Pubbl. Gio, 31 Lug 2025
Iure Sanguinis e discrezionalità legislativa: la Corte Costituzionale riafferma i propri limiti nella sentenza n. 142/2025
Modifica paginaEditoriale a cura di Roberta Cavallaro

La sentenza n. 142/2025 della Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili e non fondate le questioni sollevate da vari tribunali sull’art. 1 della legge n. 91/1992, che consente l’acquisizione della cittadinanza italiana per discendenza senza limiti. La Corte ha escluso la possibilità di un intervento manipolativo volto a introdurre criteri selettivi, ritenendolo estraneo al proprio ruolo, poiché riservato alla discrezionalità legislativa. La nuova disciplina introdotta dal d.l. n. 36/2025 non è stata ritenuta applicabile ai giudizi pendenti, nel rispetto del principio di legalità e del ruolo di controllo della Corte, che non può sostituirsi al legislatore.
La sentenza n. 142 del 2025 della Corte costituzionale si inserisce nel dibattito sempre attuale sull'attribuzione della cittadinanza italiana per discendenza (iure sanguinis), riaffermando un principio cruciale del nostro ordinamento: la netta distinzione tra funzione legislativa e controllo di costituzionalità.
La vicenda prende le mosse da numerosi giudizi incardinati davanti ai Tribunali di Bologna, Roma, Milano e Firenze, chiamati a pronunciarsi sull'accertamento della cittadinanza italiana per soggetti nati e residenti all’estero, spesso in Brasile o Uruguay, discendenti anche lontani di cittadini italiani. In questi procedimenti, i giudici rimettenti hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 91/1992, lamentando l’assenza di qualsiasi filtro volto a garantire un legame sostanziale con l’Italia.
I profili di censura invocati sono molteplici: dalla presunta lesione della nozione di “popolo sovrano” (art. 1, comma 2, Cost.), all’irragionevolezza e sproporzionalità (art. 3 Cost.), fino alla violazione di obblighi internazionali e dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea (art. 117, comma 1, Cost.). In alcuni casi, è stata persino denunciata una disparità di trattamento rispetto ad altri meccanismi di acquisizione della cittadinanza, come quelli previsti per i coniugi di cittadini italiani o i discendenti di cittadini che hanno perso lo status civitatis.
Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tutte queste questioni si muovano su un terreno troppo discrezionale per essere affrontato in sede di giudizio costituzionale. Il cuore della motivazione risiede nel riconoscimento del fatto che l’individuazione dei criteri per la cittadinanza rientra nel pieno potere del legislatore, e qualsiasi intervento volto a introdurre limiti o condizioni (quali il numero di generazioni, la residenza in Italia o il possesso di competenze linguistiche) si configurerebbe come una sentenza additiva manipolativa, e quindi lesiva del principio di separazione dei poteri.
Non meno importante è il chiarimento della Corte in merito alla riforma legislativa sopravvenuta, ovvero l’introduzione del nuovo art. 3-bis della legge n. 91/1992 da parte del d.l. n. 36/2025, convertito in l. n. 74/2025. Tale norma ha posto nuovi vincoli alla cittadinanza iure sanguinis, ma la Corte ne ha escluso l’applicabilità ai giudizi pendenti, sottolineando il principio di irretroattività della legge (se non diversamente disposto) e la necessità di valutare la costituzionalità di norme effettivamente rilevanti nel giudizio in corso.
Nel rigettare le eccezioni relative alla violazione degli obblighi internazionali, la Consulta ha altresì osservato che i rimettenti non hanno indicato norme specifiche di diritto internazionale o dell’Unione europea che vietino l’acquisizione della cittadinanza per sola discendenza, confermando che la materia rimane affidata alla sovranità degli Stati.
Infine, le presunte disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di acquisizione della cittadinanza sono state rigettate per mancanza di comparabilità sostanziale: situazioni differenti non possono essere valutate alla stregua di un unico parametro di giudizio.
In conclusione, la Corte ha evitato di entrare nel merito di una questione che richiede una valutazione politica e sistemica. Ha così ribadito, con chiarezza e fermezza, che il diritto alla cittadinanza è materia primaria del legislatore e che il suo compito è solo quello di verificare il rispetto della Carta costituzionale, senza sostituirsi al primo.
Questa decisione si inserisce nel solco di una giurisprudenza prudente e coerente, che lascia aperta la porta al legislatore per una futura (e auspicabile) riforma sistemica, ma allo stesso tempo riafferma il proprio ruolo di custode e non di architetto dell’ordinamento.
Pubblichiamo di seguito anche il Comunicato dell'Ufficio Stampa della Corte costituzionale che ha dato atto della pubblicazione della sentenza:
CITTADINANZA IURE SANGUINIS: CENSURE INAMMISSIBILI
Non è ammissibile un intervento della Corte costituzionale che limiti l’acquisizione della cittadinanza per discendenza, attraverso una sentenza manipolativa che operi scelte, fra molteplici possibili opzioni, connotate da un ampio margine di discrezionalità e che hanno incisive ricadute a livello di sistema.
È quanto si legge nella sentenza numero 142 depositata oggi, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili e non fondate varie questioni di legittimità costituzionale, sollevate dai Tribunali di Bologna, di Roma, di Milano e di Firenze, sull’articolo 1 della legge numero 91 del 1992, nella parte in cui, stabilendo che «[è] cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini», non prevede alcun limite all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis.
Le questioni sono giunte alla Corte a partire da giudizi di accertamento della cittadinanza avviati da ricorrenti che sono discendenti di cittadini o cittadine italiani, ma sono nati all’estero, sono ivi residenti e hanno la cittadinanza di un altro Stato. I Tribunali rimettenti hanno censurato tale normativa nella parte in cui non stabilisce alcun criterio idoneo a garantire l’effettività del legame con l’ordinamento giuridico italiano che, secondo i rimettenti, non sussisterebbe nei casi richiamati.
I giudici delle leggi hanno precisato che il legislatore vanta «un margine di discrezionalità particolarmente ampio» nell’individuare i presupposti dell’acquisizione della cittadinanza, mentre alla Corte compete accertare che le norme che regolano l’acquisizione dello status civitatis non facciano ricorso a criteri del tutto estranei ai principi costituzionali o che contrastino con essi.
Nello specifico, la Corte ha rilevato che i giudici rimettenti non hanno contestato, in generale, l’idoneità del vincolo di filiazione a giustificare, alla luce dei principi costituzionali, l’acquisizione della cittadinanza. Viceversa, essi hanno posto in dubbio che, in presenza di richiedenti variamente collegati con ordinamenti giuridici stranieri, sia sufficiente la sola discendenza da un cittadino o da una cittadina italiani a supportare l’acquisizione dello status di cittadino, in mancanza di ulteriori elementi di collegamento con l’ordinamento giuridico italiano.
La molteplicità e genericità delle variabili su cui si fondano i dubbi di legittimità costituzionale sollevati e, correlativamente, la varietà di scelte discrezionali che dovrebbe effettuare la Corte, nell’ambito di una molteplicità di opzioni che hanno significativi riflessi di sistema, hanno comportato l’inammissibilità della maggior parte delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. In particolare, sono state reputate inammissibili le censure concernenti gli articoli 1, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione ai vincoli imposti dal diritto dell’Unione europea. Parimenti, è stata ritenuta inammissibile la questione sollevata sull’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli obblighi internazionali, non avendo i rimettenti individuato quale fosse la norma internazionale violata dalla quale discenderebbe il mancato rispetto dei richiamati obblighi.
Inoltre, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni con cui veniva lamentata una irragionevole disparità di trattamento fra la citata disciplina e altri meccanismi di acquisizione della cittadinanza. Per tali censure, la Corte ha ritenuto che difettasse la «sostanziale identità di situazioni» che deve, invece, sussistere per poter accertare tale vizio di incostituzionalità.
Da ultimo, la Corte ha respinto le richieste delle parti costituite in giudizio di pronunciarsi in merito alla nuova disciplina – introdotta, nella pendenza del giudizio, con il decreto-legge numero 36 del 2025, convertito nella legge numero 74 del 2025 – che ha posto limiti all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. La Corte, infatti, ha chiarito che tale disciplina non trova applicazione ai giudizi dai quali si sono originate le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al suo esame.
Roma, 31 luglio 2025