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Pubbl. Lun, 25 Set 2023

Brevi note sul salario minimo orario: lezioni - e di buon senso - dalla Gran Bretagna

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Pierre De Gioia Carabellese
Professore OrdinarioNessuna



Sebbene la Direttiva sul salario minimo sia in essere da diversi mesi, vi e´ una nazione all´interno dell´Unione Europea che sta gia´ sperimentando un acceso dibattito su come questo nuovo principio debba essere implementato. Eppure, come nel tardo Medioevo, in cui in Toscana le fazioni si combattevano l´una contro l´altra (e l´altra ancora) in modo simile la Repubblica Italiana ora sembra racchiudere questo spirito. In questo contesto si inserisce il contributo scritto nel Regno Unito che guarda alla possibile, futura legislazione del salario minimo evidenziando i primi difetti e anche paradossi. Nella Nazione in cui non vi e´ formale Costituzione e nemmeno una teorica protezione della legge formale, i lavoratori, almeno in tema di salario minimo, sembrano essere protetti meglio.


ENG

A Preliminary Commentary on the Minimun Wage: Law - and Machiavellan - Lectures from the United Kingdom

While the EU Directive on minimum wage has been in place for some months, there is a country within the Union already witnessing a fierce debate on how this new principle should be implemented. As during the Middle Age in Tuscany factions used to fight each other, similarly the Republic of Italy now seems to embody that spirit. Against this background, the paper, written from the UK looks at the Italian prospective legislation on the minimum wage, by highlighting the first flaws and loopholes, but also paradoxes. In the Country where there is no formal Constitution, nor the theoretical protection of constitutional laws, workers end up being more and more protected than in the country of utopia, Italy.

Sommario:  1. Premessa; 2. I due pilastri del salario minimo in Gran Bretagna; 3. Riflessioni sulla minimum wage Oltremanica; 4. Il (possibile)salario minimo in Italia visto dal common law inglese. 

1. Premessa

Il salario minimo, o minimum wage, costituisce uno degli argomenti di cui si parla maggiormente in Italia in questi mesi.  Ciò che sorprende, tuttavia, non è tanto che se ne parli, quanto piuttosto che non vi sia convergenza di opinioni in merito allo stesso.

Cerchiamo di riassumere. 1. Vi è una norma dell’Unione Europea[1] che prevede ora l’introduzione del salario minimo in ciascuno Stato Membro; 2. Questa norma lascia una certa discrezionalità al Parlamento italiano al fine della sua implementazione; 3. Il principio del salario minimo costituisce un baluardo importante per la giusta remunerazione da darsi al lavoratore. Eppur... si litiga (in Italia)!

2. I due pilastri del salario minimo in Gran Bretagna

In Gran Bretagna, da cui si scrivono queste note, il dilemma del salario minimo costituisce una realtà da più di due decenni, ben prima della normativa europea, e più recentemente a prescindere dalla stessa, visto che il Regno Unito ha ormai lasciato l’Unione Europea.

Con una legge (il Minimum Wage Act 1998), che lo ha introdotto subito dopo la sua emanazione, il salario minimo prevede due pilastri fondamentali.

1. Il primo pilastro è che si applica non solo agli employee, i dipendenti, ma anche ai workers, i lavoratori, dunque coloro che svolgono un'attività lavorativa, di natura personale a beneficio di un datore di lavoro. La nozione di employee nel common law inglese è una tematica lunga e affascinante del contract law, del diritto dei contratti, prima ancora che dell'employment law[2]. Dai primi dicta della fine del XIX secolo[3] a quelli degli anni Cinquanta, del celeberrimo Lord Denning, il quale adottava l'integration test,[4] si è arrivati, negli anni Settanta, alla adozione del così detto economic reality test. La vera evoluzione del common law anglo-gallese e scozzese si è verificata con il multiple test o economic reality test, che, affermatosi alla fine degli anni ‘60, deve ritenersi l’unico vero test, applicato tuttora nel Regno Unito, per distinguere fra dependent e autonomous individual[5], anche se nel corso degli anni in parola vi sono stati ulteriori tentativi di nuovi test, tanto autorevoli quanto temporanei, fra cui l’organisation test[6].  Nell’economic reality test, che è ora prevalente, si osserva il complesso dei rapporti fra individuo e datore di lavoro. Il precedent che ha fatto da apripista a tale criterio è Markets Investigations v Minister of Social Security[7]: la controversia, anche in questo caso, coinvolgeva markets researchers, persone specializzate in ricerche di mercato, concerneva le contribuzioni obbligatorie e i soggetti tenuti a corrisponderle.

Fu concluso, nell’usare una serie di criteri, che era prevalente, nel loro rapporto, un elemento di dipendenza, e pertanto il datore di lavoro era obbligato a pagare le contribuzioni.

Più in generale, dal dictum Markets Investigations si evincono i criteri da utilizzare per stabilire se il rapporto instaurato è quello di dipendente ovvero di indipendent contractor, così come di seguito evidenziato: control o controllo: rimane sempre il principale criterio, anche se non l’esclusivo, di individuazione della fattispecie; la fornitura dei servizi e del materiale: se l’individuo usa materiale fornito dall’employer, ciò è più coerente con un rapporto di dipendenza; hire of helpers ovvero diritto a nominare aiutanti: se l’individuo non può fare il lavoro da solo ma ha bisogno di incaricare terzi, e l’employer non ha obiezioni, ciò è più coerente con un contract for services e dunque con un rapporto di lavoro non dipendente; financial risk, o rischio finanziario: se gli individui assumono un rischio finanziario per la prestazione del servizio, ciò è più coerente con un rapporto di non dipendente; opportunity of profit o opportunità di profitto: ove prevista dagli accordi contrattuali, essa è più coerente con un contract for services; name o label of contract, ossia come le parti contraenti abbiano definito il contratto: è un criterio importante, anche se di per sé non è decisivo al fine della characterisation ossia della qualificazione. Ricorrendo tali requisiti, l’individuo, anche quello che presta lavoro per il pubblic sector, verrà definito quale employee.

Tuttavia, ove ciò si verifica nel public sector, non viene conferito al dipendente uno status diverso, o rafforzato, né viene determinata la trasformazione del rapporto in quello di pubblico impiego. Il rapporto, seppur di dipendente, sarà sempre privatistico e ben lungi dall’essere di pubblico impiego, in versione italiana.

In definitiva, al fine di distinguere un lavoratore dipendente e un individuo che non lo sia, occorre fare riferimento ad una serie di fattori: principalmente, ma non esclusivamente, il controllo (control test): l'esistenza di un obbligo delle parti ad effettuare la prestazione (mutuality of obligations): la natura personale del servizio prestato (personal nature of the services). Mancando il test della "dipendenza", employee, l'individuo che presta lavoro verrà qualificato quale independent contractor.

Quest'ultimo, in un ordinamento, quale quello britannico, che non conosce il concetto di imprenditore, è una persona che esercita una attività di impresa, tradesman, in modo tale che il beneficiario del lavoro non sia un datore di lavoro, ma un cliente. Dagli anni 70 in poi, nel dilemma employee versus independent contractor si è inserito il worker; quest'ultimo è un individuo che, senza controllo (di un datore di lavoro), esercita una attività, senza mutuality, ma comunque con carattere personale. La categoria classica cui si fa riferimento per spiegare il worker nel Regno Unito, il casual worker: il lavoratore che, in modo personale, dunque, non quale imprenditore, si mette a disposizione per svolgere un lavoro a beneficio di un datore di lavoro.

2. La legge britannica sul salario minimo è una legge che non tutela lo stipendio minimo, ma ogni forma di retribuzione, non solo mensile, ma anche oraria[8]. Il salario minimo non deve essere inteso come meccanismo di adeguamento, o della contrazione o della legge, a ciò che un “dipendente” deve percepire. Il salario minimo rappresenta quel minimo che, per ogni forma di lavoro a beneficio di un lavoratore, deve essere corrisposto minimamente ad un lavoratore[9]. Il riferimento è la paga oraria, ed è determinata dal Secretary of State, uno dei Diversi Ministri del Governo britannico. La definizione della paga oraria avviene solitamente, ogni anno, con piccoli ritocchi che tengono conto dell’inflazione[10]. Al momento, per coloro che hanno più di 25 anni, questa paga è di £ 9.50: per coloro che hanno fra 21 e 22 anni, è di £ 9.18. Dai 18 ai 20 anni è di 6.83. Per coloro fra 16 e 17 anni, è di £ 4.81. Anche per gli apprendisti, vi è una paga minima ad hoc.[11]

Una tale paga viene determinato con riferimento all’ammontare totale di retribuzione ricevuto, salario più commissioni, bonus, contribuzioni gratuite, auto aziendale, e voucher per il pranzo. Nell’ammontare di ore lavorate, dunque il denominatore, si tiene conto il salario guadagnato durante quel periodo, ma non ricevuto fino al periodo seguente allocato nel periodo in cui lo stesso sarà realmente percepito[12].

Per ogni lavoro che venga fatto a beneficio di un datore di lavoro, per un ammontare minimo orario, la remunerazione oraria non può essere inferiore ad un certo ammontare, appunto orario. 

Questo ammontare, orario, corrisponde ad una cifra, attualmente pari a circa £ 10, fissata, per tutto il territorio nazionale, da Plymouth, in Cornwall, alle Shetland, nell’estremo nord della Scozia, dal Governo di Londra.

3. Riflessioni sulla minimum wage Oltremanica

Alla luce dei punti 1 e 2 sopra, quali sono le considerazioni da svolgere.

Da un punto di vista storico, il minimum wage nel Regno Unito, introdotto all'inizio dell'era del labour parti di Sir Tony Blair, è rimasto intatto ai diversi - ma non troppo come l'Italia - cambiamenti politici sopravvenuti: nel 2007, con Gordon Brown, nuovo Prime Minister, anche se Labour anche lui, nessun cambiamento dell'articolato normativo. Nel 2010, vi furono nuove elezioni ed emerse un atipico, per gli standard britannici, governo di coalizione (coalition government) costituito dai Tories insieme ai Liberal Democrats, con un Prime Minister conservatore (David Cameron) e un Deputy Prime Minister (Nic Clagg). Effetti del cambiamento politico sul minimum wage? Nessuno. Nel 2015 elezioni e nuovo governo, sempre David Cameron, ma senza i coinquilini Liberal Democrats che nel frattempo avevano fatto suicidio politico ed erano quasi scomparsi.

Quali sono gli effetti del nuovo governo totalmente conservatore sul minimum wage? Nessuno. Niente anche fino ad ora, 2023, malgrado la successione di Governi, tutti conservatori, con quattro diversi Prime Ministers: Theresa May: Boris Jonson: (la meteorica) Liz Truss: l-attuale Rushi Sunak. Dunque, da un punto di vista storico, si può sottolineare la continuità del testo legislativo britannico.

In secondo luogo, in Italia, si litiga, e si litiga molto, sul salario minimo. Le posizioni sono tutte focalizzate su due poli: legge contro contrattazione collettiva.

Nel primo caso, si dice che il salario minimo deve essere fissato dall'Esecutivo. La provenienza legislativa del salario renderebbe maggiormente cogente lo stesso, verosimilmente anche attraverso un apparato sanzionatorio che lo renda coercibile. La legge si porrebbe al di sopra dei sindacati e del lavoro potere che riguarda aspetti diversi dalla retribuzione.

Nel secondo caso, si dice che deve essere fissato dalla contrattazione. Sarebbe la contrattazione, per le categorie di lavoratori (verosimilmente solo i dipendenti, in quanto i sindacati italiani non negoziano le condizioni di lavoro dei lavoratori non dipendenti, definiti a torto occasionali) a fissare il salario minimo. Pare di capire che questa soluzione sia caldeggiata da chi ritiene che l'atto legislativo non sia necessario in una materia in cui, di fatto, già il 90 per cento dei lavoratori italiani, ma solo i dipendenti, gode di un salario contrattuale già superiore a quello che verosimilmente, sarebbe il salario minimo.

4. Il (possibile) salario minimo in Italia visto dal common law inglese

Si ritiene, in queste brevi note, che la posizione giusta per l'Italia non sia né totalmente l’una né l'altra.

La prima posizione è fallace nella parte in cui dimentica, appunto, come nell'esperienza britannica, i workers anche siano tutelati. Eppure, così facendo, si dimentica il lavoro non dipendente, svolto a favore di un datore di lavoro, e ciò vuol dire comportarsi come uno struzzo: si nasconde la testa sotto la sabbia.

Il lavoro non dipendente non va combattuto per sé, ma costituisce ormai una evoluzione dell'economia mondiale. Non è un caso che il worker, in Gran Bretagna, gode sostanzialmente di tutti i diritti dell'employee, salvo il diritto a impugnare il licenziamento illegittimo. In questo scenario, al worker viene estero il diritto a godere un salario minimo orario, perche' ciò risponde ad un suo diritto fondamentale (in Gran Bretagna): il diritto a ricevere, per la frazione minima di lavoro, un minimo adeguato. A guardar bene, la prima posizione sembra fallace anche dal punto di vista della recente direttiva sul salario minimo adeguato.

L’Art. 2 stabilisce chiaramente che lo stesso si applichi a tutti i workers, non solo i lavoratori dipendenti. Più precisamente, in questo articolo, rubricato, Scope, lo scopo in inglese, si prevede nel testo inglese quanto segue: “This Directive applies to workers in the Union who have an employment contract or employment relationship as defined by law, collective agreements or practice in force in each Member State, with consideration to the case-law of the Court of Justice.” Dunque, pare chiaro che la disciplina debba applicarsi non soltanto a coloro che abbiano un “employment contract”, ma anche una mera “employment relationship”.

Il lavoratore non dipendente dovrebbe esservi ricompreso, a prescindere da come lo stesso venga qualificato in ciascun ordinamento nazionale.

Sembra in linea con il principio della fissazione per legge  del salario minimo anche la definizione sia di salario minimo che di salario minmo per legge.

Più precisamentea, all’Art. 3, la definizione di salario minimo è la seguente:  “ ‘minimum wage’ means the minimum remuneration set by law or collective agreements that an employer, including in the public sector, is required to pay to workers for the work performed during a given period”. Viene poi precisato, quanto al salario minimo per legge, quanto segue: “ ‘statutory minimum wage’ means a minimum wage set by law or other binding legal provisions, with the exclusion of minimum wages set by collective agreements that have been declared universally applicable without any discretion of the declaring authority as to the content of the applicable provisions.” In alter parole, il testo dell’Unione Europea, fermo restando il principio che anche i lavoratori non dipendenti devono godere di un salario minimo, sembra fissare una compatibilità con il concetto di salario minimo sia con quello che dovesse essere fissato per legge che quello per via della contrattazione collettiva.

La verità è anche che, a parte alcuni Paesi nordici in cui la presenza di lavoratori è limitatissima, prevalendo il dipendente, la fissazione di un salario minimo per legge, per frazione oraria, sembra essere necessitato dal fatto che, nella gran parte dei Paesi europei, vi è una forte presenza di lavoratori non dipendente (i workers). Come una contrattazione collettiva possa tutelarli, se gli stessi per definizione non sono iscritti al sindacato, sembra difficile da immaginare.

La seconda impostazione, quella basata sulla contrattazione collettiva, sembra non necessariamente fallace, ma di per sé non esaustiva. Avuto infatti riguardo all’ Art. 1 della Direttiva sul minimum wage, si può evideniare che la Direttiva “establishes a framework for: (a) adequacy of statutory minimum wages with the aim of achieving decent living and working conditions; (b) promoting collective bargaining on wage-setting; (c) enhancing effective access of workers to rights to minimum wage protection where provided for in national law and/or collective agreements.” Dunque, l’obiettivo di favorire la contrattazione collettiva, attraverso l’obiettivo strategico del salario minimo, vi è. Ma comunque sembra prioritario l’obiettivo ultimo, di estendere la tutela a tutte le forme di lavoro. In tale scenario, la promozione del contratto collettivo è subordinata alla prima fondamentale funzione: quella di cui allo stesso Art. 1, lettera a: l’adeguatezza del salario minimo di tutte le forme di lavoro.

Sempre su questo profilo, ma venendo verso la Gran Bretagna, la contrattazione collettiva, il collective bargaining, costituisce, anche nel Paese dove è nata la Rivoluzione Industriale, il meccanismo utile a stabile due fondamentali elementi: terms of employent; pay.  La paga è dunque oggetto della contrattazione. Quello che però non si considera è che il minimum wage tutela sia employees che workers. La contrattazione collettiva, riguardando per definizione gli employee, lascierebbe fuori i primi. 

Tale conclusione, se applicata all'Italia, che ha una costituzione scritta, che tutela il principio fondamentale della eguaglianza, sembrerebbe la logica conseguenza dell'assunto. 

Dunque, de lege ferenda, pur con le necessarie cautele, la tesi che si sostiene è la presente, per la complessa realtà italiana, paese che ha una storia unitaria giovane, che ha perso la guerra da cui sono scaturiti gli assetti geopolitici attuali, e che ha una frammentazione ideologica non paragonabile alla monoliticità della Gran Bretagna.

A. La soluzione legislativa, in prima battuta, sembra migliore, in quanto, in un contesto in cui i sindacati italiani non sono riconosciuti (non essendosi attuato il dettato della Costituzione in pieno), sembra la legge essere l'unico strumento dotato di vera cogenza, al di là della opinabilità dei meccanismi contrattuali.

B. La soluzione legislativa, tuttavia, deve brandire la scimitarra e non dare di fioretto. In altre parole, la legge deve fissare il salario minimo inteso come paga minima, per tutti coloro che prestino lavoro a beneficio di un datore di lavoro (potrebbe essere anche un secondo lavoro), anche se non siano dipendenti. Si va dunque a "benedire" la sacralità e l'importanza del lavoro, in tutte le sue forme ed espressioni. Qui appunto, il modello britannico sarebbe utile, pur con le cautele del caso: la comparazione, e soprattutto l'importazione degli organi costituisce operazione complessa. Ciò non è soltanto la lezione che viene dalla Gran Bretagna, ma è il risultato dell’esegesi della recente Direttiva Unionale sul salario minimo.

C. Non si ritiene che una minimum wage per hour, per tutti i workers, da attuarsi per legge in Italia, snaturi il ruolo della contrattazione. Anzi, rappresenta un modo per rendere maggiormante competitivi i sindacati che avranno un competitor: la legge. Quest’ultima fissa, quanto alla paga, le figure, le cifre, che i sidnacati dovranno “battere”, maggiore è il di più che riescono a realizzare, maggiore è la loro credibilità. Anzi, si può dire che, dato l’obiettivo competitivo che si pongono i sindacati, per effetto di tale novità, si possa prevedere una maggiore sindacalizzazione, rispetto a cifre che atulmente, e non solo in Italia, non sono incoraggianti.

Da ultime, si mette in guardia il legislatore italiano da scelte ibride, appunto all’italiana, I cui si voglia mediare, accontentando le diverse “Parrocchie”. La soluzione sopra sembra la piu’ rigorososa, anche da un punto di vista geografico. La legge della paga minima oraria dovrebbe essere applicata in Italia in tutto il terriroio nazionale, come accade nel Regno Unito, dove la stessa anche nella costosa Londra è simile a quanto si verifichi nella “cheap” South Airshire, una delle contee con il costo della vita piu’ basso del Regno Unito.

Per contro, si immagina già in Italia, quasi quale triste presagio, una legge poco intellegibile in cui si prevedano fascie e griglie per regione, categoria e alter diavolerie da azzeccagarbusli del Belpaese. La legge che opera nel business law (e il labour law è parte integrante del business law) è legge che serve a creare lavoro, e a crearlo è l’imprenditore, meglio ancora se investiture estero. Il magico e semplice numero britannico, se usato in Italia, sembra essere la soluzione giusta, senza scuse, senza ma, senza se. Costituirebbe infatti per l’imprenditore il meccasnimo per valutare il costo del lavoro in Italia, in comparazione con altri Paesi, e dunque di preferire quel Paese rispetto ad un altro.

Magari, questo è un modo, al di là di tante inutili e non intellegibili leggi, per rilanciare sul serio l’Italia!


Note e riferimenti bibliografici

[1] La direttiva è la seguente, nel testo inglese: “DIRECTIVE (EU) 2022/2041 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 19 October 2022 on adequate minimum wages in the European Union” (OJUE, 275/33, 25.10.2022). Per commenti su questo testo, anche e soprattutto nella fase di proposta, si rimanda a P. Tridico, P. Tullini, Salario minimo e contrattazione collettiva: una combinazione possibile in Economia & lavoro, n. 1/2022, pp. 65-84; V. Bavaro, S. Borelli, G. Orlandini. La proposta di direttiva UE sul salario minimo adeguato, in Riv. Giur. Lav., n. 1/2021, pp. 111-132; M. Delfino, Proposta di direttiva, tutela giuridica dei salari e nodi della contrattazione collettiva in Italia, in Dir. rel. ind., n. 2/2021, pp.  432-454; F. d'Amuri, R. Nizzi, S. Pereda Fernández, La contrattazione collettiva nelle piccole imprese dell’industria in Economia & lavoro, 3/2022, pp.111-124.

[2] Per una visuale molto aggiornata del common law inglese e della legislazione britannica in tema di employment law, e in italiano, si rimanda a P. de Gioia Carabellese, C. Della Giustina, Diritto del lavoro e del techno-business law, Dal law of master and servant alla Industry 5.0, Pacini Giuridica, Pisa, 2022.

[3] Il primo criterio che era stato elaborato era quello del controllo (control test). In forza di esso, per stabilire se un individuo fosse un dipendente ovvero un independent contractor, occorreva (ed occorre tuttora) verificare se l’employer esercitasse o meno il controllo sulla prestazione: ove vi fosse controllo, si era senz'altro in presenza di un dipendente e nessun altro test veniva richiesto.

Si richiama, a tal proposito, Performing Rights Society, scozzese, ha ancor più corrispondenti nel common law inglese, a iniziare da Yewes v Noakes (1880) 6 QBD 530, dove l’elemento del controllo viene affermato, anche se più in chiave di comando assoluto («a servant is a person subject to the command of his master as to the manner in which he shall do his work»), per proseguire con un caso di tipo calcistico, quello di Walker v Christal Palace Football Club Ltd 1910 1 KB 87 (CA) 92. In esso, invece, l’enfasi viene posta sul contratto, ovvero, sugli accordi che sono a monte del contratto, ad esempio con riferimento alle ferie e ai tempi e alle modalità di esecuzione del lavoro. Dunque, vi è forse una linea di raccordo fra Performing Rights Society e Walker (1924) 1KB 762. nell’evidenziare come il dipendente è tale quando il datore di lavoro incide sul rapporto di lavoro nei termini di cui sopra, ergo un controllo che non si traduce esclusivamente nel dare ordini.

[4] Stevenson, Jordan & Harrison v McDonald and Evans [1952] 1 TLR 101. Lo statement che è meritevole di richiamo è quello proprio del Giudice del caso in esame, l’allora Juror Dening il quale, di seguito sarebbe diventato nella House of Lords, Lord Dening uno dei più istrionici e talentuosi giudici britannici. Nel caso cui si è appena fatto riferimento fu affermato quanto segue: “un fattore che sembra confermare gli assunti [che una persona è integrata in una organizzazione] è che, ai sensi del contract of service, quella persona impiegata come parte del business, e il suo lavoro è fatto quale parte integrante del business; per contro ai sensi di un Contract for Service il suo lavoro, sebbene fatto per il business, non è integrato nello stesso ma è soltanto accessorio a quello”.

[5] La terminologia fra dependent e autonomous non è di derivazione britannica, ma presenta una chiara influenza “Continentale”, e viene ora usata anche dalla dottrina britannica.  

[6] L’organisation test è un tentativo sporadico, che non ha avuto seguito; nasce dal dictum di Lord Denning, nel caso Whittaker v Minister of Pensions (1967) 1KIR 669. In sostanza, in base a questo test, la Corte verifica se i servizi ovvero il lavoro sono fatti quale parte integrante delle attività ovvero organizzazione del datore di lavoro. In questo caso la questione era, ancora una volta, la contribuzione all’ assicurazione obbligatoria, il National Insurance Fund. L’individuo di cui trattasi era un artista di circo. Fu dimostrato che non solo lavorava quale artista per quel circo, ma, per lo stesso employer, era adibito a ulteriori attività, fra cui la vendita dei biglietti. Inoltre, agiva quale usherette, e prestava pure aiuto allorquando occorresse spostare il circo. La Corte addivenne alla conclusione che, nel modo in cui l’attività dell’individuo si integrava con quelle del circo, vi era un contract of employment, un contratto di lavoro dipendente, fra il circo ed il trapezista.

[7] (1968) 3 All ER 732.

[8] Sulla disciplina britannica del salario minimo, cfr. Z. Adams, C. Barnard, S. Deakin, S. Fraser Butlin, Deakin and Morris’ Labour Law, 7° ed., Hart Publishing, London, 2021, pp. 281-307. Cfr. anche, nella manualistica, ex plurimis, G. Pitt, S. Drew, Pitt’s Employment Law, 12° ed., Sweet & Maxwell, London, 2022, 300 ss.

[9] Si rimanda a P. de Gioia Carabellese, C. Della Giustina, Diritto del lavoro e del techno-business Law, Dal law of master and servant alla inustry 5.0, Pacini Giuridica, Pisa, 2022, passim.

[10] Nella dottrina, cfr. S. Honeyball, Honeyball & Bowers’ Textbook on Employment Law, 14th edn., Oxford University Press, Oxford, 323 ss.; D. Cabrelli, Employment Law in Context. Text and Materials., 4th edn., Oxford University Press, Oxford, 2020, 254 ss.

[11] Cfr. P. de Gioia Carabellese, C. Della Giustina, Diritto del lavoro e del techno-business law. Dal law of master and servant alla Instustry 5.0, Pacini Giuridica, Pisa, 2022.

[12] Cfr. P. de Gioia Carabellese, C. Della Giustina, Diritto del lavoro e del techno-business law. Dal law of master and servant alla Industry 5.0, Pacini Giuridica, Pisa, 2022, passim.