Pubbl. Ven, 11 Ago 2023
La Cassazione si esprime sul al tempus commissi delicti nei maltrattamenti contro familiari e conviventi
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Andrei Mihai Pop
La presente nota a sentenza analizza la pronuncia della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 28218 del 24/01/2023 (dep. 28/06/2023). Gli Ermellini, in questa sede, hanno ripercorso alcuni snodi fondamentali dell´articolo 572 c.p. ribadendo certi punti fermi, ma discostandosi da altri. In particolare, ci riferiamo al tempus commissi delicti e ai presupposti per poter applicare una disciplina più sfavorevole ad una determinata condotta realizzata in parte prima di una riforma in pejus ed in parte successivamente alla stessa.
The Court of Cassation expresses its views on the Al tempus Commissi delicti nei maltreatments against family members and cohabitees
This judgment note analyses the ruling of the Court of Cassation, section VI, no. 28218 of 24/01/2023 (dep. 28/06/2023). The Ermellini, in this case, have retraced some fundamental points of Article 572 of the criminal code, reaffirming certain fixed points, but departing from others. In particular, we refer to the tempus commissi delicti and the prerequisites for being able to apply a more unfavourable discipline to a certain conduct carried out partly before a reform in pejus and partly after the same.Sommario: 1. Inquadramento generale del reato; 2. Il ricorso in Cassazione; 3. Le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione penale, sez. VI, con la sentenza n. 28218 del 24/01/2023 (dep. 28/06/2023); 4. Conclusioni.
1. Inquadramento generale del reato
L’articolo 572 del codice penale disciplinato al titolo XI («Dei delitti contro la famiglia»), capo IV («Dei delitti contro l'assistenza familiare») e rubricato «Maltrattamenti contro famigliari e conviventi», è una disposizione che nell’ultimo decennio ha subito notevoli modifiche rispetto alla sua formulazione originaria. Nello specifico, la L. n. 172/2012, in ratifica della Convenzione di Lanzarote del 2007, la L. n. 119/2013 e infine la L. n. 69/2019 (c.d. Codice rosso). Questi interventi legislativi, nel loro insieme, hanno radicalmente plasmato la configurazione di tale disposizione modificandone i presupposti, ampliando l’ambito oggettivo e soggettivo di applicabilità ed anche inasprendo notevolmente il trattamento sanzionatorio. La ratio di tale crescente tutela risiede nella volontà di offrire una tutela potenziata per le vittime di determinati condotte in un ambito particolare e delicato.[1] Dunque, risulta opportuno, per una piena comprensione della norma e delle sue annesse problematiche, analizzare brevemente gli aspetti principali della norma alla luce delle riforme poc’anzi citate.
Un primo aspetto che merita di essere specificato è il bene giuridico tutelato dalla disposizione in esame, poiché – almeno in passato – tale caratteristica è stata oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Una prima tesi, valorizzando la collocazione della norma nel codice penale (un argomento sistematico) ed in piena coerenza con l’impianto ideologico fascista, ha affermato che il bene giuridico tutelato in via esclusiva fosse la famiglia.[2]
Un secondo orientamento, ad oggi assolutamente dominante, afferma invece che l’articolo 572 c.p. sia un reato plurioffensivo in cui affiora in una posizione del tutto autonoma e non subordinata, affianco al bene della famiglia, anche quello dell’integrità psicofisica del soggetto passivo.[3] L’evoluzione appena descritta è risultata necessaria alla luce anche dell’emergere di quella categoria di famiglia c.d. di fatto e dal tentativo di estendere la tutela penale in situazioni in cui vi fosse un certo legame psicologico tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo (quest’ultimo debole rispetto al primo).
Fatta questa premessa circa il bene giuridico tutelato della disposizione, si precisa che si tratta di un reato proprio[4] nonostante la locuzione “chiunque”, e questo anche laddove la condotta sia posta in essere nei confronti di un infraquattordicenne.[5] Quest'ultima affermazione si fonda sul fatto per cui, a seguito della riforma del 2012, tale circostanza non configura più un carattere costitutivo di una fattispecie autonoma, bensì risulta essere solamente una aggravante.[6]
Circa l’elemento oggettivo del reato, dalla lettura della norma, si comprende come la locuzione centrale sia quella di “maltrattamenti”. Questa condotta potrebbe risultare a prima vista sfuggente, tuttavia essa si sostanzia nel creare un complesso di condotte capaci di creare sofferenze fisiche e/o morali a prescindere dal fatto che tali comportamenti costituiscano (se analizzati singolarmente) reati. Dalla rubrica stessa dell’articolo 572 c.p. possiamo trarre alcuni elementi fondamentali per la categorizzazione della presente fattispecie delittuosa. Per integrare i c.d. “maltrattamenti” è necessario che vengano posti in essere una pluralità di atti sia in forma attiva sia – per la tesi ad oggi dominante – in forma passiva.[7] In altri termini, occorre che vi sia una reiterazione della condotta protratta nel tempo e che assuma una certa “intensità”. Queste ultime considerazioni sono state oggetto di intensi dibattiti dottrinali e giurisprudenziale al fine di individuare la natura giuridica del presente reato.
Una prima teoria, qualificava i c.d. «Maltrattamenti contro famigliari e conviventi» come un reato permanente.[8] Una seconda impostazione propendeva per la qualifica di reato complesso.[9] Tuttavia, risulta condivisibile la terza e dominante teoria che qualifica l’articolo 572 c.p. come un reato abituale valorizzando proprio il carattere della continuità e ripetitività delle condotte.[10]
Per quanto concerne, invece, l’elemento soggettivo del reato, i maltrattamenti richiedono – secondo l’interpretazione maggioritaria – il dolo generico.[11] Tuttavia, laddove il soggetto attivo avesse perseguito lo scopo di correzione o disciplina utilizzando mezzi e strumenti astrattamente idonei al perseguimento del suddetto obiettivo, la condotta medesima integrerebbe il delitto previsto e punito dall’articolo 571 del codice penale.[12 Dunque, l’elemento soggettivo – interpretato come poc’anzi accennato – è dirimente per una corretta differenziazione tra la condotta di cui all’articolo 572 c.p. e quella all’articolo 571 c.p.
2. Il ricorso in Cassazione
Con la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. VI, n. 28218 del 24/01/2023 (dep. 28/06/2023), gli Ermellini sono tornati ad affrontare alcuni aspetti fondamentali riguardanti il reato di cui all’articolo 572 c.p. rubricato come «Maltrattamenti contro famigliari e conviventi».
All’imputato veniva contestato di aver commesso condotte abusive nei confronti dell’ex moglie per circa quattro anni, ossia nel periodo compreso tra il 2009 e il luglio del 2013. I giudici di primo e secondo grado avevano qualificato tali condotte ai sensi dell’articolo 572 c.p., ovvero «Maltrattamenti contro familiari e conviventi» e, di conseguenza, una volta dichiarata la responsabilità penale dello stesso, lo avevano condannato ad una pena calcolata in base alla legislazione vigente al momento della conclusione delle condotte maltrattanti (ovvero nel 2013). Tale decisione era una sfavorevole all’imputato, poiché la pena di cui all’articolo 572 c.p. è stata modificata dalla L. n. 172/2012 proprio a “cavallo” del periodo in cui le condotte maltrattanti si sarebbero realizzate.
L’imputato, dogliandosi della scelta dei giudici di merito, per il tramite del proprio difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado. Nel ricorso sosteneva, tra le altre cose[13], che i giudici di merito avevano erroneamente individuato il periodo di commissione del reato, evidenziando che solo una parte della condotta era stata commessa dopo la modifica legislativa sfavorevole menzionata in precedenza. Chiedeva, quindi, una sentenza di annullamento con rinvio.
3. Le questioni affrontate dalla Corte di Cassazione penale, sez. VI, con la sentenza n. 28218 del 24/01/2023 (dep. 28/06/2023)
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio di diritto che andava già consolidandosi da tempo in giurisprudenza, ma che tuttavia convive con una impostazione parzialmente diversa. La Suprema Corte incomincia il proprio ragionamento con una tripartizione: legge creatrice; legge abrogatrice; legge meramente modificativa. Nelle prime due ipotesi, ossia laddove si crei un “nuovo” reato in corrispondenza della realizzazione di una determinata condotta, ovvero nel caso in cui si abroghi la previsione che considerava come reato un certo comportamento, appare pacifica l’applicazione del principio dell’irretroattività della legge penale ai sensi dell’articolo 25 comma 2 della Costituzione e dell’articolo 2 commi 1 e 2 del codice penale. Tuttavia, risulta ben più complessa l’ipotesi della c.d. legge meramente modificativa. In altre parole, la questione di diritto è comprendere quali sono le conseguenze laddove, in presenza di un reato abituale, ossia durante il protrarsi dello stesso, intervenga una legge modificativa sfavorevole.
Un orientamento consolidato e ribadito in un obiter dicta da parte di una Sezioni Unite del 2018[14], ritiene applicabile la legge in vigore al tempo della consumazione del reato, quindi nel delitto ex articolo 572 c.p. (reato abituale[15]) tale momento sarebbe da identificare con la cessazione della condotta criminosa. In altri termini, laddove un segmento della condotta si realizzi successivamente alla modifica in pejus, ecco che l’intera condotta risulterebbe sanzionabile secondo la legge più sfavorevole, poiché tutte le condotte sarebbero inscindibilmente legate tra di loro. Una delle principali motivazioni che giustificherebbe questa prospettiva è quella secondo cui il soggetto sarebbe posto nella condizione di desistere dal proprio comportamento durante il periodo di vacatio legis. Tale orientamento è generalmente condivisibile nella sua impostazione generale, tuttavia vi sono delle ipotesi in cui potrebbero sorgere delle problematiche. Invero, accogliendo pienamente tale teoria, si dovrebbe applicare la legge sfavorevole (e modificativa) anche laddove, successivamente all’entrata in vigore della stessa, si commetta una sola azione e/o omissione pur non essendo questa autonomamente capace di integrare la condotta delittuosa.
Purtuttavia, l’orientamento fatto proprio da parte della sentenza oggetto del presente commento è parzialmente diverso. Ovvero, se un reato abituale subisce una modifica sfavorevole del trattamento sanzionatorio, il periodo di commissione dello stesso potrà essere radicato durante la vigenza della disciplina più severa, a condizione però che l’autore, dopo la modifica peggiorativa, compia nuovamente quella “serie minima” di condotte necessarie per integrare il reato. Dunque, la commissione di una singola condotta non è sufficiente per applicare un trattamento punitivo più severo all’intera condotta abituale compiuta in precedenza.[16]
Questo ha una ragione basilare, ovverosia, ed in altri termini, per poter applicare il trattamento più severo e “trascinare” anche le precedenti condotte che temporalmente sono avvenute nella vigenza della normativa più favorevole, risulta necessario che si “consumi” nuovamente il reato. Invero, come affermato dagli Ermellini, una sola condotta “irrilevante” non è idonea per sortire l’effetto di cui sopra.[17]
Ordunque, accogliendo il sesto motivo del ricorso e, conseguentemente, annullando con rinvio la sentenza impugnata, la Corte di Cassazione ricorda che nei reati abituali, come quello contestato di «Maltrattamenti contro familiari o conviventi», lo stesso può dirsi perfezionato solo quando viene compiuto «quell'atto che, unendosi ai precedenti, supera una determinata soglia di intensità di disvalore di azione e di evento, integrando il minimo essenziale per l'offesa all’interesse giuridicamente protetto». Dopo il momento di “perfezione” del reato, la condotta può continuare nel tempo se vengono commesse nuove azioni o omissioni, nonostante il raggiungimento del livello minimo rilevante di offesa. In questi casi, il reato abituale prosegue e si consuma definitivamente quando gli atti integrativi della condotta sono cessati definitivamente. La questione dell’individuazione del periodo di commissione del delitto in esame diventa quindi rilevante per tutti i reati caratterizzati dalla proiezione temporale della condotta e si collega al principio di irretroattività della legge penale.
Secondo la Corte di Cassazione, per radicare il periodo di commissione del reato, la condotta dell’autore deve costituire un «segmento autosufficiente», un quadro di vita che, considerato autonomamente, rientri nella fattispecie incriminatrice in discussione. Di conseguenza, nei reati abituali, se il minimo necessario per commettere il reato non può essere una singola manifestazione criminosa, una modifica legislativa sfavorevole può essere applicata all’intera condotta abituale solo se il soggetto compie segmenti di condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma sfavorevole sopravvenuta.
Al contrario, se viene commesso un segmento insignificante di “abitualità” o un singolo episodio sotto la vigenza della nuova legge, l’applicazione della nuova cornice sanzionatoria all’intera condotta realizzata costituirebbe una violazione del principio di irretroattività ex articolo 25 comma 2 della Costituzione ed ex articolo 2 del codice penale. In tali casi, l’unica porzione di condotta criminosa che può essere considerata tipica e che può radicare il periodo di commissione del reato è quella compiuta sotto la vigenza della legge precedente più favorevole.
Nella conclusione della propria argomentazione, il supremo Concesso ha richiamato anche la giurisprudenza della Corte Edu per indirizzare il giudice del rinvio nella sua decisione. La Cassazione ha rievocato l’insegnamento della Grande Camera, 27/01/2015, Rholena c. Repubblica Ceca. In tale pronuncia si è affermato che per verificare che non vi sia violazione del divieto di irretroattività della legge penale risulta necessario compiere una duplice verifica: in primis, controllare che quella condotta fosse già punibile ai sensi della normativa precedente ad una data riforma (nel caso in esame la risposta è positiva: la L. n. 172/2012 ha inasprito la pena di un reato già presente nel nostro ordinamento); in secundis, verificare se l’applicazione della norma più sfavorevole all’intero reato abituale non superi in quantità e qualità la pena che sarebbe risultata dall’applicazione, per ciascun segmento di condotta “rilevante”, della pena vigente al momento della consumazione delle stesse. Dunque, sommare la pena comminata secondo la norma ante riforma del 2012 e la pena applicabile per il segmento successivo alla stessa. In definitiva, nel caso in cui questa somma sia inferiore rispetto all’applicazione “pura” del trattamento più sfavorevole, laddove la pena applicata fosse quella di cui alla seconda ipotesi, vi sarebbe una lesione del principio dell’irretroattività. Questo principio risulta essere potente e ricco di potenziali risvolti. Invero, non è da escludere che possa nascere un vero e proprio contrasto giurisprudenziale. In tal caso sarà necessario un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.
La Cassazione – nella pronuncia oggetto del presente commento – rileva che i giudici di merito non hanno compiuto tale seconda parte del “sistema di controllo” enucleato dalla Corte Edu, perciò gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’imputato annullando con rinvio la sentenza impugnata.
4. Conclusioni
In conclusione, tale pronuncia della Suprema Corte di Cassazione si colloca in un segmento delicato della materia penale. Ovverosia, il tempus commissi delicti del reato di cui all’articolo 572 c.p. posto in relazione con il principio dell'irretroattività della legge penale sancito dall'articolo 25 comma 2 della Costituzione e dall'articolo 2 del codice penale. Il tema si è posto in relazione all'entrata in vigore della L. n. 172/2012 che ha inasprito il trattamento sanzionatorio dell'articolo 572 del codice penale. Nello specifico, il punto fondamentale riguardava la disciplina applicabile laddove una parte della condotta sia stata realizzata prima della riforma e un'altra parte sia stata posta in essere successivamente.
Con la recentissima sentenza oggetto del presente commento, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che si potrà applicare la disciplina più severa all’intera condotta (di un reato abituale) laddove, dopo l’entrata in vigore della legge più sfavorevole, il soggetto attivo realizzi un «segmento autosufficiente» della condotta criminosa. In altri termini, e citando gli Ermellini, al fine di applicare il trattamento sanzionatorio più severo all'intera condotta criminosa occorre che «il soggetto compia segmenti di condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma modificativa sfavorevole sopravvenuta». Viceversa, nel caso in cui non vi fosse questa “caratteristica”, si giunge ad escludere questa soluzione prediligendo l'applicazione della normativa più favorevole. Tale principio si discosta parzialmente dall’orientamento precedente, dunque non è possibile escludere in questa sede un futuro intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione per sciogliere i crescenti dubbi degli interpreti.
1] Per un’ampia prospettiva sull’evoluzione normativa dell’articolo 572 c.p., si veda A. Roiati, La fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi tra interventi di riforma, incertezze interpretative e prospettive de iure condendo, in Sistema Penale, 2023.
[2] V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol. VII, Milano, 1984, 926. Nello stesso senso, A. M. Colacci, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, Napoli, 1963, 25
[3] Vedi G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale – Parte speciale, I delitti contro la persona, Vol. II, Bologna, 2020, 471-472 e R. Garofoli, Manuale di diritto penale – Parte speciale, Tomo II, Roma, 2013, 312-313. Si veda altresì S. Aleo, Istituzioni di diritto penale – Parte speciale, Vol. II, Milano, 2021, 33-34. In modo parzialmente difforme da questa dottrina, alcuni autori vorrebbero individuare il bene giuridico tutelato nella personalità dell’individuo valorizzando il carattere reiterato delle condotte maltrattanti. Si veda, per esempio, F. Antolisei, Manuale di diritto penale – Parte speciale, Vol. I, Milano, 2022, 757.
[4] Vedi per tutti S. Aleo, Istituzioni di diritto penale – Parte speciale, cit., 33-34; R. Bartoli, M. Pelissero e S. Seminara, Diritto penale – Lineamenti di parte speciale, Torino, 2021, 112 ed E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, Milano, 2021, 742.
[5] Prima della riforma del 2012, laddove il soggetto passivo fosse un minore di anni quattordici, si riteneva che il soggetto attivo della condotta potesse essere “chiunque” essendo tale reato uno comune. Si veda per tale qualifica ante riforma G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale – Parte speciale, I delitti contro la persona, cit., 473.
[6] T. Padovani, Codice penale – tomo II, Milano, 2019, 3605-3608 ed E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, cit., 742-744.
[7] Vedi S. Aleo, Istituzioni di diritto penale – Parte speciale, cit., 36 e F. Antolisei, Manuale di diritto penale – Parte speciale, cit., 757. Conforme la giurisprudenza. Si veda, sul punto, Cass. pen., sez. VI, n. 4332 del 14/12/2014 e Cass. pen., sez. VI, n. 9724 del 17/01/2013 (dep. 28/02/2013).
[8] Vedi F. Mantovani, Riflessioni sul reato di maltrattamenti in famiglia, in Studi in onore di Francesco Antolisei, Vol. II, Milano, 1965, 246, oppure V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol. VII, cit., 929.
[9] Si veda V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Vol. VII, cit., 928.
[10] Vedi in dottrina, tra i tanti, S. Aleo, Istituzioni di diritto penale – Parte speciale, cit., 36; F. Antolisei, Manuale di diritto penale – Parte speciale, cit., 759; G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale – Parte speciale, I delitti contro la persona, cit., 473-474; R. Garofoli, Manuale di diritto penale – Parte speciale, cit., 315-316 e R. Bartoli, M. Pelissero e S. Seminara, Diritto penale – Lineamenti di parte speciale, cit., 113. Per una panoramica di più ampio respiro, si veda E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, cit., 745-746 e T. Padovani, Codice penale – tomo II, cit., 3608-3609. Per la giurisprudenza, si veda Cass. pen., sez. VI, n. 56961 del 19/10/2017 (dep. 20/12/2017) e Cass. pen., sez. fer., n. 36132 del 13/08/2019.
[11] Così in dottrina, tra i tanti, F. Antolisei, Manuale di diritto penale – Parte speciale, cit., 760-761; G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale – Parte speciale, I delitti contro la persona, cit., 474; R. Bartoli, M. Pelissero e S. Seminara, Diritto penale – Lineamenti di parte speciale, cit., 113; E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, cit., 748 e T. Padovani, Codice penale – tomo II, cit., 3610-3611. In giurisprudenza, si veda Cass. pen., sez. I, n. 13013 del 28/01/2020 (dep. 27/04/2020), Rv. 279326 – 01; Cass. pen., sez. VI, n. 25183 del 19/06/2012 (dep. 25/06/2012), Rv. 253042 – 01 e Cass. pen., sez. VI, n. 27048 del 18/03/2008 (dep. 03/07/2008). Un minoritario e risalente indirizzo, invece, richiedeva un dolo specifico – si veda Cass. pen., sez. VI, n. 6541 del 11/12/2003 (dep. 17/02/2004), Rv. 228276 – 01.
[12] Inizialmente la giurisprudenza osservava e valorizzava solamente l’intenzione dell’agente per la distinzione tra l’articolo 571 c.p. e l’articolo 572 c.p. Tuttavia, più di recente e condivisibilmente, si è dato maggiore rilievo al “mezzo-strumento” utilizzato. In questa prospettiva si è limitata l’applicazione dell’articolo 571 c.p. in favore della più grave disposizione relativa al delitto di «Maltrattamenti contro famigliari e conviventi». Sul punto, si veda E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, cit., 751-752. Si veda altresì Cass. pen., sez. VI, n. 45467 del 23/11/2010 (dep. 27/12/2010), Rv. 249216 – 01.
[13] Il ricorso era articolato in sei punti. I punti 1, 2, 3, 4 sono stati dichiarati inammissibili, mentre il numero 6 è stato accolto dalla Suprema Corte nei limiti della motivazione (il punto 5 è stato ritenuto assorbito). Riportiamo il breve i motivi delle decisioni della Corte circa i punti “respinti” del ricorso: il punto n. 1 è stato giudicato eccessivamente generico; il punto n. 2 è stato ritenuto manifestamente infondato; il punto n. 3 è stato valutato come sia generico sia manifestamente infondato; il punto n. 4, invece, è stato ritenuto non fondato.
[14] Vedi Cass., sez. un., n. 40986 del 19/07/2018 (dep. 24/09/2018), Rv. 273934 – 01. Riporto la massima di seguito: «In tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta». Conforme in tempi ancora più recenti anche Cass., pen., sez. VI, n. 24710 del 31/03/2021 (dep. 24/06/2021), Rv. 281528 – 01.
[15] Dunque, da considerarsi come unitario, non frazionabile e/o scomponibile.
[16] Conferma tale orientamento sul tema del tempus commissi delicti, seppur affrontando l’affine tema dell’aggravante di cui al comma 2 dell’articolo 572 c.p., la Cass. pen., sez. VI, n. 19832 del 06/04/2022 (dep. 19/05/2022), Rv. 283162 – 01. L’altro orientamento che si scontra con la sentenza oggetto del presente commento è uno che valorizza, al fine di applicare la normativa più sfavorevole all’intero “reato abituale”, anche una sola condotta pur non essendo “da sola” capace di integrare il reato. Così Cass. pen., sez. V, n. 8026 del 14/12/2016, Manzini, Rv. 269451 e, in tema di maltrattamenti in famiglia, Cass. pen., sez. VI, n. 2979 del 03/12/2020 (dep. 25/01/2021), Rv. 280590 – 01.
[17] Lo stesso tentativo del reato ex articolo 572 c.p. risulta non configurabile, per l’opinione maggioritaria, poiché le singole condotte, se considerate atomisticamente, non rilevano per la disposizione in esame. Questi comportamenti “isolati” potrebbero al più integrare altre disposizioni penali – ad esempio, le percosse ai sensi dell’articolo 581 c.p. laddove si potesse sussumere la condotta singola in tale articolo. Invero, non si rinvengono applicazione giurisprudenziale dell’articolo 56 c.p. in relazione all’articolo 572 c.p. In tal senso, R. Bartoli, M. Pelissero e S. Seminara, Diritto penale – Lineamenti di parte speciale, cit., 114 ed E. Dolcini e G. Marinucci, Codice penale commentato – tomo III, cit., 749. Contra, S. Aleo, Istituzioni di diritto penale – Parte speciale, Vol. II, cit., 37.