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Pubbl. Gio, 23 Mar 2023

Brevi riflessioni sul procedimento unitario nel codice della crisi d’impresa

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Tiziana Anna Ghiotto



Con il presente contributo si vogliono evidenziare le peculiarità del nuovo procedimento unitario della crisi d’impresa, analizzando alcuni possibili dubbi interpretativi e sollevando alcune critiche ri-spetto alla mancanza di un coordinamento normativo, idoneo a rendere effettiva la celerità e l’efficienza di procedimenti assai diversificati.


ENG

Brief considerations on the Unitary Procedure in the company crisis code

The work aims to underline the peculiarities of the new ‘Unitary Procedure’, analyzing some possi-ble interpretative doubts and raising some criticisms regarding the lack of regulatory coordination, suitable for implementing the speed and efficiency of very diversified procedures.

Sommario. 1. Struttura e disciplina nella nuova regolamentazione. L’idea di unitarietà del novellatore. 2. Unitarietà e pluralità di domande. 3. Lo sfavor per la liquidazione. 4. Brevi cenni alla competenza. 5. Considerazioni conclusive.

1. Struttura e disciplina nella nuova regolamentazione. L’idea di unitarietà del novellatore.

Il cd. procedimento unitario, nell’ambito del codice della crisi e dell’insolvenza, rientra tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, appositamente previsti dall’art. 1, lett. m bis), CCII (norma introdotta dal d.lgs. n. 83/2022), laddove vengono definiti come «le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio, o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi». Specificamente, il procedimento unitario consentirebbe l’accesso a siffatti strumenti, sulla base di una previsione originariamente contenuta all’art. 2, comma 1, legge delega 19 ottobre 2017, n. 155[1], poi superata dalla più generica indicazione offerta dall’art. 25, comma 1, lett. b), della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio (cd. Direttiva Insolvency), e trasfusa, a sua volta, nel D.Lgs. n. 83/2022, a parziale correzione e integrazione della primitiva versione del codice della crisi e dell’insolvenza. La nuova disciplina europea auspica che «il trattamento delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione avvenga in modo efficiente ai fini di un espletamento in tempi rapidi delle procedure»[2].

Dunque, la scelta di optare per una soluzione ‘unitaria’ sarebbe da attribuirsi interamente al legislatore nazionale, perché l’indicazione europea era solamente nel senso di garantire la rapida soluzione e l’efficienza del sistema elaborato: la declinazione italiana della direttiva sovranazionale ha condotto a un concetto di unitarietà che, nella realtà concreta, ha assunto una connotazione assai meno pregnante, indicando una tendenziale, ideale, unitarietà della gestione, alla quale però non può corrispondere una univoca disciplina processuale.

Invero, già nel 2018, nella Relazione governativa allo schema di decreto legislativo che sarebbe stato trasfuso nel Codice della crisi e dell’Insolvenza, si possono scorgere indizi inequivocabili della volontà di dare vita a un procedimento unitario, a un vero e proprio ‘contenitore’ - così infatti viene definito - idoneo a garantire una procedura uniforme per l’accertamento e la gestione delle iniziative che riguardassero la situazione di crisi o di insolvenza[3].

A questo proposito, conviene premettere immediatamente una considerazione. Il risultato finale è stato effettivamente l’ideazione di un ‘contenitore’, perché il procedimento a cui ci riferiamo consente di convogliare in una medesima procedura qualunque tipo di domanda proveniente da soggetti legittimati. Questa costruzione, invero, non significa unitarietà della procedura, di cui si conserva la diversificazione e per la quale la summa divisio è quella che distingue una forma di regolamentazione pattizia e una forma di risoluzione liquidatoria della crisi. Semmai, un corpus unitario di disposizioni avente i tratti di un’unificazione complessiva si può indicare per la procedura applicabile in sede di gravame[4]. In primo grado, invece, sono diverse, in particolare, le disposizioni che regolano le singole procedure, sicché, ad esempio, è l’art. 41 CCI[5] a disciplinare il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale; l’art. 44 CCI è, invece, dedicato al procedimento di accesso alla procedura di regolazione concordata della crisi[6].

Un’ulteriore precisazione è dovuta. Il procedimento unitario, ai sensi dell’art. 40, comma 1, CCI, si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale. Sono escluse da siffatta previsione le modalità di instaurazione della composizione negoziata, che, non rientrando nella categoria degli strumenti di regolazione in senso stretto - ma precedendo essi - diviene oggetto di decisione da parte del giudice monocratico, come gli articoli 18, 19, 20 e 22 CCI chiariscono. Si tratta di un’altra evidente prova di come il concetto di unitarietà debba essere inteso in senso assai lato.

Alcune altre norme, invero, possono essere lette nella prospettiva dell’unitarietà in senso stretto[7]; ricordiamo l’art. 7 CCI e l’art. 40 CCI, il primo che garantisce la trattazione unitaria (anche con lo strumento processuale della riunione)[8] e il secondo (significativamente modificato dal d.lgs. n. 83/2022) che descrive le modalità, uniche, di introduzione della domanda e che, come scritto, costituisce l’unica via di accesso prevista dal legislatore per l’avvio del procedimento[9].

2. Unitarietà e pluralità di domande

Occorre verificare con quali modalità si coniughi l’ideale di unitarietà e la pluralità delle domande che, come poc’anzi accennato, caratterizza il ‘contenuto’ del procedimento unico. È il combinato disposto degli artt. 7 e 40 CCI a offrire una chiave di lettura, perché consente di individuare quattro strumenti che garantiscono una necessaria coordinazione dei due principi. I quattro elementi individuabili sono: il concorso tra le diverse domande; il principio di priorità delle domande di regolazione pattizia, principio che si connette allo sfavore nei riguardi della liquidazione; i limiti temporali che vengono imposti alla proposizione delle domande; e il meccanismo di passaggio da una domanda all’altra[10].

Per quanto riguarda il concorso tra domande, soccorre la previsione del comma 1 dell’art. 7 CCI, laddove si legge che le domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza devono essere trattate in un unico procedimento e, per realizzare siffatta disciplina, ogni domanda sopravvenuta deve essere riunita a quella già pendente. Si tratta di una modalità di gestione dell’empasse - quella tra aspirazione pattizia e decisione di intraprendere la strada liquidatoria - che rischia di complicarsi in maniera significativa e che ricorda, agli operatori, la difficile dialettica tra il procedimento di ammissione al concordato preventivo oppure l’accordo di ristrutturazione, e l’istruttoria prefallimentare.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha avuto di esprimere e di interpellare, altresì, le Sezioni Unite, le quali hanno sostenuto che n pendenza di un ricorso per concordato preventivo, ordinario o con riserva, il fallimento del debitore (su istanza del creditore o su richiesta del P.M.) può essere dichiarato soltanto quando il tentativo concordatario si chiude con un esito negativo, diverso dall’ammissione alla procedura o dall’omologazione[11].

Si tratta di una scelta prevalsa nei tribunali senza risolvere la preliminare difficoltà interpretativa relativa al rapporto tra la domanda di soluzione pattizia e la domanda di apertura della liquidazione concorsuale. Infatti, ci si è domandati se tale rapporto dovesse essere inteso alla stregua di un rapporto di pregiudizialità, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.[12], ovvero alla stregua di un rapporto di continenza, ai sensi dell’art. 39, comma 2, c.p.c.[13]. Peraltro, in letteratura è stato osservato come anche in assenza di una specifica normazione, sarebbe stato possibile individuare un criterio di prevalenza di un rito rispetto a un altro, utilizzando la mediazione dell’art. 40 c.p.c.[14]. In altre parole, anche se non vi fosse stata una precisa ed esplicita scelta legislativa volta a creare il citato ‘contenitore’, la realizzazione pratica di siffatto risultato sarebbe stata possibile da una lettura sistematica delle norme, coincidente con la scelta tecnica di riunire i procedimenti.

Tralasciando solo momentaneamente il secondo elemento da indagare, ossia il principio di priorità di una soluzione pattizia della crisi, trascorriamo al problema dei limiti temporali alla proposizione delle domande.

È ancora l’art. 40 CCI, così come modificato dal decreto legislativo del 2022 a offrire spunti di riflessione, specificamente ai commi 9 e 10[15]. In essi vengono stabilite alcune decadenze processuali proprio per la presentazione della domanda di regolamentazione pattizia della crisi, allo scopo precipuo di evitare eventuali abusi delle misure messe a disposizione per evitare il sopraggiungere dell’insolvenza.

La lettura delle due disposizioni consente di chiarire il regime, all’apparenza ‘inverso’. A sollevare particolari dubbi è soprattutto il comma 10, come vedremo. Il comma 9, dal canto suo, prevede che quando il procedimento unitario sia già pendente, allora la domanda di apertura della liquidazione giudiziale debba venire proposta nel l’ambito del medesimo procedimento e fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione. Nel caso in cui la domanda di apertura della liquidazione giudiziale venga proposta con un separato giudizio, il tribunale è tenuto a riunirla, d’ufficio, al procedimento già pendente.

Il comma 10, invece, prevede che quando sia già pendente il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale introdotto da un soggetto diverso dal debitore, la domanda di accesso a uno strumento di regolazione pattizia possa essere proposta, nel medesimo procedimento; tuttavia, siffatto movimento deve concludersi, a pena di decadenza, entro la prima udienza, e se entro il medesimo termine viene proposta separatamente la domanda viene riunita, anche d’ufficio, al procedimento pendente. Successivamente alla prima udienza, la domanda non può, invece, essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale e sempre che, ovviamente, non sia stata nel frattempo dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale[16]

Passiamo ora a riflettere sui meccanismi di passaggio tra domande e procedure differenti. Mi riferisco in particolare, alla conclusione del procedimento unitario, che può condurre alla omologazione del patto ovvero all’apertura della liquidazione.

La norma che disciplina il passaggio tra i due momenti è l’art. 7 CCI, e in particolare l’ultimo comma dell’articolo citato, che regolamenta il passaggio dalla soluzione pattizia a quella liquidatoria[17]. Si legge che nel caso in cui le domande pattizie di regolamentazione della crisi non vengano accolte, ovvero in tutti quei casi in cui la domanda risulti inammissibile ovvero improcedibile, ovvero, ancora, nei casi previsti dall’art. 49, comma 2, CCI[18], il Tribunale sia tenuto a disporre l’apertura giudiziale: vi devono, però, essere domande provenienti dagli interessati che la richiedano e deve essere stato accertato lo stato di insolvenza. In sostanza, - e questo è il dato da tenere bene presente - la nuova disciplina, richiedendo un’iniziativa di parte, proveniente dai soggetti interessati e non essendo possibile procedere d’ufficio[19].

3. Lo sfavor per la liquidazione

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza, sin dalla sua formulazione teorica, è stato animato dall’intento di superare il disagio aziendale cagionato dalla situazione di insolvenza conclamata, procedendo, attraverso l’emersione di criteri premonitori della crisi, a una soluzione pattizia delle difficoltà economiche. Questa scelta si traduce in una procedura che favorisce la regolamentazione pattizia della crisi a scapito di una troppo rapida adesione allo strumento liquidatorio.

Punto di partenza è nuovamente l’art. 7 CCI, che al comma 2, nella sua versione attuale, prevede che nel caso di proposizione di più domande di regolazione avente contenuto diverso, il tribunale esamini in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata. Tutto ciò, a condizione che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile, che il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati e che nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni dell’assenza di pregiudizio per i creditori. Appare evidente, come osservato in dottrina, che il primo requisito, ossia la non manifesta inammissibilità, coinvolga valutazioni tipicamente processuali, mentre gli altri requisiti richiamati determinino valutazioni di merito idonee a configurarsi quali presupposti di omologazione delle risoluzioni processuali, ai sensi della versione più recente della normativa ex d.lgs. n. 83/2022.

La conseguenza è che è attribuito al tribunale il compito di evitare utilizzi abusivi della regolazione pattizia di crisi e precrisi, attraverso la dichiarazione di inammissibilità di domande palesemente inconsistenti, pretestuose, reiterate sul medesimo petitum e, più genericamente, manifestamente inaccoglibili[20].

Per comprendere come, concretamente, si realizza il favore nei riguardi della procedura con esito pattizio occorre verificare quali siano i criteri di valutazione di ammissibilità della domanda, così come previsti dal codice della crisi e dell’insolvenza e modificati dal d.lgs. n. 83/2022.

Le modifiche al CCI, così come realizzate nel 2022, innovano sia rispetto alla precedente versione, sia rispetto alla legge fallimentare. In particolare, la novità passa attraverso la nitida e innovativa distinzione tra concordato liquidatorio e concordato in continuità aziendale, all’interno dell’art. 84 CCI[21]. In questa prospettiva si colloca anche la previsione dell’art. 47, comma 1, CCI, plastico nella sua nuova funzione di tratteggiare gli elementi discretivi tra concordato liquidatorio e concordato in continuità, così superando la precedente mera valutazione dell’ammissibilità giuridica e la fattibilità economica del piano, nella vecchia disciplina regolamentata dall’art. 161 legge fallimentare[22].

Vediamo, nel concreto, quali siano gli elementi di differenziazione tra le due forme concordatarie.

Nell’ipotesi del concordato liquidatorio, al tribunale spetta di verificare l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, da intendersi quale non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati. Diversamente, laddove si tratti di un concordato in continuità aziendale, il giudice dovrà limitarsi a verificare la ritualità della proposta; nello specifico, si legge che la domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali. Ne emerge un quadro in cui il requisito dell’ammissibilità non è il prodotto del contemperamento dell’interesse creditorio e dell’esigenza di conservazione della continuità aziendale. Essa si configura, piuttosto, come il risultato di una valutazione di opportunità che, semmai, si limita a valutare la non manifesta inadeguatezza del piano a salvaguardare entrambi gli obiettivi. Si tratta, in altri termini, di una valutazione meramente documentale.

Altri tre articoli entrano in gioco in siffatta valutazione di ammissibilità: l’art. 84, l’art. 47, l’art. 48 e l’art. 112 CCI, da leggersi in maniera coordinata.

L’art. 84 CCI nasce con l’intento di ampliare le possibilità di aderire al concordato in continuità, rispetto alla previsione dell’art. 48, comma 2, CCI, introducendovi un ulteriore requisito di ammissibilità della proposta rispetto alle previsioni dell’art. 47 CCI, di cui conviene rievocare il contenuto[23]. La norma, infatti, prevede che il tribunale, una volta depositata la proposta concordataria, ne valuti l’ammissibilità: se il risultato della valutazione è positivo, allora si procede alla dichiarazione di apertura della procedura; laddove, invece, la valutazione conduca a un risultato negativo, allora il procedimento subisce un arresto, coincidente, dal punto di vista processuale, con un decreto di inammissibilità. 

L’ulteriore passaggio processuale prevede che il concordato preventivo ammesso venga successivamente approvato dai creditori, sicché il tribunale possa fissare l'udienza in camera di consiglio per l’omologazione, dopo che, nel contraddittorio processuale, siano state sciolte le eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti e degli altri interessati.

Passiamo ora all’esame dell’art. 48, comma 3, CCI, proponendo un confronto tra la vecchia versione e quella oggi adottata dal legislatore. Nella previgente formulazione, si richiedeva che il tribunale verificasse, in sede di omologa del concordato preventivo, l'ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, tenendo in adeguata considerazione i rilievi del commissario giudiziale. La lettura comune della disposizione, però, avrebbe concesso al tribunale di sottoporre a rinnovato esame la vicenda, proponendo una verifica dei fatti che, in certo qual modo, soltanto replicava quella già svolta al momento della valutazione sommaria[24].

Le cose sembrerebbero cambiate con la nuova formulazione dell’articolo, che ha eliminato la parte di norma in cui si prevedeva che in sede di omologa il tribunale dovesse verificare nuovamente l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano[25]. Invero, la previsione rientra originaria nella disciplina attualmente in vigore per il tramite dell’art. 112, comma 1, lett. a). Si legge, infatti, che il tribunale omologa il concordato una volta che abbia verificato anche l’ammissibilità della proposta: occorre ammettere, dunque, che al tribunale sia comunque consentito ripensare, laddove si trovi a operare in sede di cognizione piena e non sommaria, al giudizio di ammissibilità.

Per quanto attiene, invece, la valutazione di ammissibilità del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, essa si mostra disciplinata con minore rigidità; difatti, nella fase preliminare, al tribunale è richiesto solamente di verificare la ritualità della proposta e dei criteri di formazione delle classi, in base a criteri di omogeneità rispetto alla posizione giuridica e agli interessi economici delle parti interessate, ben potendosi, invero, superare le precise indicazioni di rispetto della par condicio creditorum[26].

4. Brevi cenni alla competenza

Ritengo sia utile, infine, chiudere le indicazioni di natura processuale riflettendo brevemente sul tema della competenza[27]. È l’art. 27 CCI a regolamentare la materia, prevedendo che la domanda giudiziale di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza oppure volta alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale si proponga dinanzi al tribunale in composizione collegiale, individuato in forza dei criteri indicati proprio dall’articolo citato[28]. L’art. 28 CCI, poi, in qualche modo rievocando la disciplina dell’art. 9 legge fallimentare (che richiamava il trasferimento della sede), prevede che il trasferimento del centro degli interessi principali[29], individuato sulla base dei criteri previsti dallo stesso art. 27 CCI, non ha rilevanza ai fini della competenza laddove esso sia intervenuto nell’anno antecedente al deposito della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o di apertura della liquidazione giudiziale[30]. Le due disposizioni, d’altra parte, devono essere lette in relazione alla previsione dell’art. 2, comma 1, lett. m) CCI, laddove si legge che «il centro degli interessi principali del debitore (il cd. COMI) deve intendersi come il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi»[31].

Similmente a quanto accadeva in passato nella vigenza della legge fallimentare, dunque, anche oggi la scelta legislativa è nel senso di non radicare la competenza sulla base dei dati costituiti dalla causa petendi e dal petitum, quanto piuttosto sulla base di dati oggettivi che si riferiscono alla specifica e attuale organizzazione aziendale. E siffatta regolamentazione vale, espressamente, per tutte le procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

Medesimo - ma in quanto compatibile - è, inoltre, il regime per quanto attiene le procedure del Capo II del Titolo IV, ossia le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore e liquidazione controllata del sovraindebitato, come si evince dagli artt. 65, comma 1[32] e dall’art. 268, comma 1, CCI[33].

Per quanto riguarda, invece, la disciplina della competenza occorre richiamarsi alle norme del Capo II del titolo IV, per tutte quante le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. E occorre richiamare le disposizioni degli artt. 65, comma 1, CCI e 288, comma 1, CCI, a proposito della liquidazione controllata, contenente un richiamo esplicito al tribunale competente ai sensi dell’art. 27, comma 2[34]. Per quanto attiene, invece, la competenza per il concordato preventivo di gruppo e per la liquidazione giudiziale di gruppo, entrano in gioco gli artt. 286, comma 1, e 287, comma 4; a tenore del primo, si prevede che, qualora le diverse imprese del gruppo abbiano il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, sia competente il tribunale nel cui circondario ha il centro degli interessi principali la società o l’ente o la persona fisica che, in base al regime di pubblicità previsto dall’articolo 2497-bis cod. civ.[35], eserciti l’attività di direzione e di coordinamento. Diversamente, competente sarà il tribunale nella cui circoscrizione l’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all’ultimo bilancio approvato prima della presentazione della domanda abbia il centro degli interessi principali[36].

A tenore del secondo articolo, il 287, comma 4, la competenza in caso di liquidazione giudiziale di gruppo è attribuita al tribunale dinanzi al quale è stata depositata la prima domanda di liquidazione giudiziale. Laddove il mero criterio cronologico non sia applicabile, entreranno in gioco i criteri poc’anzi ricordati a proposito del concordato preventivo di gruppo. Similmente, poi, occorre ragionare a proposito della liquidazione coatta amministrativa, il cui regime è tracciato dal Titolo VII del Codice: difatti, nonostante il contenuto dell’art. 297, comma 1, CCI rivesta l’apparenza di un’autonoma regolamentazione, essa coincide con il dettato dell’art. 27, richiamandosi il criterio di collegamento riferibile di «centro degli interessi principali»[37].

5. Conclusioni

Si tenterà ora di svolgere alcune considerazioni di natura generale, finalizzate a mettere in luce alcune peculiarità del procedimento unitario e alcune criticità che potrebbero sorgere già agli esordi dell’applicazione del codice della crisi e dell’insolvenza.

Anzitutto ci possiamo riferire all’accesso al procedimento unitario finalizzato a realizzare pattiziamente la risoluzione della crisi. La lettura di una norma - specificamente dell’art. 44 CCI, rubricato “Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza con riserva di deposito di documentazione”, consente di verificare come, in realtà, il procedimento unitario alluda a un unico binario su cui si insinuano domande differenti[38]. Si legge che il debitore può presentare la domanda individuata dall’articolo 40 con la documentazione prevista dall’articolo 39, comma 3. Si tratta di domande distinte, destinate a confluire in unico fascicolo processuale: viene concesso di presentare l’istanza in un termine, compreso tra trenta e sessanta giorni e prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi ed in assenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale, fino ad ulteriori sessanta giorni. Tale termine è fissato dal tribunale con decreto e può contenere una pluralità di proposte[39]. Il medesimo decreto, inoltre, può avere un contenuto simile a quello che, nel regime precedente, a proposito del concordato con riserva, era determinato dall’art. 161, comma 6, legge fallimentare[40]. Si tratta di previsioni che, in passato, avevano suscitato perplessità sotto un particolare profilo, dal momento che i termini per il deposito della domanda e quelli entro cui devono essere assolti gli obblighi informativi periodici sembrerebbero non dovere soggiacere al regime della sospensione feriale dei termini processuali. Si prevede la nomina di un commissario giudiziale e si dispone che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda, ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi. La regolamentazione codicistica, poi, impone obblighi informativi periodici, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale e sino alla scadenza del termine fissato per il deposito della domanda. Infine, si impone al debitore il versamento, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni, di una somma per le spese della procedura[41].

Ritornando a riflettere sul tema della unitarietà, e come si è avuto modo di ribadire in diversi passaggi del presente breve contributo, l’unitarietà del procedimento è un ideale di difficilissima attuazione, stante la diversa articolazione dei singoli procedimenti, in un complicato articolarsi di procedimenti a cognizione piena e procedimenti a cognizione sommaria, destinati solo in un momento finale a concentrarsi nel contenitore unico ispiratore della riforma. Riti diversi, d’altra parte, corrispondono a finalità differenti, sicché appare difficile riuscire raggiungere l’auspicato coordinamento. E la scelta del termine ‘coordinamento’ appare l’unica percorribile, se, come parte della dottrina ha sottolineato, l’adesione a termini più tecnici e dotati di precise collocazioni processuali - come ‘riunione’ o ‘continenza’ - potrebbe apparire meno corretta e meno idonea a descrivere riti differenti e tra loro non omologabili, non applicabili a cause che si trovino in differenti stadi processuali. Basti pensare alla molteplicità delle situazioni che si incontrano: ad esempio, il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale è un giudizio a cognizione piena, sebbene semplificata; anche il giudizio di omologazione dello strumento pattizio di regolazione della crisi e dell’insolvenza è a cognizione piena ma semplificata; al contrario, le fasi di concessione e di revoca del termine per la presentazione della proposta, del piano e degli accordi, e le fasi di apertura del concordato preventivo sono invece a carattere sommario[42].

Ancora due singoli punti mi pare utile mettere in luce per avere un quadro verosimile dei problemi che potrebbero coinvolgere l’interprete nel prossimo futuro. Occorre anzitutto riflettere sulla possibilità che viene riconosciuta al debitore/imprenditore di aderire allo strumento di risoluzione pattizia migliore in base alla sua discrezionale opinione. In particolare, il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza garantisce la possibilità di formulare una domanda di concordato in bianco, per poi accedere, entro un determinato termine concesso dal tribunale, a un concordato preventivo ovvero a un accordo di ristrutturazione o a un piano di ristrutturazione. Il dubbio che sorge nell’interprete è il seguente. Il debitore, già nella prima fase, è tenuto a indicare almeno sommariamente quale sia la strada che intende perseguire o è totalmente libero di aderire all’una o all’altra opzione? Non si tratta di un dubbio meramente teorico, perché, laddove fosse richiesto di aderire a una specifica opzione sin dall’iniziale proposizione della domanda di concordato in bianco, occorrerebbe ammettere che un’istanza incompleta possa venire dichiarata inammissibile. E, d’altra parte, ammettere che sia possibile decidere in itinere la soluzione pattizia migliore continua a sembrare a chi scrive la migliore soluzione per accedere a forme realmente efficaci di composizione pattizia della crisi.

Ancora, un discorso peculiare merita la previsione dei commi 9 e 10 dell’art. 40 CCI, sui quali si è già avuto modo di soffermarsi. Come si è osservato, il comma 9 non suscita particolari dubbi esegetici, potendosi interpretare come un mero tentativo di indebolire le preclusioni che normalmente bloccano le nuove domande endoprocessuali. Diversamente, per il comma 10, la domanda giudiziale subisce vere e proprie limitazioni ad un ampliamento della stessa, anche laddove si attuino in un autonomo e separato giudizio. Alcuni autori hanno segnalato - a fronte di una comprensibile esigenza di evitare un atteggiamento abusante degli strumenti di regolazione pattizia, la potenziale contrarietà rispetto all’art. 24 Cost.

Un’ultima criticità riguarda la scelta pattizia come prioritaria; mi riferisco, in particolare, al richiamo, all’interno della proposta di soluzione non liquidatoria della crisi o dell’insolvenza, alla convenienza ovvero all’assenza di pregiudizio per i creditori (per l’ipotesi di concordato in continuità aziendale). Il dubbio è se tale dichiarazione si limiti a rappresentare un requisito formale, ovvero richieda una valutazione di merito sia della convenienza che dell’assenza di pregiudizio, valutazione che, necessariamente, dovrà essere compiuta dal giudice, il quale però dovrebbe potere contare su una documentazione anche tecnico-contabile non necessariamente sempre presente nelle more della procedura. Si dovrebbe trattare in ogni caso, come osservato, di una valutazione da compiersi, in ogni caso, a ridosso della proposizione della domanda, ma comunque successivamente al deposito del piano e della proposta, non essendo esaurientemente utile, il deposito della documentazione di cui all’art. 39, comma 3, richiamata dall’art. 44, comma 1, del Codice, che deve essere depositata unitamente alla domanda cd. “con riserva”[43].


Note e riferimenti bibliografici

[1] La norma si richiamava a un «unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore», con «caratteristiche di particolare celerità, anche in fase di reclamo», e «disciplinando distintamente i diversi esiti possibili, con riguardo all'apertura di procedure di regolazione concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria, tenendo conto delle relative peculiarità soggettive e oggettive».

[2] F. DE SANTIS, Il processo uniforme per laccesso alle procedure concorsuali, in Fall., 2016, 1045 ss.

[3] Si tratta dell’Atto Camera n. 53, del 14 novembre 2018.

[4] Ma anche in tale evenienza occorre distinguere due forme di reclamo: il rito del reclamo avverso il rigetto della domanda di apertura della liquidazione giudiziale è momento processuale differente rispetto al rito del reclamo avverso la sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale, o che dichiari l’omologazione dello strumento pattizio.

[5] Art. 41 CCI. Procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale. 1. Il tribunale con decreto convoca  le parti non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso. 2. Tra la data della notifica e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni. 3. I termini di cui ai commi 1 e 2 possono essere abbreviati dal presidente del tribunale o dal giudice relatore da lui delegato con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale o il giudice da  lui  delegato può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. 4. Il decreto fissa un termine fino a sette giorni  prima dell’udienza per la presentazione di memorie o un termine ridotto nel caso  di  cui  al  primo periodo  del  comma 3. Il debitore nel costituirsi, deve depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi o, se non è soggetto all'obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata. 5. L'intervento dei terzi che hanno legittimazione a proporre  la domanda e del pubblico ministero può avere luogo sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione. 6. Il tribunale può delegare  al  giudice  relatore  l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all'espletamento dei mezzi  istruttori  richiesti  dalle  parti  o disposti  d'ufficio.  Il  giudice  può disporre la  raccolta  di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri.

[6] Art. 44 CCI. Accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza con riserva di deposito di documentazione. 1. Il debitore può presentare la domanda di cui all'articolo 40 con la documentazione prevista dall'articolo 39, comma 3, riservandosi di presentare la proposta, il piano e  gli accordi. In tale caso il tribunale pronuncia decreto con il quale a) fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per  l'apertura  della  liquidazione giudiziale, fino a ulteriori  sessanta  giorni,  entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'articolo 39, commi 1 e 2, oppure la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la documentazione di cui all'articolo 39, comma 1, oppure la domanda di omologazione del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64-bis, con la documentazione di cui all'articolo 39, commi 1 e 2; b) nomina un commissario giudiziale, disponendo che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto  di  frode  ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi. Si applica l'articolo 49, comma 3, lettera f); c) dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e all’attività compiuta  ai fini della  predisposizione della proposta e del  piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, sino alla scadenza del  termine fissato ai sensi del comma 1, lettera a). Con la medesima periodicità, il debitore deposita una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria che, entro il giorno successivo, è iscritta nel registro delle imprese su  richiesta del cancelliere; d) ordina al debitore il versamento, entro un termine  perentorio non superiore a dieci  giorni,  di  una somma per le  spese  della procedura, nella misura necessaria fino  alla  scadenza  del  termine fissato ai sensi del comma 1, lettera a). 2. Il tribunale, su segnalazione di un creditore, del  commissario giudiziale o del pubblico ministero, con decreto  non  soggetto  a reclamo, sentiti il debitore e i creditori che hanno proposto ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, revoca  il  provvedimento di concessione dei termini adottato ai sensi del comma 1, lettera  a), quando accerta una delle situazioni di cui al comma 1, lettera b) o quando vi è stata grave violazione degli obblighi informativi di cui al comma 1, lettera c). Nello stesso modo il tribunale  provvede  in caso di violazione dell'obbligo di cui al comma 1, lettera d). 3. I termini di cui al comma 1, lettere  a), c) e d) non son soggetti a sospensione feriale dei termini.

[7] Scrive M. MONTANARI, Il cosiddetto procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, in Fall., 2019, 564 che «se l’obbiettivo perseguito dal legislatore delegante era quello dell’unitarietà del percorso di accesso a dette procedure ciò che si richiedeva era l’unitarietà del segmento processuale sfociante nel provvedimento di apertura o ammissione di/a quelle procedure medesime, non l’unitarietà dei successivi segmenti di gravame»; cfr. Anche I. PAGNI, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Fall., 2019, 550.

[8] Art. 7 CCI. Trattazione unitaria delle domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alle procedure di insolvenza.

[9] Art. 40 CCI. Domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale.

[10] Cfr. R. d’ALONZO, F. DE SANTIS, Il cd. procedimento unitario per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Diritto della crisi, 4 ottobre 2022.

[11] Cass. civ., SS.UU., 15 maggio 2015, nn. 9935 e 9936, in Il Fall., 2015, 890, con nota di F. DE SANTIS, Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e I. PAGNI I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dellistruttoria fallimentare dopo le Sezioni unite del maggio 2015.

[12] Art. 295 c.p.c. Sospensione necessaria. Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.

[13] Art. 39, comma 2, c.p.c. 2. Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.

[14] Art. 40 c.p.c. Connessione. Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragione di connessione possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito. La connessione non può essere eccepita dalle parti ne' rilevata d'ufficio dopo la prima udienza, e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l'esauriente trattazione e decisione delle cause connesse. Nei casi previsti negli artt. 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli artt. 409 e 442. Qualora le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore. Se la causa e' stata trattata con un rito diverso da quello divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a norma degli artt. 426, 427 e 439. Se una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per i motivi di cui agli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo. Se le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al giudice di pace e al tribunale, il giudice di pace deve pronunziare anche d'ufficio la connessione a favore del tribunale.

[15] Art. 40, CCI, comma 9. Nel caso di pendenza di un  procedimento  di  accesso  a  uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, la domanda di apertura della  liquidazione  giudiziale è proposta nel  medesimo procedimento e fino alla rimessione della causa al  collegio  per la decisione, con ricorso ai sensi dell'articolo 37, comma 1, e nel rispetto degli obblighi di cui all'articolo 39. Se la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta separatamente il tribunale la riunisce, anche d'ufficio, al procedimento pendente. 10. Nel caso di pendenza di un procedimento per la apertura della liquidazione  giudiziale  introdotto  da  un  soggetto  diverso dal debitore, la domanda di accesso a uno strumento di regolazione  della crisi  e  dell'insolvenza è proposta, con ricorso  ai  sensi dell'articolo 37, comma 1  e  nel  rispetto  degli  obblighi  di  cui all'articolo 39, nel medesimo  procedimento,  a  pena  di  decadenza, entro la prima udienza e se entro il medesimo termine è proposta separatamente è riunita, anche d'ufficio, al procedimento pendente. Successivamente alla prima udienza, la domanda non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale. Il termine di  cui  al  primo periodo non si applica se la domanda di accesso a  uno  strumento  di regolazione della crisi e dell'insolvenza è proposta all'esito della composizione negoziata, entro sessanta giorni dalla comunicazione  di cui all'articolo 17, comma 8.

[16] 10. Nel caso di pendenza di un procedimento per la apertura della liquidazione  giudiziale  introdotto  da  un  soggetto  diverso dal debitore, la domanda di accesso a uno strumento di regolazione  della crisi  e  dell'insolvenza è proposta, con ricorso  ai  sensi dell'articolo 37, comma 1  e  nel  rispetto  degli  obblighi  di  cui all'articolo 39, nel medesimo  procedimento,  a  pena  di  decadenza, entro la prima udienza e se entro il medesimo termine è proposta separatamente è riunita, anche d’ufficio, al procedimento pendente. Successivamente alla prima udienza, la domanda non può essere proposta autonomamente sino alla conclusione del procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale. Il termine di cui al primo periodo non si applica se la domanda di accesso a  uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza è proposta all'esito della composizione negoziata, entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui all'articolo 17, comma 8.

[17] Art. 7, ultimo comma CCI: 3. Ferme le ipotesi di conversione di cui agli articoli 73 e 83, in tutti i casi in  cui  la  domanda diretta a regolare  la  crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale  non è accolta ed è accertato  lo  stato  di  insolvenza, il tribunale procede, su istanza dei soggetti  legittimati,  all'apertura  della liquidazione giudiziale. Allo stesso modo  il  tribunale  procede  in tutti i casi in cui la domanda è inammissibile o improcedibile e nei casi previsti dall'articolo 49, comma 2.

[18] Art. 49, comma 2, CCI: Allo stesso modo, su ricorso di uno dei soggetti  legittimati, il tribunale provvede, osservate le disposizioni di cui  all’articolo 44, comma 2, quando è decorso inutilmente o è stato  revocato  il termine di cui all'articolo  44,  comma  1,  lettera  a), quando  il debitore non ha depositato le spese di procedura di cui  all’articolo 44, comma 1, lettera d), ovvero nei casi previsti dall'articolo 47, comma 4 e dall'articolo 106 o in caso di mancata approvazione del concordato preventivo o quando il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione non sono stati omologati.

[19] Cfr. F. DE SANTIS, Il processo uniforme per laccesso alle procedure concorsuali, cit., 1048 ss.

[20] R. d’ALONZO, F. DE SANTIS, Il cd. procedimento unitario, cit.

[21] Art. 84 CCI: Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano.

[22] Cfr. M. FABIANI, La questione "fattibilità" del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Fall., 2013, 149 ss.; ID., Concordato preventivo e giudizio di fattibilità: le Sezioni Unite un po' oltre la metà del guado, in Foro it., 2013, I, 1573 ss.; G.B. NARDECCHIA, La fattibilità del concordato preventivo al vaglio delle Sezioni Unite, in Dir. fall., 2013, II, 185 ss.; I. PAGNI, Il controllo di fattibilità del piano concordatario dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva funzionale aperta dal richiamo alla causa concreta, in Il Fall., 2013, 279 ss.

[23] Art. 47, comma 2, CCI.  2. Compiute le verifiche di cui al comma 1, il  tribunale, con decreto: a) nomina il giudice delegato; b) nomina ovvero conferma il commissario giudiziale;  c) stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della  procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche  messe a disposizione da soggetti terzi, e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori; d) fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, ulteriore rispetto a quella versata  ai  sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera d), pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale.

[24] Cfr. F. DE SANTIS, Il processo uniforme, cit. 161.

[25] Art. 48, comma 3, CCI: Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio nel rispetto di  quanto previsto dall’articolo 112, comma 4, per il concordato in  continuità aziendale, anche delegando uno dei componenti del collegio, omologa con sentenza il concordato.

[26] V. ZANICHELLI, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in www.dirittodellacrisi.it, 1 luglio 2022. 

[27] Cfr. F. MARELLI, Novità in tema di competenza nel nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Riv. dir. proc., 2021, 1, 260.

[28] Art. 27 CCI.  Competenza per materia e per territorio. 1. Per i procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di  imprese di rilevante dimensione è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in  materia di imprese di cui all’2003, n. 168. Il  tribunale sede della  sezione specializzata  in materia di imprese è individuato a norma dell'articolo 4 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali. 2. Per i procedimenti di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o a una procedura di  insolvenza diversi da quelli di cui al comma 1 e le controversie che ne derivano è competente il tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali. 3. Il centro degli interessi principali  del  debitore  si  presume coincidente: a) per la persona fisica esercente attività  d'impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell'attività abituale; b) per la persona fisica non esercente attività d'impresa, con la residenza o il  domicilio e, se  questi  sono  sconosciuti, con l'ultima dimora nota o, in mancanza, con  il  luogo  di  nascita.  Se questo non è in Italia, la competenza è del Tribunale di Roma; c) per la persona giuridica e gli enti, anche  non  esercenti attività d'impresa, con la sede legale risultante dal registro delle imprese o, in mancanza, con la sede effettiva dell’attività abituale o, se sconosciuta, secondo quanto previsto nella lettera b), con riguardo al legale rappresentante.

[29] Cfr. Cass. civ., 8 aprile 1998, n. 3652, in Giust. civ. Mass., 1998, 770.

[30] Art. 28 CCI. Trasferimento del centro degli interessi principali. 1. Il trasferimento del centro degli interessi principali non rileva ai fini della competenza  quando è intervenuto nell’anno antecedente al deposito della domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza o di apertura della liquidazione giudiziale.

[31] Cfr. art. 3, comma 1, del Regolamento (UE) n. 2015/848.

[32] Art. 65, comma 1, CCI. Ambito di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento. 1. I debitori di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c) possono proporre soluzioni della crisi da sovraindebitamento secondo le norme del presente capo o del titolo V, capo IX.

[33] Art. 268, comma 1, CCI. Liquidazione controllata. 1. Il debitore in stato di sovraindebitamento può domandare  con ricorso al tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 2, l'apertura di una procedura di  liquidazione controllata dei  suoi beni.

[34] Art. 27, comma 2, CCI: cfr. supra.

[35] Art. 2497-bis, comma 1, cod. civ.: La società deve indicare la società o l'ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori, presso la sezione del registro delle imprese di cui al comma successivo.

[36] Art. 286, comma 1 CCI: Procedimento di concordato di gruppo. 1. Se le diverse imprese del gruppo hanno il proprio centro degli interessi principali in circoscrizioni giudiziarie diverse, è competente il tribunale individuato ai sensi dell'articolo 27 in relazione al centro degli interessi principali della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista dall’articolo 2497-bis del codice  civile, esercita  l'attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria in base all’ultimo bilancio approvato.

[37] Art. 287, comma 4, CCI: 4. Se le diverse imprese del gruppo hanno il proprio centro degli interessi  principali  in  circoscrizioni  giudiziarie  diverse, il tribunale competente è quello dinanzi al quale è stata  depositata la prima domanda di liquidazione giudiziale. Qualora la domanda di accesso alla procedura  sia presentata contemporaneamente da più imprese dello stesso gruppo, è competente il tribunale  individuato ai sensi dell'articolo 27, in relazione al  centro  degli  interessi principali della società o ente o persona fisica che, in base alla pubblicità prevista  dall'articolo  2497-bis  del  codice  civile, esercita  l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, dell'impresa che presenta la più elevata esposizione debitoria in base all'ultimo bilancio approvato.

[38] Cfr. G. BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in www.dirittodellacrisi.it 7.6.2022.

[39] a) una proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'articolo 39, commi 1 e 2; b) una domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la documentazione di cui all’articolo 39, comma 1; c) una domanda di omologazione del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64 bis, con la documentazione di cui all’articolo 39, commi 1 e 2.

[40] Art. 161, comma 6, legge fallimentare. L'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda  di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei  rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il  piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo  entro  un  termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi  giorni  e prorogabile,  in  presenza  di  giustificati  motivi,  di  non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all'omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l'articolo 162, commi secondo e terzo. Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3; si applica l’articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all'articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare  improcedibile  la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del  pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell'articolo 18.

[41] Cfr. G. BOZZA, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, cit.

[42] Cfr. F. DE SANTIS, Il procedimento cd. unitario per la regolazione della crisi o dellinsolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fall., 2020, 157 ss.

[43] R. d’ALONZO, F. DE SANTIS, Il cd. procedimento unitario, cit., passim.