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La legittimazione attiva e passiva nelle azioni reali e personali restitutorie e inibitorie
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Pubbl. Lun, 22 Dic 2025

La legittimazione attiva e passiva nelle azioni reali e personali restitutorie e inibitorie

Enrica Lamanna
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Lo scritto si propone di individuare il criterio distintivo tra zioni di natura reale e azioni di natura personale restitutorie e inibitorie. Lo sforzo di individuazione del criterio viene poi applicato all´ipotesi di violazione delle distanze legali tra edifici e all´ipotesi di immissioni superiori alla soglia della normale tollerabilità.


Sommario: 1. Alla ricerca del criterio distintivo tra azioni reali e personali restitutorie e inibitorie; 2. Tutela avverso le violazioni delle distanze legali tra edifici e avverso le immissioni eccedenti la normale tollerabilità: 3. Riferimenti giurisprudenziali in tema di immissioni.

Sommario: 1. Alla ricerca del criterio distintivo tra azioni reali e personali restitutorie e inibitorie; 2. Tutela avverso le violazioni delle distanze legali tra edifici e avverso le immissioni eccedenti la normale tollerabilità: 3. Riferimenti giurisprudenziali in tema di immissioni.

1. Alla ricerca del criterio distintivo tra azioni reali e personali restitutorie e inibitorie

Le azioni reali e quelle personali restitutorie e inibitorie si differenziano in ragione della situazione giuridica soggettiva tutelata per loro tramite. Infatti, entrambe le azioni, reali e personali, possono avere ad oggetto di tutela i diritti reali, mentre le sole azioni personali restitutorie e inibitorie possono avere ad oggetto di tutela anche i diritti personali.

Quanto appena affermato trova conferma avuto riguardo alle azioni poste a difesa della proprietà come quella di rivendicazione di cui all'articolo 948 c.c., di natura reale, e quella di restituzione, di natura personale. In particolare, mediante l'azione di rivendicazione, il proprietario può riappropriarsi della cosa detenuta o posseduta da altri, previo accertamento del proprio diritto di proprietà. Dunque, colui che agisce in rivendica è tenuto a provare il diritto reale vantato sulla cosa, attraverso la cosiddetta prova diabolica costituita dalla prova della continuità dei titoli dei precedenti proprietari per almeno un ventennio, o sino ad un acquisto a titolo originario1.

Dal lato della legittimazione passiva, l'art. 948 c.c. prevede che l'azione di rivendicazione possa essere azionata sia nei confronti del possessore che nei confronti del detentore. Come osservato da attenta dottrina, “la regola è stata integrata dalla giurisprudenza che ha introdotto un canone extralegale di scelta del contraddittore richiedendo che l'azione venga proposta nei confronti di colui che dispone della facultas restituendi, ossia di colui che ha la possibilità concreta di soddisfare lo scopo primo dell'azione, e cioè la restituzione del bene”2.

Con l'azione di restituzione, invece, il proprietario agisce al fine di vedersi restituita la cosa precedentemente consegnata ad un terzo in adempimento di un obbligo nascente da un negozio o anche dalla legge, senza che sia necessario il previo accertamento positivo del diritto reale di colui che chiede la restituzione. A ben vedere, dunque, nell'azione di restituzione non viene in rilievo la titolarità del diritto dominicale sul bene, ma la titolarità del diritto personale alla restituzione del bene stesso.

Alla luce di ciò, si capisce come l'azione personale di restituzione possa essere strumento di tutela di diritti personali, sub specie di diritti personali di godimento su cosa altrui. A riguardo, si pensi all'ipotesi in cui il conduttore agisca nei confronti del sub-conduttore per ottenere la restituzione del bene, ad esempio, alla scadenza del contratto di sublocazione. Oggetto di prova non sarà il diritto dominicale dell'attore ma bensì il suo diritto personale alla restituzione, ovvero dovrà provare i fatti che incidono sul diritto personale del terzo detentore in senso estintivo.

In dottrina e in giurisprudenza si è posta la questione sulla possibilità o meno di agire con l'azione personale di restituzione anche nelle ipotesi di detenzione dell'immobile sine titulo. Originariamente, il fondamento dell'azione personale di restituzione è stato individuato “nell'invalidità oppure nell'esaurimento, per risoluzione, per rescissione, per esercizio della facoltà di recesso, per decorso del termine di durata e così via, del rapporto di natura obbligatoria in base al quale in convenuto abbia conseguito la detenzione del bene”.3 Dal suo canto, la giurisprudenza ha espresso orientamenti non unanimi che hanno condotto fino alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione4. Precisamente, queste ultime, con la sentenza del 28 marzo 2014, n. 7305, hanno districato la seguente questione di massima: “se debba qualificarsi come personale e non reale l'azione con la quale l'attore chieda il rilascio di un immobile detenuto dal convenuto sine titulo, del quale assuma di essere proprietario senza peraltro chiedere anche l'accertamento della proprietà del bene, ovvero se l'azione personale di restituzione sia configurabile esclusivamente nell'ipotesi di invalidità o inefficacia del titolo in base al quale al convenuto sia stata trasferita la detenzione” (cfr. ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite del 2 luglio 2013 n. 16553).

Ebbene, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha statuito che l'indirizzo giurisprudenziale meritevole di adesione è quello secondo cui deve qualificarsi come azione di rivendicazione, e non di restituzione, quella “con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivati, senza ricollegare la propria pretesa al venire meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo”. Icasticamente, la Suprema Corte osserva che l'azione di restituzione, di natura personale, “è destinata ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi …; essa non può pertanto surrogare l'azione di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo”.5

Ulteriore azione posta dall'ordinamento a difesa della proprietà è quella negatoria di cui all'art. 949 c.c., con cui il proprietario agisce per fare accertare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa. La natura reale di tale azione si evince dal fatto che la causa petendi dell'azione è la titolarità di un diritto di proprietà illimitato. A differenza dell'azione di rivendicazione, l'azione negatoria persegue lo scopo di far accertare l'insussistenza di diritti altrui (appunto il carattere illimitato del diritto di proprietà) e, pertanto, secondo autorevole dottrina “affinché l'azione negatoria abbia buon esito, il proprietario non deve dimostrare il proprio diritto; è sufficiente che provi con ogni mezzo, anche in via presuntiva, l'esistenza di un titolo dal quale risulti il suo acquisto”6.

Negli stessi termini, la Suprema Corte di Cassazione ha da tempo espresso il principio di diritto secondo cui “la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in giudizio per far accertare l'inesistenza dell'altrui diritto di servitù su un fondo del quale affermi essere proprietario ha l'onere non già di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà del fondo, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma all'ottenimento della cessazione dell'attività lesiva, spettando, invece, al convenuto l'onere di provare l'esistenza del proprio diritto, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dalla controparte7” (tale principio di diritto, enunciato con riferimento all'ipotesi della pretesa servitù, ha portata più ampia ossia è suscettibile di essere esteso anche ad ipotesi diverse).8

Dalla breve disamina delle azioni poste a difesa della proprietà si possono evincere le precipue caratteristiche delle azioni reali e quelle proprie delle azioni personali restitutorie e inibitorie. Specificamente, causa petendi nelle azioni reali è la titolarità di diritti dominicali su un determinato bene e, di conseguenza, la legittimazione attiva ad agire spetta solo al proprietario o al titolare di un diritto reale di godimento sul bene, mentre la legittimazione passiva può riconoscersi in capo a chiunque incida negativamente sul pieno ed esclusivo esercizio del diritto dominicale, attraverso il possesso o la detenzione del bene oppure affermandosi titolare di un diritto reale minore o personale di godimento sul bene stesso.

La causa petendi nelle azioni personali restitutorie e inibitorie è, invece, il diritto al godimento del bene, che può avere titolo sia in un diritto reale sia in un diritto personale, e, pertanto, la legittimazione attiva ad agire spetta sia al titolare di un diritto reale sia al titolare di un diritto personale di godimento, mentre la legittimazione passiva deve individuarsi nei confronti di chi arreca molestia o turbativa al pacifico godimento senza, però, che ciò comporti l'affermazione di diritti sulla cosa.9

Un argomento a sostegno di quanto affermato in merito alla legittimazione attiva e passiva nelle azioni reali e in quelle personali si ritrova nelle disposizioni normative di cui agli articoli 1585 e 1586 c.c.

ebbene, l'art. 1585 c.c. statuisce l'obbligo del locatore a garantire il conduttore dalle molestie inficianti il godimento della cosa, ma solo se arrecate da terzi che pretendono di avere diritti sulla cosa. Ciò si giustifica proprio in ragione del fatto che la condotta dei terzi fa breccia nella titolarità del diritto dominicale del locatore piuttosto che sul godimento in sé.

Questa stessa ragione giustifica la disposizione di cui all'art. 1586 c.c., in particolare il secondo comma statuisce la legittimazione passiva del solo locatore nelle azioni giudiziali intraprese dai terzi tese a far valere diritti sulla cosa. Al contrario, lo stesso articolo 1585 c.c., al secondo comma, statuisce che il locatore non è obbligato a garantire il conduttore nei confronti delle molestie arrecate da chi non pretenda di avere diritti sul bene; la stessa norma fa salva la facoltà del conduttore di agire contro i terzi in proprio.

In definitiva, si può affermare che è la causa petendi a distinguere le azioni reali da quelle restitutorie e inibitorie più che la situazione giuridica soggettiva tutelata; di conseguenza, è sempre la causa petendi delle azioni in questione a guidare l'interprete nell'individuazione dei relativi legittimati attivi e passivi.

2.Tutela avverso le violazioni delle distanze legali tra edifici e avverso le immissioni eccedenti la normale tollerabilità

Con particolare riguardo alle azioni giudiziali scaturenti dalla violazione delle distanze legali tra edifici e dalle immissioni eccedenti la normale tollerabilità, al fine di individuare la natura delle azioni e i legittimati attivi e passivi, si dovrà indagare, o meglio individuare, la causa petendi delle stesse.

Ebbene, qualora si qualificasse la violazione delle distanze legali tra edifici come pretesa di diritto su una cosa altrui, visto che gli articoli 874 e 875 c.c. permettono di chiedere la comunione del muro altrui, allora la causa petendi dell'azione volta a resistere alla violazione della distanza legale dovrebbe individuarsi nella titolarità del diritto dominicale e, perciò, si tratterebbe di un'azione reale a cui è legittimato attivo il solo proprietario e legittimato passivo il proprietario del fondo vicino che pretende la costituzione di un diritto sulla cosa.

Invece, qualora la violazione in questione si qualificasse come una molestia o turbativa al godimento del bene, perché comunque discendente dalla costruzione di opere prima della richiesta di comunione, allora l'azione avrebbe come causa petendi il godimento del bene, ovvero del muro, così configurandosi come personale e legittimato attivo sarebbe non solo il proprietario ma anche il titolare di un diritto personale di godimento sul bene, mentre legittimato passivo sarebbe chiunque arreca molestia e non necessariamente il proprietario del fondo vicino, ad esempio anche chi dispone del fondo vicino in virtù di un titolo negoziale.

Analoghe considerazioni possono svolgersi in relazione all'azione giudiziale necessaria per far cessare le immissioni eccedenti la normale tollerabilità. Tuttavia, nonostante la lettera dell'art. 844 c.c. che fa riferimento esclusivamente al proprietario, le dette immissioni possono essere qualificate, ragionevolmente, come molestie o turbativa al godimento della cosa piuttosto che come pretesa di diritti sulla stessa.

Del resto, il petitum di tali azioni è l'inibizione delle immissioni e il risarcimento del danno da queste scaturito e che può arrivare ad un valore elevato soprattutto quando il pregiudizio si sia verificato in rapporto alla salute del soggetto, o dei soggetti, titolari del diritto di godimento10.

In conclusione, l'azione avverso le immissioni può essere sussunta nell'alveo delle azioni personali inibitorie a cui è legittimato attivo il titolare del diritto di godimento, diritto reale o personale, e il legittimato passivo può individuarsi in chiunque abbia dato causa alle immissioni provenienti dal fondo, indifferentemente che si tratti del proprietario del fondo stesso o del titolare di un diritto personale di godimento sullo stesso.

3. Riferimenti giurisprudenziali in tema di immissioni

I rapporti di vicinato generano molto spesso, purtroppo, situazioni conflittuali che impegnano le aule dei giudici di pace e dei tribunali. Pertanto, non risulta difficile rinvenire nella giurisprudenza più recente l'enunciazione di principi in materia di immissioni sopra il livello della normale tollerabilità. Per corroborare quanto affermato nel paragrafo 1 del presente scritto è di estrema utilità il richiamo ad un arresto della Suprema Corte dell'anno 2023. Nello specifico, la Corte riafferma innanzitutto il principio pacifico dell'autonomia e della differenziazione tra la tutela amministrativa e quella civilistica in materia di immissioni.

Ciò significa che “in materia di immissioni, mentre è senz'altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalla legge e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l'eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all'art. 844 c.c., tenendo presente, fra l'altro, la vicinanza dei luoghi ed i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni (ex plurimis Sez. 2, ord. n. 35856 del 2021; Sez. 2, sentenza n. 939 del 17/01/2011; sez. 3, sentenza n. 8474 del 27/04/2015)”11.

Sotto il profilo della legittimazione attiva, invece, la stessa pronuncia richiama la consolidata giurisprudenza secondo la quale l'azione tesa all'accertamento del carattere illegittimo delle immissioni ed avente anche lo scopo di ottenere la condanna del convenuto alla realizzazione delle modifiche strutturali necessarie per eliminare le stesse immissioni si qualifica come azione reale rispetto alla quale la legittimazione attiva deve essere riconosciuta in capo al proprietario. Tuttavia, “la legittimazione attiva è stata estesa anche al conduttore sulla base dell'art. 1585 c.c., comma 2, non essendovi dubbio che le immissioni stesse altro non sono che molestie, e che, in ogni caso, sussiste l'identica ragione di tuela che consente l'interpretazione analogica; tale tutela può essere estesa anche a chi esercita un diritto personale di godimento solo quando la domanda sia volta a far cessare le immissioni senza richiesta di modifiche strutturali”.

A conclusione del suo ragionamento, la Suprema Corte richiama e riafferma il seguente principio di diritto: “l'art. 844 c.c. - il quale riconosce al proprietario il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal fondo del vicino che superino la normale tollerabilità – deve essere interpretato estensivamente, nel senso di legittimare all'azione anche il titolare di un diritto reale o personale (nella specie, il conduttore) di godimento sul fondo; tuttavia, nel caso in cui gli accorgimenti tecnici da adottare per ricondurre le immissioni nei limiti della normale tollerabilità comportino la necessità di modificazioni di strutture dell'immobile da cui le propagazioni derivano, si deve escludere che il titolare di diritto personale di godimento sia legittimato a chiedere le modificazioni medesime, così come è privo di legittimazione passiva alla stessa azione il soggetto che, non essendo eventualmente proprietario del fondo da cui provengono le immissioni, non è in grado di provvedere a quelle modifiche della propria struttura che sia condannato ad effettuare (sez. 2, sentenza n. 13069 del 22/12/1995)”.

Alla luce di tale orientamento appare chiaro come tra i criteri utili a individuare i legittimati attivi e passivi di tali determinate azioni vi è anche il petitum processuale oltre che la causa petendi.

Di interesse ai fini della presente trattazione è anche un'altra recente ordinanza della Suprema Corte del 03/03/202512. Nello specifico, il giudice di secondo grado aveva qualificato la domanda proposta dal proprietario di un immobile avverso la società proprietaria e la conduttrice di altro immobile adibito a palestra come azione di natura personale. Nell'individuare la qualificazione dell'azione, il giudice del gravame ha affermato che l'azione ex art. 844 c.c. non ha solo carattere reale ma può anche avere carattere personale, a secondo del petitum richiesto dalla parte che agisce in giudizio.

La Suprema Corte non critica tale metodo di qualificazione della domanda ma contesta la sua scorretta applicazione nel caso di specie ove, invero, parte attrice aveva chiesto non solo la cessazione delle molestie sonore ma anche le modifiche strutturali necessarie per eliminare le stesse.

Quindi, la Corte ha ribadito il seguente principio di diritto: “nell'ipotesi in cui le immissioni di cui all'art. 844 c.c. siano causate dal locatario del fondo contiguo la domanda va proposta nei confronti del proprietario quando contenga una pretesa rivolta all'accertamento negativo del diritto di servitù (servitù di immissione c.d. Immateriale, come ad es. “fumi immittendi”), oppure comporti una richiesta di modificazione dello stato dei luoghi; altrimenti, qualora l'azione sia diretta alla mera rimozione di una situazione lesiva o a fare cessare un'attività ed abbia, dunque, natura personale, legittimato passivo è soltanto il locatario quale autore delle immissioni (sez. 2, sentenza n. 15871 del 12/07/2006)”.

Inoltre, la Suprema Corte ribadisce che l'azione inibitoria ex art. 844 c.c. può essere cumulata con l'azione personale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. rispetto alla quale il legittimato passivo è solo colui che ha posto in essere la condotta illegittimo di molestia. Nel caso di cumulo, l'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. da proporre avverso l'autore materiale delle immissioni diverso dal proprietario del fondo, o dell'immobile, da cui queste provengono non rendono privo di legittimazione passiva esso proprietario con riferimento all'azione ex art. 844 c.c. quando tesa ad ottenere la condanna al compimento delle modifiche strutturali indispensabili per eliminare le immissioni13.


Note e riferimenti bibliografici

1P. Perlingieri e F. Ruscello, Manuale di diritto civile, edizioni scientifiche italiane, ed. 2005, pag. 196 e ss.: “l'azione di rivendicazione – imprescrittibile, salvo l'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione (948, 3 comma) – può essere esercitata da chi pretende di essere proprietario nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa u può continuare contro costui anche se non sia più possessore o detentore (ad es., perché ha ceduto la cosa ad altri) … affinché l'azione di rivendicazione abbia successo, pertanto, chi pretende di essere proprietario dovrebbe provare non soltanto di aver acquistato il diritto da un precedente titolare, ma anche che il diritto di questo trova un valido titolo in un precedente acquisto e così fino al primo originario proprietario (probatio diabolica)”.

2M. Fratini, Manuale sistematico di diritto civile, editore Nel Diritto, ed. 2024 – 2025, pag. 553.

3M. Fratini, opera citata, pag. 554 e ss.

4M. Fratini, opera citata, pag. 555: “la stessa giurisprudenza ha inserito nel novero dei presupposti dell'azione di restituzione anche quello dell'assoluta iniziale insussistenza di qualsiasi titolo giustificativo della disponibilità materiale della cosa da parte del convenuto (ex multis, Cass, 24 luglio 2013, n. 17941); l'opposto principio è stato enunciato da quell'orientamento della giurisprudenza secondo cui non è azione di restituzione, ma di rivendicazione quella “con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto”(Cass., 14 gennaio 2013, n. 705)”.

5Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 28 marzo 2014, n. 7305, pagina 8: “in questo caso, la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica; la tesi opposto comporta la sostanziale vanificazione della stessa previsione legislativa dell'azione di rivendicazione, il cui campo di applicazione resterebbe praticamente azzerato, se si potesse esercitare un'azione personale di restituzione nei confronti del detentore sine titulo”.

6P. Perlingieri e F. Ruscello, Manuale di diritto civile, edizioni scientifiche italiane, ed. 2005, pag. 197.

7Corte di Cassazione, sentenza n. 1905 del 23/01/2023.

8R. Giovagnoli, Manuale di diritto civile, ita edizioni, pag. 364 e ss.; “l'azione negatoria può essere considerata sotto tre profili: a) il primo rappresentato dal mero accertamento della libertà del fondo e dell'insussistenza di diritti reali vantati da terzi; b) il secondo caratterizzato dall'inibitoria a proseguire le molestie e le turbative; c) il terzo qualificato dall'interesse risarcitorio per il danno arrecato dalle condotte dei terzi sedicenti titolari di diritti reali sulla cosa...i soggetti legittimati all'esperimento dell'azione negatoria sono il proprietario del fondo su cui i terzi affermano l'esistenza di diritti nonché l'usufruttuario e l'enfiteuta... la legittimazione passiva compete a chiunque affermi un diritto reale sul bene di proprietà dell'attore o, in concreto, realizzi condotte incompatibili con la pienezza e l'esclusività di tale diritto (turbative e molestie) come espressione, in ogni caso, di un'asserita titolarità di una situazione giuridica soggettiva di tipo reale. Risultano, invece, sforniti di legittimazione passiva coloro che vantino un mero diritto personale di godimento (come ad es. l'affittuario del fondo rustico).”

9R. Giovagnoli, opera citata, pag. 352 e ss., con riferimento allo scopo restituorio dell'azione di rivendicazione: “il proprietario, per raggiungere il medesimo risultato (la restituzione della cosa), può avere a propria disposizione un ampio catalogo di rimedi: azioni di adempimento di obbligazioni contrattuali di consegna; azioni personali di restituzione; azioni di caducazione del titolo di trasferimento; azioni di scadenza del termine contrattuale, e ancora, ripetizione dell'indebito. Le azioni appena nominate sono azioni personali, non reali, e presentano una profonda differenza con la rivendica. Nelle azioni personali l'attore deve provare … eventi che prescindono dalla titolarità del diritto reale e costituiscono fatti generativi dell'obbligo a carico del convenuto di restituire il bene. La rivendica si caratterizza, invece, non tanto per il petitum, che è pur sempre recuperatorio al pari delle altre ipotesi appena elencate, quanto piuttosto il presupposto della restituzione (la causa petendi, che è fondata esclusivamente sull'accertamento del diritto di proprietà)... In sintesi, quindi, la rivendica condivide il risultato cui tende con una serie nutrita di azioni personali: il petitum, tanto nell'azione reale quanto nelle azioni personali ex contractu, consiste nella condanna del convenuto alla restituzione del bene. Tuttavia, è diverso il presupposto della richiesta … la legittimazione attiva, per entrambe le categorie di rimedi, può tranquillamente attribuirsi al medesimo protagonista. Niente può impedire al proprietario di far valere, anziché la propria titolarità, un atto negoziale che giustifichi la richiesta giudiziale di restituzione del bene”.

10F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, edizioni scientifiche italiane, ed. 2017, pag. 221, il quale evidenzia che il contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, cui fa riferimento la disposizione di cui all'art. 844 c.c., incontra “un limite costituito dal diritto alla salute, onde è possibile cumulare, con l'azione reale ex art. 844, quella personale ex artt. 2043 e 2059 (C. 06/8420; C. 13/12828)”. Con particolare riguardo alla natura dell'azione, l'autore afferma che “per poter agire con l'inibitoria non è necessario provare né la colpa o dolo dell'immittente, né l'esistenza di un danno, perché l'azione non è quella risarcitoria ex art. 2043 c.c., ma ha carattere reale e rientra nello schema della negatoria servitutis (…), sempre che sia proposta contro il proprietario o i proprietari del fondo e miri ad ottenere un divieto definitivo delle immissioni, operante anche contro gli aventi causa dai proprietari stessi”.

11Corte di Cassazione, sez. 2, ordinanza n. 33966 del 05/12/2023.

12Corte di Cassazione, ordinanza n. 5637 del 03/03/2025.

13Corte di Cassazione, ordinanza n. 5637 del 03/03/2025: “... si è detto che il proprietario del fondo danneggiato ha anche la facoltà di citare solo l'autore materiale delle immissioni, e quindi anche nei confronti del locatario, qualora si richieda solo la cessazione dell'attività molesta con imposizione di un facere o non facere nella disponibilità di quest'ultimo suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego ma deve agire sempre contro il proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta al conseguimento di un effetto reale, all'accertamento cioè in via definitiva dell'illegittimità delle immissioni e al compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse... Infatti, è privo di legittimazione passiva il soggetto che, non essendo proprietario del fondo da cui provengono le immissioni, non è in grado di provvedere a quelle modifiche della propria struttura che sia condannato ad effettuare … l'azione ex art. 2043 c.c. che cumulativamente in questi casi può proporsi avverso l'autore materiale delle immissioni ove mancante o proposta nei soli confronti del proprietario non può rendere privo di legittimazione il proprietario rispetto all'azione principale ex art. 844 c.c.”.