I contratti derivati italiani con la Pubblica Amministrazione in un recente caso della High Court
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Pierre De Gioia Carabellese
La saga italiana dei derivati continua, questa volta con un sequel Oltremanica. I giudici di un tribunale minore di Londra, High Court, il primo grado della giustizia inglese, statuisce, in merito a un contratto derivato retto dalla legge inglese, che un derivato fra un comune italiano e due banche straniere sia invalido. L´invalidita´, tuttvia, non riguarda la causa italiana del contratto, concetto giuridico estraneo al common law, e che la High Court ritiene sia irrilevante al fine della valutazione di un derivato dal punto di vista inglese. Per contro, la High Cour richiama il concetto di capacity, di capacita´ , di cui l´ente contraente, sia esso pubblico che privato, deve essere dotato, conformemente al ben noto precedente di ”Hazell”.
Italian derivatives entered by a Public Sector Italian Body in a recent case of the London High Court
The Italian saga of derivatives continues with a further episode, this time set in London. The judge of the lower civil Court in England and Wales, the High Court, has recently held that, as far as a derivative contract govered by the Englsih law is concerned, existing between an Italian Council, comune, and two foreign banks, such an agreement is invalid. However, such an invalidity does not pertain to the ”cause” of the contract (the controvertial concept of causa, to put it in Italian), which is a notion totally extraneous to common law, let alone to the ” causa speculativa”, a concept that, for common law, based on the decision in comment, keeps on having no meaning. By contrast, the High Court seems to revamp the concept of capacity, dear to the initial case, ”Hazell”.Sommario: 1. Introduzione; 2. Il fatto storico al vaglio della High Court; 3. I contratti derivati tra Italia e Gran Bretagna; 4. Il derivato e il danno erariale, anche nella legislazione di Oltremanica; 5. Raccordo sistematico.
1. Introduzione
La saga dei contratti derivati continua, e come in ogni t.v. series, si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano.
Mentre in Italia e in una parte della sua eccelsa dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione[1], appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale[2], in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity.
Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità.
D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati[3].
In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa[4]. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese[5].
2. Il fatto storico al vaglio della High Court
In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è un giudice di primo grado, quale un Tribunale italiano, malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata[6]. La decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione per il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente nuovo. È appena il caso di accennare che le decisioni della High Court possono essere appellate dinanzi alla Court of Appeal, con queste ultime che sono impugnabili dinanzi alla United Kingdom Supreme Court, quella che era prima la House of Lords[7].
Fatta questa precisazione, sottesa a questo giudizio di merito, di primo grado, è la controversia fra un ente pubblico italiano, comune di Venezia, e due istituti di credito italiani. La controversia riguarda contratti finanziari derivati, stipulati dal comune con le due entità finanziarie. I contratti derivati in oggetto erano tutti quelli di interest rate swap collar[8].
Importante sottolineare che l’applicabilità del concetto giuridico “tempus regit actum” risale al 2007, allorquando la Costituzione italiana non era stata ancora modificata, in modo da rendere più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.
Inoltre il contratto fra il Comune e le due banche viene assoggettato, per espressa previsione delle parti contraenti, non solo al foro londinese, ma anche al diritto inglese, invece che a quello italiano. Tale scelta, peraltro, se criticabile al fine dei costi legali, è pienamente legittima da un punto di vista legale-contrattuale.
Come spesso si verifica nelle operazioni finanziarie internazionali in parola[9], vi era stata in precedenza, fra il Comune e altra banca, la stipula di un diverso contratto, un bond (il cd. Rialto Bond).
Nella prospettiva di effettuare la ristrutturazione dell’indebitamento obbligazionario, il Comune di Venezia si era determinato a estinguere il derivato precedentemente sottoscritto, ma ciò avrebbe comportato ingenti esborsi, in ragione del mark-to-market negativo dello swap.
Le banche proponevano quindi all’Ente di stipulare un IRS Collar che “assorbisse” il mark to market negativo della precedente operazione (ponendolo così, di fatto, a loro carico) alle condizioni della nuova operazione.
La sentenza in oggetto, intervenendo sul derivato stipulato a novazione del rapporto precedente, afferma l’invalidità dello stesso, per effetto del diritto inglese, che è appunto il diritto applicabile, stante la scelta delle parti contraenti in seno al contratto.
A tale proposito, la decisione della HC si basa sul fatto che l’ente contraente, in tale caso, difettava di capacity, capacità di agire, e che dunque gli effetti del contratto potevano essere caducati per effetto della sentenza.
Al di là del fatto che la sentenza della HC in commento richiami alcuni dicta italiani, è da precisare che, malgrado gli equivoci con cui la sentenza in oggetto è stata commentata in Italia, è sulla base del diritto inglese, governing law del contratto, che la HC è giunta alla declaratoria di invalidità, non sulla base del diritto italiano.
Nel decisum in oggetto, il difetto di capacità è disceso da una serie di circostanze: per la legge dello Stato cui il contraente pubblico appartiene, il Comune di Venezia non poteva sottoscrivere derivati con funzione diversa da quella di copertura. In proposito, è importante sottolineare che per il diritto inglese, il contratto derivato, sia esso di copertura (hedging) o non di copertura, è comunque un contratto valido, non avendo rilevanza il concetto di causa, tanto meno quella non razionale. Ciò dovrebbe sgombrare il campo dai commentatori italiani che invece parlano, da una prospettiva italiana e non inglese, di derivato con causa speculativa, ove lo stesso abbia funzioni non di copertura[10]. Anzi: la sentenza in commento sembra rafforzare la tesi della irrilevanza causale del derivato retto dal diritto inglese, anche quando una controparte sia italiana, inclusa una P.A., dovendo rilevare che le norme in materia di causa presenti nel codice civile italiano (art. 2325, c.c., in particolare) non sono norme di natura inderogabile[11].
L’art. 119, comma 7[12] Costituzione italiana, introdotto nel tumulto della crisi finanziaria italiana del debito pubblico del 2011, non prevede che l’ente pubblico non possa sottoscrivere derivati. Piuttosto, con linguaggio molto criptico, stabilisce che, più in generale, l’indebitamento di tali enti non possa avvenire se non quale copertura di costi relativi a investimenti in essere[13], ma non in relazione a spese correnti
Si ritiene di dare una interpretazione di questa norma non allineata alla dottrina italiana prevalente.
La norma costituzionale, ad avviso di chi scrive, non sancisce un divieto di stipula di derivati, tanto speculativi che di copertura. Si tratta per contro di norma tecnico contabile, che sembra più indirizzata alle strutture interne dell’ente e dell’apparato più generale dello Stato, ma non cogente nei rapporti con i terzi.
La modifica costituzionale in oggetto, non è un caso, si raccorda con la legge che ha rinverdito la responsabilità da danno erariale dell’ente, a carico del funzionario che, per dolo o colpa, per effetto di una propria condotta, inclusa quella contrattuale, abbia cagionato danno all’ente[14].
Soprattutto da un punto di vista di common law, la capacity si misura sulla base di un chiaro documento interno dell’ente, pubblico o privato, il quale consenta di stabilire ciò che un determinato organo può fare, vincolando l’ente stesso.
Ad avviso di chi scrive, la norma costituzionale in commento non ha proiezione esterna, né si applica, considerata la sua natura criptica, ai derivati. È vero che la tematica sembra ultronea al caso di specie, in quanto la nullità è stata dichiarata. È tuttavia necessario, per il futuro, che una lettura più interdisciplinare del precetto fosse propugnata.
Orbene, nel caso di specie, la Corte londinese ha ritenuto che i derivati conclusi dagli enti locali italiani avessero proprio carattere di copertura, l’unico parametro che consente all’ente pubblico di stipulare gli stessi, in particolare dopo la modifica della Carta costituzionale.
Dunque, la HC non entra nel merito della causa dei derivati, atteso che, essendo quella una tematica italiana, ha solo una vaga eco nel diritto inglese.
È da ricordare che, per i principi di legal theory, un precedent nel common law è binding se proviene da una corte superiore e appartiene allo stesso ordinamento. I precedenti di corti superiori di altro ordinamento sono persuasive, utili suggerimenti, ove provengano dal common law di altri ordinamenti, e.g. Canada, Australia, ma non certamente da un Paese di civil law come l’Italia[15]. Non solo: dallo stesso versante italiano, la Costituzione italiana stabilisce che il giudice è assoggettato solo alla legge. Anche i giudici di merito italiani sono sensibili a questo. Il riferimento va alla decisione del Tribunale Militare di Napoli[16], nella quale le argomentazioni della Consulta vengono confutate e ritenute non solo non condivisibili ma neppure vincolanti[17]. Oggetto della disamina erano non i derivati, piuttosto le sentenze n. 14 e 15 della Corte costituzionale circa l’efficacia della vaccinazione nella prevenzione dell’infezione. Il principio sembra comunque applicabile alla controversia che si commenta.
Precisato che la decisione in esame prescinde totalmente dal concetto di causa, ma si appunta sulla capacità, occorre chiarire cosa sia questo concetto di capacity, da un punto di vista di ordinamento giuridico anglo-gallese.
La legge assume che tutte le parti che sottoscrivono un contratto ne abbiano il potere. In alcuni casi, la legge inglese stabilisce restrizioni sulla capacità di un certo numero di soggetti a far parte di relazioni contrattuali.
Quindi, l’idea sottostante non è tanto quella di restringere, quanto quella di proteggere.
L’approccio della legge dipende dal fatto che la persona sia una natural person, dunque una persona fisica[18], ovvero un’ artificial person, un ente pubblico ovvero privato[19].
Il caso tipico del minore che ha sottoscritto un contratto senza averne la capacità consente allo stesso di invalidarlo. Il problema che si pone, tuttavia, è quello della restituzione di quanto ricevuto dal minore stesso. Teoricamente, il common law non ha alcun istituto giuridico che vada a tutelare la controparte dell’incapace. In relazione a ciò, l’ordinamento dell’equity, ha sviluppato il rimedio della restitution. Ad esempio, questo è attivabile contro il minore che abbia ottenuto beni per by fraud, attraverso una truffa, e rimanga nel possesso degli stessi. Un ulteriore rimedio, nello statute inglese, è quello che si basa sul Minors’ Contracts Act 1987, ove la Corte può ordinare la restituzione della proprietà (anche quando non vi sia fraud).
Traslando il tema della capacità dal minore, o dall’ubriaco (circostanze poco verosimili in tema di derivati), agli enti, si può osservare come vi siano due categorie nel diritto inglese. Le Chartered entities, entità pubbliche o quasi, come la BBC, the Bank of England, in quanto costituite per royal charter, per atto formale del monarca.
Entità di tipo legislativo, dunque statutory, che vengono costituite ai sensi del Companies Act 2006, possono essere private, ovvero pubbliche, con responsabilità dei soci limitata da azioni ovvero da garanzia.
Proprio in relazione alle società, si è sviluppata nel common law la ultra vires doctrine, ossia le teoria degli atti ultra vires[20]. La capacità di una società è limitata dal suo oggetto (objects clause) previsto nell’atto costitutivo (memorandum of association)[21] che è depositato presso il Companies House, ossia il registro delle imprese in essere presso ciascuno dei tre ordinamenti giuridici britannici. Tali previsioni legislative sono finalizzate a proteggere investitori, creditori, e parti terze che operino con la società.
Il caso di scuola, nel common law, è Ashbury Railway Carriage Co Ltd v Riche[22]. In questo caso, la società fu costituita con un oggetto definito, ergo esercitare l’attività di ingegneria meccanica, e di costruire e vendere carrozze e apparati (rolling stock). Per contro, dopo che la società era già costituita, fu firmato un contratto per la costruzione di reti ferroviarie. Nella controversia che scaturì, fu statuito che tale contratto era invalido (void), in quanto ultra vires.
Incidentalmente, è da notarsi che, prima del Companies Act 1989, un contratto ultra vires non poteva essere ratificato dagli shareholders, né poteva una parte terza attivare in giudizio tale contratto, pur nella consapevolezza della natura ultra vires dell’operazione societaria[23].
Al di là di tale osservazione, si deve confermare che il dictum in esame è lungi dal recepire in Inghilterra un orientamento del giudice italiano. Semplicemente, dovendo adattare le regole della capacity a un soggetto non inglese, ma italiano, ha dovuto inquadrare il contesto della capacity dell’ente pubblico italiano, claimant, nel giudizio dinanzi alla HC, rispetto all’ordinamento di provenienza.
In tal senso, il ragionamento della HC sembra ineccepibile, ed anzi ha sollecitato anche chi, come chi scrive, ha da tempo evidenziato il carattere totalmente fuorviante del concetto di causa, razionale ovvero irrazionale dei derivati, sottolineando per contro la rilevanza della capacità. Questa tesi è totalmente irrilevante nel common law inglese, e ne rimane estranea anche per effetto dell’ultima decisione della High Court.
La capacity, soprattutto in un ordinamento come quello inglese, che non conosce la causa, ma che comunque soggiace rigorosamente ai limiti di ordine pubblico (public policy), resta il solo parametro per giudicare se il contraente “debole” del derivato ne fosse dotato o meno.
La storia insegna che a volte le fughe - napoleoniche - in avanti causano problemi, che vanno a obnubilare i pochi benefici che ne possano conseguire. Con riferimento ai derivati inglesi si richiama il caso “Hazell”[24], degli anni ’90, che consentì a due borough londinesi (dunque, due enti locali) di ottenere l’invalidazione di un contratto derivato, in quanto le bylaws dell’ente locale, prevedevano che i derivati potessero essere stipulati solo con finalità di copertura (hedging) e non per finalità di rischio[25].
Nel dichiarare invalido quel derivato, più di cinque lustri addietro, la Corte, a quel tempo finanche la House of Lords, non entrò nel merito, totalmente irrilevante, Oltremanica, della “cause”, la causa, quanto piuttosto se l’ente avesse rispettato le regole prodromiche alla stipula di un contratto di tale tipologia. Siccome non vi era stato il rispetto delle regole sulla capacity, l’atto era ultra vires in quanto andava oltre la capacità dell’ente per quella tipologia di operazioni.
Nel caso di specie, sono venute in rilievo le norme sulla capacità degli enti locali italiani, non nel senso di sostituire quelle inglesi, piuttosto nel senso di integrarle[26]. Tali leggi inglesi e britanniche, per come integrate dal diritto italiano, consentono di affermare che il Council, il Comune, non aveva capacità[27].
La seconda parte della sentenza in commento merita anche un’attenta analisi. La stessa riguarda le conseguenze della dichiarazione di nullità del derivato sottoscritto dal Comune di Venezia, per difetto di capacità. Anche in questo caso, la sentenza della HC inglese non prevede nulla di particolarmente nuovo, ad avviso di chi scrive. Nel diritto inglese, come in quello italiano, si rinviene il concetto di unjust enrichment. Se un soggetto si è arricchito, e un altro impoverito, per effetto di una relazione contrattuale insussistente (in questo caso, dichiarata ex post invalida), è trite law, è diritto consolidato, in Oltremanica, che le somme o prestazioni di cui la parte che ha invocato l’invalidità ha beneficiato, possano, anzi debbano, essere restituite. Anche in questo caso non vi è nulla di nuovo, non vi è alcun revirement, soltanto l’applicazione delle regole circa il concetto giuridico di unjust enrichment[28]. La sentenza statuisce che, trattandosi di previsioni non contenute nel contratto, che è regolato dalla legge italiana, esse vengono lasciate al diritto inglese. A parte questa avocazione al diritto inglese della tematica in oggetto, non si intravvede nulla di rivoluzionario nel dictum. Se il diritto inglese non fosse stato avocato dalla HC, il diritto applicabile sarebbe stato quello italiano, che comunque prevede la ripetizione di indebito. La sostanza è comunque che, a partire dalla declaratoria di nullità, un certo ammontare di somme deve essere restituito alle banche contraenti, nel caso in esame due.
Poiché le banche, dopo la stipula dei derivati, avevano fatto affidamento sulla loro validità (stipulando quasi contestualmente con altre controparti bancarie, dei back to back swap, ossia dei derivati di copertura, di segno “uguale e contrario” a quelli sottoscritti con l’Ente), le stesse somme devono essere rigurgitate a beneficio delle banche contraenti.
Questa, tuttavia, è, da secoli, la dinamica normale dell’unjust enrichment (concetto esistente in Inghilterra, ma anche in Scozia): sembra poco credibile pensare che sul punto il giudice inglese sia stato persuaso dal giudice italiano, tanto meno dalla dottrina italiana[29].
Pertanto, la vicenda della controversia sul derivato, fra Comune di Venezia e due banche internazionali, può essere sintetizzata individuando tre punti fondamentali.
- Il profilo di invalidità del derivato è stato individuato del parametro della capacità, capacity, ma non certamente sulla base di una causa del derivato. Per i giudici inglesi, un derivato stipulato da una banca, con valida licenza, sarà comunque valido, essendo irrilevante il profilo causale nel common law.
- Nell’appurare la capacity di un ente straniero, un riferimento va necessariamente fatto anche alle norme che disciplinano quell’ente, in particolare se è pubblico.
- La dichiarazione di invalidità di un derivato per difetto di capacità comporta l’applicazione delle regole di unjust enrichment, quanto alle somme di cui l’attore ha beneficiato, per effetto di un contratto dichiarato nullo. Questa azione, non essendo stata assoggettata, specificamente, alla legge italiana, è stata decisa in base al common law inglese, in quanto questo diritto era quello del Giudicante.
3. I contratti derivati tra Italia e Gran Bretagna
Le “Sirene” italiane della dottrina, non maggioritaria ma comunque insistente e anche autorevole, fanno risuonare un canto costante: i derivati hanno una causa razionale ovvero irrazionale, nel secondo caso risultando gli stessi invalidi.
Al di là di quello che sia il punto di osservazione della tematica in oggetto (diritto inglese o diritto italiano), la risposta corretta sembra essere quella che discende da una ricostruzione storica dei contratti speculativi. Definire speculativi i derivati sembra essere anche un lapsus Freudiano. Nel diritto inglese, laddove i derivati sono nati, questi sono chiamati speculativi, a evidenziare la natura degli stessi quali accordi il cui scopo è di prescindere da un valore determinato, quanto da uno che dipende da un valore sottostante.
Nel common law, la natura tendenzialmente speculativa dei derivati, e di tutti i derivati[30], è confermata da una circostanza inequivocabile: l’eccezione di scommessa, che pure è presente nel common law, la quale non consente azione giudiziale nei confronti di un creditore la cui pretesa nasca dal contratto derivato, ha comportato che uno specifico testo legislativo, il Gaming Act 1968, con successive modifiche, abbia sottratto all’eccezione tutta la tipologia dei contratti derivati, allorquando la controparte sia una banca ovvero un intermediario finanziario[31].
I contratti di scommessa, che in inglese e nel common law di Oltremanica possono essere definiti, in modo articolato, gaming, betting e wagering contracts, sono “null and void”, principalmente per ragioni di ordine pubblico (public policy). Come evidenziato in dottrina[32] lo sviluppo dei derivati ha fatto sì che si ponesse vieppiù il tema della loro interazione con la scommessa, in quanto altrimenti non sarebbero attivabili (enforceable). La ragione principale per cui i derivati sono visti come scommessa nel common law inglese è che “the amount payable under a cash-settled derivative involves taking a bet on the outcome of some underlying price or index”[33]. Per adottare una definizione più in linea, mutatis mutandis, con il precedente di contratto unilaterale (Carlill v The Carbolic Smoke Ball Company)[34], proprio la stessa dottrina suggerisce che il contratto sia un derivato allorquando “[..] due persone, professando di tenere proprie valutazioni che tocchino la tematica di un futuro incerto evento, concordano mutualmente che, in relazione alla determinazione di tale evento, uno vincerà a danno dell’altro [..] una somma di denaro.” (traduzione dall’inglese di chi scrive). La deroga all’eccezione di gioco o scommessa è stata poi confermata nelle successive versioni del Gaming Act, inclusa l’ultima del 2005.
Sia esso un ente pubblico (come fu il Borough londinese le cui vicende processuali resero famose al mondo quelle dei derivati, e forse anche la loro esistenza, a chi non fosse un esperto di diritto finanziario) ovvero un ente privato, la questione rimane fondamentalmente la stessa: chiedersi se un signatory, un firmatario del contratto, abbia agito ultra vires, ovvero nell’ambito dei poteri.
Questa tematica trova una soluzione nella legislazione societaria britannica, ove ad essere firmatari sono organi di società di capitali. Nella disciplina dei Councils e altre entità pubbliche, la risposta va cercata nelle bylaws, documenti costitutivi di quell’ente, senza peraltro che il potere possa essere ritenuto implicito[35].
La scriminante, dunque, è stata individuata da tempo nel carattere di copertura ovvero di non copertura del derivato, che comunque di per sé è già contratto speculativo. Il contratto derivato, da un punto di vista di common law inglese, non ha causa, né deve averla, in quanto manca una teoria della causa del contratto, nei sistemi dei contratti di Oltremanica[36].
È un contratto che ha però un contenuto speculativo, nel senso di simile ai contratti di scommessa che beneficiano dell’eccezione di gioco, nel common law. Tale eccezione, tuttavia, come detto, è esentata da decenni, proprio per quei contratti, come il derivato, stipulati con l’intervento di un ente creditizio.
- La volontà a stipulare il derivato, anche nel common law inglese. Gli abbagli italiani in merito ai derivati di Oltremanica
Quello del derivato con il Comune di Venezia non è il solo che si presta a interpretazioni creative della dottrina italiana, ma anche a statuizioni molto astratte della sua giurisprudenza.
Un caso recente è quello dei derivati impliciti. Anche in questo caso la controversia emarginata è retta dal diritto inglese, dunque il suo common law e la legislazione britannica. Il giudice di appello aveva ritenuto che un leasing avrebbe potuto essere qualificato, quanto meno per una parte dello stesso, derivato implicito.
Questa tesi è stata tuttavia già posta sotto attacco da chi scrive.
In primo luogo, la domanda che si pone una Corte inglese è quale sia la volontà delle parti. Non vi è dubbio che l’accordo voluto è quello di derivato. Le negoziazioni hanno avuto ad oggetto un contratto derivato, e sebbene nel common law non sussista un concetto di causa,[37] l’oggetto del contratto per certi versi è riconosciuto, dovendo sussistere, fra proposal e acceptance,[38], un’ eadem res, un consenso su di un medesimo oggetto[39].
In secondo luogo, la clausola contrattuale, la specifica clause, in questo contesto, avrebbe sì una funzione rilevante, solo nel senso di definire la prestazione di una delle parti. Appare arduo, nel common law, che un undertaking possa assurgere a specifico contratto, addirittura un contratto di natura diversa, non più bancario, ma di investimento, con un body of law, con una sedes materiae completamente diversa[40]. Esiste nel diritto inglese la categoria degli implied terms, delle clausole implicite nel contratto, in mancanza di previsione espressa delle parti[41]; peraltro non vi mai stata in tema di contratti bancari e di investimento una teoria dell’implied contract, desumibile da una isolata clausola presente in un contratto con una funzione ben definita[42].
La volontà delle parti tende a essere sovrana, e dispotica sarebbe avvertita la condotta della Corte, che si sostituisse alle stesse. Ovviamente, il giudice inglese è facilitato in questo, non avendo la bête noire della buona fede[43].
In terzo luogo, il corretto rapporto bilanciato fra agreement, accordo, e undertaking, non dovrebbe suggerire, né autorizzare, il giudice a desumere un nuovo contratto dal secondo, una mera clausola, sebbene contenente un impegno vincolante, quanto piuttosto ad applicare il pertinente istituto giuridico: un vizio della volontà, la misrepresentation, ove la banca, quale potenziale misrepresentor, non abbia correttamente rappresentato al cliente un meccanismo economico che incide sulla sua prestazione[44].
Altro istituto cui si può fare riferimento è quello, inglese ma non scozzese, della undue influence, elaborato nel sistema giuridico dell’equity[45].
In generale, la undue influence opera ove esista una relazione fra le parti, parties, la quale è stata sfruttata oltremodo da una per ottenere un ingiusto vantaggio. La undue influence è divisa fra actual undue influence, dunque indebita influenza reale, e presumed undue influence, dunque presunta. La prova circa il fatto che una indebita influenza è stata esercitata rende il contratto voidable, annullabile.
È bene precisare che la influence, ossia l’attività volta a influenzare l’altra parte alla stipula del contratto, di per sé è accettabile: è quando la stessa diventa undue che il diritto interviene. In generale, la Condotta in esame può indicare alcune scorrettezze, impropriety, da parte dell’ influencer. Tuttavia, l’ influence diventa undue, poiché vi è uno sbilanciamento di potere fra le parti che è stato usato illegittimamente dall’influencer. Il livello d’ influenza deve essere stato tale che la parte influenzata ha perso la sua autonomia nel decidere se stipulare un contratto o meno.
Il caso di scuola è quello di Allcard v Skinner[46]. Il claimant aderì a un gruppo religioso, ma successivamente trasferì tutti i suoi attivi allo stesso gruppo. Qualche tempo dopo aver lasciato la setta, cercò di riottenere la proprietà di tali bene. Fu statuito che tale dono, poiché non sembrava essere stato trasferito in modo ragionevole, poteva essere stato inficiato da undue influence. Nel concreto peraltro l’azione fu rigettata, per prescrizione, anche se il principio (undue influence) fu affermato quale esistente nel common law inglese.
Vi sono relazioni che danno luogo, potenzialmente, ad una possibile undue influence più di altre. Il rapporto fra genitore e figlio, ovvero curatore (guardian) e incapace (ward). Il rapporto fra trustee e beneficiary; fra solicitor e cliente; fra medico e paziente; fra assistente spirituale e seguace; fra fidanzato e fidanzata.
Questo aspetto è stato considerato molto significativo in una passato non troppo lontano nelle controversie fra banca che aveva acquisito una garanzia personale (beneficiary) e coniuge - spesso donna - che aveva rilasciato tale garanzia (il guarantor) a favore del coniuge - spesso uomo - debitore di cassa della banca (il guaranteed). In tale constesto, il guarantor riusci’ a ottenere l’invalidazione del rapporto accessorio di garanzia, sulla base del fatto che lo stesso era il frutto non di un vizio della volontà, ma di una pressione[47].
Il caso di scuola, nel common law inglese, è costituito da Royal Bank of Scotland v. Ettridge[48]. Il caso “Ettridge” è importante, anche perché Lord Nicholls, nello stesso, stabilisce i prerequisiti affinché scatti la undue influence.
Il primo prerequisito è che l’attore deve dimostrare di aver riposto “trust and confidence in the other party in relation to the management of financial affairs”[49]. In certe relazioni, tale fiducia deve quasi presumersi in modo iuris et de jure.
In secondo luogo, la figura contrattuale che viene posta in essere deve essere quella che richiede per definizione una spiegazione, proprio per la peculiarità del rapporto. Ad esempio, non è usuale che un coniuge venga chiamato a prestare garanzia per le obbligazioni dell’altro coniuge imprenditore, ove il primo non abbia alcuna connessione di tipo professionale o di affari con il debitore garantito[50].
Sebbene in astratto la figura della undue influence possa essere ricondotta anche ai derivati, resta però in parte ostativa la circostanza che nei derivati, a differenza che nelle garanzie infra-parentali, il rapporto intercorra fra banca e impresa commerciale, ovvero fra banche, e non fra banche e persona fisica.
La dottrina inglese e di Oltremanica più in generale ha sottolineato l’importanza dell’accettazione nel derivato, proprio perché i derivati, soprattutto quelli over-the-counter, vengono stipulati attraverso la confirmation. Quest’ultima dovrebbe essere un solo documento, laddove invece, di frequente, i documenti firmati sono due e non necessariamente del tutto coincidenti[51]. La interpretation, l’interpretazione del contratto, diventa dunque un tema di estrema importanza nella tematica dei derivati. Come sottolineato in dottrina, la stessa UK Supreme Court si riferisce all’interpretazione come ad un processo il cui scopo finale, soprattutto in un contratto commerciale, “is to determine what the parties meant by the language used, which involves ascertaining what a reasonable person would have understood the parties to have meant”[52]. Laddove nel common law la interpretazione soggettiva è irrilevante[53], ciò che deve prevalere nei contratti commerciali, come quelli finanziari, è proprio l’interpretazione oggettiva. Viene enfatizzato che “è generalmente appropriato adottare l’interpretazione che è piu’ coerente con il comune senso degli affari”.[54]
4. Il derivato e il danno erariale, anche nella legislazione di Oltremanica
In via incidentale, anche se non è trattata nel caso in oggetto, si richiama l’attenzione sulla tematica del danno erariale che, per effetto dell’ attuale disciplina esistente in Italia, potrebbe essere invocato dallo Stato, per il tramite di uno dei suoi bracci operativi, la Corte dei Conti in forza della legge vigente.
Il richiamo viene fatto soprattutto avendo presente che, nella sentenza della High Court in commento, viene rigettata l’eccezione del comune di Venezia, ossia quella che l’operazione finanziaria in derivati intercorsa avesse violato norme inderogabili del diritto italiano, quali in particolare gli artt. 1322 e 1325 del Codice Civile[55]. La High Court, in tale proposito, rigetta, con ironia e understatement britannici, il possibile argomento della causa del derivato, tanto meno di quella non razionale. E’ infatti osservato che differenti sistemi legali spesso impongono differenti requisiti per la conclusione di un contratto vincolante, dunque anche diversi dai requisiti imposti dal sistema legale italiano inclusi gli articoli 1322 e 1325 del Codice Civile Italiano. Malgrado ciò, la High Court non ritiene che gli articoli 1322 e 1325 siano norme inderogabili in un contratto retto dalla legge italiana. Se, dunque, una legge diversa imponesse tre requisiti per la validità di un contratto, senza includervi la causa, allora, quest’ultima legge regola il contratto, senza che abbia rilevanza quella che richiede maggiori requisiti per la validità dello stesso. La Corte si pone anche il quesito se[56] nella scelta di una legge quale “governing law” di un contratto, vi possa essere un intento elusivo delle parti. La High Court non esclude in astratto l’ipotesi, ma non la vede in alcun modo nel caso di specie, poiché le parti non erano tutte italiane, in quanto le due banche erano internazionali, ed avevano partecipato espressamente a un bando del comune di Venezia, rivolto a banche straniere e internazionali.
Sebbene il rapporto fra derivati stipulati dalla P.A., incluso dunque un comune, e danno erariale, è stato invocato solo recentemente, nella dottrina internazionale[57], si ritiene che il corretto approccio ai derivati italiani della pubblica amministrazione possa essere messo sotto scrutinio proprio attraverso quella linea direttrice.
In altre parole, posto che sia poco credibile mettere in dubbio la validità in genere dei derivati, soprattutto da una prospettiva di common law (il sistema giuridico dove sono nati), l’unica reale possibilità è quella di attivare ex post un meccanismo di risarcimento del danno nei confronti della P.A. negligente. La negligenza, nel caso di un derivato stipulato da una P.A., consisterebbe nella negligente condotta del funzionario circa la verifica della capacità del proprio ente.
È vero che la responsabilità da danno erariale è stata fortemente erosa negli anni della pandemia. Tuttavia, si ritiene che questa strada sia quella che meglio contemperi, da un lato, le esigenze di certezza del diritto (soprattutto in un contesto internazionale, quello finanziario, in cui la credibilità di uno Stato si misura anche in relazione alla sua abilità quale “reliable paymaster”) e, dall’altro lato, quelle di trasparenza ed efficienza dell’operato dell’Amministrazione.
5. Raccordo sistematico
Finalmente, si è avuto modo di analizzare un caso riguardante i derivati della Pubblica Amministrazione italiana, non solo deciso da una Corte inglese (la High Court, giudice di primo grado corrispondente a un Tribunale italiano), ma anche retto dal diritto inglese[58].
Malgrado questa ultima sentenza sia stata accolta, nei commenti a caldo concepiti in Italia quale svolta importante nella giurisprudenza di Oltremanica in tema di derivati, in realtà l’analisi fatta in questo lavoro sembra dimostrare il contrario.
Nel decidere sul derivato stipulato dal comune di Venezia, la HC sembra richiamare proprio i ben noti principi di capacity, consolidatisi fin da “Hazell”, il caso epocale degli anni 90 della House of Lords. Ciò peraltro era stato caldeggiato da chi scrive nel commentare il caso precedente del derivato con il Comune di Busto Arsizio[59]. Per i giudici inglesi e in generale di Oltremanica, il contratto derivato non pone un problema causale, tanto meno di causa razionale ovvero irrazionale.
Più in generale e da un punto di vista teorico, si possono svolgere le seguenti considerazioni.
I derivati sono nati Oltremanica ed è in quel contesto che vanno compresi. Dovendo partire dal fatto che i derivati siano validi, quali contratti che sono anche strumenti finanziari disciplinati dalla legislazione dell’UE, non si dovrebbe prescindere da alcuni punti.
In primo luogo, nel loro habitat, ergo nell’ordinamento giuridico dove sono nati, non vi è “causa”, ma comunque vi è oggetto, in quanto l’accordo deve vertere sulla eadem res. Inoltre, sussistono limiti di ordine pubblico, che costituiscono gli unici confini di legalità per gli stessi e in generale per tutti i contratti, mancando anche una categorizzazione dei contratti. Questi limiti, per i derivati, mai sono stati ritenuti violati, in quanto le Corti inglesi, quale extrema ratio, hanno dubitato della loro enforceability, attivabilità, solo nei casi in cui la relativa parte agiva ultra vires. Lo stesso requisito di validità della consideration, presente in Inghilterra, ma non nell’altro common law, quello scozzese, mai è stato ritenuto, dalle Corti di Oltremanica, elemento di ostacolo alla validità del contratto speculativo. D’altro canto, dovendo essere la consideration requisito sufficiente[60], ma non equivalente al valore[61], appare ovvio che si tratta di un elemento sempre più simbolico del diritto inglese dei contratti. Inoltre è da tener presente che la consideration, pur sufficient, ma mai equivalent, non è elemento indefettibile dei contratti inglesi, in quanto, banalmente, la stipula a mezzo di notaio, dunque a mezzo di deed, fa sì che tale requisito, già di per sé blando, venga del tutto meno.[62] È invece fin troppo ovvio ricordare che la causa del contratto, nella visione tradizionale del diritto italiano, sarebbe requisito indefettibile, anche nell’ipotesi di forma scritta ad substantiam.
In secondo luogo, i derivati sono speculativi, non con causa speculativa (mancando un concetto di causa nel common law), ma con uno speculative purpose, con elementi di scommessa, tant’è che, dal 1968 in poi, nel common law la gaming exception non si applica agli stessi, nella misura in cui almeno una banca intervenga nella stipula quale controparte, e la regola si applica anche ai derivati over-the-counter. Il carattere di gioco o scommessa del derivato risulta ancora più forte nel common law scozzese, che conosce, grazie ad alcune importanti radici romanistiche del suo diritto, il concetto di contratti sponsiones ludricrae, il cui divieto però può ora dirsi superato anche grazie all’ultima versione del Gambling Act 2005, Section 335[63].
Ciò stante, la discussione italiana fra scommessa razionale e irrazionale dovrebbe perdere di importanza con riferimento ai derivati. Questa attività in derivati - la quale a volte, ma non necessariamente, impinge in una scommessa -[64] è riconducibile all’attività di investimento, riservata e costantemente assoggettata ad attività di vigilanza, quale trasformazione, nell’ambito della cornice normativa dell’UE, della pura attività bancaria in una più evoluta, connessa agli strumenti finanziari[65]. Una volta che questi strumenti e contratti approdano nell’ordinamento italiano (dal common law via UE), ove una causa debba individuarsi, di tipo unitario, questa deve intendersi quella bancaria, argentaria[66], in quanto rientra nel normale corso dell’attività di investment banking per la quale la banca è autorizzata, e vigilata. Il richiamo all’eccezione di gioco e scommessa non dovrebbe necessariamente intendersi quale presunzione del fatto che i derivati siano scommesse, in quanto alcuni sembrerebbero più assimilabili alle assicurazioni. Si tratta principalmente di uno stratagemma normativo volto a salvaguardare queste operazioni con causa argentaria.
In questo contesto logico – e qui vi è il terzo punto - in conformità con il dettato normativo, in primis quello dell’Unione Europea, legge senz’altro applicabile all’Italia, difficilmente potrebbe dubitarsi della validità dei contratti derivati[67], anche ai sensi del diritto italiano, proprio perché trattasi di categorie considerate valide in ambito “Unionale”, di strumenti finanziari, che possono essere offerti dalla banca. In definitiva, la causa argentaria, corredata dall’esenzione di gioco e scommessa, sta ai derivati, come la causa autonoma iniziò a stare, e sta ancora al contratto autonomo di garanzia, importato dal Garantievertrag tedesco. Nel caso dei derivati, argomento ad adiuvandum è che il riconoscimento della causa argentaria è imposto dal diritto dell’UE[68]. La vera tematica giuridica è quella della corretta rappresentazione della relativa clausola, fra cui quella del mark-to-market.
Al di là del fatto che il limite costituzionale alla stipula dei derivati da parte della P.A. riguarderebbe, se davvero esistente, solo i derivati stipulati dal 2011 in poi, lo scritto cerca di andare oltre, dimostrandolo anche, le - forse - non totalmente attente interpretazioni, a sommesso avviso di chi scrive, delle disposizioni costituzionali. Non si ritiene infatti che le stesse pongano un divieto alla stipula dei derivati (dunque, nemmeno vanno a incidere sulla capacity dell’ente). Piuttosto, esse sembrano connettersi alla - ben nota - responsabilità per danno erariale. Ferma restando la validità, in ogni caso, del derivato stipulato dalla P.A., intercorrente con una banca, data la natura argentaria dello stesso, l’unica vera tutela è quella da esercitarsi nei confronti della P.A., che non ha verificato norme interne, di tipo contabile. Queste norme non sembrano avere rilevanza ai fini della capacity, e forse non solo ai fini del diritto inglese, ma anche del diritto italiano.
Queste norme, tuttavia, non appaiono riconducibili al tema degli atti ultra vires, ergo capacity, piuttosto a vincoli e linee guida interne, rilevanti nei rapporti fra dipendenti e loro dovere, nel negoziare, fra gli altri, contratti vincolanti, a causa lecita, senza verificare le regole contabili interne. In questo, la High Court, comunque un mero tribunale, si è lasciato forse troppo influenzare dalla portata più politica che giuridica (derivati Busto Arsizio, derivati Cattolica), la cui eco è arrivata dal sud Europa.
In definitiva, con la sentenza in commento, la High Court non ha in alcun modo effettuato un cambiamento di rotta nelle sue posizioni circa il carattere, tendenzialmente, sempre vincolante del derivato, anche quello della P.A. italiana, ove la legge sia quella inglese. È comunque solo la capacità dell’ente a doversi verificare, ma non la sua causa, che è irrilevante nel common law. Qualora, in situazioni eccezionali di difetto di capacità, ne venga dichiarata la nullità, si applicherà la disciplina dell’unjust enrichment, la quale si riconnette al change of position. Ciò detto, l’istituto dell’unjust enrichment fa però parte della storia del common law, ne costituisce un saldo pilastro.
Ovviamente, rimane molto diversa la portata del derivato nel diritto italiano, ove questo costituisca l’ordinamento giuridico che le parti scelgono per regolare i loro rapporti. In questo caso, i giudici italiani, ovvero quelli eventualmente inglesi chiamati a decidere sulla controversia regolata dal diritto italiano, continuerebbero a considerare, tuttavia, probabilmente errando, gli elementi causali come essenziali e possibilmente ostativi alla validità, dunque la vincolatività del contratto derivato. La presenza di una pubblica amministrazione quale parte contraente porterebbe, in base al diritto italiano, a prestare un’atttenzione smodata a quei principi che impedirebbero all’ente pubblico di stipulare derivati. Principi che tuttavia, come si è evidenziato in questo lavoro, sono da un lato contraddittori (Costituzione; TUEL), dall’altro svelano una realtà molto più complessa che le astratte norme, concepite a volte per impaurire ma non per chiarire, vorrebbero fare intendere.
L’ultima “mossa” che poteva fare la High Court era di aderire a un “precedente” italiano. E infatti, ciò non è avvenuto! Rome burns, and Italians are still fiddling!
[1] P. de Gioia Carabellese, Unmanned machines e rischi legali ed assicurativi. Una visuale dal Regno Unito della disciplina (nuova e futura) della responsabilità dei veicoli senza guidatore, in Diritto e Politica dei Trasporti, 2021, pp. 1-11
[2] La teoria della causa razionale ovvero irrazionale dei contratti derivati ha in Italia i suoi paladini. Per tutti, Maffeis, Voce – Contratti, in Digesto IV, Discipline Privatistiche, Quinto Aggiornamento, UTET, Torino, 2010. Si ritiene che tale tesi della causa razionale ovvero irrazionale dei derivati, seppur autorevolmente esposta, non si possa condividere, soprattutto se un derivato sia retto dal diritto inglese. Ciò si ritiene venga dimostrato nel presente lavoro, proprio avendo presente il decisum della High Court.
[3] Sulla public policy, quale perimetro e limite di operatività della miriade dei contratti, non categorizzati, del common law, cfr. H.G. Beale, W.D. Bishop, M.P. Furmston, Contract. Cases and Materials, 4° ed., Butterworths, London, 2001, pp. 1055 ss. Cfr. Anche, piu’ recentemente, “Immoral and Illegal Contracts”, H. Beale, B. Fauvarque-Cosson, J. Rutgers & S. Vogenauer, Cases, Materials and Text on Contract Law, Hart Publishing Oxford, 2019, p. 663 ss.
[4] Il metodo comparatistico utilizzato si basa sugli studi, non italiani, ma soprattutto di Oltremanica, anche nella sua versione scozzese. Cfr. A. Watson, Legal Transplant. An Approach to Comparative Law, 2nd ed., The University of Georgia Press, Athens and London, 1974; K. Zweigert & H. Kotz, Introduction to Comparative Law, Clarendon Press, Oxford University Press, Oxford, 1998. Sul tema del contratto, la metodologia seguita si basa sugli insegnamenti e scritti dei “Maestri” J.A.K. Huntley, Contract Law in Scotland, 3rd ed., Sweet & Maxwell, Edinburgh, 2014) e, nella sua non ultima edizione, H.L. MacQueen & J. Thomson, Contract Law in Scotland, 3rd ed., Bloomsbury Professional, Edinburgh, 2012.
[5] Va detto che, paradossalmente, nel Paese della “City”, nel senso di piazza finanziaria fra le più importanti al mondo, il tema dei derivati dal punto di vista giuridico costituisce una “nicchia”. Nell’ambito dei law books o research books, riferimenti ai derivati mancano in A. Malek & J. Odgers (general ed.), Paget’s Law of Banking, 14° ed., LexisNexis, London, 2014. Riferimenti ai derivati, da un punto di vista regolamentare e contrattuale, si possono invece trovare, a livello manualistico, in I. H.-Y. Chiu & J. Wilson, Banking Law and Regulation, Oxford University Press, Oxford, 2020; M. Haentjens & P. de Gioia Carabellese, European Banking and Financial Law, 2° ed., Routledge, London and New York, 2020; R. Cranston, E. Avgouleas, K. Van Zwieten, C. Hare, T. van Sante, Principles of Banking Law, 3rd ed., Oxford University Press, Oxford, 2017. A livello di trattati e produzioni monografiche, in inglese il solo punto di riferimento finora rimane A. Hudson, The Law on Financial Derivatives, 5° ed., Sweet & Maxwell, London, 2012.
[6] La sentenza in oggetto è Banca Intesa SanPaolo SPA e Dexia Crediop SA v Comune di Venezia [2022] EWHC (comm). Il dictum è del 14 ottobre 2022. Commenti immediati sulla sentenza sono quelli di D. Maffeis, online, cui si rimanda.
[7] Non vi è in italiano un approfondimento dei derivati nel common law, tanto meno se stipulati con pubbliche amministrazioni. Fa eccezione D. Cesian, I derivati e le amministrazioni pubbliche locali: l'esperienza negli USA e nel Regno Unito, in Giurisprudenza Commerciale, n. 1/2018, p. 141 ss. Per la letteratura in inglese, e in particolare nel common law di Oltremanica, non si può che fare riferimento a A. Hudson, The Law on Financial Derivatives, 6th ed., Sweet & Maxwell, London, 2018. Di questo A. è anche rimarcabile il merito di aver definito l’area del perimetro dei derivati. Viene affermato quanto segue:
“”Derivatives law” is a specific context within the larger context of finance law. Two things define derivatives law practice as a particular discipline in practice more than anything else: first, the standard market documentation which constitutes a form of closed knowledge about the techniques of that marketplace; and, second, the particular commercial practices and mathematical techniques which have given rise to the derivatives instruments themselves. [..]”
[8] In calce, si è provveduto a enucleare e tradurre i passaggi fondamentali della sentenza, la quale consta di ben 150 pagine, lunghezza considerevole anche per gli standard britannici. Proprio per la lunghezza, la sentenza, oltre che constare dei soliti paragraphs, paragrafi, è suddivisa in sezioni, dalla A) alla S). I paragrafi sono 465.
[9] Sebbene ciò costituisca un concetto elementare, è bene ricordare che le international financial transactions sono costituite da tre grandi gruppi: loan finance; structured finance (ed anche cartolarizzazioni, dunque); derivatives. In tal senso, si permette di rinviare a M. Haentjens & P. de Gioia Carabellese, European Banking and Financial Law, 2nd ed., Routledge, London and New York, 2020, passim.
[10] Si tratta di un principio inferibile dal combinato disposto delle seguenti disposizioni costituzionali: art. 81, 97 e 119 Cost. L'art. 97, Costituzione, è strettamente collegato agli artt. 81 (per il bilancio dello stato) e 119 Cost. (per le politiche di bilancio di regioni e enti locali). Viene osservato quanto segue: “C’è ora una norma costituzionale che impone la quadratura delle politiche di entrata e di spesa pubblica della Repubblica in un orizzonte unitario: ciò mette direttamente in gioco la responsabilità di ogni ente territoriale di governo, di ogni amministrazione, centrale, periferica, autonoma, nell'assicurare gli impegni negoziati in Europa. Da questo punto di vista, il pareggio di bilancio modifica soprattutto il principio di buon andamento, ne adagia i suoi svolgimenti all'interno di un letto di Procuste prima sconosciuto (e per questo motivo quel principio è molto avversato in alcuni ambienti). [omissis]”. Cfr. A. Morrone, Verso un'amministrazione democratica. Sui principi di imparzialità, buon andamento e pareggio di bilancio, in Diritto Amministrativo, 2019, (2)1, p. 381; A. Brancasi, L'obbligo della copertura finanziaria tra la vecchia e la nuova versione dell'art. 81 Cost., in Giurisprudenza costituzionale, 3/2012, pag. 1685B (Nota a Corte Costituzionale, 10 maggio 2012, n.115).
[11] In proposito, si rimanda ai successivi paragrafi del presente commento.
[12] L’art. 119 co. 7 enuncia che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”. Fra i diversi commenti sui rapporti M. Trimarchi, Premesse per uno studio su amministrazioni e vincoli finanziari: il quadro costituzionale, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, n. 3-4/2017, p. 623.
[13] Viene osservato in proposito:
“Sull'altro versante, quello dei rapporti tra il centro e la periferia, la disciplina costituzionale persegue una duplice finalità. Contempera l'autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai poteri locali con l'equilibrio finanziario dei rispettivi bilanci (articolo 119, primo comma). Stabilisce una ‘golden rule', consentendo che gli enti locali possano ricorrere all'indebitamento soltanto per finanziare spese d'investimento, e a condizione che sia rispettato — ancora una volta — l'equilibrio di bilancio; la rafforza, vietando ogni garanzia statale sui prestiti da essi contratti (articolo 119, sesto comma) Come spesso accade, la norma costituzionale è mossa dall'intento di evitare il ripetersi di quanto è accaduto in passato, cioè il rapido incremento del debito pubblico delle regioni e degli enti locali per contrarre spese di tipo corrente”. Cfr. G. Della Cananea, La legittimazione contrattuale degli enti locali, in Diritto Amministrativo, 2021, (3)1, pag. 533. Cfr. F. Cortese, Le Regioni co-legislatori e co-amministratori: ambizioni originarie, oscillazioni attuative, potenziali traguardi, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2023,1, pag. 335; S.M. Ronco, Imposizione tributaria, debito pubblico e politica monetaria: equità inter-generazionale e tutela del risparmio tra politica economica e governance economica europea, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, 2022, 1, pag. 44; L. Gianniti, Le sessioni di bilancio del 2018, del 2019 e del 2020: procedure di bilancio, poteri del Parlamento, rapporti con l’Unione Europea, in Giurisprudenza Commerciale, 6, 2020, pag. 3323.
[14] In merito a tale responsabilità da danno erariale, proprio in relazione ai derivati, cfr. P. de Gioia Carabellese & S. Davini, Derivati, danno erariale e un obiter dictum sulla causa del contratto speculativo, in Giurisprudenza Commerciale, 2022, 202-227. Sulla tematica del danno erariale dal punto di vista del common law inglese e della legislazione britannica, cfr. P. de Gioia Carabellese, Il danno erariale nel common law inglese, in Rivista della Corte dei Conti, 2021, pp. 85-93.
[15] Alla luce di ciò, parlare di revirement della High Court, avute presenti le sentenze della Cassazione italiana, pure relative ai derivati con la Pubblica Amministrazione, appare affermazione quasi “blasfema”, quanto meno da un punto di vista di common law. Semplicemente, ciò non può essere vero, applicando i principi generali di interpretazione del diritto inglese. Per i profili di legal theory e di teoria generale dell’interpretazione in Inghilterra, cfr. J. F. Horty, Rules and Reasons in the Theory of Precedent, in Legal Theory, no. 17/2011. Cfr. anche più in generale nel common law, J. Evans, Statutory Interpretation. Problems of Communication, Oxford University Press, Oxford, 1988; H.L.A: Hart, The Concept of Law, 3° ed., Clarendon Law Series, Oxford University Press, Oxford, 2012; A.G. Guest (ed.), Oxford Essays in Jurisprudence, Oxford University Press, Oxford, 1961; K. Greenawalt, Statutory and Common Law Interpretation, Oxford University Press, Oxford, 2013; D. Walkins & M. Burton, Research Methods in Law, 2nd ed., London and New York, 2018.
[16] Tribunale Militare Napoli, 13 marzo 2023.
[17] Si legge che ai sensi dell’art. 65 R.d. 30 gennaio 1941, n. 12 la funzione nomofilattica, volta ad assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale» appartiene alla Corte di Cassazione, non alla Corte costituzionale.
[18] La prima figura di incapacity che viene alla mente è quella dei drunks, ossia dell’alcolismo. In particolare: “a contract is voidable if drunkenness prevents a person from understanding the transaction they have entered into and the other person is aware that they are intoxicated”.
Una seconda figura è quella delle persone con disordini mentali. Ai sensi della Section 2(1) del Mental Capacity Act 2005, una persona difetta di capacity ove la stessa “is unable to make a decision for himself in relation to the matter”. Ove l’altra parte sia inconsapevole di tale incapacità, il contratto sarà annullabile (voidable), anche se a discrezione della persona in disordine mentale (disordered person)”.
La Family Law Reform Act 1969, alla Section 1, stabilisce che ogni persona sotto i 18 anni è classificata quale minore. Il termine era infant in passato. La legge protegge sia il minore sia la persona che negozi con questi, nella misura in cui agisca in modo giusto e ragionevole. In Inghilterra, fin dai tempi passati i minori dovevano pagare per i beni o servizi necessari in quella particolare fase della loro vita. Le relative previsioni normative sono contenute alla Section 3(3) del Sale of Goods Act 1979. Ai sensi di questo articolo, il minore deve pagare un ragionevole prezzo per quanto è necessario a vivere (il così detto concetto di necessaries). Un attore che voglia ottenere da un punto di vista giudiziale l’esecuzione di tale contratto dovrà stabilire: a) che i beni rientrino nel concetto di necessaries. Ad esempio, non deve trattarsi di beni voluttuari; b) che il minore non sia stato già rifornito di tale bene al tempo della consegna. c) il fornitore deve dimostrare che i beni sono stati venduti e consegnati. Dunque, i contratti in corso di esecuzione (executory contracts) non sono attivabili in base a tale testo legislativo.
Nel caso di Nash v Inman [1908] 2 KB 1, furono confermate le stesse regole che vigono per i beni, anche se, forse, i contratti in corso di esecuzione non sono probabilmente attivabili. Nei contratti di apprendistato, istruzione o lavoro, il relativo contratto sarà valido, ove nel complesso stipulato a beneficio del minore. In Clements v LNWR [1894] 2 QB 482, un minore fu assunto in una società di trasporti ferroviari quale portantino. Aderì anche al fondo assicurativo aziendale, in tal modo rinunciando ai diritti di citarlo in giudizio per danni personali causati a terzi ai sensi del Employers’ Liability Act 1880. Considerando tutti gli aspetti del contratto, tale struttura contrattuale-aziendale era positiva. In De Frnaceso v Barnum (1890) 45 Ch D 430, una ragazza di 14 anni, che aveva lavorato per sette anni come apprendista per l’attore, ebbe l’opportunità di imparare a ballare. Nel contratto vi erano delle previsioni restrittive della libertà del lavoratore, fra cui l’autorizzazione del datore di lavoro ove volesse sposarsi. La Corte statuì che il contratto era troppo vessatorio e dunque le relative clausole non applicabili. In Doyle v White City Stadium [1935] 1 KB 110, fu adottato dalla Corte una nozione più ampia di contratto di servizi. In questo caso, fu statuito che un contratto fra un minore, che faceva il boxer professionista e la British Boxing Board of Control, l’organo di autocontrollo dei pugili – il quale prevedeva che il boxer avrebbe perso la sua “borsa”, stipendio dunque, se fosse stato squalificato – ritenne che tale contratto fosse valido, in quanto non solo incoraggiava un tipo di combattimento pulito, ma anche la stessa abilità del boxer nell’arte del boxing.
Un altro caso è quello di Proform Sports Management v Proactive Sports Management [2006] EWHC 2903 (Ch). Riguarda un noto calciatore, Wayne Rooney, a quel tempo sconosciuto in quanto aveva 15 anni. Rooney, da minore, stipulò un contratto di rappresentanza del calciatore (a player representation agreement) con l’attore, Proform, nominandolio agente, anche al fine di rappresentarlo in tutte le materie concernenti il suo lavoro quale calciatore. A quel tempo, Rooney era un dilettante per la squadra di Liverpool, Everton, e non poteva diventare un professionista prima dei 17 anni. La Corte si chiese se il contratto fosse assimilabile a un contract of service. Tuttavia, fu appurato, nel corso del giudizio, che per contro non era qualificabile quale “contract for services, education, apprenticeship or employment”. A differenza del suo contratto da calciatore con la squadra Everton, Rooney, ai sensi del separato contratto ancillare con Proform, non aveva assunto alcun dovere che fosse essenziale per il suo allenamento ovvero la sua vita privata. Il contratto, dunque, non era vincolante nei suoi confronti.
[19] Nei sistemi di common law, con l’espressione artificial person si fa riferimento al concetto di persona giuridica.
[20] Si rimanda in tal senso allo storico trattato, S. Brice, Treatise on the Doctrine of Ultra Vires, Stevens & Haynes, London, p. 1874.
[21] Nella sua versione più moderna, la ultra vires doctrine è analizzata in P.L. Davies & S. Worthington, Gower. Principles of Modern Company Law, 10° ed., Sweet & Maxwell, London, 2016, pp. 172-173. Va notato che, nella versione più recente della legislazione societaria britannica, l’oggetto sociale (la object clause) è unrestricted, non limitata. In altre parole: “A meno che non decida diversamente, l’oggetto della società sarà illimitato, dunque avrà capacità illimitata.” (ibidem, 173) (traduzione dall’inglese di chi scrive) Sulla object clause e l’articles of association, atto costitutivo, cfr, anche da un punto di vista dei practitioners di Oltrremanica, M. McLaughlin & J. Anderson, Incorporating and Disincorporating a Business, Bloomsbury, Haywards Heath, 2014; R. H. Jones, Incorporating a Business, 3rd ed., Tottel, Haywards Heath, 2008;
[22] (1875) LR 7 HL 653.
[23] Re Jon Beauforte Ltd [1953] Ch 131.
[24] Più precisamente, Hazell v. Hammersmith and Fulham London Borough Council [1992] AC 1(HL). La letteratura su questo caso è abbondante, in quanto si tratta di un landmark case., cfr. P. de Gioia Carabellese, Derivatives” in the light of the Recent Financial Crises (Lehman Brothers) and through Glimpses of Comparative Analysis, in Rivista Trimestrale di Diritto dell’Economia, 2010(3), pp. 234-257
[25] Una local authority aveva sottoscritto degli accordi di interest swaps, che comportavano la speculazione sull’aumento e la discesa dei tassi di interesse. Controparti erano due enti locali. Un auditor del Council mise sotto indagine tali contratti, nell’ambito dei suoi poteri di controllo, in quanto erano al di fuori dello scopo dello stesso. La House of Lords emise una declaration, un ordine, secondo cui tali operazioni erano nulle, in quanto non potevano considerarsi accessorie rispetto alle funzioni dell’Autorità locale. Una descrizione, seppur succinta, del caso si ha in E.P. Ellinger, E. Lomincka, C.V.M. Hare, Ellinger’s Modern Banking Law, 5° ed., Oxford University Press, Oxford, 2011, pp. 247-248. Sulle local authorities, in particolare dal punto di vista fiscale, nel Regno Unito, cfr. A.F. Uricchio & P. de Gioia Carabellese, La Council Tax nel Regno Unito come modello per la finanza locale italiana, in Rivista della corte dei conti, 2023, pp. 69-78
[26] Ciò è chiaramente affermato nella sentenza che si commenta: “L’interpretazione del termine “capacità” ai fini della norma è […] in ultima analisi una questione di politica. A mio avviso, è importante ricordare lo scopo della norma, che è quello di determinare quali sistemi legislativi saranno utilizzati, in base alle norme di conflitto inglesi, per decidere se una “società” ha la capacità di esercitare il diritto legale di stipulare un contratto vincolante con un terzo. Se questo riassume accuratamente lo scopo della norma, allora ritengo, seguendo l’approccio di Auld LJ nella causa Macmillan [1996]1 WLR 387, che al concetto di “capacità” debba essere attribuito un significato più ampio, “internazionalista”, e non debba essere limitato alla definizione ristretta data dal diritto interno inglese.”. Sembra strano che per il mero riferimento all’internazionalizzazione dell’interpretazione delle regole inglesi, si arrivi ad affermare che il diritto straniero, rispetto a quello inglese, dunque quello italiano, possa prevalere.
[27] Affermare, in tutto ciò, che il giudice ha ritenuto necessario richiamarsi al diritto italiano e all’ermeneutica che di esso è stata offerta dalla nostra Corte di legittimità, sembra fuori luogo. Era già la n. 8770/2020 delle Sezioni Unite che si allineava al caso “Hazell”, e non il diritto inglese e le sue Corti che si avvicinano al diritto italiano. Ciò è stato rimarcato, in epoca non sospetta, da alcuni commentatori. Cfr. P. de Gioia Carabellese & S. Davini, Derivati, danno erariale e un obiter dictum sulla causa del contratto speculativo, in Giurisprudenza commerciale, 2022, pp. 202-227. P. de Gioia Carabellese, Derivati e danno erariale da consulenza, in Rivista della corte dei conti, 2021, pp. 71-79.
[28] Il concetto di unjust enrichment, nel common law, è particolarmente rifiorito nella letteratura giuridica australiana. Cfr. S.J. Stoljar, The Law of Quasi-Contract, 2° ed., The Law Book Company Limited, Melbourne, 1999; S. Degelling & J. Edelman, Unjust Enrichment in Commercial Law, Thomson Reuters, Sidney, 2008; K. Barker & R. Grantham, Unjust Enrichment, LexisNexis Butterworths, Chatswood, 2018. Ad ogni modo lo stesso è connaturato al diritto inglese (A. Burrows, Restatement of the English Law of Unjust Enrichment, Oxford University Press, Oxford, 2013; T. Baloch, Unjust Enrichment and Contract, Hart Publishing, London, 2009) e scozzese (per tutti, R. Evans-Jones, Unjustified Enrichment: Enrichment by Deliberate Conferral: Condictio, I, Thomson/W. Green, Edinburgh, 2003; R. Evans-Jones, Unjustified Enrichment: Enrichment Acquired in Any Other Manner, II, Thomson/W. Green, Edinburgh, 2003), ove peraltro viene chiamato in forma leggermente diversa, unjustified enrichment. La change of position, dunque, non costituisce nulla di nuovo, nella sentenza sui derivati in commento.
[29] La dottrina italiana, o quella parte della stessa che ha commentato il decisum, ha forse preso un abbaglio, quando ha letto il concetto di change of position. Questo concetto nell’ambito dell’unjust enrichment, va solo a riequilibrare, riducendolo, il risarcimento da corrispondere all’ente pubblico. Si tratta di un principio generale, non di una nuova tesi elaborata in tema di contratti derivati.
[30] Gli stessi derivati che hanno uno scopo di copertura (hedging) non costituiscono un’autonoma categoria contrattuale, quanto piuttosto una tipologia contabile. Il punto specifico è tuttavia controverso.
[31] Cfr. anche il successivo paragrafo 6.
[32] A. Hudson, The Law of Financial Derivatives, 6t° ed., Sweet & Maxwell, London, 2012, pp. 446-447.
[33] A. Hudson, The Law of Financial Derivatives, 6t° ed., Sweet & Maxwell, London, 2012, p. 446.
[34] [1892] 2 Q.B. 484 al paragrafo 490.
[35] Questo divieto di desumere poteri impliciti per l’ente stipulante, oltre quanto non sia previsto nei contratti, è stato sancito da Credit Suisse v Waltham Forest [1996] 4 All E.r. 176 al paragrafo 184. Anche in Sutton LBC v Morgan Grenfell (1997) 6 Bank L.R. 156, simile principio fu sancito. Anche nel vicino (geograficamente) common law scozzese, il divieto di desumere implicitamente, in capo al derivato, poteri impliciti, è stato sancito da un unico, ma significativo dictum, Morgan Guaranty Trust Co of New York v Lothian Regional Concil [1995] S.L.T. 299.
[36] Si può discutere se la causa - termine che nemmeno ha traduzione linguistica in inglese, usandosi prevalentemente, e in forma corsivata, la parola anglo-francese “cause” – sia presente sotto mentite spoglie nel common law, nella diversa forma della consideration. Cfr. H. Beale, B. Fauvarque-Cosson, J. Rutdgers & S. Vogenauer, Cases, Materials, and Text on Contract Law, 3° ed., Hart Publishing, London, 2019, 344-345. Viene affermato che la consideration, “la quale costituisce un requisito aggiuntivo all’accordo e all’intenzione [agreement and intention], è un concetto specifico del common law: non vi è alcuna figura corrispondente della stessa nei sistemi giuridici occidentali. Come spesso accade nel common law, è il prodotto della storia.” (ibidem).
[37] Mutatis mutandis, ma in modo superficiale, si potrebbe obiettare che Oltremanica vi è la consideration, quale requisito per la validità del contratto. Ciò non è nemmeno vero, in quanto in Scozia, un common law, bensì con radici romanistiche, ma pur sempre un common law, non richiede la consideration quale requisito per la validità del contratto. Cfr., per tutti, H.L. MacQueen, MacQueen and Thomson on Contract Law in Scotland, 5th ed., Bloomsbury Professional, Edinburgh, 2020. Si veda anche, in chiave più storica, W.W. McBryde, The Law of Contract in Scotland, 3° ed., Thomson/W. Green, Edinburgh, 2007, pp. 99-137.
[38] Per quanto riguarda la disciplina del contratto, da un punto di vista di common law scozzese, non inglese, cfr. J.A.K. Huntley, Contract: Cases and Materials, 3rd ed., W. Green, Edinburgh, 2015, p. 4.
“An obligation is contractual only if it is voluntarily undertaken. Thus an obligation imposed by statute could never form the basis of a contract, nor give rise to contractual remedies if breached. That obligation would arise from the authority of the statute itself, which normally will also stipulate the consequences of failing to comply. Similarly, obligations imposed by the law of delict, such as that imposed on a driver of a vehicle not to drive negligently, are not voluntarily assumed. A person may own to another an obligation, voluntarily assumed; but it will only be contractual obligation if it is based on the consent of both parties. Contracts are therefore voluntary obligations which are based on agreement. The essentially consensual nature of contract was emphasised by the Institutional writers. According to Stair, “Conventional [contractual] obligations do arise from our will and consent” (Erskine, Institute, I.x.1.)
Per altri testi in inglese, fr. G. Black, Woolman on Contract, 5th ed., W. Green, Edinburgh, 2014. Sul concetto di obbligazioni, obligations, nei “diritti” di Oltremanica, in particolare quello scozzese, cfr. M. Hogg, Obligations, 2nd ed., Avizandum, Edinburgh, 2016. Viene enfatizzato quanto segue:
“Scots law derives its concept of obligation from Roman law. An obligation is a legal tie (juris vinculum) by which one of more parties is bound to perform or refrain from performing specified conduct. An obligation thus imposes upon a party the duty to perform (or refrain from performing), and simultaneously creates a corresponding right to receive performance on the part of the party to whom such performance is to be tendered. Strictly therefore the term obligation encompasses both the duty and the corresponding right” (ibidem, p. 1).
[39] [39] Da un punto di vista di definizione del contratto nel diritto inglese, si richiama il “perimetro” tracciato dalla dottrina, in particolare Professor Treitel: “un contratto è un accordo il quale dà luogo a obbligazioni attivabili ovvero riconosciute dalla legge. Il fattore che distingue le obbligazioni contrattuali dalle altre obbligazioni di natura legale è che le stesse sono basate su di un accordo delle parti contraenti. Questa proposizione rimane generalmente vera, anche se la stessa è soggetta a un numero di importanti qualificazioni.” traduzione dall’inglese di chi scrive, E. Peel, Treitel. The Law of Contract, 13th ed., Sweet & Maxwell, 2011, p. 1. Quanto a quest’ultima, l’offerta è: “Una espressione di volontà a contrarre su specifici termini, fatta con l’intenzione che la stessa diventerà vincolante appena sia accettata dalla persona alla quale sia rivolta”. Sulla vasta letteratura di diritto inglese in tema di contratti, per tutti cfr. E. McKencrick, Contract Law, 14th ed., McMillan, London, 2020. Sullo specifico tema dell’interpretazione, cfr. K. Lewison, The Interpretation of Contracts, 7th ed., Sweet & Maxwell, London, 2021.
[40] Cfr. A. Burrows, A Restatement of the English Law od Contract, Oxford University Press, Oxford, 2016.
[41] Possono ritenersi implicite per circostanze di fatto (as a matter of fact) per circostanza di legge (as a matter of law). Più in generale, aiutano a dar senso all’accordo contrattuale, a farlo operare con efficienza, ma le Corti inglesi non riscrivono un contratto che non vi è, né riscrivono un contratto scritto male ab imis. In Liverpool CC v Irwin [1977], la (allora) House of Lords statuì che i contratti oggetto di controversia, in questo caso quelli che comportano la locazione (lease) di appartamenti in un palazzo potrebbe avere un termine implicito in diritto (as a matter of law): in particolare potrebbe essere implicito che il Comune (il Council), quale proprietario, dovrebbe comunque tenere le aree in buone condizioni.
[42] Va detto che, solo nell’employment law - che nel Regno Unito costituisce parte del business law - vi sono stati dicta che hanno riconosciuto un implied contract, in tema di lavoratori di agenzia; è stata tuttavia una “stagione” molto breve degli anni 2000, superata dal 2009 in poi. Cfr. Motorola Ltd. v Davidson & Melville Craig Ltd [2001] IRLR 4. Il Sig. Davidson adempieva i propri doveri a beneficio di Motorola e ciò avvenne in modo continuato per quattro anni. Tuttavia, era pagato da Melville Craig, l’agenzia di lavoro, che forniva le sue prestazioni a Motorola. L’Employment Appeal Tribunal (dunque, l’appello) statuì che la società cliente (Motorola) esercitava sufficiente controllo sul lavoratore, e questo dava luogo alla sussistenza di una relazione di lavoro fra lui e Motorola. In modo simile il caso Montgomery v Johnson Underwood Ltd [2001] IRLR 269.
[43] Nella teoria generale del contratto inglese, il principio di buona fede, “good faith”, non è storicamente riconosciuto. Ciò vale per le negoziazioni che portano alla conclusione del contratto e per la responsabilità che ne possa discendere. [..] [..] In questo caso, i relativi principi sono quelli inferibili dal caso Walford v Miles [1992] 2 AC 128. in particolare le affermazioni di Lord Ackner: <> (traduzione dall’inglese di chi scrive) In altre parole, ogni condotta di una parte durante le fasi che precedono la conclusione del contratto non dà sostanza ad alcuna obbligazione di una parte nei confronti dell’altra. E Mckendrick, Contract Law, 5° edn, Palgrave Macmillan, London, 2003, p. 268.
[44] In questo caso, verrebbe in rilievo non solo la fraudulent misrepresentation, dunque quella riconducibile a una chiara manifestazione di volontà volta a carpire la volontà della controparte, ma anche quella innocente, ossia della parte che decide di non parlare, sebbene vi fosse un obbligo a farlo. Sui dicta relativi alla prima, cfr. Derry v Peek (1889) 14 App Cas 337, caso connesso a una potenziale falsa rappresentazione ante litteram in un prospetto. La negligent misrepresentation, non esistente fino a tempi relativamente brevi, è riconducibile al caso Spice Girls Ltd v Aprilia World Service BV [2002] EWCA Civ 15.
[45] Da un punto di vista di contract law, un’analisi della undue influence nel common law inglese può leggersi in E. McKendrick, Contract Law, 14° ed., Macmillan, London, 2021, pp. 342-353; E. McKendrick, Contract Law. Text, Cases, and Materials, 10° ed, Oxford University Press, Oxford, 2022, pp. 639-666.
[46] (1887) 36 Ch D 145
[47] La undue influence, riferita ai rapporti bancari, è analizzata in G. McMeel & J. Virgo, Financial Advice and Financial Products. Law and Liability, Oxford University Press, Oxford, 2001. Sempre con riferimento alle “securities” (garanzie), il tema è trattato da A. Malek & J. Oddgers (general ed.), Paget’s Law of Banking, 14° ed., LexisNexis, London, 2014.
[48] [2002] 2 AC 773 (HL). Prima ancora di “Ettridge”, come il caso viene spesso riferito, vi era stato Barclays Bank Plc v O’Brien, [1994] 1 AC 180 (House of Lords). O’Brien era un commercialista, e deteneva anche una partecipazione nella società in cui era revisore contabile. La società si trovò in difficoltà finanziarie e la banca desiderava, prima di finanziare la società, di trovare una garanzia per i debiti societari. O’Brien offrì la casa matrimoniale, quale garanzia. Fuorviò la moglie, circa le conseguenze che vi sarebbero state, ove non avesse aderito a tale accordo. La moglie concordò circa la firma della garanzia. Il manager della banca lasciò istruzioni all’addetto che gestiva la pratica affinché la moglie stessa, garante fosse informata in anticipo, prima della firma, delle conseguenze della responsabilità che discendevano dalla stessa. Vi era anche il suggerimento di acquisire un parere legale prima della firma. L’addetto bancario, tuttavia, disattendendo le istruzioni del proprio manager, fece firmare la moglie, senza eseguire le istruzioni relative all’informativa. La banca cercò di escutere la garanzia, ma la moglie sollevò un’ eccezione di undue influence e misrepresentation a sua difesa, al fine di vedere la garanzia invalidata. Fu statuito che la difesa basata su di un undue influence non era accolta, in quanto, nel caso concreto, la moglie aveva già una “indipendenza di pensiero”, dunque una certa competenza, su materie finanziarie ed era adusa, nel contesto familiare, a occuparsi delle finanze del marito, quando questi era via. Quanto alla misrepresentation, l’azione della moglie ebbe successo, in quanto si appurò che vi era stato un raggiro contrattuale, un vizio della volontà. La garanzia fu dichiarata invalida: la banca aveva consapevolezza della falsa rappresentazione del marito alla moglie e non aveva fatto nulla per adottare misure ragionevoli ad assicurare che la garanzia fosse ottenuta senza l’influenza del marito o che Mrs O’Brien fosse consapevole delle conseguenze di quella responsabilità. In questo giudizio, merita richiamare quello che Lord Brown Wilkinson affermò in merito alla constructive notice:“ Ne consegue che il creditore, a meno che non gli venga fatta espressa richiesta di adottare passi ragionevoli per essere soddisfatto che l’accordo con la moglie - al fine del rilascio della garanzia - sia stato ottenuto debitamente, avrà a disposizione un’ azione di risoluzione apparente [constructive notice] dei diritti della moglie”. (traduzione dall’inglese di chi scrive)
[49] Ossia, “la fiducia e stima nell’altra parte in relazione alla gestione degli affari finanziari”.
[50] E.P. Ellinger, E. Lomincka, C.V.M. Hare, Ellinger’s Modern Banking Law, 5° ed., Oxford University Press, Oxford, 2011, p. 141.
[51] A. Hudson, Hudson. The Law of Finance, 2° ed., Sweet & Maxwell, London, 2013, p. 566.
[52] Rainy Sky SA v Kookmin Bank [2011] 1 W.L.R. 2900.
[53] Appunto, quanto ai derivati ciò è confermato da A. Hudson, cit., p. 467.
[54] Ancora, “Rainy Sky SA”, cit, al paragrafo 30.
[55] Cfr. paragrafo 350 della sentenza in commento. Nel successivo paragrafo 351, viene sottolineato quanto segue: “L’argomento di Venezia, secondo cui queste previsioni [, articoli 1322 e 1325,] costituiscono norme di natura inderogabile del diritto italiano è stato sollevato ad uno stadio molto avanzato della disputa, tuttavia [,questa Corte] concede al Comune di Venezia di avanzare questa argomentazione all’inizio del processo. La questione ha ricevuto poca attenzione dopo e non è stato oggetto di prova orale.” (traduzione dall’inglese di chi scrive) Cfr. Paragrafo 352 della sentenza in commento.
[56] Paragrafi 352/354 della sentenza in commento,
[57] P. de Gioia Carabellese, Derivati e danno erariale da consulenza, in Rivista della corte dei conti, 2021, pp. 71-79; P. de Gioia Carabellese & S. Davini, Derivati, Danno erariale e un obiter dictum sulla causa del contratto speculativo, in Giurisprudenza commerciale, 2022, pp. 202-227; P. de Gioia Carabellese, Il danno erariale nel common law inglese, in Rivista della corte dei conti, 2021, pp. 85-93.
[58] Una precedente decisione della High Court, non risalente nel tempo, coinvolgeva dinanzi al giudice inglese una Amministrazione italiana, ma il derivato era retto dal diritto italiano.
[59] P. de Gioia Carabellese & M. Lembo, I derivati visti dal common law inglese (e dal British Statute). Una analisi della High Court sul contratto speculativo “Busto Arsizio v. Deutsche Bank, Le Società, 2022, pp. 607-623.
[60] “Sufficient” statuiscono, storicamente, le Corti anglo-gallesi. Il riferimento va a Currie v Misa (1874-75), in cui Lush J (il giudice della controversia) affermò: “Una consideration che sia di valore nel senso della legge, può consistere o in qualche diritto, interesse, profitto, o beneficio che maturi a vantaggio di una parte, ovvero in qualche rinuncia, danno, perdita, ovvero obbligo contrattuale, dato, soffferto, ovvero assunto dall’altra.” (traduzione dall’inglese di chi scrive) Nel common law scozzese, come nel resto del Regno Unito e nel Nord Irlanda, l’assenza di consideration per la validità di ogni pattuizione è confermata anche più recentemente da Miller Homes Ltd v Frame (2002), in cui il Lord Ordinary (Hamilton) ha ribadito che, per la validità di una opzione per l’acquisto di terra, nessun prezzo, consideration, deve essere “dato”. Nella dottrina scozzese, in tema di consideration si rimanda per tutti a H.L. MacQueen, J. Thomson, Contract Law in Scotland, Bloomsbury Publishing, Edinburgh, 2020, p. 103.
[61] L’unico vero limite è che la stessa non debba essere simbolica.
[62] In tal senso, viene in rilievo la Section 1 del Law of Property (Miscellaneous Provisions) Act 1989. Il deed of gift, dunque l’atto pubblico con il quale si effettua una donazione, deve essere fatto per iscritto, in quanto per definizione non è supportato da consideration.
[63] Si rimanda anche in questo caso a H.L. MacQueen & J. Thomson, cit., p. 337.
[64] E lo è storicamente proprio nel common law, soprattutto quello scozzese, per cui la legislazione britannica, il British Statute, comune a tre ordinamenti del Regno (Nord Irlanda, Scozia e diritto anglo-scozzese) ha introdotto da decenni l’apposita eccezione, come lumeggiato in questo contributo.
[65] R. Lener, C. Cipriani, I derivati, le Sezioni Unite e l'Europa Fonte, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 6/2021, p. 768 (Nota a: Cassazione civile, 12 maggio 2020, n. 8770, sez. un.).
[66] L’aleatorietà dei contratti, inclusi i derivati, è tematica italiana che, ovviamente, dal punto di vista del common law, non assume molta rilevanza. Cfr. per tutti P. Corrias, I contratti aleatori: rivisitazione di una categoria, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 5, n 1/2022, pag. 666 ff.
[67] Cfr. P. de Gioia Carabellese & M. Lembo, I derivati visti dal common law inglese (e dal British Statute). Una analisi della High Court sul contratto speculativo “Busto Arsizio v. Deutsche Bank, Le Società, 2022, pp. 607-623.
[68] P. de Gioia Carabellese & S. Davini, Derivati, danno erariale e un obiter dictum sulla causa del contratto speculativo, in Giurisprudenza Commerciale, n. 22022, pp. 185-227.