal Punishment, in Berkeley Journal of Criminal Law, 13, 2008, 31; R. Henham, Philosophical Foundations of International Sentencing, in Journal of International Criminal Justice, 64, 2003, 80-84] sono costretti a considerare «i procedimenti penali internazionali più in generale come parte integrante della giustizia di transizione» [cfr. C. Stahn, A Critical Introduction to International Criminal Law, Cambridge, 2019, 270]. Per converso, gli scettici non mancano di avvertire come l’innesto di troppe caratteristiche riparative nel sistema della CPI potrebbe portare a distorcere la funzione centrale delle procedure penali ivi previste e offuscare la loro distinzione dai meccanismi di giustizia transizionale [M. DeGuzman, Choosing to Prosecute: Expressive Selection at the International Criminal Court, in Michigan Journal of International Law, 33, 2013, 311; M.J. Aukerman, Extraordinary Evil, Ordinary Crime: A Framework for Understanding Transitional Justice, in Harvard Human Rights Journal, 15, 2002, 79-80]. Permane ancora un notevole dibattito su quale sistema di reazione ai torti sia da ritenersi il più adatto a fronte dei crimini internazionali (se quello "conciliativo" tipico della "giustizia di transizione" o quello tradizionalmente "punitivo" della CPI?): sul punto cfr. (con molti altri richiami), E. Fronza, Le sanzioni, in La Corte penale internazionale. Organi, competenza, reati, processo, a cura di Lattanzi, Monetti, Milano, 2006, 494 ss.
[59] Osserva che «le critiche» sull’apertura legislativa alla RJ nei confronti di tutti i reati, «anche laddove appaiano ragionevoli, non sembrano intaccare la preferenza per una valutazione caso per caso», G. De Francesco, Uno sguardo d’insieme sulla giustizia riparativa, in www.lalegislazionepenale.eu, 2.2.2023, 11. Una apertura circa l'astratta e generale mediabilità di tutti i reati, «di qualunque gravità», si era peraltro già riscontrata anche nel pensiero di alcuni esponenti della magistratura italiana [cfr. ad es. S. Cecchi, Partire dalla pena, in Partire dalla pena. Il tramonto del carcere, a cura di Cecchi, Di Rosa, Epidendio, Macerata, 2015, 70].
[60] Cfr. J.M. Silva Sánchez, Malum passionis. Mitigar el dolor del Derecho penal, Barcellona, 2018, 218 («contrariamente all’opinione di un gruppo di autori – che potrebbero essere definiti “clinici” – a mio avviso il reato non è solo un conflitto interpersonale da superare. Al contrario, esprime in modo specifico la drastica negazione della legge»).
[61] Cfr. S. Miller, After, cit.,159-168.
[62] Cfr. R.D. London, Crime, Punishment and Restorative Justice. A framework for Restoring trust, Eugene, 2011, 123.
[63] Cfr. J.M. Silva Sánchez, Malum, cit., 222 («lo Stato, in quanto Stato sociale di diritto, deve esattamente promuovere tale superamento esistenziale» del delitto, e non «ostacolarlo»; il che non significa, però, che «il conseguimento della pace sul piano interpersonale» tra vittima e reo, debba per forza di cose considerarsi l'unico precipuo «compito del diritto penale statuale»).
[64] Cfr. F. Palazzo, Giustizia riparativa e giustizia punitiva, in Giustizia riparativa, cit., 75 ss. («nonostante sia possibile affermare in linea di principio che anche i crimini più gravi e più efferati possono in concreto essere “risolti” mediante una “riparazione, è praticamente necessario pervenire all’esclusione già in astratto di quei reati che, per la loro estrema gravità, richiedono una irrinunciabile risposta di deterrenza e di prevenzione generale imposta dall’esigenza di stabilizzazione sociale»); B. Feijoo Sánchez, La pena como institución jurídica: retribución y prevención general, Buenos Aires, 2014, 290.
[65] Cfr. J.M. Silva Sánchez, Malum, cit., 218 e 222 («attraverso il diritto penale, l’azione penale e la punizione statale, non si tratta semplicemente di sanare un conflitto umano, ma in prima istanza di manifestare la legge dello Stato», di «fare tutto il possibile per ristabilirne il diritto»).
[66] Cfr. A. Duff, Restoration and Retribution, in Restorative Justice & Criminal Justice. Competing or Reconcilable Paradigms?, a cura di von Hirsch, Roberts, Bottoms, Roach, Schiff, Portland, 2003, 57-58.
[67] Cfr. P.H. Robinson, The Virtue of Restorative Processes, the Vices of “Restorative Justice”, in Why Punish? How Much? A reader on Punishment, a cura di Tonry, Oxford, 2011, 358 ss.: «posso immaginare un’ebrea devota che trova nel suo cuore la possibilità di “cogliere la grande opportunità che la grazia ispiri una volontà di trasformazione” per perdonare il Dr. Mengele per i suoi orribili esperimenti nel campo di concentramento su di lei e sulla sua famiglia» [del resto, la realtà ha dimostrato come le capacità di perdono delle vittime di Auschwitz fossero realmente elevate: cfr. B. Knight, Auschwitz Survivor Angers Co-Plaintiffs in SS Officer Trial by Saying Prosecutions Should Stop, in www.theguardian.com, 27.4.2015]; «ma pochi sarebbero disposti a pensare che sia stata fatta giustizia se ciò significa che il dottor Mengele è libero di andarsene verso una vita felice, anche se si è sinceramente scusato con lei».
[68] Cfr. F. Stella, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, 2006, 179 ss.
[69] Ma sulla correttezza di questo assunto non tutti sarebbero molto probabilmente concordi [si v. la letteratura citata infra, alla nt. (75)].
[70] Anche tra i più strenui sostenitori della RJ, invero, non si è mancato di riconoscere che: a) «quando vi sia il pericolo serio, altrimenti, della ripetizione di reati gravi, «il perseguimento delle [...] finalità» di responsabilizzazione del reo dovrebbe aver luogo «nell'ambito di un ricorso, temporalmente determinato, alla restrizione della libertà personale», «suscettibile di modificarsi ove simile responsabilizzazione appaia progredire» [così L. Eusebi, Su violenza e diritto penale, in Studi in onore di M. Ronco, a cura di Amborsetti, Torino, 2017, 128]; b) esistono «forme di criminalità più gravi e insidiose» e «reati che chiedono la neutralizzazione della pericolosità sociale del reo in forme custodiali», nei confronti dei quali la RJ è spesso ritenuta difficilmente applicabile [cfr. G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, cit., 372].
[71] Che un perdono richiesto a fronte dell’ottenimento di vantaggi “processuali” possa talvolta non esser considerato “genuino”, è fatto palese dalla vicenda riportata da R.D. London, Crime, cit., 107 ss.
[72] Invero, anche a non voler reputare compito precipuo del diritto penale il conseguimento della pacificazione tra vittima e autore [cfr. M. Donini, Il delitto riparato, cit.,147-148], dovrebbe pur sempre riconoscersi che, essendo il reato (anche) un conflitto interpersonale, lo Stato non dovrebbe mai ostacolarne il superamento “esistenziale”, ove vittima e autore siano seriamente intenzionati a “riconciliarsi” [conf. J.M. Silva Sánchez, Malum passionis, cit., 222]. Limitandosi a ciò, però, non si riuscirebbe di certo a raccogliere anche la vera sfida che si presenta in materia: arrivare a concepire finalmente un diverso modo di fare "giustizia". Del resto, come osserva L. Eusebi, Su violenza e diritto , cit., 126, «sarebbe stato facile per la GR teorizare percorsi affrancati dal contaminarsi con le brutture dei sistemi penali, esibendo singoli epsiodi di riconciliazione extragiudiziaria», «ma la scommessa è proprio quella di dimostrare che una giustizia diversa è possibile, o meglio indispensabile, nell'ambito dei rapporti pubblici».
[73] Da scartare, come detto, è invece l’idea che si possa indulgere in prospettive del tutto abolizionistiche, in un avvicendamento più radicale tra GR e “giustizia penale”, perché si caricherebbe la GR di un peso che la stessa non sarebbe in grado di sopportare, e perché un simile impiego porterebbe con ogni probabilità ad esiti “catastrofici” per la stessa sopravvivenza della società [cfr. R. Bartoli, Una breve introduzione, cit., 11; F. Palazzo, Giustizia riparativa, cit., 73].
[74] In termini dubitativi cfr. G. Fiandaca, Note, cit., 6-9, ritenendo la diversa posizione di C. Roxin, Strafrecht. AT, I, München, 1994, 65, il frutto di illazioni non suffragate da adeguate prove empiriche.
[75] Invero, secondo D. Pulitanò, Sul libro di un incontro fra vittime e responsabili della lotta armata, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18.1.2016, 13, «è il precetto, non la sanzione, la regola di giustizia», è pertanto l'attenzione verso il precetto ad essere davvero fondamentale in materia. Ora, ristabilire la vigenza del precetto, a giudizio di molti interpreti, potrebbe ritenersi possibile facendo esclusivo ricorso alla RJ. Come si è osservato, infatti, la possibilità di ottenere comportamenti conformi alle leggi dipenderebbe soprattutto dalla variabile corrispondente al legame con la norma piuttosto che dal mero timore della sanzione [C. Mazzucato, Dal buio delle pene alla luce dei precetti: il lungo cammino del diritto penale incontro alla democrazia, in La pena "in castigo". Un'analisi critica su regole e sanzioni, a cura di Marchetti, Mazzucato, Milano, 2006, 63 ss.]; un legame, questo, che la RJ ben potrebbe contribuire a rinsaldare [cfr. Id., Restorative Justice and the Potential of 'Exemplarity'. In Search of a "Persuasive" Coherence Within Criminal Justice, in Critical Restorative Justice, a cura di Aertsen, Pali, Oxford, 2017, 236 ss.; L. Esuebi, Su violenza e diritto, cit., 128]. Ciò, però, anche a voler dare il punto per ormai assodato (mentre alcuni potrebbero ancora continuare a contestarlo) non imiplicherebbe certo automaticamente che la valenza e validità del "precetto" si potrebbe sempre ristabilire (e ristabilire meglio che con la pena) facendo ricorso alla sola RJ, qualunque sia il reato commesso dall'autore del reato e quale che sia il grado d'impegno e responsabilizzazione richiesto al medesimo per andar esente da pena. Ritiene ad es. L. Eusebi, Appunti minimi in tema di riforma del sistema sanzionatorio penale, in Verso una riforma del sistema sanzionatorio? Atti del convegno in ricordo di Laura Fioravanti, a cura di Pisa, Torino, 2008, 284, che «nulla più di un agente di reato il quale abbia saputo prendere le distanze, anche attraverso adeguati impegni riparativi, dalla sua pregressa esperienza criminosai», possa «consolidare la credibilità delle norme violate, in quanto il suo percorso attesta con efficacia tutta particolare la capacità di persuasione del sistema giuridico circa la ragionevolezza delle sue prescrizioni». Bene: ma lo stesso potrebbe dirsi anche se gli impegni riparativi non fossero ritenuti per nulla "adeguati" dalla collettività (magari a cagione della loro astratta indeterminatezza)? E cosa accadrebbe se l'estensione della non punibilità alla particolare tipologia di reato, per la sua gravità, fosse vista non già come una giusta reazione, ma come un'indebita abdicazione da parte dello Stato dallo svolgimento dei suoi compiti essenziali, o un "premio" immeritato per l'autore del reato? [sulle insidie della premialità per la tenuta generalpreventiva del sistema, cfr. E. Musco, La premialità nel diritto penale, in Ind. pen., 1986, 599 ss., 611 ss.]. Ci si confronta, all'evidenza, con dei punti su cui si riscontrano ancora varie incertezze [in proposito cfr. le riflessioni già citate di G. Fiandaca, Note, cit., 6-9, ove osserva che l'idea che una «risposta in chiave riparativa» possa sempre «risultare idonea [...] a rimuovere nella coscienza dei cittadini il turbamento sociale provocato dal reato, così da contribuire alla stabilizzazione normativa, non va al di là [...] di una fiduciosa illazione teorica»]; incertezze che bisognerebbe dissipare per poter davvero "tranquillizare gli animi" di chi (giustamente) teme che un ricorso massivo alla RJ, anche a fronte dei crimini più "atroci", possa innescare un generale ed indebito scadimento della validità dei precetti penali [fin troppo "generalizzante" si rivela perciò, da questo punto di vista, l'opinione espressa da L. Tumminello, Il volto del reo. L'individualizzazione della pena fra legalità ed equità, Milano, 2010, 134, laddove afferma che «una pena individualizzata basata su un sistema inclusivo e dialogico è più probabile che venga (sempre) percepita come più giusta non solo dal reo ma anche dai consociati, con esiti positivi anche sotto il punto di vista della prevenzione generalpositiva» (enfasi aggiunta)].
[76] Cfr. N. Lacey, H. Pickard, To blame or to forgive?, cit., 668 e 678. M.C. Nussbaum, Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, Bologna, 2017, 261 ss.; F. Stella, La giustizia, cit., 201 ss., 210 ss., 218; E. Wiesnet, Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita (trad. it. a cura di L. Eusebi), Milano, 1987, 54-77.
[77] Per citare il titolo del noto studio di G. Mannozzi, La giustizia senza spada, cit., passim.
[78] Anche perché v'è chi ritiene che, «ove si tentasse di verificare empiricamente in termini comparativi il grado di efficacia preventiva della riparazione, mancherebbero in partenza […] dati concreti di confronto riferibili alla stessa pena tradizionale», G. Fiandaca, Note, cit., 7-8. Similmente, anche L. Esuebi, Su violenza e diritto, cit., 128, considera «un equivoco troppo a lungo perpetuatosi» la «persuasione che le pene avrebbero come destinatari dei loro effetti (esemplari) i conosciati», giacché gli esiti generalpreventivi che la pena è suscettibile di esplicare nei confronti di questi ultimi sono «aleatori, presuntivi, impalbabili». D'altro canto, è un'opinione comune che la prevenzione generale non sia davvero "misurabile" (o che, se anche lo fosse, non si sarebbe comunque di certo capito ancora bene come essa andrebbe di fatto "valutata" e "soppesata").
[79] Esprimeva un pensiero, putroppo, volenti o nolenti, ancora oggi in grado di riflettere il "comune sentire" (almeno fuori da certi "circoli" ristretti), A. Bausola, Tra eitca e politica, Milano, 1998, 258, nell'affermare che si deve «naturalmente tener conto anche dell'esigenza di tutelare gli 'innocenti', i diritti di sicurezza, incolumità, giustizia dei cittadini»; che, in breve, «non si può [...] rinunciare a una deterrenza che sia a monte dei possibili crimini, e, a valle, a sanzioni esemplari ed efficaci».
[80] Cfr. O. Di Giovine, Delitto senza castigo? Il bisogno di pena tra motivazioni razionali ed istinti emotivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 2021, 894; G. Fiandaca, Note, cit., 20. Quel necessario "cambiamento di lenti" di cui parlava già Zehr, il "padre" della RJ [cfr. H. Zehr, Changing Lenses: Restorative Justice for Our Times (25th Anniversary Edition), Newton, 2015, passim], non è invero ancora definitivamente arrivato, anche se iniziano a intravedersi almeno alcuni segnali in tal senso. Pure in quei sistemi (tra cui ormai il nostro) in cui si ammette la "mediabilità" anche dei casi più gravi, infatti, se si può di certo dire che la "montatura" dell'"occhiale" sia finalmente cambiata, non è chiaro se il mutamento abbia interessato altresì le "lenti" degli operatori. E finché le "lenti" di chi dentro il sistema è chiamato ad operare quotidianamente restano le stesse, il rischio che si corre è quello di andar incontro ad una "silenziosa crisi di rigetto", come purtroppo l'esperienza degli altri ordinamenti ha già dimostrato (cfr. supra, § 2). Se si volesse azzardare un parallelismo, il rischio concreto è quello di rivivere, in poche parole, quanto già accaduto in Italia con l'introduzione nel 1988 del rito accusatorio: nonostante i molti anni trascorsi, vi sono infatti interpreti che faticano (o rifiutano) ancora di calarsi davvero nei meccanismi d'operatività di questo sistema, ormai non più "nuovo", in quanto educati all'inquisitorietà (o perché l'inquisitorietà, comunque, se la portano nel "cuore").
[81] Rischio colto da M. Donini, Diritto penale e processo come legal system. I chiaroscuri di una riforma bifronte, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di Castronuovo, Donini, Mancuso, Varraso, Padova, 2023, 20.
[82] Sul (minor) valore attribuito/attribuibile al perdono nella moderne società e sui rischi di un perdono passe-partout, cfr. J.G. Murphy, Remorse, Apology, and Mercy, in Criminal Law Conversations, a cura di Robinson, Garvey, Kessler Ferzan, Oxford, 2011, 185-195 e in part. 203 ss.; Id., Forgiveness in counseling: A philosophical perspective, in Before forgiving: Cautionary views of forgiveness in psychotherapy, a cura di Lamb, Murphy, Oxford, 2002, 41 ss.; J.J. Exline, R.F. Baumeister, Expressing forgiveness and repentance: Benefits and barriers, in Forgiveness: Theory, research, and practice, a cura di McCullough, Pargament, Thoresen, New York, 2000, 141 ss.
[83] Cfr. R.D. London, Crime, cit., 131 ss.; M. Donini, Riparazione, cit., 19.
[84] Cfr. M. Donini, Diritto, cit., 22.
[85] Cfr. F. Helferich, Le condotte, cit., 323.
[86] Sembra ad es. pensare che il concetto di punizione sia fin troppo “incrostato” di connotazioni negative per poter essere “ripulito”, anche ove la pena dovesse venir intesa diversamente, J. Willemsens, Restorative justice: a discussion of punishment, in Repositioning Restorative Justice, cit., 40 ss. Analogamente cfr. G. Fiandaca, Note, cit., 11 ss., 19 ss.
[87] Ritiene ad es. M. Donini, Riparazione, cit., 19; Id., Le due anime della riparazione come alterativa alla pena-castigo: riparazione prestazionale vs. riparazione interpersonale, in Cass. pen., 6, 2022, 2041, che «una componente di pura sanzione» è «imposta da esigenze di prevenzione generale», ed è necessaria affinché «la pena agìta» possa non indebolire «il precetto»; Id., Pena agìta e pena subìta. Il modello del delitto riparato, in www.questionegiustizia.it, 29.10.2020, 3 («la sola riconciliazione personale» non può “oscurare” «l’idea che il delitto comunque deve avere una sua risposta, che il delitto non paga e deve avere una pena»). Cfr. anche G. Jakobs, La pena statale. Significato e finalità, Napoli, 2019 85-96
[88] Su cui già s’interrogava K. Günther, Responsabilità e pena nello Stato di diritto, Torino, 2010, 93.