La rinegoziazione del contratto come dovere di correttezza
Modifica paginaIl presente contributo intende fornire un inquadramento dogmatico e normativo sull´istituto della rinegoziazione del contratto, partendo dai suoi aspetti teorici e concettuali per poi analizzare le varie applicazioni giurisprudenziali.
The renegotiation of the contract as a duty of correctness
This paper intends to provide a dogmatic and normative framework on the institution of contract renegotiation, starting from its theoretical and conceptual aspects and then analyzing the various jurisprudential applications.Sommario: 1. Premessa; 2. L’ambiguità lessicale del termine rinegoziare; 3. I riferimenti normativi; 4. La disciplina codicistica; 5. Le applicazioni giurisprudenziali; 6. I rimedi in caso di inadempimento; 7. Il ruolo centrale della buona fede; 8. Uno sguardo comparatistico; 9. Conclusioni.
1. Premessa
Spesso accade che la dinamica negoziale consti di un vuoto tra il momento di formazione della volontà, orientata al perfezionamento del vincolo contrattuale, e quello dell’esecuzione del programma determinato dalle parti[1].
L’eventuale presenza di tale fisiologico spazio temporale può favorire il verificarsi di sopravvenienze, fattuali o giuridiche, in grado di intaccare l’utilità o l’equilibrio dell’originario assetto di interessi stabilito dalle parti, con conseguente necessità di individuare gli strumenti funzionali a fronteggiarle, al fine di assicurare l’esecuzione del contratto originariamente perfezionato[2].
In questi casi, infatti, l’integrazione di un elemento sopravvenuto, che, in quanto imprevedibile, superi la sfera della c.d. «alea normale del contratto»[3], impone all’ordinamento la predisposizione, a favore delle parti, di adeguati istituti funzionali a superare l’ostacolo derivante dalle accennate sopravvenienze, allo scopo, da un lato, di assicurare che il trascorrere del tempo non arrechi danni ai contraenti, e, dall’altro, di rendere efficienti i traffici giuridici anche nei casi in cui siano destinati a dispiegarsi all’interno di un orizzonte temporale consistente[4].
I principali meccanismi di gestione delle sopravvenienze si articolano in una pluralità di istituti che, sia per ragioni di obiettiva impossibilità di attuazione dell’originario programma negoziale, sia per esigenze connesse allo squilibrio del sinallagma originario, essenzialmente conferiscono alla parte pregiudicata dal fattore perturbativo sopravvenuto la possibilità di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale, al fine di rimuovere gli effetti pregiudizievoli che discenderebbero dalla persistente vincolatività del rapporto obbligatorio[5].
L’assetto della disciplina codicistica evidenzia come il codice civile escluda dalla sfera di pertinenza del giudice ogni valutazione in ordine all’equilibrio delle prestazioni negoziali[6].
La libertà negoziale, prevista dall’art. 1322, comma 2 c.c., consiste nella possibilità per le parti di concludere contratti non aventi una disciplina particolare, purché l’effetto dispositivo risulti coerente con gli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico[7].
Di conseguenza, l’intervento giurisdizionale è circoscritto esclusivamente alla verifica della sussistenza di tale conformità, il cui esito negativo può fondare l’invocazione di una tutela demolitoria[8].
Si comprende, allora, la ragione per la quale, accanto ai tradizionali strumenti codicistici, la dottrina si sia concentrata sull’obiettivo di individuare un ulteriore meccanismo utile ad offrire alle parti l’opportunità di adeguare il contenuto del contratto a seguito di eventi sopravvenuti e non originariamente prevedibili[9].
Tale strumento, in particolare, potrebbe essere individuato nell’istituto della rinegoziazione del contratto, che, idoneo a vincolare entrambe le parti, favorisce l’adeguamento del contenuto del negozio alle rinnovate esigenze di ciascuno dei contraenti, in tal modo assicurando, mediante un’opportuna rimodulazione, la soddisfazione degli interessi originariamente perseguiti a mezzo della stipulazione del contratto[10].
2. L’ambiguità lessicale del termine rinegoziare
L’ambiguità del termine rinegoziare ha suscitato ampio dibattito tra gli interpreti[11], giacché non è sempre chiaro se la rinegoziazione si riferisca alle trattative aventi ad oggetto la modificazione di un contratto già concluso, o direttamente la sua stessa revisione.
Relativamente al primo aspetto, parte della dottrina[12] sostiene che i contraenti siano tenuti a condurre nuove trattative allo scopo di trovare una soluzione adeguata al problema delle sopravvenienze.
Questo carattere è condiviso da autorevole autore[13], secondo la quale colui che è obbligato a trattare deve realizzare quei comportamenti che possono consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell’adeguamento del negozio.
Di contro, un altro orientamento[14], che pone l’accento sulla revisione, sostiene l’obbligo di essere disponibile a contrarre secondo determinate condizioni e parametri.
Inoltre, per una parte della letteratura[15], l’obbligo legale di rinegoziazione consiste sia nell’impegno a condurre le trattative sia nell’obbligo di concludere l’accordo a seguito di modificazione o revisione.
Un’altra impostazione di pensiero[16] tende, invece, a specificare come con il termine rinegoziare si indichi non solo il procedimento di rinegoziazione vero e proprio, ma anche il risultato di tale procedimento.
A proposito di quest’ultimo aspetto, giova distinguere la rinegoziazione dall’adeguamento, in quanto la prima consiste nella valutazione dell’opportunità e della convenienza alla modificazione del rapporto contrattuale, mentre il secondo costituisce il risultato positivo della rinegoziazione stessa[17].
Inoltre, occorre differenziare l’istituto in esame dalla ripetizione, in cui i contraenti non cambiano il contenuto originario dell’accordo, bensì ne aggiungono una clausola ulteriore[18].
3. I riferimenti normativi
L’ambiguità del termine rinegoziare si riscontra anche sul piano normativo, in cui, tuttavia, il legislatore prevede un procedimento modificativo del contratto, orientato alla sua prosecuzione in termini di equità[19].
Ne sono un esempio la disciplina sui tassi d'interesse dei mutui oppure quella sulla concessione di lavori pubblici[20].
In particolare, alcuni studiosi[21] pongono l’accento su previsioni frammentarie di rinegoziazione presenti nella legislazione speciale.
Più in particolare, si tratta dell’abrogata disciplina in tema di contratti di locazione (art. 11, comma 2 bis, d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella legge 08 agosto 1992 n.359), che prevedeva la proroga biennale dei contratti scaduti nel caso in cui le parti non concordassero sulla determinazione del canone.
La stessa cosa può essere affermata anche per altre normative nelle quali, tuttavia, è adottata una terminologia promiscua, dato che il termine rinegoziazione è usato con il significato diverso di adeguamento o revisione del contratto (ad esempio: la rinegoziazione dei premi assicurativi dei professionisti; la rinegoziazione del canone periodico ai fini dell'adeguamento ai prezzi del mercato immobiliare nei contratti di locazione con la Pubblica Amministrazione) [22].
4. La disciplina codicistica
Il codice civile non prevede una specifica disciplina per la rinegoziazione, ma regola casi in cui essa costituisce il presupposto di fatto per il funzionamento di alcuni istituti.
La dottrina[23] ha valorizzato l’importanza dello squilibrio contrattuale a seguito di sopravvenienze, sostenendo l’esistenza di un principio di adeguamento del negozio.
La conservazione dell’equilibrio contrattuale è prevista nella disciplina di alcuni contratti tipici, sicché essi riflettono una logica più evoluta rispetto a quella che permea la teoria generale del contratto[24].
Il fondamento normativo di partenza[25] è l'articolo 1467, comma 3 c.c., la cui formulazione consente alla parte onerata il mantenimento in vita del contratto affetto da eccessiva onerosità sopravvenuta, per effetto di una richiesta di reductio ad aequitatem.
La parte contro cui è domandata la risoluzione, può esercitare il suo diritto potestativo per evitarla, offrendo di riportare il negozio alle condizioni originarie, con la conseguenza che, secondo un’autorevole impostazione di pensiero[26], il destinatario dovrebbe essere tenuto ad accettare la rinegoziazione.
In altri termini, quest’ultima diviene un effetto legale della fattispecie, ossia un obbligo nascente dalla legge proprio in virtù dell’ipotesi prevista dalla disposizione considerata, salvo che la rinegoziazione non sia l’effetto del contratto originario, che preveda clausole apposite destinate ad operare durante l’esecuzione dello stesso, indipendentemente dalle sopravvenienze.
Allo stesso modo, l’esigenza di conservazione del contratto emerge dal disposto di cui all’art. 1664 c.c., volto a far fronte in materia di appalto alle eventuali variazioni suscettibili di essere apportate al progetto originario[27], prevedendo la possibilità, in determinati casi, di adeguare il prezzo.
Tuttavia, le parti possono, in sede di formazione dell’accordo, limitare o escludere con apposita clausola l’adeguamento del costo[28].
Secondo parte della dottrina[29], tale norma risulta insufficiente a risolvere i problemi che possono sorgere durante l’esecuzione del contratto d’appalto, sicché le circostanze sopravvenute si riferiscono agli aumenti o alle diminuzioni del costo di materiali o della manodopera superiori al decimo del prezzo complessivo.
Alcuni studiosi[30], invece, sostengono che la norma costituirebbe un esempio lampante di codificazione della rivedibilità del corrispettivo, la cui funzione è generalizzata per giustificare la revisione del contratto.
Orbene, occorre osservare come la scelta del legislatore sia quella di preferire, in ossequio alle esigenze di favorire una proficua allocazione delle risorse, una possibile rimodulazione del prezzo, anziché imporre alle parti la risoluzione del contratto[31].
Un’altra norma che sembra indurre i contraenti alla rinegoziazione è quella prevista dall’art. 1623 c.c. disciplinante le modificazioni sopravvenute del contratto di affitto[32], in cui la sopravvenienza, causata da una disposizione di legge ovvero da un provvedimento amministrativo, che determini un notevole mutamento delle condizioni economiche del rapporto, consente di richiedere un aumento o una diminuzione del fitto oppure lo scioglimento del contratto[33].
Quest’ultima ipotesi, ossia la risoluzione, è prevista come extrema ratio, mentre è privilegiata l’esigenza di conservazione del negozio[34].
Parte della dottrina[35] afferma che la disciplina dell’art.1623 c.c. costituisce una misura contro gli eventi perturbatori dell’equilibrio dell’accordo che appartiene alla categoria dei rimedi contro le sopravvenienze contrattuali.
Gli artt. 1897 e 1898 c.c., in tema di rischio assicurativo, costituiscono meccanismi che evidenzierebbero «la tendenza dell’ordinamento nel senso dell’adeguamento del contratto»[36].
La dottrina[37] ha elencato una serie di ulteriori norme che consentirebbero alla parte di richiedere l’adeguamento delle condizioni del contratto, vale a dire gli artt. 1560[38] e 1561 c.c.[39].
Dalle previsioni richiamate, parte della letteratura[40] desume la sussistenza di un generale obbligo di rinegoziazione, affermandone un’applicazione analogica a ogni contratto di durata colpito da sopravvenienze, in quanto norme speciali e non eccezionali rispetto alla disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
5. Le applicazioni giurisprudenziali
Anche la giurisprudenza si è occupata del problema relativo all’esistenza di un obbligo di rinegoziazione del contratto[41].
Tale obbligo è stato ritenuto[42] sussistente qualora il determinarsi di una sopravvenienza, non prevista al momento della conclusione del contratto in un apposito accordo tra le parti, provocasse uno squilibrio dello stesso.
In particolare, i giudici hanno affermato che qualora la controparte non danneggiata non accetti la proposta di modifica del contenuto del negozio, la parte svantaggiata potrà avvalersi degli ordinari strumenti del diritto privato volti a paralizzare gli effetti pregiudizievoli, ossia la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.
In caso di inadempimento del suddetto obbligo, inoltre, la sentenza costitutiva emessa dal giudice può realizzare gli effetti del contratto modificativo che sarebbe stato presente all’esito della rinegoziazione oppure costringere l’obbligato ad eseguire la prestazione cui sarebbe tenuto in forza del procedimento[43].
Altro indirizzo giurisprudenziale[44] ha affermato un obbligo di rinegoziazione anche in caso di collegamento negoziale, in cui la sopravvenienza era costituita dal mancato perfezionamento di un contratto avente funzione di garanzia, incidente sulla globale stabilità dell’operazione contrattuale.
In questo caso, secondo i giudici, il vincolo contrattuale tra i due accordi rilevava ai fini della conservazione di questi ultimi e non della loro caducazione.
A tal proposito, sembra opportuno notare come l’istituito della rinegoziazione non sia applicabile a tutte le tipologie contrattuali.
Infatti, ferma restando la sua assodata applicabilità ai contratti di durata[45], parte della dottrina[46] sostiene che i contratti standard (o standardizzati)[47] non possano beneficiare del rimedio conservativo in esame poiché, da un lato, trattative semplificate e veloci spesso caratterizzate dall’assenza dell’incontro fisico tra le parti, svolte in una società sempre più globalizzata, fanno venir meno l’interesse a rinegoziare anche di fronte a una sopravvenienza inaspettata e imprevedibile; dall’altro, invece, proprio perché manca una prima vera e propria negoziazione tra i contraenti, come normalmente avviene, sembra illogico il termine stesso rinegoziare, che costituisce, appunto, una seconda trattativa[48].
6. I rimedi in caso di inadempimento
Alla fine della rinegoziazione può verificarsi, da un lato, che le nuove trattative si concludano positivamente, giungendo a un nuovo accordo, dall’altro, che esse terminino negativamente, interrompendo il rapporto contrattuale.
Quest’ultima ipotesi potrebbe verificarsi nel caso in cui la controparte opponga un rifiuto alla richiesta di iniziare nuove trattative oppure conduca una trattativa maliziosa, configurabile quando il contraente partecipi alle nuove trattative con l’intento premeditato di non pervenire ad alcun accordo[49].
Così, sarà configurabile una violazione della buona fede in senso oggettivo e, al contempo, un abuso del diritto[50].
In questo caso, la parte che si vede opporre un rifiuto di rinegoziare il contratto potrà chiedere al giudice di adeguare il contenuto del negozio[51].
Parte della dottrina[52] sostiene la possibilità di domandare all’autorità giudiziaria l’adeguamento del negozio attraverso la pronuncia di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., prevista in caso di inadempimento del contratto preliminare, che tenga luogo dell’accordo (modificativo di quello originario) non concluso[53].
Secondo tale impostazione di pensiero, la norma menzionata non si porrebbe in contraddizione con la discrezionalità delle parti in sede di modifica del regolamento contrattuale, fermo restando che l’accordo modificativo non ne costituisce uno nuovo, bensì forma oggetto di un obbligo negoziale.
Inoltre, non sembrerebbe di ostacolo l’assenza di un programma modificativo già elaborato dai contraenti, poiché sarebbe sufficiente «la preesistenza del rapporto negoziale e la ricostruzione della volontà delle parti nel senso del loro interesse alla prosecuzione del rapporto per tutta la durata prevista nel contratto»[54].
Parte della letteratura[55] afferma che, giacché il dovere di rinegoziazione costituisce un obbligo di contrarre, in caso di inadempimento, il giudice decide in base a dei parametri risultanti dal testo originario del negozio, rivisitati alla luce dei nuovi eventi imprevedibili e sopravvenuti.
Occorre notare come alcuni autori[56] mettano in dubbio l’esperibilità di tale rimedio, poiché comporterebbe la sostituzione del giudice all’autonomia privata dei contraenti[57] e la novazione del contratto, oltrepassando la volontà delle parti, con conseguenti problemi interpretativi[58].
Infatti, un simile intervento non si giustificherebbe nemmeno in virtù del principio di conservazione e delle esigenze di collaborazione tra le parti che contraddistinguono i contratti di durata, dal momento che, quando un contraente non adempie, dimostra di non avere alcun interesse alla realizzazione del programma negoziale[59].
Tale impostazione di pensiero è condivisa anche dalla Cassazione, che, nella sua Relazione tematica dell’8 luglio 2020 n. 56, ha sostenuto, da un lato, la difficoltà del giudice di sostituirsi agli stipulanti e, dall’altro, che il ricorso all’art. 2932 c.c. non assicura che la parte destinataria della sentenza adempia alle nuove indicazioni da essa stabilite, pur consentendo, nel caso di rifiuto, un risarcimento del danno[60].
Tuttavia, pur in assenza di rinegoziazione, il Tribunale di Bari, con ordinanza del 14 giugno 2011, in sede cautelare, ha ordinato ex art. 700 c.p.c. di eseguire il contratto adeguato con la misura di coercizione indiretta di cui all’art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo[61].
Inoltre, l’idea di impiegare il rimedio dell’art. 2932 c.c. in funzione adeguatrice nasce anche in stretta connessione con le vicende pandemiche del contratto di locazione[62].
Alla luce dei suesposti problemi interpretativi, alcuni autori hanno anche ipotizzato l’esperibilità del risarcimento del danno.
Innanzitutto, vi è chi[63] ritiene che la parte inadempiente possa essere tenuta a risarcire il danno nella misura dell’interesse negativo, configurando, secondo le regole comuni, una responsabilità precontrattuale[64].
Altro orientamento[65], sconfessando la configurazione di una culpa in contrahendo, mette in rilievo l’importanza dell’obbligo a trattare, sotteso alla rinegoziazione, che manca nella fase precontrattuale, cui segue la risarcibilità del danno nella misura dell’interesse contrattuale positivo.
Inoltre, dovendo la parte inadempiente risarcire il danno consistente nell’utilità che la controparte avrebbe beneficiato dal contratto se non si fosse verificata la sopravvenienza, l’interesse positivo andrebbe rapportato al contratto originario[66].
Secondo altri[67], invece, l’interesse positivo dovrebbe essere letto in funzione delle nuove condizioni negoziali che si sarebbero dovute introdurre, ma a cui non si è giunti a causa dell’inadempimento dell’obbligo di rinegoziare.
Oltre alla tutela in forma specifica e a quella risarcitoria, si prevede anche la possibilità di esperirne una d’urgenza[68].
In particolare, la tutela cautelare pone i problemi su due fronti, ossia, da un lato, sulla configurazione della sua stessa ammissibilità e, dall’altro, sulle modalità concrete attraverso le quali garantire l’interesse economico della parte adempiente l’obbligo di rinegoziazione[69].
Relativamente al primo aspetto, il giudice, sulla base del fumus boni iuris e del periculum in mora, potrebbe emettere il provvedimento cautelare qualora risulti probabile il verificarsi di un pregiudizio irreparabile per l’attore.
Il secondo aspetto, invece, si struttura attraverso la condanna del danneggiante all’adempimento coattivo dell’obbligo di rinegoziare.
Parte della dottrina[70] sostiene l’ambiguità della locuzione adempimento coattivo a causa di una difficoltà di comprensione sul tipo di comportamento che sarebbe possibile imporre al contraente inadempiente, con la conseguenza di una possibile confusione tra i diversi concetti di rinegoziazione e adeguamento del contratto[71].
7. Il ruolo centrale della buona fede
L’obbligo di rinegoziazione, dunque, confrontato con i tradizionali istituti di gestione delle sopravvenienze, costituisce un indubbio arricchimento dello strumentario deputato a favorire una corretta gestione dei fattori perturbativi dei rapporti contrattuali di durata.
Allo stesso tempo, esso sconta un'ontologica debolezza direttamente discendente dalla tendenziale centralità all’interno della dinamica contrattuale della volontà quale motore inesauribile della libertà negoziale a ciascuno riconosciuta[72].
Il dovere di rinegoziazione, infatti, non struttura un vero e proprio obbligo a contrarre, non vincolando le parti al necessario raggiungimento di un nuovo accordo contrattuale[73].
Esso, al contrario, delinea un semplice obbligo a contrattare attraverso l’instaurazione di nuove trattative, orientate alla ridiscussione, nel rispetto dell’obbligo di correttezza, di quei profili contaminati nel loro equilibrio dalle sopravvenienze.
La flessibilità che contraddistingue l’obbligo di rinegoziazione ha spinto la dottrina[74] a qualificarlo come obbligazione di mezzi, in virtù della quale i contraenti sono tenuti ad avviare nuove trattative.
Pertanto, la rinegoziazione, pur favorendo la possibilità di eliminare, in termini conservatori, le conseguenze negative derivanti dal trascorrere del tempo, non assicura l’effettiva sopravvivenza del rapporto contrattuale e la conseguente protezione di quegli interessi suscettibili di essere soddisfatti per effetto della sua conservazione.
Al contrario, la rinegoziazione offre alla parte debole l’opportunità di conseguire un rinnovamento del regolamento negoziale, ferma la possibilità, per la controparte, di sottrarsi alla rivisitazione del rapporto nei limiti in cui il rifiuto non contraddica quel canone ex bona fide che, in un simile contesto, deve sempre orientare la condotta dei contraenti[75].
Stante l’autonomia contrattuale dei privati, l’intervento del giudice in un contratto squilibrato da una sopravvenienza non può che assumere il ruolo di mero disincentivo all’assunzione di comportamenti contrari alla buona fede[76], la cui realizzazione potrebbe condurre alla demolizione del rapporto contrattuale in ragione dell’inadempimento della parte pregiudicata dallo squilibrio o dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, laddove, all’esito delle trattative, non si raggiunga un nuovo accordo sulla sostanza economica e normativa del negozio e, contestualmente, l’organo giurisdizionale non ritenga adeguata l’offerta eventualmente formulata ai sensi dell’art. 1467, comma 3, c.c.[77].
Orbene, l’intervento del giudice può assumere una consistenza essenzialmente di «controllo», essendo lo statuto dei poteri dell’organo giurisdizionale funzionale soltanto a sanzionare l’eventuale violazione dei limiti negativi che dovrebbero guidare lo svolgimento della rinegoziazione[78].
Occorre rilevare come dottrina[79] e giurisprudenza[80], stante l’assenza nell’ordinamento italiano di una specifica norma finalizzata alla revisione del rapporto e alla rinegoziazione obbligatoria di clausole contrattuali, abbiano cercato di individuare l’obbligo di rinegoziazione in base alle regole della buona fede.
Da questo modus operandi, è susseguito un acceso dibattito.
La dottrina maggioritaria[81] ha individuato nella clausola generale di buona fede la fonte principale del dovere di rinegoziazione.
In particolare, il rifiuto di trattare o la trattativa maliziosa risulterebbero qualificabili come inadempimento proprio in virtù della violazione dell’obbligo, imposto dall’art. 1375 c.c., di eseguire il contratto secondo buona fede.
Parte della letteratura ha posto l’accento sui rimedi manutentivi, affidati in ultima istanza all’autorità giudiziaria «i quali, lungi dallo sciogliere un vincolo avente forza di legge ex art 1372 c.c., mantengono in vita i rapporti contrattuali squilibrati previa loro “rinegoziazione’’ in executivis»[82].
Ciò avverrebbe utilizzando i principi generali dell’equità integrativa e della buona fede di cui agli artt. 1374 e 1375 c.c.
In particolare, il fondamento giuridico della rinegoziazione del contratto secondo buona fede potrebbe essere individuato attraverso una serie di norme, quali l’interpretazione del negozio secondo bona fides ex art. 1366 c.c., l’equità integrativa di cui all’art. 1374 c.c., e, infine, l’art. 1375 c.c. disciplinante l’esecuzione di buona fede[83].
A tal proposito, la giurisprudenza ha sostenuto che, in base ai principi di onesta collaborazione e solidarietà tra le parti, qualora si ravvisi una sopravvenienza, il contraente che subisce uno svantaggio dal protrarsi dell’esecuzione del contratto dovrebbe avere la possibilità di rinegoziare il contenuto dell'accordo.
In tale prospettiva, la buona fede potrebbe essere utilizzata dal giudice anche con funzione integrativa, al fine di riportare in equilibrio il contratto nei limiti del rischio prevedibile[84].
Secondo altro orientamento dei giudici, non sarebbe possibile utilizzare i canoni della buona fede e dell’equità, in quanto, in virtù dell’art. 1374 c.c., si tratterebbe di equità soltanto sotto il profilo delle fonti di integrazione del contratto, potendo il giudice determinarne il contenuto alla stregua dei criteri offerti dal mercato.
Il suo intervento è suppletivo e residuale, poiché il magistrato non può correggere la volontà delle parti, dovendo limitarsi, negli eccezionali casi in cui la legge lo ammetta, a colmare le lacune riscontrate, inserendo regole ulteriori e connesse con il programma concordato dalle parti[85].
Infatti, la determinazione del contenuto del contratto appartiene alla sfera decisionale riservata ai contraenti, rispetto alla quale ogni azione spetta solo al legislatore, che fissa l'eventuale disciplina non mutabile né dalle parti, né dal giudice.
Un’ingerenza del giudice sarebbe possibile sul contratto e in forza di esso ogniqualvolta dal regolamento negoziale emergessero i termini in cui le parti hanno inteso ripartire il rischio derivante dal contratto[86].
Dello stesso avviso è anche il Tribunale di Roma, che, con sentenza del 19 febbraio 2021, ha rilevato l’assenza di disposizioni attributive all’autorità giudiziaria del potere di variare le condizioni economiche pattuite fra le parti, nemmeno a fronte di eventi straordinari come la pandemia da coronavirus [87].
Mediante il combinato disposto degli artt. 1374 e 1375 c.c., il Tribunale ha riconosciuto in capo a sé la sola possibilità di integrare le clausole contrattuali, giacché l’equità disposta nel primo articolo e la buona fede richiesta dal secondo non sono sufficienti a lasciare al giudice uno spazio tanto ampio da consentirgli di sostituirsi alle parti nella modificazione e nella negoziazione delle clausole contrattuali[88].
Una parte della dottrina rinviene la fonte della rinegoziazione nell’art. 1322 c.c., il quale stabilisce l’autonomia delle parti nella scelta delle condizioni e delle clausole contrattuali. Tali autori sostengono che le parti potrebbero decidere di includere all’interno del negozio una clausola espressa di rinegoziazione, che, una volta apposta vincolerebbe le parti al suo rispetto, pena lo scioglimento del vincolo[89].
8. Uno sguardo comparatistico
Il fondamento assiologico dell’obbligo di rinegoziazione secondo buona fede non circoscrive i propri confini esclusivamente sul piano del diritto nazionale[90].
Al contrario, esso trova ampio riconoscimento anche sul piano del diritto sovranazionale, essendo valorizzato, da un lato, nei princìpi per i contratti commerciali internazionali Unidroit[91], ove all’art. 6.2.3. è espressamente conferito, in favore della parte contrattuale pregiudicata dal verificarsi di una sopravvenienza, il diritto alla rinegoziazione del contenuto del regolamento negoziale[92]; dall’altro, nei Princìpi di Diritto Europeo dei Contratti, tra i quali l’art. 6.1.1.1. che prevede una disposizione rubricata «mutamento delle circostanze»[93].
La norma stabilisce che, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per il mutamento delle circostanze, le parti devono intraprendere trattative per modificare o concludere il contratto[94].
In tale ipotesi deve sempre essere tenuto di conto che il mutamento delle circostanze non fosse suscettibile di essere preso in considerazione al momento della conclusione del negozio ovvero il rischio non sia uno di quelli che, in relazione al contratto, la parte che lo subisca possa essere tenuta a sopportare.
9. Conclusioni
In definitiva, il dovere di rinegoziare il contratto garantisce, nella gestione di sopravvenienze negative, un congegno utile a rivisitare l’oggetto del rapporto negoziale al verificarsi di imponderabili fattori idonei a minare la persistente attualità dell’assetto di interessi originariamente divisato dalle parti[95].
Affondando le sue radici nel dovere di correttezza esecutiva, tale obbligo assicura, in coerenza con il precetto comportamentale di cui all’art. 1375 c.c., l’attuazione del fondamento dell’obbligo di buona fede, vincolando le parti a rimodulare il tenore dei reciproci diritti ed obblighi, nel tentativo di garantire, in una logica solidaristica ex art. 2 Cost., la persistente attuazione degli obiettivi perseguiti mediante il contratto[96].
Attraverso un rimedio non caducatorio, bensì manutentivo, l’obbligo di rinegoziazione ex bona fide appare perfettamente coerente con il principio di conservazione del contratto e di adeguamento dello stesso.
In sostanza, la buona fede contribuirebbe «alla concretizzazione dell’obbligo di trattare per mantenere in vita il contratto in funzione delle utilità economico-giuridiche volute dalle parti e tutelate dall’ordinamento»[97].
[1] Cfr. M.C. DIENER, Il contratto in generale, 4ª ed., Milano, 2021,127 ss.
[2] V., amplius, S. LANDINI, Pandemia e autonomia privata: sopravvenienza o rischio da gestire. Piani aziendali, contratti di assicurazione, pandemic bond, in Giustizia civile.com, 2020.
[3] Secondo M. ZACCHEO, Risoluzione e revisione, Milano, 2000, 259, l’alea normale può esplicarsi sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo; il primo attiene al rapporto tra le prestazioni alla luce di una valutazione dei contraenti determinata liberamente, mentre il secondo riguarda la consapevolezza del rischio assunto da ciascuna delle parti.
[4] In argomento, v. M. LOPINTO, Principi Unidroit e ‘’nuova’’ eccessiva onerosità sopravvenuta. Cosa è cambiato negli ultimi due anni?, in www.ilcaso.it, 2021, 3 ss.
[5] Cfr. R. SACCO, I rimedi per le sopravvenienze, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, 4ª ed., Milano, 2016,1677 ss.
[6] Sul punto, A. DE MAURO, Pandemia e contratto: spunti di riflessione in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione, in Giustizia civile.com, 2020; A. FEDERICO, Misure di contenimento della pandemia e rapporti contrattuali, in Actual. jur. iber., 2020, 238 ss.
[7] Cfr. R. CALVO, Diritto civile, II, Il contratto, II, 2ª ed., Bologna, 2020, 8 ss.
[8] V., amplius, R. RORDORF, Autonomia negoziale e "giustizia del contatto" in tempo di pandemia, in Questione giustizia.it, 2022.
[9] Cfr. R. LO GULLO, Il problema del riequilibrio contrattuale e l'art. 1468 c.c., in Sopravvenienze e dinamiche di riequilibrio tra controllo e gestione del rapporto contrattuale, a cura di R. Tommasini, Torino, 2003, 149.
[10] L. GUERRINI, Coronavirus, legislazione emergenziale, e contratto: una fotografia, in Giustizia civile.com, 2020; A. DE MAURO, Il principio di adeguamento nei rapporti giuridici privati, Milano, 2000, 5 ss; M. AMBROSOLI, La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002, 405 ss; F.P. TRAISCI, Sopravvenienze contrattuali e rinegoziazione nei sistemi di civil law e di common law, Napoli, 2003, 95 ss; F. GAMBINO, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004, 90 ss; E. AL MUREDEN, Le sopravvenienze contrattuali. Tra lacune normative e ricostruzione degli interpreti, Padova, 2004, 160 ss; M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, 201 ss; F. GAMBINO, Rinegoziazione (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 2006, 5 ss; P. GALLO, voce Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig., Disc. priv., Sez. civ., Torino 2011, 2; G. ALPA, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, 175 ss.
[11] In argomento, v. A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2003, 667 ss; E. TUCCARI, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Milano, 2018, 133; A. PISU, L'adeguamento dei contratti tra ius variandie rinegoziazione, Napoli, 2017.
[12] G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, Padova, 2006, 134.
[13] F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, 343.
[14] R. SACCO, I rimedi per le sopravvenienze, cit.,1711 ss.
[15] In tal senso, v. F. GAMBINO, Problemi del rinegoziare, cit., 8 ss.
[16] Sul punto, v. A. FICI, Il contratto “incompleto”, Torino, 2005, 51 ss.
[17] Cfr. E. TUCCARI, op. cit., 114 ss.
[18] In tal senso, v. N. IRTI, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, 44.
[19] F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 122 ss.
[20] In argomento, v. F. MACARIO, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, cit.
[21] Cfr. G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contr. impr., 2002, 779.
[22] Ancóra, nell’art. 7, l. 2 aprile 2007, n. 40 (c.d. legge Bersani) e nella legge finanziaria per il 2019 (art. 1, commi 961 a 964, l. 30 dicembre 2018, n. 145).
[23] F. MACARIO, op. cit., 99.
[24] Sul punto, v. C.G. TERRANOVA, L'eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467-1469, Comm. c.c., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1995.
[25] Cfr. V. DI GREGORIO, Rinegoziazione e adeguamento del contratto: a margine dell’introduzione dell’imprévision nel code civil francese, in Nuova giur. civ. comm., 2018, II, 395 ss; S. LANDINI, Vincolatività dell'accordo e clausole di rinegoziazione. L'importanza della resilienza delle relazioni contrattuali, in Contr. Impr., 2016, 185 ss.
[26] In tal senso, v. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 295.
[27] La norma sancisce che, in caso di circostanze straordinarie e imprevedibili che mutino il costo dei materiali o della mano d’opera, e, di conseguenza, il prezzo originariamente pattuito tra le parti, l’appaltatore o il committente hanno la possibilità di chiedere la revisione del prezzo. In argomento, E. LUCCHINI GUASTALLA, Emergenza Covid-19 e diritto privato: quali rimedi?, in Riv. dir. risp., 2021; R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (dir. priv.), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 110 s.; F. MACARIO, La rinegoziazione delle condizioni dell’appalto, in G. Iudica (a cura di), Appalto pubblico e privato. Problemi e giurisprudenza attuali, Padova, 1997, 135 ss; G. IUDICA, Sorpresa geologica e revisione del contratto, in G. Alpa, G. Conte, V. Di Gregorio, A. Fusaro, e U. Perfetti (a cura di), La disciplina dell’appalto tra pubblico e privato, Napoli, 2010, 11 ss; E. GUERINONI, L’esecuzione dell’appalto, in V. Di Gregorio (a cura di), L’appalto privato e pubblico, Torino, 2013, 263 ss; Studio Bonelli Erede, Incidenze del coronavirus su alcune tipologie contrattuali, in Giustizia civile.com, 2020.
[28] Sul punto, v. V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, Napoli, 2000, 63.
[29] In tal senso, v. O. CAGNASSO, Appalto e sopravvenienza contrattuale. Contributo ad una revisione della dottrina dell'eccessiva onerosità, Milano, 1979, 178 ss.
[30] In argomento, v. T. MAUCERI, Sopravvenienze erturbative e rinegoziazione del contratto, in Eur. dir. priv., 2007, 1109 ss; M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. dir. priv., 2009, 491 ss.
[31] M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, cit., 232 ss.
[32] Ma anche di affitto di fondo rustico. In argomento, v. E. ROMAGNOLI, Affitto. Disposizioni generali, in Comm. c.c., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1978, 185 ss.
[33] R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 116.
[34] Cfr. R. BASILE, Affitto, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 5 ss; G. BIVONA, Affitto di fondi rustici. Affitto a coltivatore diretto. Artt. 1628-1654, in Comm. c.c., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1995, 37; M. TAMPONI, L’affitto di fondo rustico, in V. Cuffaro (a cura di), I contratti di utilizzazione dei beni, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2008, 285 ss.
[35] A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, I, Contratti di alienazione, di godimento, di credito, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1995, 635.
[36] Così F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 126 ss.
[37] V., ancóra, F. MACARIO, op. cit., 103 ss.
[38] V., in argomento, R. BOCCHINI, Somministrazione di servizi, in Enc. Dir., agg. IV, Milano, 2000, 1112 ss.
[39] V., amplius, R. NOCERA, Il contratto di somministrazione, Milano, 2010, 51 ss.
[40] Cfr. G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, cit., 35; E. TUCCARI, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, cit., p. 131 ss.
[41] In argomento, v. O. CLARIZIA, Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012, 224 ss; C. CREA, Connessioni tra contratti e obblighi di rinegoziare, Napoli, 2013, 162 ss.
[42] Trib. Roma, 4 luglio 2011, in Onelegale.it.
[43] Trib. Bari, 14 giugno 2011, in Onelegale.it.
[44] Trib. Bari, 31 luglio 2012, in Onelegale.it.
[45] S. THOBANI, Il contenuto dell’obbligo di rinegoziare, in Corr. giur., 2020, 631 ss.; G. ALPA, Note in margine agli effetti della pandemia sui contratti di durata, in Nuova giur. civ. comm., suppl. al n.3, 2020, 57 ss; L. REGAZZONI, I contratti di durata e la pandemia: dalla correzione (cogente) all’integrazione (dispositiva), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 1219 ss e 1225 ss.
[46] Cfr. A. PISU, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, cit., 16 ss.
[47] In argomento, v. V. ROPPO, I contratti standard. Autonomia e controlli nella disciplina delle attività negoziali d’impresa, Milano, 1975, 26 ss; G. CHINE’, Contratti di massa (dir. vig.), in Enc. dir., agg. I, Milano, 1997, 411 ss; Id., Consumatore (contratti del), in Enc. dir., agg. IV, Milano, 2000, 400 ss; A.M. BENEDETTI, Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Torino 2002, 143 ss; G. DE NOVA, Contratti di impresa, in Enc. dir., IV, Milano, 2011, 244 ss; G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. dir., IV, Milano, 2011, p. 602 s.; F. BRAVO, Commercio elettronico, in Enc. dir., V, Milano, 2012, 253 ss; F. CAFAGGI, Contratto di rete, in Enc. dir., IX, Milano, 2016, 210 ss.
[48] Cfr. M. MAGGIOLO, Poteri e iniziative unilaterali nella rinegoziazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2021, 909 ss.
[49] L. BERTINO, Le trattative prenegoziali e i terzi, Milano, 2009, 20 ss.
[50] Sul punto, v. G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, cit., 141 ss.
[51] Cfr. G. SICCHIERO, La rinegoziazione, cit., p. 801; C.G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467-1469, cit., 254 ss.
[52] In tal senso, v. M. COSTANZA, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, in C. Vaccà (a cura di), Inadempimento, adattamento, arbitrato: patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, 318 ss; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 419 ss; V. ROPPO, Il contratto, 2ª ed., in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2011, 973.
[53] La norma prevede che il giudice sostituisca, col suo provvedimento avente finalità correttiva, quanto avrebbe dovuto fare la parte inadempiente, ossia concludere il contratto definitivo. In argomento, v. F. GAZZONI, Il contratto preliminare, Torino, 2002, 143 ss.
[54] V., anche per le parole testualmente riprodotte, F. MACARIO, op. cit., 421 ss.
[55] Cfr. R. SACCO, I rimedi per le sopravvenienze, cit., 1711 ss.
[56] Sul punto, v. V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 263 ss; G. MARASCO, op. cit., 96 ss.; A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, cit., 713 ss.; G. SICCHIERO, op. cit., 803 ss; M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, cit., 250 ss.
[57] Infatti, il giudice potrebbe intervenire sul contratto solo in virtù di un’idea formalistica di autonomia privata oppure di una concezione dogmatica della decisione contrattuale, della quale si invochi una tangibilità assoluta. In argomento, v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legislazione costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, II, Fonti e interpretazione, 4ª ed., Napoli, 2020, 78 ss.
[58] Cfr. V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 194 ss.
[59] In tal senso, v. G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, cit., 197 ss.; A. GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, cit., 715.
[60] Cfr. Cass., Relazione Tematica n. 56, 8 luglio 2020, in www.cortedicassazione.it. Nello stesso senso, v. G. SICCHIERO, La rinegoziazione, cit., 809 ss; F. Gambino, Problemi del rinegoziare, cit., 176 ss.
[61] Si tratta, tuttavia, di un adeguamento automatico. In argomento, v. Trib. Bari, 14 giugno 2011, cit. In dottrina, v. F.P. PATTI, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, in Contratti, 2012, 571 ss.
[62] Cfr. Trib. Roma, 27 agosto 2020, in One legale.it.
[63] G. SICCHIERO, La rinegoziazione, cit., 1216; E. TUCCARI, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, cit., 290.
[64] V., amplius, V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1265 ss.
[65] Sul punto, v. G. MARASCO, La rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, cit., 144 e 176.
[66] Cfr. F. TRUBIANI, La rinegoziazione contrattuale tra onere e obbligo delle parti, in Obbl. contr., 2012, 453.
[67] V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 278; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 403.
[68] F. MACARIO, op. cit., 435 ss.
[69] Cfr. E. TUCCARI, op. cit., p. 73 s.
[70] In tal senso, v. E. TUCCARI, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, cit., 75.
[71] Contra, v. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 440, che sostiene un vero e proprio adempimento coattivo all’adeguamento contrattuale.
[72] Cfr. P. SCHELSINGER, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. ita., 1999, 229.
[73] In argomento. V. A.A. DOLMETTA, Il problema della rinegoziazione (ai tempi del coronavirus), cit.
[74] In tal senso, v. A. ROMEO, Recesso e rinegoziazione. Riflessione sui potenziali rimedi nel caso di sopravvenienze nei contratti di durata, Pisa, 2019, 107.
[75] Cfr. V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 260 ss.
[76] V., per tutti, F. MACARIO, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di ‘’coronavirus’’, cit.
[77] V., in riferimento all’art. 1467 c.c., A. GENTILI, Una proposta sui contratti d'impresa al tempo del coronavirus, in Giustizia civile.com, 2020.
[78] V., amplius, P.G. MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contr. impr., 2005, 560 ss; C. PILIA, Le tutele dei diritti durante la pandemia Covid-19: soluzioni emergenziali o riforme strutturali?, in Pers. merc., 2020, 82.
[79] Cfr. R. TOMMASINI, Revisione del rapporto (diritto privato), cit., 104; F. Macario, Revisione e rinegoziazione del contratto, cit., 1026; A. DE MAURO, Pandemia e contratto: spunti di riflessione in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione, cit.; F. DI MARZIO, Comunità. Affrontiamo la nostra prova, cit.
[80] V., per tutte, Trib. Lecce, 24 giugno 2021, in www.ilcaso.it.
[81] Cfr. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 147 ss e 322 ss; V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 228 e 229; C.G. TERRANOVA, L’eccessiva onerosità nei contratti. Artt. 1467-1469, cit., 248; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Le obbligazioni e i contratti, cit., 562; G. SICCHIERO, La rinegoziazione, cit., 1210.
[82] Così I. STELLATO, Le "sopravvenienze contrattuali" alla prova del Covid-19, in www.altalex.com, 2020.
[83] Sul punto, v. F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 314 ss.
[84] In tal senso, v. Trib. Roma, 27 agosto 2020, cit.
[85] Cfr. Trib. Roma, 16 dicembre 2020, in www.dirittobancario.it, 2020.
[86] Si allude, in questo caso, agli strumenti di interpretazione forniti dal legislatore al giudice, ossia agli artt. 1362 e ss c.c.
[87] In argomento, v. Trib. Roma, 19 febbraio 2021, in DeJure.it.
[88] Cfr. P. MARINI, Locazioni commerciali e Covid 19: morosità, chi può modificare il contratto?, in www.altalex.com, 2021.
[89] Sul punto, v. F.P. PATTI, Collegamento negoziale e obbligo di rinegoziazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 10117 ss.
[90] Cfr. F. TRUBIANI, La rinegoziazione contrattuale nel diritto privato europeo, in Obbl. contr., 2012, 140 ss.
[91] In argomento, v. V.M. CESARO, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio del contratto, cit., 26 ss; F. FERRARI, I principi per i contratti commerciali internazionali dell’Unidroit ed il loro ambito di applicazione, in Contr. impr. Eur., 1996, 301 ss; F. CAROCCIA, L’interpretazione del contratto. Il modello dei Principi Unidroit per i contratti commerciali internazionali nel confronto con le esperienze nazionali, Napoli, 2006, 27 ss; E. BELISARIO, Covid-19 e (alcune) risposte immunitarie del diritto privato, in Giustizia civile.com, 2020; P. Gallo, Contratto, rinegoziazione, adeguamento. Emergenza Covid e revisione del contratto, in Giur. it., 2020, 2442.
[92] La richiesta di rinegoziazione, che non concede al contraente svantaggiato il diritto di sospendere l’esecuzione del contratto, deve essere avanzata senza ingiustificato ritardo e deve indicare i motivi su cui si fonda. In caso di mancato accordo tra le parti entro un termine ragionevole, ciascuna di esse può rivolgersi al giudice. Quest’ultimo, se riscontra una clausola hardship, può disporre la risoluzione del contratto ovvero modificarlo allo scopo di ripristinare il suo equilibrio originario.
Rilevanti sono anche gli artt. 6.2.1. (Obbligatorietà del contratto) e 6.2.2. (definizione di hardship) dei Principi Unidroit. La prima disposizione prevede l’obbligatorietà della parte di adempiere al contratto, anche qualora esso diventi eccessivamente oneroso, salvo la previsione pattizia di una clausola di hardship. La seconda norma dispone una configurazione di tale clausola, disciplinante eventi che alterano l’equilibrio del negozio per l’aumento dei costi della prestazione ovvero per la diminuzione del valore della controprestazione. Inoltre, gli eventi si devono verificare successivamente alla conclusione dell’accordo e non possono essere presi in considerazione dalla parte svantaggiata.
[93] In argomento, v. C. PARIS, La gestione delle sopravvenienze nella contrattazione d’impresa: la rinegoziazione fondata sulla clausola generale di buona fede in funzione valutativa nell’epoca del Coronavirus, in Studium iuris, 2021, 1059; T.V. RUSSO, La gestione delle sopravvenienze nelle operazioni di project financing tra adeguamento e rinegoziazione, in Riv. dir civ., 2021, 669.
[94] Cfr. L. VALLE, Progetti per la realizzazione di un diritto comune europeo dei contratti, in Contr. impr. Eur., 2000, 683 ss; F. DELFINI, Le risoluzioni, in Diritto privato, 2ª ed., a cura di E. Gabrielli, Torino, 2021, 673.
[95] Cfr. E. TUCCARI, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, cit., 29 ss.
[96] Infatti, secondo G. IORIO, Gli oneri del debitore fra norme emergenziali e principi generali (a proposito dell’art. 91 del d.l. n. 18/2020, ‘’Cura Italia’’), in Actual. jur. iber., 2020, 373, poiché l’ordinamento italiano si fonda sul principio di buona fede oggettiva sia nelle trattative che nello svolgimento del rapporto, l’interprete è tenuto a valutare se il debitore abbia preservato l’interesse della controparte, adempiendo così ai doveri di solidarietà ex art. 2 Cost.
[97] Così F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., 323.