RCD


Attendere prego, caricamento pagina...
Gli intrecci sistematici del danno da ritardata restituzione dell´immobile locato
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mar, 24 Giu 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

Gli intrecci sistematici del danno da ritardata restituzione dell´immobile locato

Modifica pagina

Federico Basso
AvvocatoNessuna



Con la pronuncia in esame, (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892), la Cassazione ha stabilito che in caso di ritardata restituzione dell´immobile locato a seguito della risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, al locatore spettano a titolo di risarcimento del danno tutti i canoni pattuiti fino a scadenza (c.d. interesse positivo) e non solo quelli maturati fino all´effettiva riconsegna del bene. Inoltre, tale pregiudizio non può identificarsi con il ” maggior danno” di cui all´art. 1591 c.c., il quale contempla un danno da ritardo nella restituzione della cosa locata e non da perdita dei canoni convenuti.


ENG

The systematic interweaving of damages due to delayed return of the leased property

With the ruling under examination, (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892), the Court of Cassation established that in the event of delayed return of the leased property following the early termination of the lease contract due to the tenant´s breach, the lessor in entitled to all the agreed rents up to the expiry date (so-called positive interest) as compensation for damages and not only those accrued up to the actual return of the property. Furthermore, such damage cannot be identified with the ”greater damage” referred to in art. 1591 of the Civil Code, which contemplates damage from delay in returning the leased property and not from loss of the agreed rents.

Sommario: 1. Il caso; 2. La questione e la sua rilevanza (pratica e giuridica); 3. Il problema del danno da risoluzione per inadempimento; 4. I danni da ritardata restituzione della cosa locata: l’art. 1591 c.c.; 5. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite; 5.1. Soluzione alla prima questione: il conduttore è tenuto a corrispondere i canoni fino alla scadenza; 5.2. Soluzione alla seconda questione: non rientra nel “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. la corresponsione dei canoni convenuti sino a scadenza; 6. Ulteriori prospettive: le interferenze tra rimedi restitutori e rimedi risarcitori; 7. Conclusioni.

1. Il caso

Nel settembre 2009 la società I.C. aveva acquistato un immobile sito in Roma, già locato e, conseguentemente, ne era subentrata nel relativo contratto di locazione. La medesima, tuttavia, aveva rilevato come il conduttore si fosse reso moroso nel pagamento di alcuni canoni; aveva perciò ottenuto la convalida dello sfratto per morosità e aveva attivato nell’aprile del 2010 l’esecuzione per rilascio, ottenendo l’effettiva restituzione dell’immobile solo nel settembre del 2010.

In virtù di tali inadempienze la società locatrice aveva poi agito per chiedere la condanna del conduttore al risarcimento dei danni dalla stessa subiti, domandando la corresponsione di tutti i canoni di locazione pattuiti fino alla data di scadenza del contratto o, quantomeno, fino alla data dell’eventuale conclusione di una nuova locazione.

Nei primi due gradi di giudizio, tuttavia, le richieste risarcitorie dell’attrice erano state accolte solo parzialmente. A fondamento della decisione assunta, infatti, il Tribunale e poi la Corte d’Appello avevano rilevato come, pur avendo la società attrice originariamente riferito la propria pretesa risarcitoria al “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c., tale domanda dovesse ritenersi comunque infondata, pur quando interpretata in relazione alla generale denuncia delle conseguenze dannose sofferte per effetto dell’inadempimento del conduttore ai sensi dell’art. 1453 c.c. In particolare, secondo la Corte d’Appello, la materiale riconsegna dell’immobile locato prima della naturale scadenza del contratto era valsa ad escludere la sussistenza di alcun residuo pregiudizio a carico della società locatrice, segnatamente in relazione alla mancata percezione dei canoni fino alla scadenza del contratto, dovendo ritenersi che il patrimonio della medesima fosse stato adeguatamente reintegrato attraverso il ripristino del materiale godimento dell’immobile.

A fronte di tale decisione la società locatrice ha dunque proposto ricorso per Cassazione, censurando la sentenza impugnata «[…] per violazione dell’art. 1453 c.c. in combinato disposto con l’art. 1223 c.c., per avere la corte territoriale negato il risarcimento dei danni relativi al conseguimento dei canoni di locazione fino alla naturale cessazione del contratto sulla base di un minoritario orientamento della giurisprudenza di legittimità e, in ogni caso, suscettibile d’essere rimeditato, siccome erroneamente fondato sul presupposto secondo cui il corrispettivo della locazione si risolverebbe nella prestazione, da parte del conduttore, di un compenso per il sacrificio, da parte del locatore, della propria facoltà di godimento dell’immobile, là dove, al contrario, la dimensione causale del contratto di locazione imporrebbe di qualificare la cessione del godimento dell’immobile dietro il pagamento del corrispettivo alla stregua di un’operazione economica di scambio tra utilità di diversa natura (d’indole per lo più speculativa), sì che la mera riconsegna dell’immobile prima della naturale conclusione del contratto non varrebbe mai a reintegrare il patrimonio del locatore della mancata realizzazione del credito relativo a tutti i canoni convenuti, così come peraltro riconosciuto dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità»[1].

Stante l’esistenza del predetto contrasto, segnalato nel motivo d’impugnazione, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Terza Sezione Civile n. 31276 del 9 novembre 2023[2], il ricorso è stato pertanto assegnato alle Sezioni Unite.

2. La questione e la sua rilevanza (pratica e giuridica)

Come in parte già accennato, la questione rimessa – e risolta - dalle Sezioni Unite concerne la corretta quantificazione dei canoni spettanti al locatore a titolo di risarcimento del danno in caso di risoluzione anticipata del contratto per inadempimento del conduttore. In particolare, ci si chiede se in tale ipotesi al locatore spetti il risarcimento dell’interesse positivo, comprensivo di tutti i canoni pattuiti fino alla scadenza, ovvero se egli abbia diritto alla percezione del canone solo fino all’effettiva riconsegna dell’immobile (c.d. interesse negativo), in quanto la corresponsione di questo sarebbe da ricollegarsi alla privazione del godimento (diretto o indiretto) del bene, per cui, una volta riottenutolo, il locatore non patirebbe più alcun danno[3].

Ulteriore questione, correlata alla precedente, è poi rappresentata dalla corretta individuazione dell’ambito applicativo dell’art. 1591 c.c. Come osservato da parte dell’ordinanza di rimessione, infatti, tale norma disciplina la fattispecie dei danni da ritardata restituzione, e, dunque, gli effetti della mora del conduttore nella restituzione dell'immobile a scadenza; tuttavia, può osservarsi, come, nel silenzio della legge, la sua portata non sia astrattamente riducibile unicamente all’ipotesi illustrata, ben potendo essa trovare applicazione anche al caso della ritardata restituzione del bene a seguito della risoluzione anticipata per inadempimento del contratto di locazione. Infatti, volendo rileggere la fattispecie della risoluzione anticipata alla luce dell'art. 1591 c.c., l'interrogativo da porsi è se, una volta imposto al conduttore l'obbligo di risarcire il locatore mediante la corresponsione del canone fino alla restituzione, nel “maggior danno” previsto da tale norma «[…] trovi ospitalità, ed in quali termini, il danno conseguente, ai sensi dell'art. 1223 c.c., all'evento dannoso rappresentato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, si intende all'interno al termine di scadenza del rapporto»[4]. Alla problematica precedentemente illustrata si affianca, dunque, anche tale interrogativo, il quale è foriero così di ingenerare ulteriori problemi di coordinamento tra disciplina del contratto in generale e disciplina del singolo tipo contrattuale.

Così inquadrate per sommi capi le questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione, occorre procedere ora ad una loro più approfondita disamina.

Con riferimento alla prima problematica, come accennato, sono ravvisabili due orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo e maggioritario orientamento[5] il locatore che abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore avrebbe diritto al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuarsi nella mancata percezione dei canoni concordati fino a scadenza[6] o, comunque, fino al reperimento di un nuovo conduttore[7] (c.d. interesse positivo) e il cui ammontare sarebbe riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto. In altri termini, secondo questo orientamento, in caso di risoluzione anticipata del contratto per inadempimento occorrerebbe applicare il principio generale previsto dall’art. 1223 c.c., il quale prevede, appunto, che il risarcimento del danno per inadempimento deve comprendere così la perdita subìta come il mancato guadagno, a prescindere dall’avvenuta restituzione del bene locato. Più precisamente, si ritiene che il locatore, pur avendo chiesto la risoluzione per inadempimento, e quindi mostrando di non avere più interesse alle prestazioni derivanti dal contratto, abbia comunque diritto ad essere collocato in una posizione patrimoniale analoga a quella in cui si sarebbe trovato, laddove il conduttore avesse correttamente adempiuto alle obbligazioni contrattuali. «Da ciò che si è appena affermato si evince con chiarezza lo scopo e l’interesse che il locatore cerca di perseguire, optando per la risoluzione: egli vuole tornare quanto prima sul mercato, in modo da poter locare nuovamente il bene e, quindi, ricavarne nuovamente un’utilità concreta nel periodo più breve possibile; né il fatto che il locatore abbia ripreso la disponibilità dell’immobile, a seguito del rilascio, sembra «ripagarlo» del pregiudizio subìto, in quanto è stato irrimediabilmente frustrato l’originario programma contrattuale, sicché la ripresa disponibilità non equivale al godimento indiretto della cosa, ab initio scelto quale impiego dell’immobile»[8].

Nell’ambito di tale indirizzo, peraltro, le pronunce più recenti[9], distinguendo tra inadempimento (danno-evento) e danno-conseguenza, hanno precisato come, onde non avvantaggiare il locatore negligente che non si sia attivato per ricollocare il bene sul mercato, il danno risarcibile non corrisponderebbe sempre alla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, ma sarebbe necessario l’apprezzamento da parte del giudice di tutte le circostanze del caso concreto, giacché il danno risarcibile è il danno-conseguenza, disciplinato dall’art. 1223 c.c.. e non il mero danno-evento. Conseguentemente, sarebbe il locatore a dover provare il nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli e sarebbe parte di tale onere probatorio l’essersi attivato per rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione. In caso di inerzia del locatore, peraltro, il conduttore potrebbe, a sua volta, invocare una riduzione del risarcimento dovuto in applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c.; al contrario, qualora il locatore si sia diligentemente attivato, il rischio della mancata ricollocazione dell’immobile sul mercato ricadrebbe sul conduttore inadempiente, il quale sarebbe tenuto così a pagare tutti i canoni convenuti fino a scadenza.

Al contrario, secondo altro e minoritario orientamento, inaugurato da un’articolata pronuncia del 2013[10] e poi ripreso da una successiva pronuncia del 2017[11], in caso di risoluzione anticipata del contratto per inadempimento al locatore non spetterebbero tutti i canoni pattuiti fino alla scadenza, ma solo fino alla materiale riconsegna della res[12]. Ciò in quanto, secondo questa visione, la corresponsione del canone sarebbe correlata alla privazione del godimento diretto del bene che subisce il locatore e di cui continua a beneficiare, abusivamente, il conduttore. Il canone di locazione, in altre parole, continuerebbe a svolgere una funzione di corrispettivo per il godimento del bene che altri continui ad avere, cioè sarebbe volto a remunerare la privazione della facoltà di godimento diretto del bene che, in ragione di tale occupazione, si determinerebbe nel patrimonio del locatore. Pertanto, nel momento in cui costui riacquisti il godimento della res non vi sarebbe più alcun pregiudizio da remunerarsi mediante il pagamento dei canoni, con l’ulteriore conseguenza per cui, una volta riacquistata la disponibilità della cosa, il rischio del mancato ricollocamento del bene sul mercato graverebbe, a seguire questa tesi, sul locatore.

Più precisamente, il ragionamento alla base di tale orientamento pare essere il seguente: il proprietario di un bene, ad es. di un immobile, è libero di disporne, secondo il suo libero arbitrio, sia trascurandolo, sia decidendo di ricavare un guadagno, o in forma diretta (ad esempio, svolgendovi una determinata attività), o in forma indiretta, concedendo a terzi l’immobile in locazione. Nel momento in cui effettua la scelta di locare la res, il locatore si priva del godimento diretto, che si trasferisce così al conduttore, e ne acquista uno indiretto, che si esplica nella percezione del canone di locazione. Quest’ultimo costituisce pertanto l’equivalente della privazione della possibilità di esercitare il godimento in via diretta; ne conseguirebbe che, una volta ottenuto il rilascio del bene, a seguito della risoluzione del contratto, l’immobile tornerebbe nella piena disponibilità del locatore non inadempiente, il quale, in tal modo, riacquisterebbe la possibilità di effettuare la scelta originaria: quella, cioè, di locare nuovamente l’immobile, ovvero di goderne in via diretta, o di non goderne affatto, trascurando così il bene stesso. Pertanto, essendo ormai ripristinata la posizione del locatore, egli non subirebbe più alcuna «perdita», poiché non sarebbe ravvisabile più alcun «mancato godimento» in quanto, come si è già accennato, il locatore, essendo ormai tornato nella piena disponibilità del bene, sarebbe libero di godere del bene come meglio crede. Questo indirizzo, in sostanza, valorizza l’uscita dalla vicenda contrattuale e, quindi, la possibilità per il proprietario di disporre e di godere dell’immobile locato, salvo che ciò risulti precluso dallo stato in cui l’immobile è stato restituito.

Inoltre, si osserva come, ad accogliere il primo orientamento, si genererebbe un’indebita sovrapposizione tra azione di adempimento e azione risarcitoria conseguente alla risoluzione, giacché solo con la prima sarebbe possibile ottenere la corresponsione di tutti i canoni fino a scadenza, mentre con la seconda si potrebbe ottenere il solo risarcimento del c.d. danno-conseguenza, cioè delle conseguenze pregiudizievoli effettivamente prodottesi nel patrimonio del creditore, rappresentate, in questo caso, dalla privazione della possibilità di godimento diretto del bene da parte del locatore. Conseguentemente, il pregiudizio risarcibile in capo al locatore sussisterebbe solo allorché il conduttore permanga nel godimento della res.

Ciò premesso, si precisa, però, dai fautori del presente orientamento come la corresponsione dei canoni a titolo di risarcimento, anche a seguito della riconsegna del bene, possa ravvisarsi in capo al locatore unicamente nell’ipotesi in cui la cosa sia consegnata in condizioni tali da renderne impossibile il godimento, sia in forma diretta, sia indiretta.

In tale ipotesi, infatti, il locatore subirebbe sia un danno emergente, rappresentato dalle spese che egli dovrà sostenere per riparare la res, sia un mancato guadagno per tutte le occasioni perse di locare il bene, in ragione delle cattive condizioni dell’immobile.

Come detto, tale orientamento non ha avuto grandi seguiti né in dottrina, né in giurisprudenza, essendosi sottolineate, fin da subito, le relative criticità. Innanzitutto, poiché, nel prevedere unicamente il risarcimento del c.d. interesse negativo, pare confondere gli interessi dominicali con quelli risarcitori, così sovrapponendo rimedi restitutori e rimedi risarcitori[13].

In secondo luogo, poiché non tiene in alcuna considerazione come le mutate condizioni, personali e di mercato, possano ormai essere alterate e determinare pertanto un evidente danno a carico del locatore.

In conclusione, dunque, «il punto di divergenza fra i due orientamenti risiede nelle conseguenze che vengono ricollegate alla valutazione in termini di godimento indiretto della locazione. Per il secondo indirizzo «[…] non c’è pregiudizio, con riferimento ai canoni che, dopo il rilascio, sarebbero stati esigibili fino alla scadenza del contratto, se il godimento torna al proprietario locatore in seguito al rilascio all’esito della risoluzione per inadempimento, posto che il canone è il corrispettivo per la privazione del godimento. Per il primo indirizzo, invece, il rilascio dell’immobile non neutralizza il danno del mancato conseguimento del canone fino alla scadenza del rapporto contrattuale»[14].

Orbene, così illustrate le questioni rimesse alle Sezioni Unite, ne pare di immediata evidenza la rilevanza sia sul piano pratico, sia sul piano giuridico.

Iniziando dal primo, pare indubbio che la vicenda concreta da cui il dibattito tra origine sia assai diffusa nella prassi e, probabilmente, sia destinata ad esserlo ancor più nel prossimo futuro, stanti le -purtroppo - crescenti difficoltà economiche delle famiglie italiane in questo periodo di stagnazione economica e di crescente inflazione. Da qui, dunque, la necessità di comprendere quale sia l’esatto ammontare dei danni che il conduttore inadempiente è tenuto a risarcire al locatore in caso di risoluzione anticipata del contratto per morosità.

Con riguardo, invece, al piano giuridico, prima di procedere all’esame della soluzione adottata dalle Sezioni Unite nella pronuncia in commento, occorre precisare come la questione in esame coinvolga una pluralità di istituti cardine in materia di teoria generale del contratto e di risarcimento del danno, quali: il risarcimento del danno nella risoluzione per inadempimento, i rapporti tra azione di adempimento e azione risarcitoria, i criteri di quantificazione del danno ex art. 1223 c.c. e la nozione di “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c.

Ebbene, così messo a fuoco il dibattito e la sua rilevanza, pare dunque opportuno soffermarsi sul substrato concettuale e teorico alla base dell’insorto contrasto, ovverosia i (dibattuti) rapporti tra risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno.

3. Il problema del danno da risoluzione per inadempimento

Seppur non si evinca espressamente né dall’ordinanza di rimessione, né dalla pronuncia delle Sezioni Unite in commento, l’equivoco su cui poggia il dibattito relativo al danno da ritardata restituzione dell’immobile locato rinviene le proprie radici nei controversi rapporti tra risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno, essendo ancora dibattuto in dottrina se il risarcimento spettante alla parte fedele a seguito della risoluzione ricomprenda l’interesse positivo ovvero debba ritenersi limitato al mero interesse negativo[15].

Il problema, invero, pare essere particolarmente sentito in quei contratti di durata (locazione, mutuo), in cui, a fronte del pagamento di un determinato corrispettivo viene concesso all’altra parte il godimento di un bene (o di un capitale); in tali tipologie contrattuali, effettivamente, può porsi l’interrogativo se, riacquistata la disponibilità della prestazione a seguito della risoluzione, il risarcimento dovuto al contraente fedele debba estendersi all’intero lucro che la parte avrebbe dovuto conseguire dall’operazione ovvero se debba ritenersi limitato unicamente a quello che essa non ha potuto conseguire in ragione della mancata disponibilità del bene o della prestazione, di cui altri, nel frattempo, beneficiava.

Alla luce di tali coordinate introduttive, può, dunque, osservarsi come il primo orientamento oggetto del contrasto sottoposto alle Sezioni Unite trovi il proprio sostegno concettuale nelle elaborazioni di quella parte della dottrina[16], attualmente maggioritaria, che ritiene che il danno risarcibile a seguito della risoluzione del contratto sia rappresentato dal c.d. interesse positivo o interesse all’adempimento (quantum lucrari potest), che, per mezzo della risarcibilità dell’intero guadagno che la parte avrebbe conseguito da quell’operazione, tende a soddisfare integralmente la frustrazione che il contraente fedele subisce in ragione dell’altrui inadempimento, riportando quest’ultimo nella medesima situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato qualora gli obblighi contrattuali fossero stati esattamente adempiuti.

In altri termini, si può dire come con la risoluzione l’adempimento diviene definitivo, senza che per questo venga meno l’interesse alla prestazione. 

Si osserva, infatti, come l’art. 1453 c.c. disciplini in modo uniforme, da un lato, l’azione di adempimento e, dall’altro, quella di risoluzione, garantendo in ambedue le ipotesi il risarcimento del danno, che non acquista una sua peculiarità o una sua specialità, per il solo fatto di conseguire alla risoluzione[17].

Il risarcimento, invero, avendo funzione surrogatoria della prestazione ineseguita, costituirebbe, da un lato, un “premio” per la parte fedele, dall’altro, una sorta di “sanzione”, nei confronti della parte inadempiente, a cui è addossato sia l’inadempimento, sia la risoluzione, avendo essa irrimediabilmente frustrato il progetto economico dell’altra parte.

Trattandosi, peraltro, di vicenda legata ai contratti sinallagmatici, autorevole dottrina[18] ha anche affermato come si verificherebbe una sorta di «ultrattività del sinallagma», che in tal modo produrrebbe i suoi effetti anche sul piano del risarcimento del danno.

In tale sistema, sempre a detta di tale dottrina, l’esigenza di evitare che l’interesse positivo assuma una valenza sanzionatoria – in contrasto con la funzione meramente compensativa riconosciuta alla responsabilità contrattuale nel nostro ordinamento – sarebbe assicurata dall’applicazione delle regole sancite dagli artt. 1223, 1225 e 1227, c. 2 c.c.[19], che, nel richiedere la prova, incombente sul creditore, dell’esistenza del danno-conseguenza e della sua connessione causale con l’inadempimento (c.d. causalità giuridica) svolgono una funzione di “temperamento” ai danni risarcibili, escludendo, da un lato, il risarcimento dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (cfr. art. 1227, c. 2 c.c.)[20], dall’altro, limitando (ex art. 1223 c.c.) la risarcibilità ai danni effettivamente sussistenti (cioè allegati e provati), di modo che, allorquando il locatore riesca a rilocare nuovamente il bene, nessun danno, sub specie di mancato guadagno, si produrrebbe più nella sua sfera giuridica.

Tornando all’ipotesi specifica del contratto di locazione, proprio alla luce di tali considerazioni l’orientamento (maggioritario), che ha sostenuto la risarcibilità dell’interesse positivo del locatore non inadempiente, ha criticato con vigore l’altro orientamento (minoritario), osservando come la ripresa disponibilità dell’immobile non esclude che il programma economico del locatore non inadempiente sia stato ormai irrimediabilmente frustrato, a causa dell’inadempimento che ha costretto il locatore stesso a chiedere la risoluzione e al quale, dunque, occorrerà riconoscere l’intero risarcimento dell’interesse positivo.

Al contrario, il secondo orientamento oggetto del contrasto risolto dalle Sezioni Unite rinviene il proprio fondamento teorico nella tesi dottrinale[21], attualmente minoritaria, secondo cui, con specifico riferimento alla risoluzione, il risarcimento del danno non sarebbe parametrato all’interesse positivo, bensì al solo interesse negativo o “danno da affidamento” (id quod interest contractum non fuisse), il quale - nel limitare il risarcimento alle spese sostenute per il contratto, al mancato guadagno derivante da altre operazioni negoziali perse e ai pregiudizi dipendenti dalla temporanea perdita della disponibilità della prestazione eventualmente eseguita in favore del contraente infedele[22] - protegge l’interesse del contraente a non stipulare un contratto poi rivelatosi inefficace.

Ora, pur nell’identità della conclusione (e cioè la risarcibilità del mero interesse negativo), l’opinione in esame si riallaccia, però, a svariate correnti di pensiero che motivano tale assunto in maniera assai differente tra di loro.

In particolare, si afferma da parte di alcuni[23] che, poiché la risoluzione ha il compito di cancellare le conseguenze materiali dell’esecuzione del contratto e, specificamente di assicurare la rimessione in ripristino per equivalente, ove non sia più possibile la restituzione in natura della prestazione, allora il danno risolutorio dovrebbe essere necessariamente limitato all’interesse negativo, in quanto, appunto, il rimedio risolutorio sarebbe diretto a collocare il contraente nella situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se il contratto non fosse stato concluso.

Da parte di altri[24], si osserva, invece, che il fondamento della risarcibilità dell’interesse negativo andrebbe rinvenuto nella retroattività[25] stessa della risoluzione: infatti, sarebbe intrinsecamente contraddittorio ritenere che per effetto della risoluzione l’obbligazione inadempiuta venga meno retroattivamente (di modo che il contratto si consideri come mai concluso e che, di conseguenza, le parti siano liberate dall’eseguire le proprie prestazioni) e nel contempo concedere alla parte adempiente una pretesa risarcitoria che le assicuri gli stessi vantaggi che avrebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, cioè una pretesa che presuppone la sopravvivenza dell’obbligo violato. In altri termini, la retroattività (reale o anche soltanto obbligatoria) della risoluzione e il risarcimento del danno positivo debbono ritenersi tra loro incompatibili, atteso che – determinando la vicenda risolutoria l’inesistenza ex tunc del rapporto giuridico – verrebbe meno l’obbligo contrattuale di cui quello risarcitorio dovrebbe rappresentare il succedaneo.

Dunque, la sopravvenuta inefficacia del contratto a seguito della risoluzione farebbe sì che l’art. 1453, comma 1 c.c. riconosca al contraente fedele una pretesa risarcitoria limitata all’interesse negativo, in quanto  fondata sulla culpa in contrahendo dell’altro contraente, il quale, per mezzo della sua condotta, cioè l’inadempimento, avrebbe cagionato la conclusione di un contratto divenuto in via retroattiva inefficace, analogamente a quanto accade, ab initio, nella responsabilità precontrattuale.

Da parte di altri[26] ancora, infine, si sottolinea come, a riconoscere il risarcimento dell’interesse positivo, si andrebbe ad assegnare alla responsabilità per inadempimento una funzione sanzionatoria in contrasto con la sua ordinaria funzione meramente compensativa.

Ciò in quanto il contraente che richiede la risoluzione manifesta un interesse allo scioglimento del rapporto e al ripristino della situazione anteriore, riottenendo, per mezzo delle restituzioni, la prestazione già effettuata al fine di ricollocarla nuovamente sul mercato e di ottenere, così, un lucro; tuttavia, se si riconoscesse il risarcimento dell’interesse positivo, si ingenererebbe in capo a questi un arricchimento ingiustificato, nonché una sovracompensazione, giacché costui otterrebbe sia il profitto che avrebbe ricavato dall’operazione negoziale ormai caducata, sia il profitto derivante dal nuovo sfruttamento della prestazione sul mercato.

Inoltre, si osserva come, se dovesse ammettersi la risarcibilità dell’interesse positivo, la parte che ha agito per la risoluzione riavrebbe la propria prestazione (nel caso che ci interessa, l’immobile concesso in locazione), senza più adempiere alcunché a sua volta. Pertanto, la volontà di caducare il regolamento negoziale e quella di conseguire l’interesse positivo risulterebbero concettualmente incompatibili, con la conseguenza per cui il danno da risoluzione dovrebbe essere parametrato al solo interesse negativo.

Ora, al di là dei differenti percorsi argomentativi, la comune conclusione a cui perverrebbero tali orientamenti sarebbe quella per cui tra danno ex art. 1218 e danno da risoluzione ex art. 1453 c.c. non potrebbe ravvisarsi un rapporto di genere a specie, ma un rapporto di autonomia, dovendosi nel primo caso, risarcire l’interesse positivo e nel secondo, invece, il mero interesse negativo, in maniera tale da riportare il patrimonio della parte adempiente nelle medesime condizioni in cui si sarebbe trovato se il contratto non fosse stato mai risolto, in ottemperanza agli effetti retroattivi della risoluzione volti a tutelare il sinallagma, più che a sanzionare la parte inadempiente.

In conclusione, l’idea è quella per cui la risarcibilità dell’interesse negativo non dovrebbe ritenersi limitata al solo ambito della responsabilità precontrattuale (culpa in contrahendo), ma sarebbe estendibile, in virtù delle predette considerazioni, anche al diverso ambito del risarcimento del danno da risoluzione.

Ebbene, traslando tali considerazioni allo specifico caso della risoluzione per inadempimento del contratto di locazione, si comprendono così le affermazioni del minoritario orientamento giurisprudenziale, il quale, come visto, limita la risarcibilità dei danni al mero interesse negativo, costituito dai canoni che il locatore avrebbe dovuto percepire fino all’effettiva riconsegna dell’immobile, in ragione, appunto, del fatto che costui, in virtù della riacquistata disponibilità della cosa, non patirebbe più alcun pregiudizio dipendente dalla temporanea indisponibilità della prestazione eseguita in favore del conduttore infedele.

4. I danni da ritardata restituzione della cosa locata: l’art. 1591 c.c.

Ciò premesso con riferimento alla prima questione, si è detto come un’ulteriore problematica sollevata dall’ordinanza di rimessione abbia riguardato l’estensione analogica della regola dettata dall’art. 1591 c.c.[27] al governo delle conseguenze dannose riferibili a forme di inadempimento del conduttore diverse da quella della ritardata riconsegna dell’immobile e, segnatamente, all’inadempimento consistito nella mancata corresponsione dei canoni pattuiti fino a scadenza[28]. Ci si chiede, in altri termini, se nel “maggior danno” di cui alla seconda parte della norma in esame possa ritenersi ricompreso anche il danno da risoluzione correlato alla frustrazione del programma negoziale, cioè il pregiudizio cagionato dalla perdita della controprestazione promessa (i canoni fino a scadenza) dal conduttore.

Il dubbio nasce poiché, in un perfetto parallelismo con l’art. 1224 c.c., secondo il costante orientamento giurisprudenziale e dottrinale[29] l’ambito applicativo dell’art. 1591 c.c. non sarebbe limitato alla sola ipotesi della mancata riconsegna del bene a seguito della naturale scadenza del contratto, ma sarebbe estendibile anche al caso della risoluzione anticipata per inadempimento per morosità del conduttore.

Si osserva, infatti, come l’obbligo di corresponsione dei canoni fino alla riconsegna previsto dall’art. 1591 c.c. sia ricollegabile alla violazione dell’obbligo di restituzione della res, tanto se esso si verifichi alla naturale scadenza del contratto (art. 1590 c.c.), quanto se esso consegua alla risoluzione anticipata per inadempimento: in entrambi i casi la perduranza dell’obbligo di pagamento del canone convenuto andrebbe a remunerare il danno da ritardo che subisce il locatore, a causa della ritardata restituzione della cosa.

Il canone di locazione, in altre parole, compenserebbe quest’ultimo della perdita dei profitti che egli potrebbe ricavare da un fruttifero reimpiego del bene, qualora fosse nella sua disponibilità. In tale quadro «resta tuttavia il margine, come è noto salvaguardato dalla norma, del “maggior danno”. Volendo rileggere la fattispecie sulla base del punto di vista dell’art. 1591, l’interrogativo da porsi è se in tale “maggior danno”, una volta imposto al conduttore dalla legge l’obbligo di risarcire il locatore mediante la corresponsione del canone fino alla restituzione, trovi ospitalità, ed in quali termini, il danno conseguente, ai sensi dell’art. 1223 c.c., all’evento dannoso rappresentato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, si intende all’interno al termine di scadenza del rapporto»[30].

Così illustrata la questione, prima di illustrare la soluzione fornitane dalle Sezioni Unite, pare opportuno procedere ad analizzare le varie tesi ricostruttive proposte dalla dottrina con riferimento agli obblighi sanciti dall’art. 1591 c.c., con particolare riferimento al primo di questi, avente ad oggetto la corresponsione del “corrispettivo convenuto sino alla riconsegna”. Ebbene, tale ricostruzione risulta assai utile ai fini del presente lavoro, poiché riflette le incertezze dottrinali circa il corretto inquadramento del danno da ritardata restituzione dell’immobile locato, nell’ambito del quale risultano evidenti le difficoltà di mettere correttamente a fuoco la distinzione tra rimedi restitutori e rimedi risarcitori. Tendenza questa che, come si è già accennato e come si avrà modo di illustrare oltre, si ravvisa anche nell’ambito della prima questione rimessa alle Sezioni Unite.

Orbene, come noto, l’art. 1591 c.c. prevede che “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”.

La norma prospetta due differenti obblighi[31].

Il primo, quello di pagare il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna[32], sarebbe correlato al danno da ritardo che, presumibilmente, il locatore subisce a causa dell’impossibilità di un fruttifero reimpiego della res in ragione della perdurante occupazione del conduttore. Tuttavia, nonostante l’apparente chiarezza del dato letterale, la norma presenta più interrogativi che certezze.

I dubbi principali concernono, innanzitutto, la natura di tale responsabilità.

Una prima e risalente teoria[33], sulla scorta dell’osservazione per cui, a seguito della risoluzione o della cessazione per scadenza del termine del contratto, non residuerebbe più alcun rapporto tra le parti, qualificò tale responsabilità come extracontrattuale. In altre parole, la protratta permanenza del conduttore nell’immobile, una volta cessata la locazione, avrebbe concretato un’ipotesi di occupazione abusiva che avrebbe fatto sorgere un obbligo risarcitorio in virtù del principio generale sancito dall’art. 2043 c.c.

Tale impostazione, tuttavia, è stata fin da subito abbandonata, osservandosi come la perdurante detenzione del bene (a suo tempo legittimamente consegnato al conduttore in virtù di un contratto di locazione, ora cessato) non configuri un illecito, essendo tale comportamento privo del carattere dell’antigiuridicità. Invero, il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, e quindi a godere dei frutti della cosa e a farli propri[34]. Inoltre, occorre evidenziare come l’obbligazione restitutoria nasca non al momento della scadenza del contratto, ma già nel momento in cui il conduttore prende in consegna il bene, con l’unica peculiarità per cui essa diverrebbe efficace allorquando il contratto viene meno a seguito della scadenza: occorre, dunque, non confondere il momento della genesi (legale) dell’obbligazione con quello della sua esigibilità[35].

Per tali ragioni altra parte della dottrina[36] ha proposto di inquadrare l’art. 1591 c.c. nella disciplina dei rimedi restitutori: a ben vedere, infatti, una volta cessato e, dunque, divenuto inefficace il contratto di locazione, la permanente detenzione del bene da parte del conduttore diverrebbe priva di causa e rappresenterebbe, perciò, un indebito oggettivo, con la conseguenza per cui, in applicazione dell’art. 2033 l’accipiens (il conduttore) sarebbe tenuto a restituire i frutti della res, comprensivi anche del valore del suo godimento[37]. Secondo altri[38], invece, in ragione dell’impossibilità di qualificare il valore d’uso quale frutto civile ritraibile dalla cosa, l’obbligo sancito dall’art. 1591 c.c. dovrebbe piuttosto inquadrarsi nel rimedio dell’arricchimento senza causa, in quanto la permanenza del conduttore nella disponibilità dell’immobile comporterebbe a suo favore un ingiustificato arricchimento, derivante dal risparmio di spesa per il godimento dello stesso senza alcun esborso monetario. Per tale ragione costui dovrà restituire al locatore, per mezzo del corrispettivo convenuto, il valore di godimento della cosa di cui egli, seppur indirettamente, beneficia mediante il protrarsi dell’occupazione.

In conclusione, secondo questa visione, l’obbligo di corresponsione del canone pattuito per tutto il tempo di permanenza nel godimento (indebito) dell’immobile rinverrebbe il proprio fondamento nella necessità di evitare arricchimenti ingiustificati, ciò che costituisce, appunto, la ratio degli obblighi restitutori previsti dall’art. 2033, secondo periodo o, alternativamente, dall’art. 2041 c.c., a seconda della tesi che, come detto, si voglia accogliere.

Le predette teorie risultano criticabili, tuttavia, dal momento che ricollegano l’obbligo restitutorio della res all’istituto dell’indebito oggettivo o, comunque, ai rimedi restitutori; esso, invece, rinverrebbe il proprio fondamento in una specifica obbligazione di riconsegna di fonte contrattuale (art. 1590 c.c.)[39], a cui l’art. 1591 c.c. appresterebbe un apparato sanzionatorio di fonte legale[40], riconducibile alla responsabilità da inadempimento.

Ebbene, proprio in ragione di tali considerazioni, l’orientamento maggioritario in dottrina[41] e in giurisprudenza[42] riconduce la fattispecie contemplata dall’art. 1591 c.c. nell’ambito della responsabilità da inadempimento per la violazione dell’obbligo restitutorio della res: in tal modo l’obbligazione risarcitoria contemplata dalla norma in esame si sostituirebbe all’obbligazione contrattuale originaria avente ad oggetto il pagamento del canone[43]. In altri termini, l’obbligo (di fonte legale) di cui all’art. 1591 c.c., prima parte, non rappresenterebbe la restituzione del valore di godimento del bene che il conduttore detiene sine causa a seguito della cessazione del contratto, bensì costituirebbe la predeterminazione legale forfettaria[44] del danno da ritardo cagionato dall’inadempimento dell’obbligazione di riconsegna del bene alla scadenza o all’estinzione anticipata del rapporto; danno di cui, tuttavia, viene presunto l’an e fissato legislativamente il quantum[45], secondo un meccanismo analogo a quello dell’art. 1224, comma 1 c.c.[46], il quale prevede, analogamente alla norma in esame, un’eccezionale ipotesi di danno in re ipsa[47].

In particolare, il corrispettivo dovuto dal conduttore per la protrazione dell’abusivo godimento dell’immobile sarebbe pari a quello contrattualmente stabilito, che, dunque, in tal modo assurgerebbe a parametro di quantificazione automatica del danno da ritardo, quest’ultimo non necessitando di prova, in deroga ai principi di cui all’art. 1223 c.c., né sotto il profilo della sua sussistenza, né sotto il profilo della sua quantificazione (ferma la dimostrazione da parte del conduttore, se vuole liberarsi della relativa responsabilità, che l’inadempimento all’obbligo restitutorio è dipeso da causa a lui non imputabile, a norma dell’art. 1218 c.c.)[48]. Ciò in quanto il conduttore in mora[49] nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, e quindi a godere dei frutti della cosa e a farli propri.

Per tale ragione, l’obbligo del conduttore - in mora nella restituzione della cosa - di pagare al locatore il corrispettivo convenuto sino alla riconsegna, ai sensi dell’art. 1591 c.c., costituendo una forma di risarcimento minimo per la ritardata disponibilità dell’immobile, prescinderebbe dalla prova del danno subìto dal locatore, essendo tale prova necessaria[50] solo per gli eventuali maggiori danni. Tali principi, peraltro, sono stati ribaditi di recente anche da Cass., 27 giugno 2023, n.18370[51], in cui si è limpidamente affermato come «In tema di locazione e di ritardata consegna dell'immobile, mentre il credito da corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, costituendo una forma di risarcimento minimo previsto dalla legge per la mancata disponibilità dell'immobile, prescinde dalla prova di un danno concreto al locatore, il maggior danno previsto ai sensi della seconda parte dell'art. 1591 c.c., costituendo specificazione di quanto disposto generalmente per le obbligazioni pecuniarie dagli artt. 1223 e 1224, comma 2 c.c., deve essere concretamente dimostrato dal locatore, secondo i principi in materia di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.».

Ebbene, il fatto che - come visto - da un lato, il corrispettivo dovuto dal conduttore per la protrazione dell’abusivo godimento dell’immobile sia pari a quello contrattualmente stabilito, e dall’altro, che quest’ultimo non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, ha condotto alcuni Autori[52] ad affermare che gli obblighi risarcitori previsti dall’art. 1591 c.c. costituirebbero una proiezione degli effetti del contratto, una sorta di “ultrattività” del medesimo, che andrebbe a regolare il momento restitutorio successivo alla scadenza pattuita al fine di far pervenire al locatore l’equivalente del godimento del bene locato[53].

Per mezzo di tale disciplina, dunque, il legislatore avrebbe stabilito una regola di ultrattività della lex contractus[54], destinata a disciplinare i rapporti sostanziali a seguito dello spirare del termine di efficacia del medesimo e a produrre effetti sino al completo adempimento dell’obbligazione restitutoria.

In altri termini, in siffatta ipotesi la risoluzione - secondo la regola generale - non solo non si estenderebbe alle coppie di prestazioni già adempiute, ma non liberebbe neppure il conduttore dall’obbligo di pagare il canone. Peraltro, come sottolineato da sostenitori di tale tesi, una siffatta ricostruzione dell’art. 1591 c.c. potrebbe attribuire al medesimo una funzione di “appoggio” sistematico per le elaborazioni dei più recenti studi in materia[55], volti ad emancipare i rimedi restitutori dall’istituto della ripetizione di indebito e a ricondurli, invece, nell’alveo dei rimedi contrattuali.

Così esaminato il dibattito sulla natura del primo obbligo previsto dall’art. 1591 c.c., occorre ora procedere ad esaminare la seconda ipotesi di danno prevista dalla norma in esame, concernente ogni diverso e ulteriore pregiudizio che il locatore subisca a causa della ritardata restituzione del bene. Il “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. consiste, infatti, negli ulteriori ed eventuali effetti dannosi che trovino causa nel differimento della restituzione del bene, diversi dal normale pregiudizio derivante dalla sua mancata disponibilità (ad es. non aver potuto locare il bene ad un canone più elevato o non averlo potuto alienare ad un prezzo più conveniente). Tale danno, da un lato, non viene presunto ex lege[56], ma il locatore – secondo i principi generali - deve dimostrarne l’esistenza e l’ammontare, anche per mezzo di presunzioni[57]; dall’altro, presuppone la colpa o il dolo del conduttore.

Resta fermo, ovviamente, trattandosi di responsabilità contrattuale, che il locatore, secondo i principi generali, deve allegare e provare solo l’esistenza e l’ammontare del maggior danno rispetto al canone convenuto e non anche il dolo o la colpa del conduttore, essendo quest’ultimo, in qualità di debitore, a dover provare, per esimersi da responsabilità, che il ritardo è stato determinato da causa a lui non imputabile[58].

5. Le soluzioni adottate dalle Sezioni Unite

5.1. Soluzione alla prima questione: il conduttore è tenuto a corrispondere i canoni fino alla scadenza

Effettuate le necessarie premesse sugli istituti sottesi alla pronuncia in esame, occorre a questo punto procedere ad illustrare la posizione assunta dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

Come anticipato, i Giudici di legittimità hanno aderito al primo degli orientamenti illustrati al par. 2, peraltro, già maggioritario nella giurisprudenza della Corte.

Le Sezioni Unite hanno, dunque, ribadito che il locatore che abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore (c.d. interesse positivo), pur a fronte dell’avvenuta restituzione del bene.

Ebbene, tali conclusioni vengono motivate sulla scorta di una triplice argomentazione.

La prima attiene alla causa stessa del contratto di locazione.

Viene, infatti, respinta dal Collegio l’idea, fatta propria dall’orientamento minoritario[59] della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la causa del contratto di locazione si sostanzierebbe nella relazione funzionale asseritamente esistente tra la ‘rinuncia’, da parte del locatore, al godimento diretto del proprio immobile e il ‘compenso’ costituito dal pagamento del canone da parte del conduttore. Nella pronuncia si sottolinea, invero, come «[…] l’affermazione secondo cui la dimensione causale del contratto di locazione riposerebbe sulla preliminare ‘rinuncia al godimento diretto’ da parte del locatore esprima una prospettiva del tutto marginale della realtà contrattuale della locazione: non appare, infatti, necessariamente configurabile, in capo a tutti coloro che intendono trasmettere a terzi il godimento di un immobile di cui hanno la disponibilità, un qualche apprezzabile interesse per il godimento diretto del proprio immobile, né necessariamente una volontà di tale forma di godimento.

Si pensi, al riguardo, ai casi di collocazione sul mercato di immobili precedentemente acquistati dal locatore a soli fini di investimento del risparmio (da cui trarre occasione di possibili rendite), o ai casi di locatori (come una società commerciale) orientati a realizzare profitti attraverso l’acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compenso.

In relazione a tale punto (e, dunque, sul piano dell’identificazione della causa del contratto di locazione) converrà piuttosto tener ferma e valorizzare la più limitata dimensione dello scambio (in sé considerato) tra l’utilità economico-sociale rappresentata dal godimento di un bene immobile e l’importo monetario del canone: uno scambio in cui la prestazione patrimoniale del conduttore non risulta affatto volta a ‘compensare’ il sacrificio del godimento diretto del bene da parte del locatore, bensì a ‘corrispondere’ alle utilità offerte del locatore secondo i termini di una specifica dinamica funzionale di carattere economico-sociale.»

In altri termini e più chiaramente: per le Sezioni Unite il fatto che siano rinvenibili ipotesi in cui il canone di locazione non va a remunerare il mancato godimento diretto del bene da parte del locatore rende evidente che la causa del contratto di locazione non risiede nello scambio tra canone e rinuncia al godimento diretto da parte del concedente, bensì nello scambio tra canone e rinuncia a tutte le utilità astrattamente ricavabili dal bene. Tra tali utilità – come sottolineato in dottrina[60] - rientrano anche quelle scaturenti dal c.d. godimento indiretto del bene, cioè quelle compensative dell’uso del bene che altri faccia, a seguito della sua concessione in locazione.

La locazione, dunque, non deve essere qualificata come un’operazione meramente remunerativa del mancato godimento diretto da parte del locatore, bensì come un’operazione speculativa nella quale il canone corrisposto dal conduttore va a remunerare il concedente di tutte le utilità astrattamente ritraibili dal bene, a prescindere dal concreto utilizzo che quest’ultimo voglia farne.

Ora, ad avviso di chi scrive, pare che tali osservazioni siano corrette, ma con una precisazione. Certamente, deve ritenersi esatto che la causa del contratto di locazione risieda nello scambio tra canone e godimento del bene[61] e che non necessariamente il corrispettivo convenuto remuneri il locatore del mancato godimento diretto, bensì di tutte le utilità concretamente e oggettivamente ritraibili dal bene.

Ciò che appare criticabile nell’argomentazione delle Sezioni Unite è, piuttosto, il riferimento alle finalità per le quali il locatore abbia acquistato il bene e per le quali si sia privato del godimento. Tali scopi, invero, paiono essere irrilevanti, non potendo penetrare nell’assetto causale del contratto di locazione, in quanto meri motivi: neppure accogliendo una nozione di causa in concreto, infatti, può darsi ad essi rilevanza, posto che gli unici interessi suscettibili di avere rilievo sul piano contrattuale sono quelli idonei ad “oggettivizzarsi” sul piano causale[62].

In particolare, la - pur labile - linea di demarcazione tra causa (in concreto) e motivi deve essere individuata nella distinzione tra interessi delle parti che entrano nel contratto, cioè gli interessi che esso è funzionalizzato a realizzare, e interessi che ne restano fuori, quali meri impulsi psichici che rimangono nella sfera volitiva interna della parte[63]. Pare evidente, dunque, che le finalità in vista delle quali è stato acquistato l’immobile, se per goderne direttamente o per ricavarne un lucro, rimangono al di fuori dello schema causale del contratto di locazione.

Ciò che rileva, invece, è unicamente il fatto che un soggetto (il locatore) si sia oggettivamente privato del godimento – diretto o indiretto - per attribuirlo ad altri, a prescindere dalle intenzioni per le quali egli abbia precedentemente acquistato l’immobile e dai relativi futuri proponimenti circa il suo utilizzo.

Ciò detto con riferimento alla prima argomentazione, ci si può ora concentrare nell’analisi della seconda e della terza argomentazione, le quali possono essere esaminate congiuntamente e consistono, in sostanza, nella confutazione di quella dottrina[64] che ritiene che il risarcimento del danno da risoluzione sia rappresentato dall’interesse negativo. Da parte dei giudici si osserva, in primis, che, se è vero che, con la risoluzione vengono meno il contratto e le prestazioni che ne derivano, è altrettanto vero che resta irrimediabilmente frustrato il progetto economico della parte non inadempiente, insoddisfazione questa a cui la disciplina della risoluzione e, in particolare, la tutela risarcitoria deve adeguatamente far fronte.  In secondo luogo si osserva che, a ritenere risarcibile il mero interesse negativo, si equiparerebbero a livello di effetti due situazioni differenti, e cioè la responsabilità contrattuale con quella precontrattuale[65].

Ora, se questo è - in estrema sintesi - il ragionamento delle Sezioni Unite, occorre, però, indagarne più in profondità le motivazioni sottostanti, fondate, essenzialmente, sulle obiezioni che la dottrina maggioritaria ha mosso alla tesi della risarcibilità del c.d. interesse negativo.

La risarcibilità dell’interesse positivo può essere argomentata, innanzitutto, dal dato letterale dell’art. 1453, comma 1, il quale prevede un obbligo risarcitorio in capo alla parte inadempiente sia con riferimento all’azione di adempimento, sia con riferimento all’azione di risoluzione. Ora, poiché nella prima ipotesi la pretesa risarcitoria ha necessariamente ad oggetto i danni positivi, se ne deve concludere che identico oggetto tale pretesa deve avere anche nella seconda ipotesi[66]. Se si sostenesse, infatti, che il danno da risoluzione si identifica con la risarcibilità dell’interesse negativo, si dovrebbe, però, spiegare come il legislatore, sotto un’unica espressione verbale (“salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”), abbia accomunato due tipi di danni completamente diversi. In altri termini, si sottolinea come, se il legislatore ha riprodotto testualmente la medesima espressione all’interno della stessa norma, senza apportarvi modifiche, sia con riferimento all’azione di adempimento, sia con riferimento all’azione di risoluzione, allora deve ritenersi che il danno risarcibile sia il medesimo in entrambi i casi.

In secondo luogo, si osserva, altresì, come un ordinamento che non accordasse alla risoluzione del contratto il risarcimento dell’interesse positivo non appresterebbe un adeguato sistema di tutela in grado di disincentivare, in via preventiva, le parti dal non adempiere[67], aprendo così al rischio che i contraenti siano indotti a violare gli impegni assunti in virtù di valutazioni puramente opportunistiche[68]: per questo la legge dovrebbe irrogare una sanzione corrispondente almeno al costo dell’adempimento.

In terzo luogo, si sottolinea come da alcune disposizioni sia evincibile espressamente la risarcibilità dell’interesse positivo. Si fa riferimento, in particolare, agli artt. 1515, c. 4, 1516, c. 2 e 1518, c. 1 c.c.[69], il cui tratto comune è ravvisabile nel fatto che la determinazione del danno risarcibile avviene sempre facendo riferimento alla differenza fra il prezzo convenuto e il prezzo ricavato (nella c.d. vendita in danno) o a quello pagato (nella c.d. compera in danno) o a quello corrente nel caso dell’art. 1518 c.c. Ebbene, il fatto che in tutti questi casi il contraente fedele abbia comunque diritto al prezzo convenuto (e non al prezzo di mercato) rende evidente che la legge ha voluto riconoscere a quest’ultimo il risarcimento del suo interesse positivo ad essere posto nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se il contratto avesse avuto regolare esecuzione.

In quarto (ed ultimo) luogo occorre rammentare come la tesi che sostiene la risarcibilità dell’interesse positivo sia maggiormente in sintonia con le regole in materia di causalità giuridica, giacché «[…] le regole sulla causalità dettate dall’art. 1223 c.c.» collegano «[…] il danno all’inadempimento del contratto, e non alla delusione di un affidamento, che invece determina l’esigenza di rimettere la parte “come se” l’affidamento non fosse stato creato (v. art. 1338 c.c.) e che costituisce il presupposto per il riconoscimento del danno da interesse negativo»[70].

Infine, la risarcibilità dell’interesse positivo pare essere confermata anche da un argomento di tipo processuale, in particolare, di tipo probatorio. È evidente, infatti, come per il creditore sia assai più facile provare il lucro cessante che sarebbe derivato dalla corretta attuazione del programma negoziale convenuto (interesse positivo) rispetto a provare l’esistenza di eventuali ed ipotetiche occasioni di guadagno perse (interesse negativo). Se, infatti, in un mercato concorrenziale può risultare agevole, anche per mezzo di presunzioni, provare l’esistenza di altre alternative negoziali, al contrario, nei mercati chiusi e poco concorrenziali, caratterizzati da un ristretto numero di partecipanti, tale prova può essere assai più ardua.

Da qui la necessità di commisurare il risarcimento alla lesione di un interesse (l’interesse positivo alla corretta attuazione del contratto) che sia di più facile dimostrazione per la parte fedele[71].

Ciò premesso su un piano generale, a supporto della correttezza delle conclusioni dei Giudici di legittimità, vi è, inoltre, anche un argomento storico con specifico riferimento al contratto di locazione[72].

Il Codice civile del 1865, infatti, prevedeva espressamente, per la locazione, l’art. 1611 c.c., secondo il quale, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, quest’ultimo era tenuto «a pagare la pigione pel tempo necessario ad una nuova locazione ed a risarcire i danni che fossero derivati dall’abuso della cosa locata».

Sul punto, nel vigore del vecchio codice si era ingenerato un contrasto interpretativo tra coloro che, sulla scorta di un’interpretazione letterale della norma, ritenevano che il conduttore avrebbe dovuto corrispondere una somma pari ai canoni convenuti nell’originario contratto, fino al momento in cui il locatore fosse riuscito a stipulare una nuova locazione e coloro che, invece, sostenevano che il conduttore rimanesse obbligato per un tempo pari alla durata della locazione e, quindi, fino alla scadenza naturale del contratto, dedotto il guadagno del locatore per essere tornato nella disponibilità del bene locato.

Ebbene, tale norma non è stata più riprodotta nel codice attuale: il che può indurre a ritenere che il legislatore del ’42 abbia, molto semplicemente, evitato di riprodurre una disposizione ormai ritenuta inutile e superflua, trovando comunque applicazione la disciplina generale dell’art. 1453 c.c. Inoltre, può osservarsi come nel codice vigente sia stato introdotto l’art. 1227, comma 2, c.c., in materia di concorso del fatto colposo del creditore nella produzione del danno-conseguenza, norma questa che non esisteva, invece, nel codice civile del 1865. Da ciò può trarsi un’ulteriore conferma del fatto che nel codice vigente, nonostante l’abrogazione dell’art. 1611 c.c., per limitare il risarcimento dovuto al locatore, non fosse stato più necessario riprodurre una norma simile, essendovi già, appunto, l’art. 1227, comma 2, c.c., che può ormai ampiamente garantire lo stesso risultato.

Ciò detto, ulteriori interessanti argomentazioni a sostegno dell’opinione accolta dalle Sezioni Unite possono essere rinvenute nelle obiezioni mosse dalla dottrina maggioritaria alla tesi della risarcibilità dell’interesse negativo. Si è detto precedentemente, al par. 3, che all’interno di tale opinione esistono differenti correnti di pensiero, le quali, pur pervenendo alla medesima conclusione, differiscono tra loro con riferimento al percorso argomentativo adottato: pare, dunque, opportuno esaminare partitamente le critiche che sono state mosse a ciascuna delle suddette impostazioni per trarre ulteriori conferme alla risarcibilità dell’interesse positivo.

Come si è visto, alcuni[73] ritengono che il danno risolutorio dovrebbe essere limitato all’interesse negativo, in quanto la risoluzione sarebbe diretta a collocare il contraente fedele nella situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se il contratto non fosse stato concluso. Ebbene, la criticità di tale opinione poggia sull’arbitraria sovrapposizione tra obblighi restitutori e obblighi risarcitori[74], giacché assegna ai primi un’indebita funzione ristoratrice dei danni subiti dalla parte fedele, che ad essi certamente non compete.

Occorre ricordare, infatti, come lo scopo dei rimedi restitutori sia quello di rimuovere il regolamento di interessi e di ripristinare la situazione patrimoniale dei contraenti sussistente anteriormente alla conclusione del contratto, mentre lo scopo dell’obbligazione risarcitoria (a carico del solo contraente inadempiente) sia quello di apprestare una sanzione all’illecito e di coprire le perdite patrimoniali del contraente fedele che siano residuate dopo il prodursi della vicenda risolutoria[75]. In sostanza, ritenere che il danno da risoluzione sia commisurato all’interesse negativo in ragione della funzione “ripristinatoria” di questa significherebbe attribuire al risarcimento un ruolo restitutorio, che ad esso certamente non compete.

Ora, così illustrate le critiche alla tesi che ricollega la tutela risarcitoria della parte adempiente alle restituzioni conseguenti alla risoluzione, occorre procedere ad esaminare quelle relative all’opinione[76] che motiva la risarcibilità del mero interesse negativo sulla presunta incompatibilità tra retroattività della risoluzione e risarcimento dell’interesse positivo[77]. Si osserva[78], infatti, che misura risolutoria e misura risarcitoria costituiscono entrambe tecniche di reazione all’inadempimento imputabile ad uno dei contraenti poste a salvaguardia degli interessi del contraente fedele.

Ebbene, l’adeguata difesa di questi interessi può giustificare, nei rapporti a prestazioni corrispettive, la coesistenza di un rimedio volto a sciogliere retroattivamente il contratto con un rimedio volto ad assicurare alla parte fedele un risultato economicamente equivalente ai profitti che sarebbe stato legittimo attendersi dal contratto. «Le due tecniche di tutela, in altre parole, se denunciano un contrasto, lo denunciano solo su un piano empirico, nel senso che la prima opera – per così dire – a ritroso al fine di ristabilire il precedente assetto qualitativo del patrimonio dei contraenti, mentre la seconda è proiettata – per dir così - in avanti per dare al risolvente un assetto economico quantitativamente equivalente a quello che il contratto gli avrebbe procurato»[79]. In altri termini, come è stato, altresì, efficacemente affermato[80], «l’opinione che, al contrario, identifica il danno da risoluzione con l’interesse negativo, estende gli effetti della retroattività oltre gli scopi che le sono propri; essa ritiene cioè che il venir meno del contratto sin dall’origine determini una sorta di purgazione dell’inadempimento, quando invece la retroattività ha la limitata funzione di consentire le restituzioni e di liberare i contraenti dagli obblighi non ancora adempiuti, ma non quella di sanare un inadempimento che ormai si è verificato e può aver già prodotto un danno».

Infine, ulteriori argomenti possono rinvenirsi, altresì, dalla critica all’opinione che assegna all’interesse positivo una finalità sanzionatoria[81], foriera di apprestare una tutela esorbitante agli interessi del contraente fedele, incompatibile con la funzione meramente compensativa della responsabilità contrattuale.

Da un lato, infatti, si osserva come la risoluzione per inadempimento comporti per la parte fedele il venir meno dello specifico assetto qualitativo dei beni cui il contraente aspirava e, pertanto, tale lesione debba trovare necessariamente ristoro nella risarcibilità dell’intero lucro cessante; dall’altro, occorre tenere a mente come il codice contenga alcune regole (artt. 1223, 1225, 1227 c.c.) tese a commisurare il quantum risarcibile adattandolo alle circostanze del caso concreto, evitando così che l’eventuale inadempimento si trasformi per il creditore in un’occasione di sopraffazione economica del debitore[82].

E’, dunque, «[…] attraverso queste norme – e non escludendo la risarcibilità del danno c.d. positivo da risoluzione -, quindi, che si può scongiurare, in via di principio, il pericolo che l’applicazione delle tecniche di reazione all’inattuazione dello scambio si traduca per il debitore in una misura afflittiva o comunque in un meccanismo caratterizzato da una carica sanzionatorie più elevata di quella che la dialettica degli interessi in gioco richieda»[83].

Con particolare riferimento alla locazione, l’esigenza di evitare che l’interesse positivo assuma una valenza sanzionatoria – in contrasto con la funzione meramente compensativa riconosciuta alla responsabilità contrattuale nel nostro ordinamento – sarebbe assicurata dall’applicazione delle regole sancite dagli artt. 1223, 1225 e 1227, c. 2 c.c.[84], che, nel richiedere la prova, incombente sul creditore, dell’esistenza del danno-conseguenza e della sua connessione causale con l’inadempimento (c.d. causalità giuridica) svolgono una funzione di “temperamento” ai danni risarcibili, escludendo, da un lato, il risarcimento dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (cfr. art. 1227, c. 2 c.c.) e, dall’altro, limitando (ex art. 1223 c.c.) il risarcimento ai danni effettivamente sussistenti (cioè allegati e provati), di modo che, allorquando il locatore riesca a rilocare nuovamente il bene, nessun danno, sub specie di mancato guadagno, si produrrebbe più nella sua sfera giuridica.

Un ultimo argomento posto alla base della soluzione adottata dalle Sezioni Unite – e richiamato nella stessa pronuncia – è quello che fa leva sulla distinzione tra responsabilità contrattuale, che comporta il risarcimento dell’interesse positivo, e responsabilità precontrattuale, che implica, invece, il risarcimento dell’interesse negativo. Ebbene, se tali affermazioni rispecchiano effettivamente l’opinione della dottrina maggioritaria[85] in materia, non bisogna dimenticare, però, come, a differenza di quanto sembrerebbe emergere dalla pronuncia, tale opinione non sia del tutto pacifica in letteratura, essendosi contestata, da parte di alcuni[86], la necessaria relazione biunivoca tra culpa in contrahendo e risarcimento dell’interesse negativo. In estrema sintesi, si osserva da parte di costoro come in alcune situazioni la responsabilità precontrattuale miri ad assicurare alla parte lesa vantaggi equivalenti a quelli che, in assenza dell’illecito, essa avrebbe ricavato dal diverso e più favorevole contratto che avrebbe stipulato con il responsabile: si pensi, ad esempio, ai casi di dolo incidente, in cui la richiesta risarcitoria della parte non avrebbe ad oggetto l’interesse negativo, bensì l’interesse positivo che le sarebbe derivato dal contratto concluso a condizioni più vantaggiose.

Specularmente, si rileva come vi siano casi in cui la responsabilità contrattuale non abbia lo scopo di risarcire l’intero lucro cessante, ma imponga di riportare la parte nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata se un determinato contratto non fosse stato concluso: a tal riguardo si fa l’esempio del mandatario con rappresentanza che, anziché astenersi dal concludere un cattivo affare per conto del rappresentato, lo concluda ugualmente, così provocandogli un danno; ovvero del soggetto tenuto contrattualmente a fornire informazioni che, se omesse, inducono la parte male informata a stipulare con un terzo un contratto che non sarebbe stato altrimenti concluso.

Ebbene, in tali casi si osserva che, quando la parte inadempiente causa la risoluzione, essa rende inutili le spese sostenute in vista della stipulazione e dell’esecuzione del contratto risolto; dunque, in tali ipotesi l’illecito della parte infedele consisterebbe non nell’inadempimento in sé, ma nell’aver reso inutili i sacrifici economici affrontati dalla controparte in vista della buona riuscita dell’affare. Pertanto, anche tale pregiudizio dovrebbe ritenersi risarcibile, così come rimarrebbe salvo il diritto di chiedere, in via alternativa, il risarcimento dell’interesse positivo: in tal modo la parte adempiente avrebbe la facoltà di farsi risarcire a sua scelta l’una o l’altra voce di danno. Orbene, da tali considerazioni l’opinione in esame deduce il corollario per cui l’oggetto del risarcimento del danno non dipenderebbe dalla fase del ciclo contrattuale (trattative o esecuzione) in cui si verifica l’illecito, ma dai caratteri della condotta lesiva e dal tipo di interessi pregiudicati dalla stessa.

Tuttavia, come detto, tali approdi vengono rigettati dalla dottrina maggioritaria, la quale limpidamente rileva come l’argomentazione illustrata non sembri «[…] tener conto di una distinzione tra gli ambiti di discorso, quando, riferendosi all’esempio del mandatario infedele (e a casi simili), ritiene che ricollocare il mandante nella stessa produzione in cui si sarebbe trovato, se l’incaricato si fosse astenuto dall’affare, equivarrebbe a risarcire l’interesse negativo. In realtà, se si considera il contratto inadempiuto (il mandato), quel risarcimento soddisfa l’interesse positivo del mandante, perché raggiunge lo stesso risultato a cui si sarebbe pervenuti con il corretto adempimento dell’altra parte, ovvero con l’astensione dall’affare; un risarcimento così quantificato rappresenta un interesse negativo non relativamente al contratto inadempiuto (il mandato), ma solamente con riguardo al diverso contratto stipulato dal mandatario, contratto che tuttavia non è coinvolto dall’inadempimento»[87]. Ebbene, tali riflessioni paiono cogliere pienamente nel segno, con la conseguenza per cui, ad avviso di chi scrive, va ribadita la correttezza della tesi accolta dalla - pressoché - unanime dottrina e giurisprudenza e, consequenzialmente, anche l’argomentazione svolta dalle Sezioni Unite.

Il ragionamento dei Giudici si chiude, infine, con alcune precisazioni -assai rilevanti- in materia di onere della prova del danno-conseguenza.

Viene ribadita, infatti, la differenza tra azione di adempimento e azione risarcitoria[88] con particolare riguardo al differente onere probatorio gravante sul creditore (locatore) nelle due azioni. Infatti, qualora questi decida di esperire l’azione di esatto adempimento, sarà tenuto ad allegare e provare il titolo e ad allegare l’inadempimento, senza che sia necessario, altresì, provare l’esistenza di un qualsivoglia danno-conseguenza. Al contrario, in caso di azione risarcitoria, posto che il petitum ha ad oggetto il risarcimento dei danni, il creditore (locatore) oltre ad allegare e provare il titolo e ad allegare l’inadempimento, sarà tenuto, altresì, ad allegare e a provare l’esistenza del danno-conseguenza e il nesso di causalità giuridica tra inadempimento e danno-conseguenza. In particolare, con riferimento a tale ultimo elemento, il locatore dovrà dare la dimostrazione, quale fatto costitutivo della sua pretesa, che, pur essendosi attivato diligentemente per ricollocare il bene sul mercato, il danno da lui subìto (ossia il lucro cessante derivante dalla mancata percezione dei canoni fino a scadenza) è stata una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del conduttore.

A questo punto, sarà onere di quest’ultimo dimostrare - quale fatto parzialmente estintivo della pretesa del locatore – l’eventuale negligenza od inerzia di questi nella ricollocazione dell’immobile sul mercato, alla quale consegue, ai sensi dell’art. 1227, c. 2 c.c., una riduzione del quantum dovuto a titolo di risarcimento, giacché il danno-conseguenza prodottosi nella sfera del locatore è il risultato anche di una condotta negligente a lui imputabile[89].

Tali affermazioni risultano coerenti con l’orientamento maggioritario[90] in materia, il quale ritiene che il locatore, onde evitare una riduzione del risarcimento ex art. 1227, c. 2 c.c. sia tenuto a reimpiegare la prestazione destinata alla parte inadempiente; ciò che, chiaramente, «[…] appare razionale, poiché risponde ad evidenti esigenze di efficienza che le risorse in origine destinate ad un affare non andato a buon fine vengano celermente reinserite nel circuito economico, evitando che il titolare si disinteressi alla loro sorte e speculi unicamente sulla prospettiva di ottenere un risarcimento»[91].

Anche con riferimento al riparto dell’onere probatorio, le conclusioni delle Sezioni Unite si pongono in perfetta linea con l’orientamento dominante[92], il quale, appunto, ritiene che il secondo comma dell’art. 1227 sia oggetto di eccezione in senso stretto e, dunque, possa essere applicato solo su sollecitazione della parte interessata[93].

5.2. Soluzione alla seconda questione: non rientra nel “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. la corresponsione dei canoni convenuti sino a scadenza

Così illustrata, nel precedente paragrafo, la soluzione accolta dalle Sezioni Unite con riferimento alla prima questione, occorre ora soffermarsi sulla soluzione alla seconda questione sollevata dall’ordinanza di rimessione, e cioè quella relativa alla possibile ricomprensione nel “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. del danno da risoluzione correlato alla frustrazione del programma negoziale (c.d. interesse positivo), danno rappresentato dalla perdita della controprestazione promessa dal conduttore, cioè la corresponsione di tutti i canoni pattuiti fino a scadenza o, comunque, fino a quando non sia reperito un nuovo conduttore. Si ricordi, infatti, come, in perfetto parallelismo con l’art. 1224 c.c., la dottrina e la giurisprudenza[94] ritengano che l’ambito applicativo dell’art. 1591 c.c. non sia limitato alla sola ipotesi della mancata riconsegna del bene a seguito della naturale scadenza del contratto, ma sia estendibile, altresì, al caso della risoluzione anticipata per inadempimento.

Come visto, tuttavia, l’ordinanza di rimessione è, per così dire, “andata oltre” a tali conclusioni, suggerendo di interpretare il “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. come ricomprendente anche il risarcimento dell’intero lucro cessante, comprensivo della perdita dei canoni pattuiti fino a scadenza.

Ebbene, sul punto, le Sezioni Unite hanno sancito come nella risarcibilità del “maggior danno” previsto dalla norma in esame non possa essere ricompreso il danno subìto dal contraente fedele per la perdita della prestazione promessa (i canoni convenuti fino a scadenza), dovendo confermarsi la sua positiva riferibilità alle sole conseguenze risarcitorie connesse al ritardo nella restituzione dell’immobile, «[…] sulla scorta della considerazione per cui il “maggior danno” di cui si discorre nell’art. 1591 c.c. rimarrebbe pur sempre riferito, stricto sensu, alle conseguenze pregiudizievoli direttamente riferibili al ritardo nella restituzione dell’immobile e, dunque, non estensibili alle conseguenze più ampiamente legate al fallimento del programma contrattuale per fatto del conduttore»[95].

In sostanza, le Sezioni Unite osservano come non possa farsi rientrare nel “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c. il pregiudizio, commisurato all’interesse positivo, derivante dalla perdita del lucro che sarebbe scaturito dall’operazione negoziale, in quanto il predetto articolo contempla un nocumento diverso dalla perdita dei canoni convenuti fino a scadenza, rappresentato, come detto, dal ritardo nell’adempimento dell’obbligazione di restituzione del bene locato[96]. In particolare, l’art. 1591 c.c., salva la risarcibilità del maggior danno, prevederebbe – analogamente all’art. 1224 c.c. – una penale ex lege (parametrata sul canone pattuito) per il ritardo nell’adempimento dell’obbligo di consegna della res[97]. Pertanto, essendo diverse le voci di danno previste dal suddetto articolo e dall’art. 1453 c.c., differente sarà anche l’ambito applicativo delle due norme, posto che, in caso di inadempimento nel pagamento dei canoni, ma senza ritardo nella riconsegna, il conduttore sarà tenuto a corrispondere tutti i canoni pattuiti fino a scadenza (ex art. 1453 c.c.), mentre in caso di ritardo nell’adempimento dell’obbligo di riconsegna, ma senza morosità nel pagamento del canone, si applicherà la “penale” (e l’eventuale maggior danno) previsti dall’art. 1591 c.c.[98].

Ebbene, al fine di comprendere appieno tale distinzione pare opportuno rammentare come il danno da risoluzione presenti due componenti[99]: a) il pregiudizio derivante dalla perdita, da parte del risolvente, della controprestazione, cioè del valore capitale del bene o della prestazione che questi avrebbe dovuto ricevere[100] (nel caso di specie, la somma dei canoni convenuti fino a scadenza o fino al reperimento di un nuovo conduttore) e b) il pregiudizio derivante dal ritardo nel conseguimento della controprestazione[101], cioè nella perdita dei profitti che sarebbero potuti derivare dal suo fruttifero reimpiego qualora essa fosse stata eseguita tempestivamente (ad es., gli interessi sulle somme dovute a titolo di canone che il locatore avrebbe potuto percepire ove queste fossero state pagate tempestivamente; i più elevati canoni di locazione che quest’ultimo avrebbe potuto ottenere dal ricollocamento sul mercato del bene, qualora il conduttore avesse tempestivamente adempiuto all’obbligazione restitutoria, ecc.).

Ciò detto, si è visto, altresì, come la locazione rientri nella categoria dei c.d. contratti restitutori, ossia di quei rapporti in cui la restituzione del bene consegnato, pur non essendo oggetto di un’obbligazione che possa considerarsi funzionalmente preordinata all’esecuzione del contratto, è conseguenza del venir meno del rapporto, di modo che l’obbligazione di riconsegna della prestazione ricevuta, da un lato, non assume carattere sinallagmatico con le altre prestazioni, dall’altro, nasce già al momento della consegna della cosa, divenendo però esigibile al momento dell’estinzione del vincolo per scadenza del termine o al verificarsi di un’altra causa prevista dalla legge (quale, ad es., la risoluzione).

Sin dal momento della stipula del contratto nascono, dunque, in capo al conduttore una pluralità di obbligazioni: a fianco delle obbligazioni previste dall’art. 1587 c.c. sorge altresì l’obbligazione di riconsegna del bene alla cessazione (naturale o patologica) del contratto, che, dal lato del locatore, costituisce una delle controprestazioni a cui è tenuto il locatario. Conseguentemente, il suo ritardato adempimento integra una violazione della lex contractus[102], poiché l’obbligazione di riconsegna, come illustrato, già esiste sin dal momento della conclusione del contratto, ma diviene esigibile nello stesso istante logico in cui esso si estingue.

Il ritardo nella restituzione del bene locato, dunque, rappresenta un danno da ritardata esecuzione (o perdita del diritto al godimento, che dir si voglia) di una delle controprestazioni promesse dal conduttore[103], cui consegue la perdita di un lucro cessante in capo al locatore[104], costituito dalla mancata percezione dei guadagni che sarebbero scaturiti da un diverso reimpiego del bene.

Tuttavia, tale lucro (perduto) viene commisurato dalla legge (art. 1591 c.c.), - salvo il maggior danno - prendendo a riferimento il corrispettivo convenuto nel contratto di locazione, cioè il medesimo parametro a cui il giudice deve fare riferimento per la liquidazione del danno (non da ritardo), ma da perdita dell’altra controprestazione promessa, costituita dal pagamento del canone. Da qui, dunque, l’insorgenza di una possibile confusione tra il danno da perdita della controprestazione e il “maggior danno” (da ritardo nella sua esecuzione) di cui all’art. 1591 c.c., i quali, tuttavia, per le ragioni appena illustrate, debbono essere ben distinti, essendo volti a ristorare il pregiudizio derivante dall’inadempimento di due differenti obbligazioni, rispettivamente, quella di pagamento del canone e quella di restituzione del bene locato.

Alla luce di tali coordinate, inoltre, possono comprendersi le differenze tra le due norme anche sotto il profilo probatorio, giacché la prova del maggior danno (danno da ritardo) previsto dall’art. 1591 c.c. si rivela assai più ardua rispetto al danno da risoluzione (interesse positivo). E’, infatti, ben più facile provare il lucro cessante che sarebbe derivato dal contratto inadempiuto, rispetto a quello scaturente dal “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c.: nel primo caso è sufficiente dimostrare la perdita di tutti i canoni pattuiti a seguito dall’inadempimento del conduttore; nel secondo, invece, occorre provare – anche a mezzo di presunzioni - che un terzo fosse interessato ad acquistare o a locare a un canone più elevato l’immobile, nonostante questo fosse ancora occupato dal conduttore (in mora nella restituzione)[105].

Ora, ciò detto, occorre chiedersi, però, come possano essere coordinate le due norme (artt. 1453 e 1591 c.c.) a seguito del verificarsi della risoluzione anticipata per inadempimento. In tal caso, infatti, una volta sciolto il contratto, si verificherebbe una possibile concorrenza – nel periodo intercorrente tra la domanda di risoluzione e l’effettiva riconsegna - tra danno da perdita della prestazione promessa e danno da ritardo ex art. 1591 c.c. Tale cumulabilità, tuttavia, alla luce delle riflessioni di attenta dottrina[106] è da escludersi, in quanto comporterebbe un arricchimento del tutto ingiustificato della parte fedele, la quale, da un lato, beneficerebbe dei lucri dell’affare, dall’altro, potrebbe chiedere, altresì, il ristoro delle mancate occasioni di guadagno perse derivanti da altre operazioni negoziali.

Ebbene, sul punto, la dottrina[107] ha ritenuto di coordinare siffatto intreccio in tal modo. Dalla domanda di risoluzione fino all’effettiva riconsegna del bene il conduttore sarebbe tenuto a risarcire il danno ex art. 1591 c.c. da ritardato adempimento dell’obbligazione di restituzione, mentre dal momento della riconsegna fino alla convenuta (e ormai “ipotetica”) scadenza del rapporto (o fino al reperimento di un nuovo locatario) il conduttore dovrebbe corrispondere il canone pattuito a titolo di risarcimento del danno (interesse positivo) per inadempimento all’obbligazione di pagamento del canone convenuto. Dal punto di vista pratico, dunque, il locatario sarebbe tenuto in ogni caso a corrispondere il valore del canone pattuito fino a scadenza[108], ma differente sarebbe il titolo in virtù del quale esso sarebbe dovuto[109].

6. Ulteriori prospettive: le interferenze tra rimedi restitutori e rimedi risarcitori

Un’ulteriore problematica sollevata dalla fattispecie del danno da ritardata restituzione dell’immobile locato concerne il coordinamento tra regime delle restituzioni dei frutti e risarcimento dei danni nel periodo intercorrente tra la domanda di risoluzione per inadempimento e il momento dell’effettiva riconsegna.

Tale tematica, tuttavia, pur sottesa al caso concreto, non è stata oggetto di trattazione esplicita da parte delle Sezioni Unite; l’impressione, però, è che il contrasto in esame sia sorto anche in ragione delle indebite sovrapposizioni concettuali effettuate dell’orientamento minoritario, il quale, per così dire, sembra ricostruire le conseguenze dannose derivanti dall’inadempimento sulla base di schemi tipicamente restitutori[110]. Occorre, dunque, comprendere il motivo per cui nella fattispecie in esame possa sorgere il rischio di un’indebita sovrapposizione tra rimedi.

Il dato da cui partire è che, una volta risolto il contratto di locazione per inadempimento, la detenzione - da parte del conduttore - del bene locato diviene sine causa, con la conseguenza per cui, ferma l’irripetibilità dei canoni già pagati secondo la regola di cui all’art. 1458, c. 1 c.c., quest’ultimo, ai sensi degli artt. 1148 e 2033 c.c. (o, comunque, più in generale ai sensi dell’art. 2041 c.c.) sarebbe tenuto a restituire al locatore i frutti percetti e percipiendi[111].

In altri termini, dal momento della domanda di risoluzione l’accipiens diverrebbe un detentore di mala fede della cosa ricevuta e, pertanto, la perceptio dei frutti o del valore d’uso della cosa verrebbe a configurarsi come appropriazione in mala fede dei frutti della cosa altrui, cioè come un fatto lesivo della proprietà del solvens.

Dunque, il contraente in ritardo nella restituzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2033, 1148 e 2041 c.c., sarebbe tenuto a restituire al solvens i frutti percetti e percipiendi, ossia l’intero arricchimento conseguito mediante l’uso della cosa, comprensivo anche del valore di godimento del bene.

In tale quadro, tuttavia, potrebbero sorgere delle difficoltà di coordinamento tra il risarcimento ex art. 1591 c.c. e la restituzione dell’arricchimento conseguito dal conduttore per mezzo della protrazione dell’uso della cosa (frutti percetti e percipiendi).

Ad avviso di chi scrive, tuttavia, si tratta di una sovrapposizione meramente apparente, per i seguenti motivi.

Come si è visto, nei c.d. contratti restitutori la restituzione della cosa a seguito della risoluzione del contratto non è regolata dalle norme sull’indebito, bensì forma oggetto di una specifica obbligazione di fonte contrattuale (nel caso della locazione quella di cui all’art. 1590 c.c.), la quale, non essendo un rimedio restitutorio, non comporta l’automatica restituzione dei frutti percepiti dall’accipiens (come prevede, invece, l’art. 2033 c.c.). Pertanto, il pregiudizio subìto dal locatore a causa della ritardata restituzione dell’immobile rappresenta un danno da ritardo nell’adempimento di un’obbligazione di fonte contrattuale, a fronte del quale l’art. 1591 c.c. sancisce l’obbligo (di fonte legale) di corresponsione del canone pattuito, quale predeterminazione forfettaria del danno da ritardo subìto da quest’ultimo.

L’interesse del locatore alla tempestiva restituzione del bene, dunque, trova soddisfazione, per espressa previsione di legge, nel rimedio risarcitorio e non nel rimedio restitutorio. In altri termini, e più chiaramente: nel contratto di locazione la restituzione del bene non è governata dalla ripetizione d’indebito, bensì dal meccanismo di cui agli artt. 1590 e 1591 c.c., nel quale non trova spazio la corresponsione del valore di godimento del bene: il primo articolo, infatti, prevede un’obbligazione restitutoria di fonte contrattuale (in luogo dell’applicabilità degli artt. 2033 ss.), mentre il secondo appresta, predeterminandolo, un apparato risarcitorio per il caso di ritardo nell’adempimento dell’obbligo di riconsegna.

L’esclusione del diritto al valore di godimento del bene, inoltre, può farsi discendere anche dai principi generali sul danno contrattuale precedentemente esaminati. Invero, nel momento in cui la parte fedele opta per la richiesta della “penale” ex art. 1591 c.c. (e dell’eventuale “maggior danno”), chiedendo così la soddisfazione del suo interesse positivo (sub specie di danno da ritardo) a vedersi reintegrata nella medesima situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovata se l’obbligazione (contrattuale) restitutoria avesse avuto regolare esecuzione (e costei avesse così potuto rilocare il bene), rinuncia necessariamente al valore obiettivo di godimento della res, giacché, appunto, in sua sostituzione ella chiede il risarcimento di quei profitti, anche maggiori, che avrebbe potuto conseguire (per mezzo di un diverso reimpiego dell’immobile), se avesse ottenuto in tempo la restituzione del bene locato.

Poiché, dunque, il contraente fedele domanda un risarcimento volto a porlo nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se il contratto (rectius, l’obbligazione restitutoria che in esso trova fonte) avesse avuto regolare e tempestiva esecuzione, con conseguente possibilità di reimpiego del bene riconsegnato, la perdita del valore di godimento della res rappresenterebbe un costo che egli avrebbe comunque già programmato ed accettato, in quanto già remunerato dal corrispettivo convenuto nell’ipotetico nuovo (ma mai concluso) contratto[112], la cui perdita è, appunto, ristorata dal danno da ritardo. E, infatti, qualora – unitamente al risarcimento ex art. 1591 c.c. - si ammettesse, altresì, la restituzione dei frutti, si genererebbe in capo alla parte fedele un arricchimento ingiustificato, giacché ella si troverebbe in una situazione patrimoniale migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata se il contratto avesse avuto regolare attuazione con la restituzione del bene alla scadenza, in quanto, appunto, potrebbe cumulare il danno da ritardo (comprensivo del canone convenuto e dell’eventuale “maggior danno”), con il valore di godimento del bene consegnato al conduttore[113].

L’esclusione dell’obbligo di restituzione del valore di godimento della cosa trova conferma, infine, nell’osservazione per cui il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore: come si è visto, infatti, l’obbligo di corresponsione del canone ex art. 1591 c.c. non costituisce il risarcimento per il compimento di un illecito extracontrattuale (la perdurante occupazione abusiva dell’immobile a seguito della caducazione del contratto), ma rappresenta – in una sorta di ultrattività della lex contractus - la predeterminazione legale di un danno da ritardo per la violazione di un’obbligazione restitutoria che trova fonte direttamente nel contratto. Il conduttore in ritardo nella riconsegna, dunque, continua a mantenere la propria qualità di locatario e, pertanto, ha diritto di godere dei frutti della cosa e di farli propri, salvo l’obbligo ex art. 1591 c.c., di corrispondere il corrispettivo pattuito, oltre il risarcimento del maggior danno eventualmente subito dal locatore[114].

In conclusione, deve ritenersi esclusa la possibilità di chiedere la restituzione dei frutti della res nel periodo intercorrente tra la domanda di risoluzione e il momento dell’effettiva riconsegna, giacché, da un lato, essa costituisce una perdita che risulta neutralizzata, “sterilizzata” dal risarcimento del danno da ritardo ex art. 1591 c.c., commisurato, tra l’altro, nella sua predeterminazione legale, al valore di godimento che le parti hanno ritenuto congruo nel contratto di locazione (ormai sciolto) per l’utilizzo di quel bene; dall’altro, come visto, il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, e quindi a godere dei frutti della cosa e a farli propri, salvo il suo obbligo, in base all’art. 1591 c.c., di corrispondere il corrispettivo della locazione, oltre il risarcimento del maggior danno, eventualmente subìto dal locatore.

7. Conclusioni

Come evidente dall’analisi svolta, la pronuncia delle Sezioni Unite si caratterizza per la sua elevata importanza sul piano sistematico, giacché essa ha fornito l’occasione alla Cassazione per porre un punto fermo su alcune tematiche cruciali nella teoria generale del contratto, quali il danno da risoluzione e le sue interferenze con le norme di parte speciale, quali l’art. 1591 c.c. Altresì, come visto, essa ha rappresentato lo spunto per riflettere sul problema, pur se non espressamente trattato nella sentenza, dell’interferenza tra rimedi restitutori e rimedi risarcitori nei contratti di durata, allorquando in esecuzione di questi sia consegnata una cosa fruttifera, che la parte inadempiente continua a trattenere, cagionando così un danno da ritardo alla parte fedele.

Nonostante tali intrecci sistematici, l’ordinanza di rimessione non ha ricevuto in dottrina le debite attenzioni che essa, al contrario, avrebbe forse meritato, probabilmente in ragione della specificità della questione trattata, la cui soluzione, però, come illustrato, presuppone necessariamente la risoluzione di questioni sul contratto in generale di non poco conto. In primo luogo, l’adesione alla tesi dell’interesse positivo o a quella dell’interesse negativo in materia di danno da risoluzione; in secondo luogo, un’approfondita analisi di tale peculiare tipologia di danno, la quale, come detto, si compone sia del danno da perdita delle controprestazioni promesse, sia del danno da ritardo nel loro conseguimento, quest’ultima ipotesi disciplinata, con riguardo all’obbligo di restituzione del bene nel contratto di locazione, dall’art. 1591 c.c. In terzo ed ultimo luogo, il necessario coordinamento tra rimedi restitutori e rimedi risarcitori e, in particolare, tra risarcimento del danno da ritardo nella riconsegna e corresponsione del valore di godimento del bene fino all’effettiva restituzione.

Ciò detto, l’importanza sistematica della pronuncia si può apprezzare, però, anche sotto un ulteriore e differente profilo. Essa, infatti, si inserisce nel percorso, di recente tracciato dalla Suprema Corte, avente ad oggetto, per così dire, lo “statuto” del danno da occupazione - latu sensu - abusiva dell’immobile, locato e non: con la sentenza in esame la Cassazione ha aggiunto un ultimo tassello a tale tematica, già oggetto, seppur con riferimento ad altri aspetti, di alcune pronunce intervenute negli ultimi anni.

Ebbene, ciò premesso, il quadro giurisprudenziale può essere così ricostruito.

Alla scadenza convenuta del contratto (di locazione) la restituzione del bene avverrà secondo le regole dettate dagli artt. 1590 e 1591 c.c., con la conseguenza per cui il conduttore in ritardo nella restituzione e che continui ad occupare l’immobile sarà tenuto a corrispondere al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno (Cass. Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

In presenza, invece, di una risoluzione anticipata del contratto per inadempimento, la riconsegna del bene sarà sempre dovuta in virtù dell’obbligo restitutorio di cui all’art. 1590 c.c. e al locatore spetterà - in caso di ritardo nell’adempimento di tale obbligo – il corrispettivo convenuto ex art. 1591 c.c. fino all’effettiva restituzione; da tale momento in poi a questi spetterà il risarcimento dell’intero interesse positivo (pari all’importo complessivo di tutti i canoni convenuti sino alla scadenza), sempre che il bene non venga nuovamente rilocato, nel qual caso non si produrrà più alcun danno in testa al locatore (Cass. Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

Sempre con riferimento al danno da ritardo nella restituzione, occorre altresì rammentare come si debbano tenere ben distinti il danno da perdita di chance (tecnicamente inteso) e il c.d. danno da perdita di chance contrattuali, quest’ultimo rappresentato dal danno da perdita del lucro cessante ritraibile da eventuali migliori proposte di vendita o di locazione del bene sfumate a causa della protratta occupazione dell’immobile da parte del conduttore[115]. Sul punto, la Cassazione con la sentenza del 7 ottobre 2021, n. 27287[116] ha correttamente ribadito che in tale situazione non può certamente configurarsi un danno da perdita di chance propriamente inteso, posto che nessuna incertezza eventistica originaria e insuperabile è ravvisabile nel caso in cui il locatore abbia visto sfumare l’opportunità di vendere o di locare il bene ad un maggior canone a causa della ritardata consegna dell’immobile (c.d. danno da perdita di chance contrattuali): in tal caso, infatti, o questi riesce a dimostrare in giudizio il danno subìto, mediante la produzione di concrete offerte di acquisto o di locazione provenienti da terzi, o, altrimenti, non vi sarà alcun danno risarcibile, stante, appunto, la mancata dimostrazione del nesso di causalità giuridica tra inadempimento all’obbligo restitutorio e pregiudizio subìto (danno-conseguenza).

Invece, in presenza di un’occupazione di un bene altrui, fin dall’origine sine titulo, si sarà in presenza di un vero e proprio illecito extracontrattuale, e, dunque, di un’occupazione abusiva del bene, in quanto la condotta dell’occupante lede, ai sensi dell’art. 2043 c.c., un interesse giuridicamente tutelato del proprietario. Tale tipologia di danno, come noto, è stata oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33645 del 15 novembre del 2022[117], con la quale i giudici di legittimità hanno ritenuto, ferma la risarcibilità, dell’eventuale lucro cessante, che il danno emergente derivante dall’occupazione abusiva del bene non integri un’ipotesi di danno in re ipsa, bensì un’ipotesi di “danno presunto”, precisando, tra l’altro, come, qualora questo non possa essere provato dal proprietario nel suo preciso ammontare, esso potrà ben essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ai sensi dell’articolo 1226 c.c., «[…] attingendo il parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore di godimento della cosa» [118].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., S.U., 25 febbraio 2025, n. 4892.

[2] Per un commento a tale pronuncia si veda: C.M. NANNA, Danno da risoluzione del contratto di locazione, tra risarcibilità dell’’interesse positivo ed obblighi di condotta del locatore, in Resp. civ. prev., 2024, 1, 119 ss.; A. PLAIA, Risoluzione anticipata del contratto di locazione e risarcimento del danno, in Nuova giur. civ. comm., 2024, 1, 43 ss.; M. MONTICELLI, Il danno da anticipata risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore (in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite), in Jus civile, 2024, 2, 445 ss.; A. MONTANARI, Risoluzione della locazione e risarcimento del danno: in vista delle Sezioni unite, in Giur. it., 2024, 6, 1305 ss.; A. IULIANI, Il danno da risoluzione alla prova delle Sezioni Unite, in Foro it., 2024, 6, 1931 ss.

[3] Salvo il maggior danno derivante, ad esempio, da un deterioramento dell’immobile imputabile al conduttore, che abbia richiesto spese per le riparazioni e un conseguente allungamento dei tempi necessari per ricollocarlo sul mercato, a causa dei quali il locatore abbia visto sfumare ulteriori opportunità contrattuali.

[4] Cass. (ord.), 9 novembre 2023, n. 31276, cit.

[5] In giurisprudenza si vedano ex multis: Cass., 5 gennaio 2023, n.194, in Guida dir., 2023, 4; Cass., 5 maggio 2020, n. 8482, con nota di F. MOLINARO, Risoluzione del contratto di locazione e danno da anticipata cessazione del rapporto contrattuale, in Resp. civ. prev., 2022, 1-02, 271 ss.; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2865, in Guida dir., 2015, 12, 46; Cass., 24 aprile 2008, n. 10677 in Giust. civ. mass., 2008, 6, 858; Cass., 3 settembre 2007, n. 18510, in Giuda dir., 2007, 44, 82.

In dottrina cfr., ad es., A. LUMINOSO, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, in Commentario al c.c., a cura di Scialoja e Branca, I, 1, Bologna-Roma, 1990, 333 ss.; M. DE TILLA - S. GIOVE, Le locazioni abitative e non abitative, in Trattato teorico-pratico di diritto privato, a cura di Alpa e Patti, IV, Padova, 2009, 359; F. MOLINARO, op. cit., 275; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Risolto il contratto e riconsegnato l’immobile va risarcito il contraente che non riesce subito a rilocare a terzi?, in Corr. giur., 2014, 1346 ss. C.M. NANNA, op. cit., 134; A. PLAIA, op. cit., 48-49.

[6] Secondo alcuni (A. PLAIA, op. cit., 48-49), peraltro, il danno contrattuale positivo in caso di inadempimento da parte del conduttore non potrebbe consistere in un ristoro parametrato ai canoni non percepiti per il periodo successivo alla restituzione dell’immobile, ma andrebbe semmai calibrato sulla differenza tra canone pattuito e valore locativo del bene, ove al momento della domanda di risoluzione, quest’ultimo risulti inferiore al primo. Così come - sempre a detta del medesimo Autore - nell’ipotesi del mutuo, il risarcimento andrebbe quantificato nella differenza tra il valore degli interessi corrispettivi pattuiti e quello oggettivo degli interessi che potrebbero essere ottenuti tornando sul mercato.

[7] Da tale momento, infatti, non si produrrebbe più alcun danno-conseguenza nella sfera giuridica del locatore.

[8] C.M. NANNA, op. cit., 122.

[9] Cass., 5 gennaio 2023, n.194 cit.; Cass., 5 maggio 2020, n. 8482, cit..; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2865, cit.

[10] Cass., 10 dicembre 2013, n. 27614, in Corr. giur., 2014, 1341 ss., con nota adesiva di A. CARRATO, Risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore ed onere della prova riguardante il danno subito dal locatore, in Corr. giur., 2014, 920; A. IULIANI, op. cit., 1942; A. MONTANARI, op. cit., 1310-1311, che sottolinea come tale orientamento «[…] valorizza, invece, l’uscita dalla vicenda contrattuale e, quindi, la possibilità per il proprietario di disporre e di godere dell’immobile locato, salvo che ciò risulti precluso dallo stato in cui l’immobile è stato restituito.»

[11] Cass., 20 gennaio 2017, n. 1426, in Guida dir., 2017, 12, 96.

[12] Con la precisazione per cui, secondo tale orientamento, «Un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l'immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, nè in via diretta nè in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell'inesatto adempimento dell'obbligazione di rilascio nei sensi dell'art. 1590 c.c.» (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1426, cit.). In altri termini, tale danno andrebbe a ristorare il locatore dei mancati guadagni (lucro cessante) che egli non ha potuto percepire a causa dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio di cui all’art. 1590 c.c., che ha impedito una tempestiva ricollocazione sul mercato del bene. Sul punto, pare opportuno precisare fin d’ora che tale danno, correlato all’inesatto adempimento dell’obbligazione di riconsegna, è diverso da quello previsto dall’art. 1591 c.c., il quale contempla un danno da ritardo.

[13] Sul punto si veda funditus i successivi parr. 5.1. e 6

[14] Cass. (ord.), 9 novembre 2023 n. 31276, cit.

[15] Sottolinea le difficoltà del problema A. LUMINOSO, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, op. cit., 186-187 «[…] bisogna però riconoscere che quando risoluzione e risarcimento, in concreto, operano assieme, tra le due misure viene ad instaurarsi un indubbio collegamento, e segnatamente un nesso tra i rispettivi effetti giuridico-economici, il quale giustifica (quantomeno dal punto di vista del risultato empirico) una considerazione unitaria, da parte dell’interprete, della complessiva vicenda effettuale. In questi casi – che, com’è naturale, sono quelli che qui particolarmente interessano – si assiste infatti ad un’azione combinata di effetti di tipo risolutorio (e restitutorio) e gli effetti di tipo risarcitorio […] E’ opportuno sottolineare che i precisi caratteri di siffatto abbinamento e la risultante finale dello stesso non sono affatto pacifici. Anzi, sono estremamente controversi. E ciò non solo perché – come si è visto in precedenza – è incerto quale sia il ruolo della misura risarcitoria […], ma anche in quanto sono controversi il fondamento e la ratio del rimedio risolutorio».

[16] P. Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 83 ss.; G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Napoli, 1980, 142 ss.; A. LUMINOSO, in A. LUMINOSO - U. CARNEVALI - M. COSTANZA, Della risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1454, in Commentario al c.c., a cura di Scialoja e Branca, I, 1, Bologna-Roma, 1990, 200 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, 2° ed., Milano, 2011, 950; R. SACCO, Risoluzione per inadempimento, in Digesto Disc. priv., Sez. civ., XVIII, Torino, 1988, 61 ss.; G. VILLA, Danno e risarcimento contrattuale, in Trattato del contratto, a cura di Roppo, V-2, Milano, 2006, 933; G. VILLA, Brevi riflessioni sul danno da inadempimento e da risoluzione, in Giust. civ., 2024, 1, 207 ss.; M. AMBROSOLI, Inadempimento del contratto e risarcimento del danno, Milano, 2012, 239 ss.; M. ROSSETTI, La risoluzione per inadempimento, Milano, 2012, 269 ss.; G. D’AMICO, Nullità e risoluzione per inadempimento: restituzioni e risarcimento del danno, in Nuove leggi civ. comm., 2014, 4, 773; M. DELLA CASA, Inadempimento e risarcimento nel contratto preliminare: il «danno da risoluzione» alla prova, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 7-8, 1093 ss.; R. SACCO, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2004, 673; C. CASTRONOVO, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, in Eur. e dir. priv., 1999, 838 ss.; S. PAGLIANTINI, La risoluzione dei contratti di durata, Milano, 2006, 169 ss.; G. SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453.1459, in Commentario al c.c., diretto da Schlesinger, Milano, 2007, 448 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 2021, 115 ss.

Con specifico riferimento al danno da risoluzione del contratto di locazione, cfr. supra par. 2.

[17] «In merito, sembra opportuno rilevare che la semplice collocazione della tecnica risarcitoria in un ambito diverso da quello di cui all’art. 1218 c.c., non autorizza a ritenere che il risarcimento stesso possa svolgere una funzione diversa da quella disciplinata in via generale dal legislatore; parlare di rapporto tra art. 1453 c.c. e art. 1218 c.c. come di species e genus non sembra perciò erroneo né confliggente con la ratio dell’azione di risoluzione. Il legislatore, d’altronde, consente alla parte non inadempiente di agire per l’adempimento, o per la risoluzione, garantendo così, in ambedue le ipotesi lo stesso risarcimento del danno» (C.M. NANNA, op. cit., 129).

[18] Cfr. R. SACCO, Il contratto, cit.,1993, 635.

[19] In tal senso A. LUMINOSO, op.cit., 219.

[20] In tal senso G. VILLA, op. cit., 925; C.M. BIANCA, La responsabilità cit., 155 ss.; A. LUMINOSO, op. cit., 327 e 334-335.

[21] F. CARNELUTTI, Sul risarcimento del danno in caso di risoluzione del contratto bilaterale di adempimento, in Riv. dir. comm., 1923, 2, 328 ss.; W. BIGIAVI, Irretroattività della risoluzione per inadempimento, in Riv. dir. comm., 1934, I, 702; G. GORLA, L’atto di disposizione dei diritti, in Studi dell’Università di Perugia per E. Tommasone, Perugia, 1936, 106 ss.; M. MONTANARI, Il danno da risoluzione, Napoli, 2013, 263 ss.; M. R. MARELLA, Tutela risarcitoria nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Giur. it., 1985, 1, 368 ss.; M. PACIFICO, Il danno nelle obbligazioni, Napoli, 2009, 205 ss.; F. PIRAINO, Il danno da risoluzione, in Le Corti fiorentine, 2017, 2, 49 ss.

In giurisprudenza: Cass., 6 novembre 1986, n. 6491, in Foro it., 1988, I, 245; Cass., 14 aprile 1994, n. 3470, in Giust. civ., 1995, I, 1070; Cass., 17.9.2015, n. 18259, in Giust. civ. mass., 2015.

[22] In tal senso A. LUMINOSO, op.cit., 389.

[23] F. CARNELUTTI, op cit., 331 ss.; W. BIGIAVI, op. cit., 702 ss.

[24] G. GORLA, op. cit., 106 ss.

[25] Si osservi, peraltro, con riferimento al caso in esame, come l’argomento fondato sulla retroattività sarebbe inapplicabile ai contratti di durata, nei quali la precedente fase del rapporto, in quanto eseguita regolarmente da tutte e due le parti, non viene investita dagli effetti ripristinatori e restitutori tipici della risoluzione.

[26] M. R. MARELLA, op. cit., 375 ss.

Un ulteriore filone di pensiero fa poi capo a B. GRASSO, Risoluzione del contratto per inadempimento e tutela risarcitoria, in Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, Napoli, 1993, 48, secondo il quale la risoluzione interromperebbe il nesso causale tra inadempimento e danno, giacché la scelta (libera e discrezionale) del contraente fedele di rimuovere il contratto attraverso la domanda di risoluzione rappresenterebbe un’autonoma fonte dei danni (da risoluzione, appunto), come tali non ricollegabili causalmente all’inadempimento medesimo.

[27] Sul danno da ritardata consegna dell’immobile locato si veda: G. MIRABELLI, La locazione, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, VII ed., I, Torino, 1972, 477 e ss.; A. TABET, La locazione-conduzione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXV, Milano, 1972, 475; G.S. COCO, Locazione, in Enc. Dir., XXVI, Milano, 1974, 981-982; G. PROVERA, La locazione. Disposizioni generali. Art. 1571-1606, in Commentario al c.c., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, 305; F. TRIFONE, La locazione, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, XI, Torino, 1984, 495; M. DE TILLA, Le locazioni nella prassi giudiziaria, IV ed., Milano, 1993, 829 ss.; R. PREDEN, Art. 1591 c.c., in Giur. civ. coord., a cura di Ruperto, Milano, 2005, VI, 3901 e ss.; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 368 ss.; R. CALVO, in V. CUFFARO – R. CALVO – A. CIATTI, Della locazione. Disposizioni generali. Art. 1591, in Commentario al c.c., diretto da Schlesinger, Milano, 2014, 245 ss.; G. GRASSELLI, Art. 1591 c.c., in Commentario al c.c., a cura di Cendon, Milano, 2009, 517 ss.; R. CALVO, La locazione, in Trattato di diritto privato, a cura di Bessone, XIV, Torino, 2016, 107 ss.; M. LOCATI, La restituzione della cosa locata ed i danni per ritardata restituzione (artt. 1590 e 1591 c.c.), in Le restituzioni contrattuali, a cura di De Nova, Torino, 2012, 241 ss..; M. DI MARZIO, La locazione. Il corrispettivo e le altre obbligazioni di pagamento a carico del conduttore, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Torino, 2005, I, 933 ss.

Negli articoli a rivista: L. GUERRINI, Responsabilità per ritardata restituzione della cosa locata: corrispettivo, risarcimento o restituzione? (nota a Cass. civ., 15.5.2007, n. 1118), in Danno e resp., 2008, 6, 663 ss.; A. CARRATO, Principali profili problematici sulla responsabilità per danni da ritardata restituzione in tema di locazione (nota a Cass. civ., 3.3.2009, n. 5051), in Corr. giur., 2010, 2, 234 ss.; M. MASTRANDREA, Ritardata restituzione del bene locato e corresponsione del canone convenuto ex art. 1591 c.c., in Obbl. e contr., 2008, 4, 336 ss.; L. BOGGIANO, Brevi note in tema di risarcimento del danno per ritardato rilascio dell’immobile locato, in Giur. it., 2003, 5, 905 ss.; M. SIGNORELLI, Contratto di locazione e giurisprudenza: obbligazioni, prestazioni e responsabilità, in Resp. civ. prev., 2015, 2, 441 ss.

[28] Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, infatti, «[…] deve valutarsi, ai fini della risoluzione del contrasto, la portata dell’art. 1591 cod. civ. È pur vero che tale norma disciplina la fattispecie dei danni da ritardata restituzione, e dunque gli effetti della mora del conduttore a restituire l’immobile, ma è anche vero che la portata della norma non è riducibile alla fattispecie della restituzione dopo la scadenza del rapporto, potendo essa sul piano pratico trovare applicazione anche al caso della restituzione prima della scadenza, e dunque all’ipotesi della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore e del protrarsi del godimento della cosa da parte di quest’ultimo, nonostante la cessazione per risoluzione. Il conduttore è tenuto in base all’art. 1591 a corrispondere, a titolo risarcitorio, il canone convenuto fino alla restituzione. Resta tuttavia il margine, come è noto salvaguardato dalla norma, del “maggior danno”. Volendo rileggere la fattispecie sulla base del punto di vista dell’art. 1591, l’interrogativo da porsi è se in tale “maggior danno”, una volta imposto al conduttore dalla legge l’obbligo di risarcire il locatore mediante la corresponsione del canone fino alla restituzione, trovi ospitalità, ed in quali termini, il danno conseguente, ai sensi dell’art. 1223, all’evento dannoso rappresentato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, si intende all’interno al termine di scadenza del rapporto».

[29] In dottrina cfr. R. CALVO, in V. CUFFARO – R. CALVO – A. CIATTI, Della locazione, cit., 247; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 368 ss.; M. DI MARZIO, op. cit., 933 ss.; M. AMBROSOLI, Le restituzioni nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Le restituzioni contrattuali, a cura di De Nova, Torino, 160.

In giurisprudenza cfr. Cass., 27 marzo 1958, n. 1019 in Giur. it, 1058, I, 1267; Cass., 29 gennaio 1980, n. 676, in Giust. civ. mass., 1980, 1; Cass., 13 marzo 1995 n. 2910, in Giust. civ. mass., 1995, 562; Cass., 15 ottobre 1997, n. 10115, in Foro it., 1998, I, 1205: “L'art. 1591 cod. civ. dispone che "Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno". L'interpretazione della legge in base al canone stabilito dall'art. 12, comma 1, disp. prel. non lascia dubbi sul punto che, dal momento in cui il conduttore è in mora nel restituire, egli è soggetto all'obbligazione di pagare il canone pattuito, ed a quella di risarcire l'eventuale danno maggiore.

Se il conduttore è in mora a restituire il bene a lui locato, ciò significa che il contratto è sciolto ed il locatore ha domandato la restituzione (art. 1219, comma 1 e comma 2, n. 3, cod. civ.). La costituzione in mora rispetto all'obbligazione di restituire è sufficiente perché il conduttore sia da considerare obbligato a risarcire il danno conseguente alla mora: questa obbligazione, secondo la disciplina generale sull'inadempimento, rappresenta appunto uno degli effetti del ritardo, quando vi segua la costituzione in mora (artt. 1218, 1219 e 1223 cod. civ.).

L'art. 1591 cod. civ., riprendendo lo schema dell'art. 1224, commi 1 secondo alinea e 2 primo alinea, cod. civ., poiché il conduttore già prima della mora doveva per il godimento del bene locatogli un corrispettivo, commisura a questo il danno che il locatore subisce per il ritardo e di tale danno non richiede prova (come, per le obbligazioni pecuniarie, indipendentemente dalla prova del danno, sono dovuti interessi moratori al saggi convenzionale superiore a quello legale, se gli interessi erano dovuti a tale saggio già prima della mora). Consente poi al locatore (come nelle obbligazioni pecuniarie è consentito al creditore) di provare di avere subito un danno maggiore, al cui risarcimento, sempre come conseguenza della mora nel restituire, il conduttore sarà allora tenuto.

Il modo in cui applicare la norma, nel caso il contratto sia pervenuto alla sua naturale scadenza, è dunque affatto chiaro e scevro da problemi. Scaduto il contratto, il conduttore deve restituire la cosa; una volta che la restituzione gli sia richiesta egli è in mora e dalla mora derivano gli effetti già veduti.

Qui si discute però dell'applicazione della norma alla diversa situazione in cui il contratto si scioglie per effetto di una pronuncia giudiziale di risoluzione per inadempimento. La prima considerazione da fare è che la giurisprudenza ritiene che la norma regoli anche questo caso (Cass. 29.1.1980 n. 676; 13.3.1995 n. 2910). La disciplina del risarcimento del danno da inadempimento, perciò, quanto al pregiudizio che il locatore affermi d'aver risentito in conseguenza del fatto che il conduttore inadempiente si è mantenuto nel possesso della cosa, non è quella comune, ma quella specifica dettata dall'art. 1591 cod. civ. Sorge allora il problema di come l'art. 1591 cod. civ. vada in questo caso applicato. […]

Ciò vuol dire che, proposta la domanda intesa a far dichiarare che il contratto si è sciolto ed a conseguire la restituzione della cosa locata, il conduttore è posto da tale domanda in situazione di mora, con gli effetti stabiliti dall'art. 1591 cod. civ.

Ma alla stessa soluzione deve pervenirsi nel caso che con la domanda sia stata chiesta una pronunzia costitutiva di risoluzione per inadempimento.

Anche questa pronuncia ha effetto retroattivo tra le parti (art. 1458, comma 1, cod. civ.), in omaggio al principio per cui la durata del processo non può risolversi in danno di chi ha ragione. È pur vero che la norma ora richiamata pone un limite alla retrotrazione dell'effetto risolutorio, quando si tratti, come nel caso della locazione, di un contratto ad esecuzione continuata. Il limite però concerne le prestazioni già eseguite sulla base del contratto fino a che non ne sia pronunziata la risoluzione: avendo il conduttore goduto dell'immobile e non essendo configurabile quanto a ciò restituzione, il locatore non sarà dal canto suo obbligato a rendere il corrispettivo percepito.

L'art. 1458, comma 1, cod. civ. e l'art. 1591 cod. civ. vengono dunque a convergere nella regolamentazione degli effetti derivanti dalla continuazione di fatto del rapporto dopo la proposizione della domanda di risoluzione: il primo esclude che il conduttore che ha goduto della cosa abbia diritto alla restituzione del corrispettivo pattuito se l'ha pagato; il secondo impone al conduttore che si mantenga nel godimento della cosa di continuare almeno a pagare quel corrispettivo nonostante che sia stata proposta in suo confronto domanda di risoluzione.

Resta però che la retrotrazione degli effetti della risoluzione toglie sin dalla data della domanda liceità al godimento mantenuto dal conduttore, che, richiesto con quella domanda di restituire la cosa, è da allora in mora nel farlo (Cass. 13.3.1995 n. 2910) ed è perciò obbligato a risarcire al locatore il maggior danno che questi provi d'aver subito.»

[30] Cass. (ord.), 9 novembre 2023 n. 31276, cit.

[31] Tale diversità – coerentemente a quanto si illustrerà circa la natura delle due fattispecie di danno – si riflette anche sul piano della differente tipologia di obbligazioni risarcitorie: di valuta quella avente ad oggetto la corresponsione del canone fino alla riconsegna; di valore, invece, quella avente ad oggetto il maggior danno (Cass., 17 dicembre 1999, n. 14243, in Giust. civ. mass., 1999, 2570).

[32] A livello processuale «la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell'immobile locato, dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell'immobile (ai sensi dell'articolo 1591 del c.c.), costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che trova fondamento nella particolare disposizione dell'articolo 664, comma 1, del c.p.c., trattandosi di ipotesi specifica di condanna cosiddetta in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l'ordinamento tutela l'interesse del creditore all'ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento» (Cass., 18 agosto 2023, n. 24819, in Guida dir., 2023, 43).

[33] Cass., 22 gennaio 1959, n. 169, con nota di M. DUNI, Natura della responsabilità del conduttore in mora nel restituire la cosa locata, in Foro it., 1958, IV, 44.

[34] In tal senso, Cass., 2 maggio 1981, n. 2672, in Giust. civ. mass., 1981, 5; Cass., 3 gennaio 1995, n. 2910, cit.

[35] La locazione, infatti, rientra nella categoria dei c.d. contratti restitutori (sul punto, cfr. A. DALMARTELLO, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955, I, 851 ss.), ossia di quei rapporti (es. mutuo, comodato) in cui la restituzione, pur non essendo oggetto di un’obbligazione che possa considerarsi funzionalmente preordinata per l’attuazione o l’esecuzione del contratto, è conseguenza del venir meno del rapporto, di modo che l’obbligazione di riconsegna della prestazione ricevuta, da un lato, non assume carattere sinallagmatico con le altre prestazioni, dall’altro, nasce già al momento della consegna della cosa, divenendo però esigibile al momento dell’estinzione del vincolo o al verificarsi di un’altra causa prevista dalla legge (quale, ad es., la risoluzione).

In tal senso anche L. GUERRINI, op. cit., 666: «Il dato che faceva cadere in errore i giudici era costituito dalla considerazione per cui l’obbligazione restitutoria «sorge» allorquando termina la locazione; posta questa premessa, attraverso un ragionamento sillogistico, la Suprema Corte affermava che fondamento della restituzione non poteva essere il contratto, ormai scaduto e dunque inadatto a produrre effetti, ma la mancanza di titolo a detenere la cosa al di là del termine di scadenza. Di qui la natura extracontrattuale dell’obbligazione e della relativa responsabilità, in caso di violazione.

Una simile lettura si rivela sfuocata: la locazione è da ricondursi alla categoria dei contratti restitutori, con ciò intendendosi quei rapporti in cui la restituzione, pur non essendo oggetto di un’obbligazione che possa considerarsi funzionalmente preordinata per l’attuazione o l’esecuzione del contratto, è conseguenza del venir meno del rapporto. Caratteristica principale dei contratti restitutori è che l’obbligazione di restituzione ha carattere non sinallagmatico; ciò significa (soltanto) che il suo inadempimento non può produrre il venir meno del contratto ma non (anche) che questa si collochi al di là e fuori del rapporto.

In altre parole, l’obbligazione di restituzione nasce dal contratto e più precisamente nel momento in cui il conduttore prende in consegna il bene; essa diviene però attuale ed esigibile allorquando il contratto viene meno a seguito della scadenza o al verificarsi di un’altra causa prevista dalla legge. Alla base della ormai superata interpretazione si poneva un errore di prospettiva: il confondere il piano della nascita e, dunque, dell’esistenza dell’obbligazione, con quello dell’efficacia e dell’esigibilità.» In tale senso cfr. anche A. GUARINO, La locazione, in Trattato di diritto civile, diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1965, 63-64; A. TABET, op. cit., 1023; G. MIRABELLI, op. cit., 287.

[36] R. CALVO, op. cit., 249; M. LOCATI, op. cit., 251-252; L. GUERRINI, op. cit., 667 ss.

[37] Così anche, pur se con riferimento ai casi di invalidità del contratto, L. BARBIERA, L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964, 310 «Nell’ambito di questa configurazione dell’arricchimento, assume peculiare rilievo il caso, opportunamente posto in evidenza dalla più sensibile dottrina, in cui taluno abbia goduto della cosa altrui in base ad un contratto invalido avente ad oggetto appunto il detto godimento. Qui si tratta in realtà di un’ipotesi di ripetizione di indebito anziché di. i.a. Poiché peraltro non è possibile ripetere il godimento in natura, né è possibile sciogliere colui che ha goduto da ogni onere, altrimenti verrebbe appunto a verificarsi un i.a., in luogo della ripetizione in natura deve subentrare una ripetizione per equivalente».

[38] Cfr. R. CALVO, op. cit., 249; M. LOCATI, op. cit., 251-252; P. SIRENA, La restituzione dell’arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, I, 75.

Ritengono, seppur non con specifico riferimento all’art. 1591 c.c., che la mancata restituzione del valore d’uso del bene detenuto sine causa integri un arricchimento ingiustificato M. DELLA CASA, Inattuazione e risoluzione: i rimedi, in Trattato del contratto, diretto da Roppo, V-2, Milano, 2006, 388-389; C. PASQUINELLI, La restituzione dei frutti, in Ripetizione di indebito, a cura di Bargelli, Torino, 2014, 442 ss.

[39] In tal senso M. DI MARZIO, op. cit., 807-808: «Sul conduttore grava, dunque, l’obbligazione di riconsegna. Trattasi, all’evidenza, di obbligazione contrattuale, come oramai pacificamente ritenuta da dottrina e giurisprudenza: e invero, il fatto che essa sorge nel momento in cui il contratto ha termine non vale ad escluderne la natura contrattuale, dal momento che, come è stato giustamente osservato, l’obbligazione in parola è il corollario necessario della temporaneità del contratto. La menzionata natura dell’obbligazione in discorso implica, come conseguenza, che sia da considerare contrattuale la responsabilità per ritardata restituzione della cosa locata.»  In tal senso anche Cass., 15 maggio 2007, n. 11189, in Giust. civ. mass., 5, 2007: «L'obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite dall'art. 1590, comma primo, cod. civ. pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla scadenza della locazione. Corrispondentemente, anche la responsabilità del conduttore per la ritardata consegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all'uso conforme agli accordi convenzionali assume natura contrattuale.»

Peraltro, secondo la dottrina (P. COSENTINO-P. VITUCCI, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986, 156; S. GIOVE, Art. 1590 c.c., in Codice civile, a cura di P. Rescigno, Milano, 2014, I, 3232) l’ambito di applicazione dell’obbligazione restitutoria in esame (quella di cui all’art. 1590 c.c.) non sarebbe limitato solo all’ipotesi della scadenza naturale del contratto, ma sarebbe estensibile, altresì, al caso della cessazione anticipata del rapporto (ad es. per intervenuta risoluzione per inadempimento). Per tale ragione, come visto, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritengono che la medesima estensione abbia anche l’art. 1591 c.c.

[40] In tal senso A. CARRATO, op. cit., 237; In tal senso Cass., 6 agosto 2002, n.11759, in Giust. civ. mass. 2002, 1475. «L'obbligo del conduttore di pagare al locatore il canone dopo la cessazione della locazione e fino al rilascio dell'immobile discende dalla legge e non dal contratto; tuttavia, in mancanza di contraria volontà delle parti, le modalità di pagamento restano quelle contrattuali.»

[41] A. Tabet, op. cit., 475; G. MIRABELLI, op. cit., 480; R. PREDEN, op. cit., 3902 e ss.; G.S. COCO, op. cit., 981-982; G. GRASSELLI, op.cit., 521 e ss.; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 368 e ss.

[42] Cfr. ex multis Cass., 5 giugno 1995, n. 6291, in Giust. civ. mass., 1995, 6; Cass. 2 marzo 2000, n. 2328, in Giust. civ. mass., 200, 517; Cass. 23 maggio 2002, n. 7546, in Giust. civ. mass., 2002, 910.

[43] Cass., 7 febbraio 2006, n. 2525, in Giust. civ. mass., 2006, 2: «L'obbligo di risarcire il maggior danno, posto dall'art. 1591 c.c., a carico del conduttore in mora nella riconsegna della cosa locata, presuppone la specifica prova di una effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non aver potuto utilizzare direttamente e tempestivamente il bene, nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe situazioni pregiudizievoli, la cui prova incombe al locatore, tenuto a dimostrare l'esistenza di ben determinate proposte di locazione o di acquisto e di concreti propositi di utilizzazione. Il canone convenuto costituisce, quindi, solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno minimo da risarcire, poiché, versando il relativo importo, il conduttore che continua ad occupare l'immobile dopo la cessazione del contratto non adempie all'obbligazione di "dare il corrispettivo nei termini convenuti" (ai sensi dell'art. 1587, n. 2, c.c.), bensì risarcisce un danno da mora, così adempiendo ad un'obbligazione risarcitoria che si sostituisce a quella contrattuale. Ne consegue che, vertendosi in tema di risarcimento del danno, ed essendo il risarcimento correlato al danno effettivamente subito, l'importo dovuto dall'occupante, non più a titolo di canone, ma di risarcimento per la protratta occupazione, deve essere correlato al periodo di effettiva occupazione.»

[44] Anche la giurisprudenza è della medesima opinione: cfr. Cass., 24 maggio 2003, n. 8240, in Giust. civ. mass., 2003, 5 «L'art. 1591 c.c., nello stabilire che il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata è tenuto a corrispondere al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, predispone una determinazione legale del danno da mancata restituzione, costituita dal pagamento del canone convenuto, fino al momento di detta riconsegna (salvo il risarcimento dell'eventuale maggior danno, da dimostrare in concreto). In tale ipotesi, il canone convenuto costituisce solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno (minimo) da risarcire, sostituendosi la obbligazione risarcitoria a quella contrattuale originaria. Pertanto, vertendosi in tema di risarcimento correlato al danno effettivamente subito, l'importo dovuto dall'occupante deve essere correlato al periodo di effettiva occupazione, con la conseguenza che, qualora l'immobile sia rilasciato nel corso del periodo in riferimento al quale il canone è contrattualmente commisurato, il risarcimento dovrà essere quantificato sulla base del canone mensile in proporzione ai giorni di effettiva occupazione.»

[45] Pare opportuno sottolineare, quindi, che il canone convenuto costituisce solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno minimo da risarcire, poiché, versando il relativo importo, il conduttore che continua ad occupare l’immobile dopo la cessazione del contratto non adempie all’obbligazione di "dare il corrispettivo nei termini convenuti" (ai sensi dell’art. 1587, n. 2, c.c.), bensì risarcisce un danno da mora, così adempiendo ad un’obbligazione risarcitoria che si sostituisce a quella contrattuale. Poiché, dunque, l’obbligazione di cui all’art. 1591 c.c. è diversa da quella contrattuale, sul piano processuale, qualora sia stata proposta inizialmente una domanda per il pagamento dei canoni dovuti e degli accessori relativi, deve essere ritenuta nuova la domanda successivamente introdotta nel corso del giudizio, diretta ad ottenere la condanna del conduttore al risarcimento, ex art. 1591 c.c., dei danni derivati dal ritardato rilascio dell’immobile locato (cfr. Cass. 23 luglio 2002, n. 10752, in Giust. civ. mass., 2002, 1323 e Cass., 23 maggio 2002, n. 7546, cit.).

[46] In tal senso, per una predeterminazione legislativa e forfettaria del danno si veda: A. Tabet, op. cit., 477; G.S. COCO, op. cit., 981; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 371; M. DI MARZIO, op. cit., 933-934 «La norma, nel menzionare il corrispettivo convenuto ed il maggior danno, appare complessivamente modellata in modo analogo all’art. 1224 c.c., in tema di mora nelle obbligazioni pecuniarie, con cui condivide la ratio, da ravvisarsi in ciò, che la naturale fruttuosità del denaro, alla quale merita di essere equiparata la naturale fruttuosità della cosa locata, giustifica, in caso di inadempimento da ritardo, la previsione di una soglia risarcitoria minima, riguardo alla quale il creditore è esonerato dalla prova del pregiudizio subito, salva la prova di un pregiudizio ulteriore».

[47] M. SIGNORELLI, op. cit., 450, nt. 64.

[48] Come confermato, ex multis, da Cass., 5 giugno 1995, n. 6291, cit. «La responsabilità del conduttore a norma dell'art. 1591 c.c. per il maggior danno da ritardata restituzione dell'immobile locato, ha natura contrattuale, con la conseguenza che in applicazione del principio dettato dall'art. 1218 c.c., il locatore deve provare soltanto l'esistenza e l'ammontare del maggior danno derivatogli dalla ritardata restituzione della cosa locata e non anche il dolo o la colpa del conduttore, mentre è questi che, per esimersi da responsabilità, è tenuto a provare che il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.» Più in particolare, con riferimento all’indennità prevista dalla norma in esame si è affermato di recente che «In tema di responsabilità del conduttore per ritardata restituzione dell'immobile locato, il locatore-creditore che domanda il pagamento dell'indennità ex art. 1591 c.c. ha l'onere di dimostrare la fonte (contrattuale) del suo diritto di credito, mentre spetta al debitore-conduttore provare il (pur tardivo) adempimento compiuto con l'avvenuta riconsegna del bene» (Cass., 5 dicembre 2024, n. 31233, in Giust. civ. mass., 2025, 1).

[49] Una questione ancora assai dibattuta concerne la necessità o meno di un apposito atto di costituzione in mora del conduttore, ai fini dell’insorgenza degli obblighi risarcitori previsti dall’art. 1591 c.c.

Con riferimento all’obbligo di pagamento del canone convenuto fino alla riconsegna, infatti, secondo un primo orientamento (in dottrina: A. TABET, op. cit., 475; G. GRASSELLI, op. cit., 522; R. PREDEN, op. cit., 3903 ss.; M. LOCATI, op. cit., 251; in giurisprudenza: Cass., 26 ottobre 1989, n. 4429, in Giust. civ. mass., 1989, 10; Cass., 19 luglio 2002, n. 10560, in Giur. it, 2003, 1352; Cass., 26 ottobre 1989, n. 4429, in Giust. civ. mass., 1989, 10; Cass., 19 luglio 2002, n. 10560, in Giur. it, 2003, 1352), l’art. 1591 c.c. contemplerebbe un’ipotesi di mora ex re in ragione dello stesso dato letterale della norma, la quale espressamente ricollega l’insorgenza della mora al ritardo nella riconsegna della cosa alla scadenza del contratto convenzionalmente stabilita o al momento della proposizione della domanda di risoluzione.

Secondo un’altra opinione (in dottrina: L. GUERRINI, Responsabilità per ritardata restituzione, cit., 667; in giurisprudenza: Cass., 15 ottobre 1997, n. 10115, in Foro it., 1998, I, 1205; Cass., 9 luglio 2009, n. 16110, in Giust. civ. mass., 2009, 7-8, 1070), invece, a tali fini occorrerebbe uno specifico atto di costituzione in mora (rappresentato, in caso di scadenza del termine, dalla richiesta di restituzione; in caso di risoluzione, invece, dalla proposizione della domanda giudiziale). Infatti, ai sensi dell’art. 1182, c. 2 c.c. l’obbligo di consegnare una cosa determinata deve adempiersi, in assenza di espressa pattuizione delle parti, nel luogo in cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è sorta e, pertanto, le obbligazioni di consegnare una cosa determinata non sono ricomprese nel novero dei casi di mora automatica previsti dall’art. 1219, n. 3) c.c.

Assai controverso è, inoltre, se la costituzione in mora (automatica o per intimazione, indipendentemente dalla tesi che si voglia accogliere) relativa all’obbligo di restituzione (e al correlativo obbligo di pagare il canone fino alla riconsegna) possa estendersi automaticamente all’obbligo di risarcire il “maggior danno”.

Secondo una prima impostazione (in dottrina: R. CALVO, op. cit., 249; in giurisprudenza: Cass., 22 febbraio 1968, n. 619, in ItalgiureWeb), poiché gli obblighi risarcitori previsti dall’art. 1591 c.c. a carico del conduttore in mora a restituire la cosa locata sono distinti da quello di restituzione, la costituzione in mora relativa al secondo non si estenderebbe ai primi, ma occorrerebbe a tal fine una specifica e distinta intimazione.

Al contrario, secondo un diverso orientamento, che allo stato pare maggioritario (in dottrina: M. DI MARZIO, op. cit., 942; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 371-372; R. PREDEN, op. cit., 3903 ss.; M. LOCATI, op. cit., 251; in giurisprudenza: Cass., 15 ottobre 1997, n. 10115, in Foro it., 1998, I, 1205; Cass., 9 luglio 2009, n. 16110, in Giust. civ. mass., 2009, 7-8, 1070; Cass., 3 gennaio 2025, n. 78, in Guida dir., 2025, 7), la costituzione in mora relativa all’obbligo di riconsegna sarebbe sufficiente perché il conduttore sia da considerare obbligato a risarcire il danno: infatti, l’interpretazione letterale dell’art. 1591 c.c. non lascia dubbi sul punto che, dal momento in cui il conduttore è in mora nel restituire, egli è soggetto all’obbligazione di pagare il canone pattuito e a quella di risarcire l’eventuale maggior danno.

Tutto ciò con la precisazione per cui, ai fini dell’esclusione della mora, un’offerta non formale ex art. 1220 c.c. proveniente dal conduttore lo tutelerebbe, per così dire, solo parzialmente, perché, se è vero che lo esimerebbe dall’obbligo risarcitorio del c.d. maggior danno, certamente non lo liberebbe dall’obbligo di pagare il canone, per il fatto stesso del permanere nella materiale disponibilità del bene e senza che rilevi la circostanza che questi abbia cessato di usare l’immobile secondo la destinazione convenuta (Cfr. Cass., 10 febbraio 2003, n. 1941, in Giur. it., 2003, 1574; Cass., 13 febbraio 2002, n. 2086, in Giust. Civ. Mass., 2002, 237).

[50] Cass., 30 luglio 2004, n.14624, in Foro it., 2005, I, 113 «In tema di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, il maggior danno di cui all'art. 1591 c.c. va provato in concreto dal locatore "secondo le regole ordinarie" (così la sent. n. 482 del 2000 della Corte cost.), rientrando quindi fra i mezzi di prova consentiti anche la prova per presunzioni, sempre che queste presentino i requisiti previsti dall'art. 2729, comma 1, c.c., e consentano di ritenere dimostrato il fatto ignoto, con l'ulteriore specificazione che le presunzioni sono da considerare gravi, precise e concordanti sia quando il fatto da provare segue a quelli noti in modo necessario, secondo logica, sia quando ne derivi nella normalità dei casi, cioè secondo quanto in genere suole accadere.» Conf. Cass., 17 maggio 2024, n. 13877, in Guida dir., 2024, 27.

[51] Cass., 27 giugno 2023, n.18370, in Guida dir., 2023, 35

[52] L. GUERRINI, op. cit., 667 ss.; V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, 1° ed., Milano, 2001, 948; M. DELLA CASA, Inattuazione e risoluzione, cit., 379; G.S. COCO, op. cit., 981; A. TABET, voce «Locazione (in generale) (Diritto civile)», in Noviss. dig. it., IX, Torino, 1963, 1024-1025.

In giurisprudenza, sembra accogliere tali riflessioni Cass., 3 gennaio 2025, cit., la quale afferma come «La caducazione del contratto di locazione non determina, pertanto, l'automatica cessazione degli effetti sostanziali collegati al rapporto, i quali permangono, a norma dell'articolo 1591 del Cc, fino all'esatto adempimento dell'obbligazione del conduttore di riconsegna del cespite, la quale rimane inadempiuta ogniqualvolta il locatore non riacquisti la disponibilità del bene locato in modo da farne uso secondo la sua destinazione e, dunque, anche quando l'immobile risulti inutilizzabile perché danneggiato o ancora occupato da cose del conduttore.».

[53] L. GUERRINI, op. cit., 669-670: «Questa premessa […] vuole mettere adeguatamente in luce che l’art. 1591 c.c., che ha ad oggetto fattispecie in cui, venuto meno il contratto per scadenza o altra causa (eventualmente di risoluzione), il conduttore continua a godere di utilità di carattere economico non restituibili in natura, individua nel contratto (pur scaduto) la regola di conversione da applicare per far recuperare al locatore l’equivalente del godimento del bene locato.

Ancor più che la qualificazione del corrispettivo come prestazione principale, ovvero come risarcimento o, addirittura, restituzione, interessa qui una diversa considerazione: quella secondo cui l’art. 1591 c.c. affida al contratto il compito di regolare la sistemazione dei rapporti di debito/credito che pur originano quando lo stesso è ormai venuto meno. […]

Ove […] si giunga a leggere la dazione del corrispettivo contrattuale quale restituzione per equivalente di una prestazione avente ad oggetto il godimento di una cosa locata, l’art. 1591 c.c. potrebbe costituire un rilevante punto d’appoggio per l’interprete che, addentrandosi nel mondo delle restituzioni da caducazione, voglia offrire sostegno a quell’interpretazione (ad oggi) minoritaria che valorizza il contratto anche nella sua fase di scioglimento e cerca in questo le coordinate per meglio governare e modulare le obbligazioni restitutorie.»

[54] Critica la tesi dell’ultrattività della lex contractus E. STACQUALURSI, Se il conduttore restituisce alla scadenza il bene locato e lo danneggia: obblighi oltre il termine del contratto?, in Danno e resp. 2016, 3, 278.

[55] Sul punto si veda AA. VV., Ripetizione di indebito, a cura di Bargelli, Torino, 2014, 443-445; AA. VV., Le restituzioni contrattuali, a cura di G. De Nova, Padova, 2012; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, Torino, 2012; M. DELLA CASA, Inattuazione e rsisoluzione, cit., 369 ss.; P. GALLO, Restituzioni contrattuali ed inadempimento, in Digesto Disc. Priv., Sezione civile, XII, diretto da R. Sacco, Torino, 2019, 343 ss.; P. GALLO, Le restituzioni contrattuali tra retroattività ed irretroattività, in Liber Amicorum Giuseppe Vettori, Firenze, 2022, 1353 ss.

[56] Questo danno, a differenza di quello previsto dalla prima parte della norma in esame, infatti, non integra un’ipotesi di danno in re ipsa.

[57] Invero, a fronte di alcune pronunce (cfr. Cass., 14 aprile 2000, n. 4864, in Giust. civ. mass., 2000, 814) che sancivano la necessità di dimostrare specificamente sia la sussistenza del danno, sia il suo ammontare, si è affermato, invece, più di recente, un orientamento (cfr. Cass., 13 giugno 2006, n. 13653, in Giust. civ. mass., 2006, 6; Cass., 3.3.2009, n. 5051, in Giust. civ. mass., 2009, 3, 367) che ammette anche la prova presuntiva, osservando come sia, di fatto, impossibile fornire la prova (probatio diabolica) di specifiche nuove proposte di locazione o di vendita in presenza di una perdurante occupazione dell’immobile, la quale certamente rende assai più difficile la ricezione di tali proposte.

[58] Si veda, in tal senso, con riferimento alla responsabilità contrattuale in generale Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 770; con specifico riferimento alla norma in esame Cass., 23 maggio 2002, n. 7546 cit.

[59] «Al riguardo, la concessione in godimento di un bene iure locationis si risolve ex latere del locatore in una particolare forma di esercizio del godimento del bene nelle sue utilità, cioè nel conferimento al conduttore della facoltà di esercitare in via diretta su di esso il godimento materiale, che altrimenti sarebbe esercitabile dal locatore. A fronte di tale conferimento e, quindi, con diretta giustificazione in ragione di esso, il conduttore versa al locatore il corrispettivo, il canone, che viene a rappresentare in tal modo una modalità di fruizione indiretta dell'utilità sottesa al godimento del bene sostitutiva del possibile godimento diretto. Godimento diretto che il locatore, se conservasse la detenzione del bene potrebbe, si badi, esercitare con l’estrinsecazione della facoltà di godimento materiale su di esso, utilizzandolo per una qualche destinazione conforme alla sua natura o alle sue funzionalità, ma che, potrebbe anche esercitare anche estrinsecandola in negativo, cioè attraverso la mera conservazione della detenzione del bene, senza cioè il compimento di attività di godimento materiale di esso, come ad esempio tenendolo intercluso ed inaccessibile, nonché incolto, trattandosi di terreno, o, trattandosi di edificio, inutilizzato.»

«Ebbene, quando il locatore concede in locazione l'immobile, il corrispettivo della locazione, cioè il canone, rappresenta l'equivalente della privazione della possibilità di esercitare il godimento dello stesso in via diretta, cioè sia attraverso lo svolgimento su di esso dell'attività di godimento materiale possibile secondo la natura del bene, sia attraverso un atteggiamento di non utilizzazione del bene per il tramite di tale attività di godimento materiale e, quindi, attraverso la sua mera detenzione» (così Cass., 10 dicembre 2013, n. 27614 cit.).

[60] In tal senso G. MIRABELLI, op. cit., 14 «Lo scambio ha luogo, nella locazione, tra l’utilità derivante dal godimento di una cosa e l’utilità derivante dalla percezione del corrispettivo, quale che ne sia il contenuto, sì che la funzione economica del contratto va ravvisata nell’esigenza del soggetto che dispone di un bene, dal quale non è in grado di trarre direttamente utilità, di conseguirne lo sfruttamento indiretto, mediante il ricavo di un corrispettivo del godimento concesso ad altri e, per contro, dell’esigenza di estendere la possibilità di godimento a chi non possa, o non voglia, conseguire la piena disponibilità del bene». Similmente anche M. DI MARZIO, La locazione. Disegno sintetico e tratti generali delle fonti normative, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, I, Torino, 2005, 33.

[61] In tal senso A. GUARINO, op. cit., 14; G.S. COCO, op. cit., 931; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 3-4; M. DI MARZIO, op. cit., 33; V. CUFFARO, in V. CUFFARO – R. CALVO – A. CIATTI, Della locazione. Disposizioni generali. Art. 1571, in Commentario al c.c., diretto da Schlesinger, Milano, 2014, 51; G. CAPOZZI, Dei singoli contratti, Milano, 1988, 314.

[62] In tal senso V. ROPPO, op. cit., 356 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2019, 420.

[63] In tal senso R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Torino, 2022, 1129; C.M. BIANCA, Il contratto, cit., 420.

[64] Cfr. par. 3

[65] Invero, osservano lucidamente le Sezioni Unite come la « […] restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente, infatti, non potrà mai costituire il ripristino di un preesistente equilibrio delle sfere giuridico-patrimoniali delle parti (se non quello prenegoziale, ormai superato dalla conclusione del contratto), […] È appena il caso di sottolineare al riguardo come, attraverso la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato (sia pure in una diversa composizione materiale: una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell’immobile, e viceversa), bensì a raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive d’interesse. […] allo stesso modo, il complessivo assetto di interessi composto nel programma contrattuale è destinato a rivestire una considerazione decisiva nella ricostruzione della disciplina del contratto, tanto nella sua fase interpretativa, quanto in quella esecutiva, quanto infine in quella (del tutto eventuale) che riguarda l’eventuale governo degli effetti dell’inadempimento. La frustrazione che il locatore è costretto a subire per effetto dell’inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico-patrimoniale precedente la conclusione del contratto.»

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, una ricostruzione del fenomeno dell’inadempimento contrattuale, come proposto dall’orientamento minoritario precedentemente illustrato «[…] non è condivisibile, poiché, nella misura in cui trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti in conseguenza dell’inadempimento, si risolve nella totale neutralizzazione della rilevanza giuridica di quest’ultimo.»

«Le considerazioni qui esposte valgono, dunque, a confermare la correttezza di quanto desumibile dalle riflessioni della giurisprudenza maggioritaria di questa Corte, secondo la quale il locatore, il quale abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore […].

Infatti, la tesi secondo cui viene rimossa, per effetto dall’anticipata restituzione dell’immobile da parte del conduttore inadempiente, la dannosità del fallimento del programma contrattuale in conseguenza dell’inadempimento del conduttore, si traduce inevitabilmente nella definitiva cancellazione dell’interesse positivo quale componente costitutiva del danno contrattuale regolato dall’art. 1223 c.c. […], finendo col determinare la sostanziale assimilazione del danno da inadempimento al danno precontrattuale, per tradizione identificato nella limitata considerazione del solo interesse negativo.

Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha già espressamente avuto modo di rilevare che, nei contratti a prestazioni corrispettive, alla risoluzione per inadempimento si accompagna sempre il diritto, per il contraente fedele, al risarcimento del danno, non limitato all’interesse negativo (id quod interest contractum non fuisse), bensì esteso all’interesse positivo (quantum lucrari potuit), atteso, per un verso, che l'azione di risoluzione è alternativa all'azione di adempimento (per sua natura finalizzata al conseguimento dell'interesse positivo) e considerato, per altro verso, che, diversamente opinando, la responsabilità (contrattuale) per inadempimento coinciderebbe quoad effectum con la responsabilità precontrattuale, venendosi a trattare in modo uguale situazioni diverse».

[66] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 200-201.

[67] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 201.    

[68] Si pensi, ad esempio, ai casi di c.d. inadempimento efficiente. Sul tema si veda P. GALLO, L’arricchimento senza causa. Artt. 2041-2042, in Comm. Schlesinger, Milano, 2024, 95-96; R. SACCO, L’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino, 1959, 152 ss.; P. PARDOLESI, Rimedi all’inadempimento contrattuale: un ruolo per il disgorgment?, in Riv. dir. civ., 2003, I, 717 ss.; G. SICCHIERO, op. cit., 314 ss.; M. AMBROSOLI, Le restituzioni nella risoluzione del contratto per inadempimento, cit. 199 ss.

[69] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 203-204.

[70] G. VILLA, Brevi riflessioni, cit., 214.

[71] Per tali considerazioni cfr. P. TRIMARCHI, Interesse positivo e negativo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 2002, I, 639.

[72] Richiamano tale argomento A. LUMINOSO, op. cit., 333, nt. 18 e C.M. NANNA., op. cit., 127.

[73] F. CARNELUTTI, op cit., 331 ss.; W. BIGIAVI, op. cit., 702 ss.

[74] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 166-167, 188, 205 ss.; C.M. NANNA., op. cit., 132, 134-135.

[75] Osserva sul punto A. LUMINOSO, op. cit., 168- 169 «Non è difficile constatare come questa prospettiva privi di individualità e autonomia le obbligazioni restitutorie conseguenti alla vicenda risolutoria del contratto, venendo esse a sovrapporsi all’obbligo risarcitorio previsto dall’art. 1453, comma 1 c.c. […] La dottrina ricordata prende infatti le mosse dalla funzione del risarcimento concepito come mezzo di tutela dell’interesse contrattuale negativo del risolvente per approdare ad una identificazione tra siffatto obbligo risarcitorio e l’obbligo restitutorio; le sentenze menzionate partono da una ritenuta funzione risarcitoria delle obbligazioni restitutorie per giungere (inconsapevolmente) alla identificazione di un danno per lesione dell’interesse contrattuale negativo. Il che, tra l’altro, mostra le strette connessioni esistenti tra danno risarcibile e restituzioni nella risoluzione, lasciando intravedere come l’abituale mancata percezione di tali nessi, tanto da parte della dottrina quanto soprattutto della giurisprudenza, costituisca una delle principali ragioni che stanno alla base delle incertezze che caratterizzano questa, già di per sé ostica, materia».

[76] Sostenuta, come visto, da G. GORLA, op. cit., 106 ss.

[77] Peraltro, nel caso della risoluzione anticipata del contratto di locazione non sussisterebbe neppure tale apparente antinomia tra retroattività della risoluzione e risarcimento dell’interesse positivo, poiché nei contratti di durata la risoluzione opera ex nunc, e non ex tunc.

[78] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 210 ss.

[79] A. LUMINOSO, op. cit., 215.

[80] G. VILLA, op. cit., 936.

[81] M. R. MARELLA, op. cit., 375 ss.

[82] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 218-219.

[83] A. LUMINOSO, op. cit., 219.

[84] In tal senso A. LUMINOSO, op.cit., 219.

[85] Cfr. ex multis, V. ROPPO, Il contratto, cit., 179; C.M. BIANCA, Il contratto, cit., 148 ss.; G. VILLA, op. cit., 933 ss.; G. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, in Trattato del contratto, diretto da Roppo, V-2, Milano, 2006, 1121 ss.

[86] A. LUMINOSO, op. cit., 352 ss.; G. PORTALE, Informazione societaria e responsabilità degli intermediari, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, 26.

[87] G. VILLA, op. cit., 940.

[88] Pare opportuno ribadire in tale sede le differenze tra azione di adempimento e azione risarcitoria in presenza di un vincolo contrattuale tra le parti (sul punto cfr. funditus A. LUMINOSO, op cit., 12 ss.; C.M. BIANCA, La responsabilità, cit., 259-260).

In presenza di un inadempimento, l’art. 1453 c.c. attribuisce alla parte diligente la scelta tra l’azione di adempimento e l’azione di risoluzione del contratto, fermo in ogni caso il risarcimento dei danni. Più in particolare, nel primo caso la parte potrà chiedere l’esatta esecuzione del programma negoziale (restando, dunque, anch’essa obbligata ad eseguire la propria prestazione), mentre nel secondo caso, all’opposto, il contratto si scioglierà e ciascuna delle parti sarà liberata dall’esecuzione della propria prestazione, fermo restando in ogni caso il risarcimento dei danni subiti a cagione dell’altrui inadempimento, il quale, ai sensi dell’art. 1223 c.c. dovrà comprendere sia il danno emergente, sia il lucro cessante.

Ebbene, se - come visto - sul piano teorico le due azioni (di adempimento e risarcitoria) sono nettamente distinte, maggiore confusione può generarsi sul piano pratico, in ispecial modo con riferimento ai contratti di durata, quali la locazione, in cui l’ottenimento di tutte le prestazioni dovute (i canoni) mediante l’esperimento dell’azione di adempimento può coincidere perfettamente con il quantum da corrispondersi a titolo risarcitorio a seguito della risoluzione, laddove sia stato riconosciuto integralmente alla parte diligente (il locatore) il lucro cessante.

La differenza tra le due azioni si può apprezzare, invece, sotto un triplice profilo.

Il primo è rappresentato dal differente petitum oggetto delle due azioni: infatti, se nell’azione di adempimento la parte diligente chiede la condanna dell’altra all’esatta effettuazione della prestazione dovuta, a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi danno-conseguenza, al contrario, nell’azione di risoluzione con contestuale domanda di risarcimento dei danni, costei chiede l’emanazione di una pronuncia costitutiva di scioglimento del contratto e, contestualmente, di condanna dell’altra parte al risarcimento dei danni verificatisi nella propria sfera patrimoniale e cagionati dall’altrui inadempimento.

La seconda è rappresentata, invece, dal conseguente e differente onere probatorio che grava sul creditore (locatore) nelle due azioni. Infatti, qualora questi decida di esperire l’azione di esatto adempimento, in ottemperanza alla consolidata giurisprudenza sul punto (Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533, cit.), egli sarà tenuto ad allegare e provare il titolo e ad allegare l’inadempimento, senza che sia necessario, altresì, provare l’esistenza di un qualsivoglia danno-conseguenza; ciò in quanto il petitum in tal caso non ha ad oggetto una richiesta risarcitoria, bensì la condanna del debitore (conduttore) all’esatta effettuazione della prestazione dedotta in obbligazione. Al contrario, in caso di azione risarcitoria, posto che il petitum ha ad oggetto il risarcimento dei danni, il creditore (locatore) oltre ad allegare e provare il titolo e ad allegare l’inadempimento, sarà tenuto, altresì, ad allegare e a provare l’esistenza del danno-conseguenza.

La terza differenza, infine, concerne il quantum dovuto. All’uopo occorre richiamare la distinzione tra inadempimento e danno-conseguenza: nell’azione risarcitoria, infatti, ad essere ristorati debbono essere solo i danni effettivamente subìti dal creditore che hanno comportato una diminuzione patrimoniale (c.d. danno-conseguenza), il cui quantum può anche non coincidere con la somma delle prestazioni dovute fino a scadenza. E ciò, come noto, in ragione dei temperamenti previsti dagli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c. alla risarcibilità dei danni-conseguenza.

[89] Sottolineano, in particolare, le Sezioni Unite «[…] il rifiuto di ogni prospettabile automatismo in ipotesi volto a identificare, di necessità, il danno del locatore con l’insieme dei canoni non percepiti.

Tale ultima precisazione - come correttamente evidenziato nella stessa ordinanza di rimessione in questa sede - appare opportuna, dovendo, da un lato, ammonirsi sulla necessità di non confondere l’azione risarcitoria con l’azione di adempimento (solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto) e, dall’altro, rammentarsi come l’operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento (qui coincidente con l’inadempimento e identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore) e danno-conseguenza disciplinato dall’art. 1223 c.c., ai sensi del quale - varrà ribadire e sottolineare - il ‘mancato guadagno’ del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una «conseguenza immediata e diretta» dell’inadempimento. […]

È in questo quadro che si colloca la giustificazione dell’attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione.

Un atteggiamento di persistente ingiustificata inerzia del locatore nel riattivare le possibilità di recupero della redditività del proprio bene a seguito della sua riacquistata disponibilità (in tesi confidando sul diritto a conseguire, a titolo risarcitorio, tutti i canoni convenuti fino alla naturale scadenza del contratto), non potrà non legittimare, secondo l’id quod plerumque accidit, la prospettazione dell’eventuale riconducibilità della cessata redditività del bene alla responsabilità dello stesso locatore […]

Deve pertanto ritenersi gravante sul locatore l’onere di comprovare che, nonostante la restituzione dell’immobile prima della scadenza del contratto da parte del conduttore inadempiente, il danno costituito dalla mancata percezione del canone fino a detta scadenza, o fino alla stipulazione di una nuova locazione, si è ugualmente verificato.»

[90] In dottrina ex multis G. VILLA, op. cit., 925; C.M. BIANCA, La responsabilità cit., 155 ss.; A. LUMINOSO, op. cit., 327 e 334-335. In giurisprudenza si vedano ex multis: Cass., 5 gennaio 2023, n.194, cit.; Cass., 5 maggio 2020, n. 8482, cit.

[91] G. VILLA, op. cit., 925.

[92] G. VILLA, op. cit., 917; C.M. BIANCA, La responsabilità cit., 155. In giurisprudenza, ex multis Cass., 5 maggio 2020, n. 8482, cit.; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2865, in Corr. Giur., 2015, 6, 756. Contra Cass., 14 gennaio 2014, n. 530, in Corr. Giur., 2014, 7, 915.

[93] Non mancano, peraltro, le critiche (G. VILLA, op. cit., 917, nt. 91) a tale opinione, giacché si osserva come «la classificazione dell’eccezione ex art. 1227, c. 2 tra le eccezioni in senso stretto non rilevabili d’ufficio pare ora contrastare, oltre che con la logica sopra riferita, anche con la posizione assunta in degenera sul tema delle eccezioni da Cass., Sez. Un., 27.7.2005, n. 15661, la quale limita l’ambito delle eccezioni in senso stretto all’opposizione di un “potere ad impugnandum ius” che consegue all’efficacia modificativa, impeditiva o estintiva del diritto altrui mediante una manifestazione di volontà. È dunque evidente che nessun rapporto vi sia tra un potere volto ad impugnare il diritto e la constatazione che il creditore ha omesso di agire ai sensi dell’art. 1227, c. 2»

[94] In dottrina cfr. R. CALVO, op cit., 247; M. DE TILLA – S. GIOVE, op. cit., 368 ss.; M. DI MARZIO, op. cit., 933 ss.; M. AMBROSOLI, Le restituzioni nella risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 160.

La ragione dell’applicabilità dell’art. 1591 c.c. anche all’ipotesi di risoluzione anticipata va rinvenuta nel fatto che, secondo la dottrina (P. COSENTINO-P. VITUCCI, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986, 156; S. Giove, Art. 1590 c.c., in Codice civile, a cura di P. Rescigno, Milano, 2014, I, 3232) l’ambito di applicazione dell’obbligazione restitutoria di cui all’art. 1590 c.c. (a cui l’articolo in esame appresta un apparato sanzionatorio di fonte legale) non sarebbe limitato solo all’ipotesi della scadenza naturale del contratto, ma sarebbe estendibile, altresì, al caso della cessazione anticipata del rapporto (ad es. per intervenuta risoluzione per inadempimento).

In tal senso in giurisprudenza cfr. Cass., 27 marzo 1958, n. 1019 in Giur. it, 1058, I, 1267; Cass., 29 gennaio 1980, n. 676, in Giust. civ. mass., 1980, 1; Cass., 13 marzo 1995 n. 2910, in Giust. civ. mass., 1995, 562; Cass., 15 ottobre 1997, n. 10115, in Foro it., 1998, I, 1205: “L'art. 1591 cod. civ. dispone che "Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno". L'interpretazione della legge in base al canone stabilito dall'art. 12, comma 1, disp. prel. non lascia dubbi sul punto che, dal momento in cui il conduttore è in mora nel restituire, egli è soggetto all'obbligazione di pagare il canone pattuito, ed a quella di risarcire l'eventuale danno maggiore.

Se il conduttore è in mora a restituire il bene a lui locato, ciò significa che il contratto è sciolto ed il locatore ha domandato la restituzione (art. 1219, comma 1 e comma 2, n. 3, cod. civ.). La costituzione in mora rispetto all'obbligazione di restituire è sufficiente perché il conduttore sia da considerare obbligato a risarcire il danno conseguente alla mora: questa obbligazione, secondo la disciplina generale sull'inadempimento, rappresenta appunto uno degli effetti del ritardo, quando vi segua la costituzione in mora (artt. 1218, 1219 e 1223 cod. civ.).

L'art. 1591 cod. civ., riprendendo lo schema dell'art. 1224, commi 1 secondo alinea e 2 primo alinea, cod. civ., poiché il conduttore già prima della mora doveva per il godimento del bene locatogli un corrispettivo, commisura a questo il danno che il locatore subisce per il ritardo e di tale danno non richiede prova (come, per le obbligazioni pecuniarie, indipendentemente dalla prova del danno, sono dovuti interessi moratori al saggi convenzionale superiore a quello legale, se gli interessi erano dovuti a tale saggio già prima della mora). Consente poi al locatore (come nelle obbligazioni pecuniarie è consentito al creditore) di provare di avere subito un danno maggiore, al cui risarcimento, sempre come conseguenza della mora nel restituire, il conduttore sarà allora tenuto.

Il modo in cui applicare la norma, nel caso il contratto sia pervenuto alla sua naturale scadenza, è dunque affatto chiaro e scevro da problemi. Scaduto il contratto, il conduttore deve restituire la cosa; una volta che la restituzione gli sia richiesta egli è in mora e dalla mora derivano gli effetti già veduti.

Qui si discute però dell'applicazione della norma alla diversa situazione in cui il contratto si scioglie per effetto di una pronuncia giudiziale di risoluzione per inadempimento. La prima considerazione da fare è che la giurisprudenza ritiene che la norma regoli anche questo caso (Cass. 29.1.1980 n. 676; 13.3.1995 n. 2910). La disciplina del risarcimento del danno da inadempimento, perciò, quanto al pregiudizio che il locatore affermi d'aver risentito in conseguenza del fatto che il conduttore inadempiente si è mantenuto nel possesso della cosa, non è quella comune, ma quella specifica dettata dall'art. 1591 cod. civ. Sorge allora il problema di come l'art. 1591 cod. civ. vada in questo caso applicato. […]

Ciò vuol dire che, proposta la domanda intesa a far dichiarare che il contratto si è sciolto ed a conseguire la restituzione della cosa locata, il conduttore è posto da tale domanda in situazione di mora, con gli effetti stabiliti dall'art. 1591 cod. civ.

Ma alla stessa soluzione deve pervenirsi nel caso che con la domanda sia stata chiesta una pronunzia costitutiva di risoluzione per inadempimento.

Anche questa pronuncia ha effetto retroattivo tra le parti (art. 1458, comma 1, cod. civ.), in omaggio al principio per cui la durata del processo non può risolversi in danno di chi ha ragione. È pur vero che la norma ora richiamata pone un limite alla retroazione dell'effetto risolutorio, quando si tratti, come nel caso della locazione, di un contratto ad esecuzione continuata. Il limite però concerne le prestazioni già eseguite sulla base del contratto fino a che non ne sia pronunziata la risoluzione: avendo il conduttore goduto dell'immobile e non essendo configurabile quanto a ciò restituzione, il locatore non sarà dal canto suo obbligato a rendere il corrispettivo percepito.

L'art. 1458, comma 1, cod. civ. e l'art. 1591 cod. civ. vengono dunque a convergere nella regolamentazione degli effetti derivanti dalla continuazione di fatto del rapporto dopo la proposizione della domanda di risoluzione: il primo esclude che il conduttore che ha goduto della cosa abbia diritto alla restituzione del corrispettivo pattuito se l'ha pagato; il secondo impone al conduttore che si mantenga nel godimento della cosa di continuare almeno a pagare quel corrispettivo nonostante che sia stata proposta in suo confronto domanda di risoluzione.

Resta però che la retroazione degli effetti della risoluzione toglie sin dalla data della domanda liceità al godimento mantenuto dal conduttore, che, richiesto con quella domanda di restituire la cosa, è da allora in mora nel farlo (Cass. 13.3.1995 n. 2910) ed è perciò obbligato a risarcire al locatore il maggior danno che questi provi d'aver subito.»

[95] Cass., S.U., 25 febbraio 2025, n. 4892, cit.

[96] In tal senso A. PLAIA, op. cit., 47-48; C.M. NANNA, op. cit., 140; M. MONTICELLI, op. cit., 454-455.

Tale danno, peraltro, non deve essere confuso con il danno rappresentato dalla perdita del lucro cessante che il locatore non ha potuto percepire a causa dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio di cui all’art. 1590 c.c., che ha impedito una tempestiva ricollocazione sul mercato del bene. Tale danno, infatti, non è ricollegato ad una ritardata riconsegna, ma ad un inesatto inadempimento (si pensi, al caso dell’immobile deteriorato) dell’obbligazione restitutoria di cui all’art. 1590 c.c. «Un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l'immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, nè in via diretta nè in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell'inesatto adempimento dell'obbligazione di rilascio nei sensi dell'art. 1590 c.c.» (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1426, cit.).

[97] La diversità tra le due tipologie di danno ben emerge da quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., 15 febbraio 2005, n. 2976, in Giust. civ. mass., 2005, 2; Cass., 9 dicembre 2015, n. 24910, in Giust. civ. mass., 2015; Cass. 13 marzo 2018, n. 6015, in Giust. civ. mass., 2018), il quale, facendo applicazione dell’art. 1383 c.c., ammette la cumulabilità tra il danno ex art. 1591 c.c. e il pagamento dell’(eventuale) penale convenuta per l’inadempimento all’obbligo di pagamento del canone, proprio sulla scorta dell’osservazione per cui quest’ultima risarcisce il danno da perdita dei canoni convenuti, mentre l’obbligo risarcitorio di cui all’art. 1591 c.c. ristora il danno da ritardo che il locatore non avrebbe subìto qualora avesse ritenuto tempestivamente la disponibilità della cosa locata. In tal senso, ad es., Cass. 13 marzo 2018, n. 6015, cit. «Nelle obbligazioni di durata assistite da una clausola penale, il divieto di cumulo ex art. 1383 c.c. fra la prestazione principale e la penale concerne le sole prestazioni già maturate ed inadempiute ma non anche quelle non ancora maturate, non coperte dalla penale, giacché, in caso contrario, il debitore potrebbe sottrarsi all'obbligazione attraverso il proprio inadempimento.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in ipotesi di risoluzione di diritto del contratto di locazione, aveva negato il diritto del locatore a conseguire la clausola penale prevista in caso di inadempimento unitamente al risarcimento dovuto per la tardiva riconsegna dell'immobile ex art. 1591 c.c.).»

Inoltre, ulteriori conferme si trarrebbero dall’orientamento giurisprudenziale che esclude l’applicabilità dell’art. 1591 c.c. in caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta di godimento della res locata, posto che in tal caso non sarebbe configurabile alcun danno da ritardo, essendo impossibile anche per il locatore trarre dal bene futuro utilità per mezzo del suo reimpiego. In tal senso Cass., 22 agosto 2007, n. 17844, in Giust. civ. mass., 2007, 7-8 «In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta (nella specie a seguito dei danni causati da evento sismico e della conseguente emanazione di ordinanze sindacali di sgombero e di inagibilità relative agli immobili oggetto del contratto e destinati a scuola), va esclusa l'applicabilità dell'art. 1591 c.c., essendo inconfigurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati - sicché è da ritenersi non più dovuto il corrispettivo che, se corrisposto, determina un ingiustificato arricchimento da parte del (già) locatore - e neppure essendo configurabile la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna. (Nella specie la riconsegna degli immobili era avvenuta senza previa richiesta né costituzione in mora da parte della locatrice ben prima della proposizione della domanda giudiziale e i lavori di riattamento erano iniziati solo alcuni mesi dopo la riconsegna delle chiavi).» Conf. anche Cass., 26 settembre 2019, n. 23987, in Foro it., 2020, 2, I, 606.

[98] Problemi di sovrapposizione tra le due norme possono darsi, però, allorché il conduttore sia inadempiente nel pagamento dei canoni e sia, altresì, in ritardo nella consegna dell’immobile, di modo che nel periodo intercorrente tra la domanda di risoluzione e l’effettiva riconsegna egli dovrebbe astrattamente pagare due volte il canone convenuto, l’una a titolo di risarcimento del danno da ritardo ex art. 1591 c.c., l’altra a titolo di risarcimento del danno da perdita della controprestazione promessa (i canoni fino a scadenza): sul punto, tuttavia si avrà modo di soffermarsi oltre.

[99] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 232 ss.

[100] Questa tipologia di danno può rientrare sia nel danno emergente, sia nel lucro cessante, sulla scorta di una molteplicità di fattori, quali la tipologia delle prestazioni, la tipologia di inadempimento, ecc. Ad esempio, il mancato conseguimento dei frutti, naturali o civili, ritraibili da una cosa fruttifera costituirebbe lucro cessante. Sul punto cfr. funditus C.M. BIANCA, La responsabilità cit., 122 ss.

[101] Spesso tale tipologia di danno viene denominata anche “danno da perdita del diritto al godimento della controprestazione” (cfr., ad es., A. LUMINOSO, op. cit., 234).

[102] In tal senso Cass., 15 maggio 2007, n. 11189, cit. «L'obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite dall'art. 1590, comma 1, c.c. pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla scadenza della locazione. Corrispondentemente, anche la responsabilità del conduttore per la ritardata consegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all'uso conforme agli accordi convenzionali assume natura contrattuale ed essa si estende ai danni che sono causalmente collegati alla condotta del medesimo conduttore con esclusione di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore. Da ciò si desume che è responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna del bene o riconsegnandolo trasformato o deteriorato (oltre l'usura ordinaria), ponga in essere le condizioni della perdita di siffatte occasioni o per la determinazione dell'evento comportante lo scioglimento del contratto (anche solo preliminare) di vendita concluso dal locatore con terzi.». Si noti, peraltro, come in tale pronuncia la Cassazione, discostandosi dall’orientamento maggioritario illustrato al par. 4, ritenga che l’obbligazione di riconsegna nasca alla scadenza del contratto, e non al momento della sua stipula (salva la sua successiva esigibilità al momento della sua estinzione). Tali conclusioni, per le ragioni già illustrate al par. 4, sono da ritenersi errate, in quanto, come visto, l’obbligazione di restituire nasce già al momento della stipula, pur divenendo esigibile solo al momento dell’estinzione del rapporto.

[103] Il ritardato adempimento di una delle controprestazioni promesse nel contratto lede, dunque, l’interesse positivo del contraente all’esatta esecuzione del regolamento negoziale. Al contrario, la ricostruzione dell’art. 1591 c.c. proposta dall’ordinanza di rimessione pare – erroneamente – inquadrare gli obblighi risarcitori ivi previsti nell’ambito della lesione dell’interesse negativo del locatore, come se essi facessero fronte al pregiudizio che costui subisce medio tempore dalla perdita della disponibilità della controprestazione in virtù del contratto poi risolto. Da quanto si evince dalla lettura dell’ordinanza di rimessione sembra, infatti, che la corresponsione del corrispettivo convenuto fino alla riconsegna faccia fronte a quel segmento dell’interesse negativo costituito dal pregiudizio per la mancata disponibilità della cosa, mentre nell’obbligo di risarcire il “maggior danno” possa farsi rientrare la lesione dell’interesse positivo alla corresponsione di tutti i canoni pattuiti fino a scadenza.

Come visto, però, tali conclusioni debbono ritenersi errate sotto un duplice profilo. Da un lato, poiché il danno previsto dall’art. 1591 c.c. trova fonte non nella lesione dell’interesse negativo del contraente fedele, bensì nella lesione del suo interesse positivo a seguito del ritardato adempimento dell’obbligazione di riconsegna, che, nel contratto di locazione costituisce oggetto di una specifica obbligazione di fonte contrattuale. Dall’altro, poiché il “maggior danno” rappresenta anch’esso un danno da ritardo, volto a risarcire gli ulteriori pregiudizi che il locatore abbia subìto dalla ritardata restituzione dell’immobile, e non un danno da perdita della controprestazione promessa.

[104] Qualora, invece, il bene locato fosse perduto o distrutto, si verificherebbe un inadempimento totale all’obbligo di restituzione, che integrerebbe un danno emergente nel patrimonio del locatore.

[105] Così C.M. NANNA, op. cit., 140, nt. 103.

[106] A. LUMINOSO, op. cit., 220 ss.

[107] «La sovrapposizione tra l’obbligo risarcitorio (di cui ormai è pacifico, anche in giurisprudenza, il carattere contrattuale) ex art. 1591, nascente dal ritardo nella riconsegna della cosa, e quello più generale avente ad oggetto il danno (positivo) da risoluzione, si verifica (in teoria) anche per il periodo antecedente la riconsegna (con la conseguenza che il locatore adempiente potrebbe pretendere una somma corrispondente all’ammontare dei canoni, anche ex art. 1453, 1° comma, per lo stesso periodo), ma, poiché il locatore è ancora privo della disponibilità materiale della cosa, non potrebbero comunque operare i “correttivi” di cui si è detto nel testo. Tale sovrapposizione, naturalmente, non si verifica nelle ipotesi in cui il locatore si limiti ad agire in risoluzione senza richiedere anche il risarcimento del danno da risoluzione, giacché in tali ipotesi l’interesse del risolvente è protetto unicamente dall’obbligo di cui all’art. 1591, che (assieme a quello dell’art. 1590) si sovrappone, per un verso, a una delle obbligazioni restitutorie conseguenti alla risoluzione e, peraltro verso, a un frammento di quella che sarebbe un’obbligazione risarcitoria per lesione dell’interesse contrattuale negativo del locatore.» A. LUMINOSO, op. cit., 334-335 e 334, nt. 21. In tal senso anche Cass., 15 ottobre 1997, n. 10115, cit. Pertanto, «Ove la cosa sia stata invece consegnata al conduttore, va tenuto presente che, fino alla data della riconsegna al locatore, il conduttore è obbligato (ex contractu) a risarcire il danno per il ritardo nella restituzione; danno la cui misura viene, dall’art. 1591, forfettariamente commisurata al corrispettivo convenuto fino alla riconsegna (salva la prova di un maggior danno). Con la conseguenza che il locatore, in queste ipotesi, ha comunque diritto al risarcimento, ai sensi del citato art. 1591, fino al momento della restituzione della cosa; da tale momento può pretendere un risarcimento del danno da commisurare anch’esso all’entità dei canoni dovuti (fino alla scadenza del rapporto), salva l’applicazione dei citati “correttivi” legati all’effettiva (eventuale) attenuazione del danno e all’operatività del principio di cui all’art. 1227, 2° comma».

[108] Più precisamente, il locatario che continui ad occupare l’immobile sarà tenuto a pagare il canone convenuto sino a scadenza (ai sensi dell’art. 1591 dalla domanda di risoluzione fino alla riconsegna; da quel momento in poi ai sensi dell’art. 1453 c.c., quale risarcimento per la perdita del corrispettivo promesso),  oltre all’eventuale “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c., ove il locatore riesca a dimostrare che nel periodo di illegittima occupazione dell’immobile egli avrebbe ottenuto maggiori profitti da un suo eventuale reimpiego.

[109] Il diritto del locatore al valore economico corrispondente al canone, infatti, assumerebbe «[…] differenti configurazioni formali, trasformandosi variamente, per così dire, lungo l’arco della vicenda. Esso, infatti, fino a quando il conduttore è adempiente, appare come un normale diritto (primario) di credito al corrispettivo contrattuale; dal momento al quale retroagire esce l’effetto risolutivo fino alla riconsegna della cosa, si configura come un diritto (secondario) al risarcimento dei danni sofferti dal locatore in dipendenza del ritardo nella restituzione della cosa; dal momento della riconsegna (fino alla scadenza del rapporto) assume la forma di un diritto (secondario) al risarcimento (corrispondente a un segmento) del danno da risoluzione» (A. LUMINOSO, op. cit., 335, nt. 23). In tal senso anche A. IULIANI, op. cit., 1943, nt. 31.

[110] In tal senso C.M. NANNA, op. cit., 134-135 «Probabilmente, il contrasto […] nasce da una problematica di fondo, determinata dalla confusione tra rimedi restitutori e risarcitori: è come se la dottrina non riuscisse ad ammettere la presenza di un vero e proprio risarcimento del danno, ex art. 1218 c.c., laddove la risoluzione implichi la restituzione delle prestazioni effettuate, a causa dell’effetto ex tunc del rimedio risolutorio stesso. Tale confusione di piani, peraltro, non può ravvisarsi nei contratti di durata, tra cui vi è anche il contratto di locazione, di cui ci si occupa nella materia in trattazione. In essi, infatti, la risoluzione opera ex nunc, sicché non si giustificano davvero le suindicate perplessità della dottrina. Una simile spiegazione del problema, pur diretta a considerazioni diverse, si rinviene in quella dottrina che acutamente ha ravvisato, a fondamento dei contrasti dottrinali sul danno da risoluzione, il problema della «dottrina dominante», che «non ha sciolto l’apparente antinomia interna ad un ordinamento che riconosca all’attore in risoluzione il risarcimento dell’interesse positivo e, al contempo, attribuisca un effetto retroattivo alla risoluzione». Similmente anche A. PLAIA, op. cit., 48.

[111] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 405 ss. 413, 415-416 e 430. Così anche, pur se con riferimento ai casi di invalidità del contratto, L. BARBIERA, L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964, 310 «Nell’ambito di questa configurazione dell’arricchimento, assume peculiare rilievo il caso, opportunamente posto in evidenza dalla più sensibile dottrina, in cui taluno abbia goduto della cosa altrui in base ad un contratto invalido avente ad oggetto appunto il detto godimento. Qui si tratta in realtà di un’ipotesi di ripetizione di indebito anziché di. i.a. Poiché peraltro non è possibile ripetere il godimento in natura, né è possibile sciogliere colui che ha goduto da ogni onere, altrimenti verrebbe appunto a verificarsi un i.a., in luogo della ripetizione in natura deve subentrare una ripetizione per equivalente»

[112] In tal senso G. VILLA, Danno e risarcimento, cit., 933 ss; G. VILLA, Brevi riflessioni, cit., 210 «[…] dunque, in applicazione dei principi in materia di causalità, il contraente danneggiato non può cumulare il risarcimento del danno derivante dall’aver consegnato all’altra il bene oggetto della prestazione con un risarcimento che dovrebbe condurre il contraente allo stesso risultato economico finale del contratto (interesse positivo), poiché tale risultato presentava come posta passiva a carico del contraente fedele (anche) la perdita di quel godimento.» Così anche A. LUMINOSO, op. cit., 401.

[113] In tal senso A. LUMINOSO, op. cit., 395, nt. 30 («Abbiamo visto che nei casi invece di risarcimento dell’interesse contrattuale positivo, l’obbligazione di risarcimento, specie per la componente attinente ai frutti e agli interessi della controprestazione, ha il compito di neutralizzare quella restitutoria», 409-410, 420, 422, 426; P. GALLO, Restituzioni contrattuali ed inadempimento, cit., 356 e 360-361; A. IULIANI, op. cit., 1942, nt. 23; L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, cit., 173-174 «Un ulteriore parametro da ricordare è che la tutela restitutoria va considerata congiuntamente a quella risarcitoria, e ciò al fine di evitare che al contraente fedele venga aggiudicato un assetto economico migliore di quello predisposto nel programma negoziale. Com’è stato osservato, «appare illogico» che la parte adempiente possa cumulare «oltre al valore della prestazione che non ha ricevuto (sottratto il valore di quella che ha eseguito) e ai profitti che avrebbe potuto ritrarre dalla regolare esecuzione del contratto, anche il valore d’uso del bene di cui, per eseguire il contratto, ha perso la disponibilità». Quando, dunque, la parte adempiente opti per il risarcimento dell’interesse positivo è ragionevole ritenere che tale scelta non risulti compatibile con la domanda di restituzione degli accessori della prestazione consegnata».

Ulteriori conferme si possono trarre, inoltre, dalla disciplina di cui all’art. 1526 c.c. «Venendo alla disciplina dettata dall'art. 1526 1° comma - in base al quale, in caso di risoluzione della vendita con riserva della proprietà, «il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno» - occorre ricordare che il problema consiste nello stabilire come vada coordinato il diritto del venditore al compenso per l'uso della cosa con la pretesa del medesimo ai danni. Il problema nasce, evidentemente, ove si ritenga che il diritto al compenso per l'uso della cosa altro non sia — come saremmo propensi a pensare — se non il diritto ai frutti della cosa consegnata, o meglio al valore obiettivo di godimento della stessa (che, come si è visto, spetta a ciascun contraente, in conseguenza della risoluzione del contratto). Da ciò che si è detto in precedenza discenderebbe che il venditore risolvente, in tanto può pretendere il valore d'uso della cosa (per il periodo compreso tra la consegna al compratore e la proposizione della domanda di risoluzione) in quanto non domandi il risarcimento del danno positivo. Ove invece faccia valere il danno da inadempimento del contratto, poiché ha diritto a far suoi gli interessi e le altre utilità relativi dalle rate di prezzo ricevute e può altresì richiedere il risarcimento dei danni (ex art. 1224) per il ritardo nel pagamento delle rate residue (scadenti fino alla domanda), il venditore non dovrebbe poter pretendere anche il valore di godimento (per lo stesso periodo) della cosa. In conclusione, a nostro avviso, la disposizione in esame dovrebbe essere interpretata conformemente alle regole generali enucleate in precedenza. Il che significa che il venditore risolvente può domandare al compratore «il compenso per l'uso» della cosa (dalla consegna sino alla domanda) solo nelle ipotesi in cui domandi puramente e semplicemente la risoluzione o accompagni all'azione di risoluzione l'esercizio della pretesa risarcitoria per l'interesse contrattuale negativo». (A. LUMINOSO, op. cit., 428-429).

[114] Cass., 2 maggio 1981, n. 2672, cit.; Cass., 3 gennaio 1995, n. 2910, cit. «Il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata non è un occupante abusivo, ma, ancorché moroso, continua ad essere conduttore, e quindi a godere dei frutti della cosa e a farli propri, salvo il suo obbligo, in base all'art. 1591 c.c., di corrispondere il corrispettivo della locazione, oltre il risarcimento del maggior danno eventualmente subito dal locatore.»

[115] Tale danno, lo si ribadisce, non rappresenta il risarcimento dell’interesse negativo del contraente fedele, ma il risarcimento dell’interesse positivo, posto che si tratta di un danno da ritardo (riconducibile al “maggior danno” di cui all’art. 1591 c.c.) nell’adempimento dell’obbligazione restitutoria di cui all’art. 1590 c.c., la quale, se fosse stata correttamente adempiuta (cioè, appunto, se si fosse realizzato l’interesse positivo del contraente), avrebbe fatto riottenere alla parte adempiente la disponibilità dell’immobile, al fine di ricollocarlo tempestivamente sul mercato.

[116] Cfr. Cass. 7 ottobre 2021, n. 27287, in Guida dir., 2021, 46.

[117] Cass. S. U., 15 novembre 2022, n. 33645, in Giur. it., 2023, 6, 1273.

[118] Cass. S. U., 15 novembre 2022, n. 33645 cit.