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Pubbl. Ven, 21 Lug 2023

Il ”duty of care” nel common law inglese. Lezioni di diritto del lavoro di Oltremanica

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Pierre De Gioia Carabellese
Professore OrdinarioNessuna



Il diritto del lavoro britannico, rispetto a quello italiano, si caratterizza per una definizione puramente contrattuale, invece che normativa, dei doveri che discendono dal contratto di lavoro dipendente. Nell´ambito degli obblighi che datore di lavoro e lavoratore si devono reciprocamente, il presente lavoro si concentra su quello di diligenza, ”duty of care”, dovuto dal datore di lavoro al lavoratore. Il ”duty of care” è pertanto esaminato nelle sue diverse sfaccettature, ma anche nella sua evoluzione storica, dalla ”working time regulation” al Covid, e all´approccio britannico alla pandemia.


ENG

The Duty of Care under English Common Law. Employment Law Lectures from Across the Channel

British employment law, in comparison with the Italian counterpart, is based on a definition of the contract of service duties, which is more contractual than legislative. Within the general duties that employer and employee owe each other within the employment contract, these paper focuses on the duty of care, stereotypically vis-a-vis the employee. As a result, this specific duty is discussed and analysed from its different perspectives, as well as thorugh the lenses of the historical evolution, from the working time regulation to the Covid. As regards the latter topic, the peculiar British approach to the pandemic is debated in this paper.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il duty of care nei dicta tradizionali; 3.  Le difese del datore di lavoro in tema di responsabilità oggettiva, o strict liability; 4.  La legislazione sulla sicurezza: Health and Safety at Work Act 1974; 5. Duty of care nel luogi di lavoro e Covid 19 nel Regno Unito; 6. I doveri del lavoratore nel Regno Unito e la “Working Time Regulation”; 7. Conclusioni.  

1. Introduzione

I duties connessi al rapporto di lavoro di dipendente, quello che conferisce lo status di employee, appunto di lavoro dipendente, assumono caratteristiche diverse nel contesto del common law inglese, rispetto al diritto italiano. In questo, ove il rapporto di lavoro è stato ormai catapultano in una sfera pubblicistico normativa, sono i contratti collettivi a definire natura delle prestazioni, e caratteristiche del rapporto. Nel common law inglese, per contro, e nella legislazione britannica, data la centralità del contratto di lavoro, e della sua stretta connessione con il contract law, il diritto dei contratti, i doveri che vengono a formarsi per effetto della giurisprudenza costituiscono il fulcro centrale della intera disciplina.

Sulla scorta di tali premesse, il presente scritto si concentra principalmente sul dovere, principalmente dovuto dal datore di lavoro al dipendente, costituito dall’obbligo di cura e salute, non solo fisica, nel luogo di lavoro. L’obbligo in parola viene esaminato alla luce del fatto che la disciplina, inizialmente di solo common law, in quanto basata esclusivamente sui precedenti, si è andata evolvendo, per divenire in parte anche legislativa, per effetto della legge Health and Safety Act 1974. Con la relativamente recente pandemia, poi, la sede materiae si è andata evolvendo ulteriormente, non tanto nel senso che vi è stata una spinta ulteriore verso la legislazione, come avvenuto in Italia, quanto piuttosto nel ritorno in auge, preponderante, della giurisprudenza e dei suoi dicta: dicta che non si rinuncia ad esaminare nel presente lavoro.   

Prima di entrare nel merito della disamina, occorre anticipare che i doveri di natura implicita, che sono connessi al rapporto di lavoro, riguardano solo il contract of service, dunque il rapporto di lavoro dipendente, e non il contract for services, né il worker’s contract[1]. Questi doveri sono in alcuni casi quelli dovuti dal lavoratore al datore di lavoro. Uno di questi è il dovere di obedience and respect.

In altri casi i doveri sono quelli esclusivamente dovuti dal datore di lavoro al lavoratore, fra cui quello di esercitare cura e piu’ in generale di health and safety sul luogo di lavoro, di cui al presente lavoro. Nel discorrere di doveri dovuti dal datore di lavoro al lavoratore non si può dimenticare quello, ben esistente negli ordinamenti di civil law, di fornire lavoro. Ebbene, nel common law inglese, storicamente, non vi è un generale dovere di questa tipologia (duty to provide work). Come enfatizzato in dottrina[2], “The general rule has long been that the employer need not provide actual work to do so long as he continues to pay wages”. Come anticipato decenni prima dalla giurisprudenza (Turner v Swadon)[3], il principio generale è che l’interesse del dipendente alla relazione di lavoro non si estende oltre il pagamento del salario[4]. È anche vero che questa assenza di un dovere del datore di lavoro di pagare il dipendente ha vieppiu’ beneficiato di alcune eccezioni. Ad esempio, in William Hill Organisation Limited v Tucker[5], fu statuito che vi è un obbligo del datore di lavoro di far lavorare un dipendente, ove ciò sia necessario al fine di mantenere o sviluppare livelli di competenze chiave.  In Breach v Epsylon Industries Ltd[6], fu invece statuito che il dipendente ha un Diritto a lavorare effettivamente, al fine di mantenere aggiornate una serie di competenze, in connessione con lo sviluppo dell’industria, del commercio o del business dove lavora il dipendente. In Devonald v Rosser & Sons[7], il diritto del dipendente a riceve lavoro e dunque a lavorare fu inferito dal fatto che negli accordi intercorsi era concordato espressamente che sarebbe stato dato un certo ammontare di lavoro. In Herbert Clayton & Jack Waller Ltd v Oliver[8], fu statuito che l’obbligo del datore di lavoro di fornire lavoro al dipendente avrebbe potuto essere inferito dal fatto che, in difetto, ne sarebbe risultata una perdita di reputazione o nella cattiva pubblicità del dipendente.

Vi è poi una terza categoria di doveri che sono reciproci, in quanto sono sia dovuti dal datore di lavoro al lavoratore, sia dall’employee all’employer.

2. Il duty of care nei dicta tradizionali

La sicurezza sul luogo di lavoro costituisce uno dei doveri che sono dovuti dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore nel common law inglese e, più in generale, nella legislazione britannica.

Prima ancora di far parte dello statute, ossia nella legislazione, il duty of care è stato elaborato a livello giurisprudenziale. Il duty to exercise care, ossia il dovere di avere cura del lavoratore, è stato stabilito inizialmente da Wilsons & Clyde Coal Co. Ltd v English[9]. In questo decisum, un dipendente fu ucciso quale conseguenza di un incidente sul lavoro. Il datore di lavoro provò ad affermare che il dovere di prestare un sistema sicuro di lavoro era stato delegato a soggetti terzi, un service provider, dunque, non vi era responsabilità diretta del datore di lavoro. Tuttavia, la House of Lords statuì che il dovere implicito di sicurezza dovuto dal datore di lavoro al prestatore era “personale” del datore di lavoro, dunque non avrebbe potuto formare oggetto di delega. Il duty to exercise care è stato poi ribadito da una serie di dicta: Lister v Romford Ice & Cold Storage Co[10].

Al fine di determinare la responsabilità del datore di lavoro, il quale può essere chiamato a rispondere per colpa (negligence), viene utilizzato un testo che è simile a quello adottato nel diritto penale, ossia «to establish reasonebless». Tutto dipende, infatti, dai fatti che si sono realizzati nel caso concreto. Di centrale importanza divengono, più precisamente, due valutazioni:

  • Se il rischio di verificazione dell’infortunio fosse prevedibile o meno.
  • Se l’attività posta in essere dal datore di lavoro possa essere qualificata come adeguata se rapportata alla probabilità di riduzione dell’evento dannoso.

Ai fini della prova, l’attore (claimant) deve dimostrare questi tre differenti aspetti:

  • Che il datore di lavoro fosse destinatario di un duty of care nei confronti del lavoratore.
  • Che la condotta propria del datore di lavoro abbia determinato una violazione di questo dovere.
  • Che il danno realizzatosi sia il risultato della condotta appena descritta del datore di lavoro.

Lo standard di giudizio che deve essere utilizzato dal Giudice è rapportato a un canone di prudente comportamento: la condotta da assumere quale confronto è quella di un datore di lavoro “ordinario e prudente” rapportabile alla situazione concreta[11]. Più precisamente, il Giudice deve calarsi nella posizione del datore del lavoro e, da un punto di vista temporale, in un momento antecedente all’incidente proprio per verificare che cosa egli avrebbe potuto ragionevolmente fare nella circostanza che realmente si è verificata. L’elemento di massima importanza è dato dall’applicazione del criterio della ragionevole previsione (reasonable foreseeability): se l’infortunio non poteva essere ragionevolmente prevedibile, il datore di lavoro non sarà ritenuto negligent.

Grazie all’evoluzione tecnologica, il duty to exercise care si è andato evolvendo quale duty to provide a safe system of work, ossia un dovere di fornire un sistema sicuro sul luogo di lavoro. Questo “nuovo” dovere prende le mosse, anche, dalla considerazione secondo cui molti “leading cases” che hanno riconosciuto una responsabilità in capo al datore di lavoro per negligence sono correlati alla salubrità del luogo in cui i lavoratori eseguono la prestazione lavorativa o, in alternativa, alla necessità che indossino determinati meccanismi di protezione. 

Per quanto concerne i precedenti, si può fare riferimento a Lane v Shire Roofing Co (Oxford) Ltd[12]. Fra gli ulteriori casi che si possono segnalare, vi è British Aircraft Corp Ltd v Austin[13], in cui la compagnia aerea British Airways fu condannata per non aver fornito una adeguata protezione degli occhi al pilota, che aveva subito dei danni agli occhi. In Pagano v HGS[14], un datore di lavoro fu condannato per aver fornito al dipendente veicoli non sicuri, da cui poi era conseguito un danno da incidente.  In Graham Oxley Tool Steels Ltd v Firth[15], il dovere di fornire un sistema sicuro al lavoro fu violato in quanto il datore di lavoro non fece quanto richiesto per implementare sul luogo di lavoro un sistema adeguato a gestire reclami di molestie sessuali.

Nel dovere di fornire un sistema di lavoro sicuro, vi è stato anche quello connesso alla possibilità o meno di fumare nei locali. In un’epoca in cui il divieto di fumo nei locali pubblici non era ancora sancito, fu affermato che il datore di lavoro doveva essere condannato per inadempienza nel gestire all’interno del luogo di lavoro la tematica di locali troppo fumosi[16].

Sempre connesso al dovere di fornire un sistema sicuro di lavoro, ma in relazione al tema delle Working Time Regulations, vi è il caso Johnstone v Bloomsbury Health Authority[17].Nell’Unione Europea, e anche in UK quando ne faceva parte, si applica una normativa che impone al datore di lavoro di non far lavorare per più di 48 ora in media, per settimana, il dipendente. Il parametro di riferimento, tuttavia, non è costituito da ogni settimana, ma da diciassette settimane. In altre parole, un lavoratore, pur eccedendo le 48 ore in una settimana, lavorando anche 100 ore, deve comunque essere messo in condizione di “recuperare”, nell’arco delle 17 settimane, lavorando meno. Ciò che è importante è rispettare la media delle 48 ore nel corso delle 17 settimane. Sulla base di queste premesse, un dipendente impiegato quale junior doctor in un ospedale, aveva nel suo contratto una clausola secondo cui le sue ore standard di lavoro dovevano essere 40. Tuttavia, vi era anche una clausola che consentiva al datore di lavoro di chiamarlo per lavorare. Il dottore finì con il lavorare per più di cento ore per settimana, e subì stress e depressione. Fu statuito dalla giudice che vi è era certamente un dovere di esercitare una ragionevole cura (duty of care) verso il lavoratore. Tale potere doveva ritenersi prevalente rispetto all’opzione, pure sancita nel contratto di lavoro di chiamare il lavoratore per una emergenza, oltre l’orario normale di lavoro, addirittura facendolo lavorare per almeno 100 ore alla settimana.

In Lassey v Salterville Nursing Home[18], fu sancito che vi è un dovere implicito di fornire un adeguato materiale per il dipendente e che in questo caso era stato violato. L’infermiera necessitava, per la cura dei pazienti nella casa di cura, di materiale adeguato, fra cui la lavanderia per il bucato e sufficienti grucce, per assicurarsi che i cateteri non giacessero sul pavimento. Il breach, la violazione delle clausole contrattuali, era sufficiente a consentire al dipendente di rassegnare, reclamando la constructive dismissal, le dimissioni con giusta causa.

In pochi casi, è stato sancito che il dovere di cura del datore di lavoro si estende anche alla cura di tipo economico e finanziario del lavoratore. In Lennon v Commissioner of Police of the Metropolis[19], il datore di lavoro non fornì adeguata informativa all’attore, Mr. Lennon, circa il suo diritto ai benefici connessi al fatto che poteva essere trasferito ad un’altra forza (era un “militare” che lavorava nella polizia metropolitana). Il lavoratore fu fuorviato da membri dello staff, secondo le statuizioni della Tribunale, che lo avevano portato a ritenere che tutti gli accordi per i benefici e per la richiesta degli stessi fossero lasciati al datore di lavoro. Il datore di lavoro fu ritenuto responsabile, in quanto aveva violato il dovere «di dare adeguate informazioni su come il permesso potesse essere preso in modo tale da non rompere la continuità di servizio e dunque pregiudicare il diritto a un permesso»[20].

3. Le difese del datore di lavoro in tema di responsabilità oggettiva, o strict liability

Da una prospettiva strettamente processuale, il datore di lavoro può sfruttare sei argomenti di difesa. Un primo è quello del «contributory fault»: il datore di lavoro ha predisposto dei meccanismi per andare esente da un rimprovero di colpa (negligence) ma l’infortunio del lavoratore dipende, anche se in parte, da un suo comportamento incauto, imprudente, temerario[21].

Una seconda difesa concerne la volontaria assunzione del rischio da parte del lavoratore. Si tratta di un argomento che non spesso viene accolto dalla Corte poiché, ai fini dell’accoglimento, è necessario che ricorrano delle condizioni precise. Più precisamente, non è sufficiente, sebbene sia necessario, che il lavoratore fosse a conoscenza del rischio e che lo abbia assunto volontariamente poiché alla base di questa decisione potrebbe esservi la paura di essere licenziato.

A contrario, dunque, può essere vittoriosamente prospettata la difesa della volontaria assunzione del rischio se il datore di lavoro riesce a dimostrare quanto segue: che il lavoratore fosse completamente a conoscenza del rischio che si assumeva; che al lavoratore fosse stata fornita non solo una completa formazione ma altresì che avesse a disposizione tutta l’attrezzatura necessaria; che nei confronti del lavoratore venisse svolta una adeguata attività di supervisione e sorveglianza; che nonostante il ricorrere dei precedenti punti egli abbia deciso di assumersi il rischio.

Una terza possibilità per il datore di lavoro di difendersi è di dimostrare che l’infortunio si sia verificato in una occasione estranea al lavoro o nello svolgimento di un altro lavoro ma che è peggiorato durante l’esecuzione della prestazione lavorativa.

Ulteriore difesa attiene alla verificazione di un evento altamente imprevedibile («unforeseeable such as Acts of God») come, ad esempio, il fatto che un lavoratore venga fulminato oppure che perda la vita a causa di un attacco terroristico.

Una quinta difesa attiene al decorso dei termini per azionare vittoriosamente la pretesa risarcitoria. Qualora il lavoratore o i suoi famigliari agiscano in giudizio dopo tre anni dall’evento lesioni personali o morte, rispettivamente, il datore di lavoro può opporre il decorso del termine richiesto dalla legge per proporre azione.

Infine, il datore di lavoro può giustificarsi sulla base del fatto che l’infortunio sia avvenuto per condotte o eventi che si sono realizzate al di fuori del “corso del lavoro”[22].  Si tratta di una difesa che fa riferimento a due situazioni differenti. Nel primo caso, l’infortunio del lavoratore è stato determinato dal porre in essere un atto, un comportamento o un’attività che è al di fuori dello svolgimento dell’attività lavorativa per la quale era stato assunto. Nel secondo caso, un lavoratore subisce un infortunio, imputabile a un altro lavoratore, a causa di un atto, di un comportamento o di una attività non inerente ai doveri discendenti dal rapporto di lavoro[23].

4. La legislazione sulla sicurezza: Health and Safety at Work Act 1974

In generale, il Regno Unito, sin dal 1974, si è dotato di uno strumento legislativo in tema di sicurezza del lavoro, il Health and Safety at Work etc Act 1974, il quale costituisce tuttora la fonte primaria che copre la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, la health and safety. Fra i doveri che in generale sono sanciti da tale legge, vi sono i doveri dei datori di lavoro verso gli employees (i lavoratori dipendenti) e membri del pubblico in generale, i doveri dei dipendenti l’un l’altro, i doveri che talune categorie di lavoratori autonomi/imprenditori hanno verso gli altri, in limitate circostanza. 

I doveri del datore di lavoro sono disciplinati dalla Section 2(2), e prevedono, precisamente:

«(a) la fornitura e manutenzione di impianti e sistemi di lavoro che sono, per quanto ragionevolmente praticabile, sicuri e senza rischi alla salute;

(b) accordi finalizzati ad assicurare che, per quanto ragionevolmente praticabile, la sicurezza e l’assenza di rischi alla salute in connessione con l’uso, la gestione e il trasporto di articoli e le sostanze;

(c) la fornitura di tali informazioni, istruzioni, addestramento, e controllo necessari ad assicurare, per quanto ragionevolmente praticabile, la salute e la sicurezza al lavoro dei sui dipendenti;

(d) per quanto ragionevolmente praticabile in relazione ad ogni posto di lavoro sotto il controllo del datore di lavoro, la manutenzione dello stesso in condizioni che sia sicuro e senza rischi alla salute e la fornitura e manutenzione degli strumenti di accesso e uscita dallo stesso siano sicuri e senza tali rischi;

(e) la previsione e manutenzione di un ambiente di lavoro per i suoi dipendenti che sia, per quanto ragionevolmente possibile, sicuro, senza rischi alla salute, e adeguato quanto a strutture e accordi per il loro benessere ambientale sul lavoro».[24]

Tra i doveri del datore di lavoro vi è, più in generale, il dovere di ogni datore di lavoro di assicurare[25], per quanto praticabile, la salute, la sicurezza e il benessere al lavoro dei propri lavoratori (letteralmente «the health, safety and welfare at work of all his employees»).

5. Duty of care nei luoghi di lavoro e Covid-19 nel Regno Unito

È da notare che anche nel Regno Unito il Covid-19 ha avuto il suo impatto sul rapporto di lavoro e sulla sicurezza dovuta dal datore di lavoro al lavoratore. In quello che si chiamava, già prima della pandemia, e si chiama tuttora home working o distance working, il datore di lavoro già consentiva, a talune categorie di lavoratori di lavorare a distanza[26]. È bene notare che questo diritto non discende solitamente da una legge, ma dalla ragionevolezza che, in relazione alle mansioni espletate dal lavoratore, i relativi obblighi possano essere adempiuti anche a distanza.

Solitamente, il datore di lavoro, nel consentire il home working, prevede che il lavoratore esegua un self-training, una auto-addestramento, che lo aiuti a capire le relative modalità e pericoli. I datori di lavoro britannici mettono a disposizione della documentazione di addestramento (solitamente materiale video che il lavoratore deve vedere, come fosse una lezione di addestramento). Una tale documentazione da un lavoro serve ad addestrare il lavoratore, e questa rappresenta la finalità primaria. Dall’altra, il “training”, con la prova che il lavoratore lo abbia affettivamente svolto, costituisce una forma di esonero di responsabilità del datore di lavoro rispetto a danni che siano cagionati al lavoratore, nel corso del suo lavoro a distanza. In altre parole, avendo il datore di lavoro addestrato il lavoratore, il danno che dovesse essere cagionato durante il lavoro a distanza rientra in ciò che è imprevedibile, dunque non scaturirà alcuna responsabilità a danno del datore di lavoro.

Fra le diverse caratteristiche di questo addestramento, vi sono solitamente video informativi, che domande e risposte finali, in cui il lavoratore deve apprendere delle corrette posture da avere davanti al video, della corretta poltrona da utilizzare nel proprio ufficio casalingo. Dunque, grazie a questa informativa, il datore di lavoro è esentato da responsabilità, se dimostra che ha fatto quanto possibile per informare il lavoratore circa i rischi del lavoro domestico. Il self-training, fra cui un video di 60 minuti, con domande finali, è fra quelle attività che un giudice del lavoro britannico, Employment Tribunal, riterrebbe adeguato. 

Con la pandemia il lavoro era diventato, per un periodo limitato, unica modalità legale di prestazione del lavoro, con l’unica eccezione per i key workers, lavoratori che prestavano lavori ritenuti essenziali, e per i quali fosse necessaria una prestazione secondo modalità tradizionali, fuori dall’ambiente domestico[27].

È da sottolineare che la normativa britannica in tema di Covid ha avuto anche alcuni “legal challenges”, azioni legali volte a metterne in dubbio la legalità, particolarmente in tema di rispetto della rule of law. In un caso, Regina (Francis) v Secretary of State for Health and Social Care, il Signor Frances agì giudizialmente nei confronti del ministro della salute, il Secretary of State for Health and Social Care, in merito alle normative Covid che prevedeva che, una volta che una persona veniva ad essere testato positivo al Covid, dovesse auto-isolarsi. L’attore chiese una judicial review, una revisione della legalità di questa normativa, in merito a questo specifico obbligo. Il Governo, chiamato a difendersi, evidenziò che il testo legislativo, nel chiedere “una restrizione speciale [alla libertà] con richiesta per una persona [ritenuta positiva al Covid] di essere tenuta, rispettivamente, o in auto-isolamento ovvero in quarantena in un luogo adatto”[28] (“a suitable establishment”), era legale, in quanto il luogo dove essere confinati non impediva il movimento, come in una prigione, ma lo sottoponeva ad alcuni limiti. La Corte adita diede ragione al defendant, al Governo convenuto. In aggiunta a ciò, il giudizio riguardò anche l’assenza, nell’obbligo ad autoisolarsi, di un’auto isolarsi ordine dell’autorità’ giudiziaria; le restrizioni erano imposte infatti, durante la health emergency, da una persona autorizzata, o “authorised person”.[29] Anche questa censura fu rigettata con argomentazioni simili alla prima.

In generale, tutti gli attacchi alle leggi che avevano disposto l’obbligo di stare a casa, e dunque di lavorare nel contesto domestico, sono stati rigettati. D’altro canto, finito ora il lockdown, la prestazione lavorativa torna ad essere quella tradizionale, con ampie eccezioni all’obbligo di svolgerla in ufficio ovvero nel tradizionale luogo di lavoro. Ancora, le eccezioni non discendono dalla legge, ma dagli accordi esistenti fra datore di lavoro e i lavoratori, sia a livello di collective agreement, di contratto collettivo, che di contratto individuale, contract of employment.   

6. I doveri del lavoratore nel Regno Unito e la "Working Time Regulation

Va anche tenuto in considerazione che si frappone solitamente, almeno nella manualistica e nella dottrina britannica, ai doveri dovuti dal datore di lavoro al lavoratore, anche la disciplina normativa, di marca UE, del Regolamento sul tempo di lavoro, o Working Time Regulation. Piu’ precisamente, la Working Time Directive 93/104 e la Young Workers Directive 94/33 ormai da quasi trent’anni costituiscono un pilastro del diritto del lavoro dell’Unione Europea. La implementazione di questa Direttiva (la quale avrebbe dovuto essere implementata in Gran Bretagna entro il 23 dicembre 1996) non fu approvata inizialmente in UK, stante la riluttanza del Governo britannico ai principi della stessa. Lo stratagemma del Governo britannico, o meglio il tentativo di elusione, ad essere meno diplomatici, era che la Direttiva in parola concerneva il diritto del lavoro.  Alla luce di ciò, occorreva l’approvazione unanime degli Stati membri, e il Regno Unito non aveva appunto concesso questa approvazione. Tuttavia, come noto anche in Italia e alla sua dottrina, la Direttiva fu poi approvata sulla base di “health and safety grounds”, ai sensi di ciò vi è ora l’art. 153 del trattato per il funzionamento dell’Unione Europea. Come noto, in tema di health and safety, non è necessaria l’unanimità, essendo sufficiente la maggioranza.

Nel giudizio dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, fu statuito (European Commission v Britain (C-84/94)) che la Working Time Directive atteneva a salute e sicurezza, non a tematica di diritto del lavoro, dunque la maggioranza degli Stati Membri, anche senza il Regno Unito, era sufficiente. Dunque, il Regno Unito era tenuto a osservare la Direttiva, anche se lo stesso Paese non la aveva approvata.

Non è questa la sede per fare una disamina dei principi della Working Time Directive. Piuttosto se ne vogliono evidenziare le tematiche da una prospettiva, inedita, di Oltremanica. È noto che ciascun lavoratore non può lavorare per piu’ di 48 ore per settimana, essendo la base di calcolo un periodo di 17 settimane, non ogni settimana. La sua applicazione, anche nel Regno Unito, riguarda dipendente e lavoratori, dunque anche lavoratori autonomi, con lacune eccezioni previste dalla Sect. 19), fra queste: forze di polizia e dell’esercito; personale mobile dell’aviazione di cui alla Direttiva 2000/79; personale di mare coperto dalla Direttiva 99/63.

Tuttavia, la Direttiva 2000/34 supera la due Direttive del 1999 e del 2000, sicché definisce un articolato unico che ricomprende le precedenti direttive ma che si raccorda con quelle immediatamente successiva: la Direttiva 2002/15, sui lavoratori che svolgono trasporto mobile su strada. La Direttiva 2003/88 abolisce poi tutte le precedenti Direttive e riorganizza la materia in modo organico, in tema di working time, per tutte le tipologie di lavoratore.

La direttiva sul tempo di lavoro, malgrado la dipartite dall’Unione Europea, continua a trovare applicazione nel Regno Unito, in quanto, a partire dal 30 gennaio, è divenuta normative nazionale, rientrante nella piena sovranità del Regno Unito. Questo, in alter parole, sta ad indicare che il Parlamento britannico potrebbe abrogarla, senza incorrere in alcuna sanzione da parte di Bruxelles.

Merita ricordare che il tempo di lavoro o working time, viene definito, nell’accezione di Oltremanica, quale “any period during which the worker is working at the employer’s disposal and carrying out his activity or duty, any period during which the worker is receiving relevant training” e “any additional period which is to be treated as working time ...under a relevant agreement”.

In Gran Bretagna, allorquando la stessa era parte dell’Unione Europea, hanno avuto forte eco i casi problematici di cui ai dicta delle Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Fra queste, in merito ai lavoratori a chiamata, o “on call” workers, quella di Sindicato de Medicos de Asistencia Publica v Conselleria de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana [30]. In questa, come noto, il tempo in cui i dottori, inclusi gli junior doctors, sono a disposizione del datore di lavoro, in casa propria, ma comunque con obbligo di essere al lavoro, per far fronte ad un’emergenza, fu ritenuto “working time”, a tutti gli effetti[31].

Un caro propriamente britannico, non conosciuto necessariamente dal pubblico “continentale”, è quello MacCartney v Oversley House Management[32]. In esso è stato meglio chiarito il concetto di “working time”, quando il dipendente, o employee, è a disposizione, “on call” ma non nel luogo di lavoro: circostanza questa leggermente diversa da “Sindicato di Medicos”; ove per contro si assumeva che il dipendente “on call” rimanesse finanche a disposizione, ma negli stessi locali del datore di lavoro, ad esempio in una foresteria. In questo caso, fu statuito che il lavoratore che era a disposizione anche fuori dal luogo di lavoro ma che doveva fare, letteralmente, una corsa, in quanto chiamato per l’emergenza (in questo caso, 15 minuti), avrebbe dovuto essere considerato “working time”, tempo di lavoro. Nell’ambito del “working time”, tematiche di disamina delle Corti britanniche sono state” Gallagher v Alpha Catering Services Ltd". Il caso, relativo a lavoratori che facevano catering services in aeroporto, fu analizzato alla luce del fatto che, durante il tempo in cui caricavano e scaricavano cibo e bevande sugli aeroplani, vi erano minuti, se non ore, di cos' detto "downtime", ossia intervalli temporali in cui non vi era lavoro, ovvero era quasi irrilevante. Il datore di lavoro riteneva che questo "downtime" potesse essere configurato quale "rest", riposo. Tuttavia, prevalse la diversa teoria. Doveva essere calcolato, a tutti gli effetti, quale tempo di lavoro, ovvero working time.

7. Conclusioni

Il duty of care, o dovere di diligenza del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, costituisce uno dei doveri che, storicamente, deve il datore di lavoro al prestatore. Questo dovere rientra nei piu’ ampi doveri che discendono da un contract of service, ovvero contratto di lavoro di dipendente. Il common law inglese, infatti, nel definire il diritto del lavoro e i suoi pilastri, parte da una impostazione diversa da quella italiana e “Continentale”: il contratto di lavoro è un continuum rispetto al contratto tradizionale, di natura commerciale. I doveri, dunque, non sono quelli definiti dalla legge, anche se comunque leggi vi sono anche nel common law del diritto del lavoro. Ma queste svolgono un ruolo secondario rispetto ai precedenti. Anche con la pandemia, il duty of care dovuto dal datore di lavoro al lavoratore è stato inciso, nei due anni in cui la Gran Bretagna ha vissuto le conseguenze del lockdown. Tuttavia, questa incisione non ha alterato quella che è la tradizionale regola britannica nel tema: è la contrattazione collettiva, o quella individuale, a prevedere forme alternativi di prestazione del rapporto di lavoro, come ad esempio la prestazione da remoto


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sulla linea di demarcazione, nel Regno Unito, fra contract of service e contract for services, si rinvia a P. DE GIOIA CARABELLESE, C. DELLA GIUSTINA, Diritto del lavoro e del techno-banking law. Dal law of master and servant alla Industry 5, Pisa, 2022. Nella letteratura britannica, ex plurimis, cfr. D. CABRELLI, Employment Law in Context. Text and Materials, Oxford, 2014, 57-133. A differenza dell’Autore, chi scrive non aderisce alla tesi che vi sia una terza categoria di lavoratore in Gran Bretagna, chiamata “personal employment contract”, che discenderebbe dall’Equality Act 2010.  Si ritiene per contro che il lavoratore preso in considerazione dall’Equality Act 2010 sia fondamentalmente un worker (P. DE GIOIA CARABELLESE, C. DELLA GIUSTINA, cit., passim). Categoria molto peculiare esistente in Gran Bretagna è quella dell’employee shareholder, un employee, fondamentalmente, il quale rinuncia, fra gli altri, al diritto di impugnare il licenziamento illegittimo, salvo che non sia discriminatorio. Rinuncia anche al pagamento della redundancy, per effetto dell’adesione a tale categoria. Cfr. P. DE GIOIA CARABELLESE, A. SANGIORGIO, Il lavoratore subordinato con azioni ma liberamente licenziabile: la nuova figura dell’employee shareholder in Gran Bretagna, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2016, 26, 319-334; P. de Gioia Carabellese, The Employee Shareholder: That Unbearable Lightness of Being …. an Employee in Britain, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2015, 22, 81-95.

[2] D. BRODIE, The Future of the Employment Contract, Cheltenham (UK) and Northampton (USA), 2021; D. BRODIE, The Contract of Employment, Edinburgh, 2009; D. BRODIE, The Employment Contract: Legal Principles, Drafting, and Interpretation, Contract of Employment, Oxford, 2005; D. BRODIE,

[3]  [1901] 2 KB 653

[4] Oltre “Turner”, alcuni dicta meritano di essere ricordati: Browning v Crumlin Valley Collieries Ltd [1926] 1 KB 522; Collier v Sunday Referee Publishing Co Ltd [1940] 2 KB 647 [1940] 4 All ER 234; Langston v AUEW [1974] 1AII ER 980; Bosworth v Angus Jowett & Co Ltd [1977] I RLR 374.

[5] [1998] 1 IRLR 313

[6] [1976] ICR 316 [1976] IRLR 180

[7] [1906] 2 KB 728.

[8] [1930] AC 209

[9] [1938] AC 57.

[10] [1957] AC 555; Paris v Stepney Borough Council [1951] AC 367 [1951] 1 All ER 42 H.L. (E.); Spring v Guardian Assurance [1994] 3 All ER 129; Johnstone v Bloomsbury Health Authority [1991] ICR 269 [1991] IRLR 118; Sutherland v Hatton [2002] IRLR 263; Barber v Somerset County Council [2004] IRLR 475; [2004] 2 All E.R. 385; [2004] 1 W.L.R. 1089; Wigan Borough Council v Davies [1979] ICR 411 [1979] IRLR 127; Bracebridge Engineering Ltd v Darby [1990] IRLR 3; Fyfe and McGrowther Ltd v Byrne [1977] I RLR 29.

[11] Quell che viene definito «an ordinary prudent employer would take in all the circumstances».

[12] [1995] IRLR 493.

[13] [1978] I RLR 332.

[14] [1976] I RLR 9.

[15] [1980] IRLR 135.

[16] Cfr. Western Excavating (ECC) Ltd v Sharp [1978] QB 761 [1978] IRLR 27; Waltons and Morse [1997] I.R.L.R. 488.

[17]  [1991] I.R.L.R. 118.

[18] EAT  16//5/88 (384/87).

[19] [2004] I.R.L.R. 385.

[20] Traduzione dall’inglese di chi scrive.

[21] Il caso cui fare riferimento è Jones v Lionite Specialties Cardiff Ltd [1961] 105 SJ 1082: un lavoratore dipendente perse la vita a seguito di una “immersione volontaria” in una tanica di liquido nocivo. Più precisamente, attirato dall’odore gradevole del liquido, il lavoratore si era sporto per poter annusare l’odore emanato, tuttavia egli perse l’equilibrio e cadde. L’incidente non era riconducibile all’esecuzione di una prestazione lavorativa richiesta. Di conseguenza, la Corte non riconobbe alcun risarcimento quale conseguenza dell’evento morte.

[22] L’espressione cui si fa riferimento, dunque, è «acting in the course of employment». Il caso cui fare riferimento è Lister v Helsey Hall Ltd [2002] 1 AC 215: esso riguarda degli abusi sessuali posti in essere dal guardiano di una scuola («boarding school») nei confronti dei ragazzi. Si è posta la questione se i datori di lavoro del direttore possano essere ritenuti indirettamente responsabili per l'abuso sessuale intenzionale del loro dipendente nei confronti dei ragazzi della scuola. La difesa avanzata dalla scuola fu che non poteva essere ritenuta responsabile, a titolo di responsabilità oggettiva, poiché le condotte poste in essere avvenivano al di fuori dell’orario di lavoro e, comunque, non nel corso del lavoro per il quale il guardian era stato assunto. La Corte, tuttavia, ha ritenuto che vi fosse un collegamento sufficiente tra il lavoro che il guardiano è stato impiegato a fare e l'abuso che ha commesso. L'abuso è stato commesso, infatti, nei locali e durante dello svolgimento della funzione per la quale il guardian era stato assunto.

[23] S. Taylor, A. Emir, Employment Law, Oxford, 2012.

[24] Traduzione dall’inglese di chi scrive.

[25] Health and Safety at Work Act, Section 2(1)

[26] E' interessante notare che l’espressione “italiana” “smart working” non è inglese o, quanto meno nell’inglese britannico, non corrisponde a quanto si allude in italiano.

[27] La legge che ha stabilito ciò è la Health Protection (Coronavirus, Restrictions) (England) Regulations 2020, SI 2020/350. La legge, applicabile solo in Inghilterra e Gallese, ha una sua corrispondente legislazione in Scozia e Nord Irlanda. La legge anglo-gallese sul lack-down aveva una durata limitata, di due anni.

[28] Traduzione dall’inglese di chi scrive.

[29] See Public Health (Control of Disease) Act 1984 section 45 G(2)(b)(c)(d) and section 4D3.

[30] [2000] I.R.L.R. 845 (ECJ).

[31] Ulteriori casi sono Landeshuptstadt Kiel v Jaeger [2003] I.R.L.R. 802. In questo, fu statuito che, quanto il lavoratore è “on call” nel luogo di lavoro, ciò conta al fine del tempo di lavoro, anche se tale lavoratore beneficia di una camera e può lavorare per massimo la metà del teorico tempo di lavoro. Ulteriore caso, anche UE, ma che derivava da corti francesi, è Dellas v Premier Ministre [2006] I.R.L.R. 225 (ECJ), il Signor Dellas, un insegnante in una scuola di tipo residenziale (convitto) era tenuto ad essere “on call”, disponibile. Il suo tempo di lavoro era calcolato secondo la legge francese la quale, a quel tempo, ponderava “on call time” sulla base, fra gli altri, dei seguenti criteri: nove ore di tempo a disposizione (on call time) equivalevano a tre ore. Fu statuito che la legislazione francese fosse contro la Direttiva.

[32] [2006] I.R.L.R. 514 (EAT).