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Pubbl. Mer, 22 Mar 2023

Il principio di sostenibilità finanziaria nelle politiche europee

Luca Bertorello
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Torino



Il presente contributo intende riflettere sulla dimensione europea del principio di sostenibilità finanziaria, partendo anzitutto dai suoi aspetti teorici e concettuali per poi analizzare l’evoluzione dei più recenti interventi normativi a sostegno dei fattori ESG e di Green economy.


Sommario: 1. Premessa; 2. La responsabilità sociale di impresa: evoluzione storica e concettuale; 3. Lo sviluppo sostenibile dall'ambientalismo alla sfera sociale e aziendale: una visione internazionale ed europea; 3.1 La finanza sostenibile: una triplice dimensione dell'attività imprenditoriale; 4. Il quadro normativo europeo sulla finanza sostenibile; 4.1 Il piano d'azione per la finanza sostenibile: verso un'Europa più green e trasparente; 4.2 La strategia della Commissione Europea per finanziare la transizione verso un'economia sostenibile; 4.3 La proposta di regolamento sulle obbligazioni verdi; 4.4 La nuova normativa europea sulla rendicontazione non finanziaria: obiettivi, strumenti ed impatti; 5. Conclusioni.

Sommario: 1. Premessa; 2. La responsabilità sociale di impresa: evoluzione storica e concettuale; 3. Lo sviluppo sostenibile dall'ambientalismo alla sfera sociale e aziendale: una visione internazionale ed europea; 3.1 La finanza sostenibile: una triplice dimensione dell'attività imprenditoriale; 4. Il quadro normativo europeo sulla finanza sostenibile; 4.1 Il piano d'azione per la finanza sostenibile: verso un'Europa più green e trasparente; 4.2 La strategia della Commissione Europea per finanziare la transizione verso un'economia sostenibile; 4.3 La proposta di regolamento sulle obbligazioni verdi; 4.4 La nuova normativa europea sulla rendicontazione non finanziaria: obiettivi, strumenti ed impatti; 5. Conclusioni.

1. Premessa

Come noto, il principio di sostenibilità trova da diversi anni larga enunciazione in una pluralità di testi normativi appartenenti al più vario ventaglio del sistema delle fonti[1]

L'emergere di sfide globali quali il cambiamento climatico, la diminuzione demografica e l'impoverimento delle risorse naturali hanno posto i Governi di fronte alla necessità di intervenire con politiche sinergiche ed integrate al fine di farvi fronte.

Tale intervento si è basato sul concetto che lo sviluppo economico può definirsi sostenibile solo se è in grado di soddisfare le necessità delle attuali generazioni senza arrecare danni alle generazioni future[2].

Alcune imprese hanno, pertanto, compreso l'importanza di rispettare i criteri ESG (environment, social, governance) e, attraverso un temperamento della logica del profitto, hanno colto nel rispetto di tali criteri un'opportunità straordinaria di crescita e differenziazione sul mercato.

Inoltre, l’attenzione delle istituzioni nazionali e sovranazionali si è concentrata sempre più sulla responsabilità sociale di impresa (RSI), un nuovo modello di governance aziendale che non si focalizza solo sul profitto, ma cerca di creare un valore socialmente condiviso, al fine di soddisfare le esigenze della società e dei rispettivi stakeholder.

L'adozione di una prospettiva di lungo termine, che integra le necessità sociali ed ambientali della società nelle operazioni commerciali e finanziarie, consente all'azienda di non evadere dalla propria responsabilità sociale, di recare alcun danno all'ambiente, di non tradire le aspettative dei consumatori, elevando il ruolo della finanza sostenibile quale straordinario volano di crescita. 

Questo lavoro intende dunque analizzare il percorso evolutivo della sustainable finance, intesa come l'insieme di strategie di investimento finalizzate a creare un valore socialmente condivisibile, insieme ad un ritorno economico atteso dall'investimento.

Più in particola, verrà svolta un'analisi sistematica delle fonti europee di transizione verso la c.d. green economy

Prima di procedere con questa analisi, si ritiene comunque opportuno fornire un breve inquadramento sul concetto di responsabilità sociale d'impresa.

2. La responsabilità sociale di impresa: evoluzione storica e concettuale

Il concetto di responsabilità sociale di impresa, locuzione tradotta dall’inglese corporate social responsability (CSR), non è recente[3], risalendo infatti ai primi del ‘900.

In tale epoca autori come Barnard, Max Weber e Clarks fanno per la prima volta riferimento ad una indefinita categoria di responsabilità sociale[4], sottolineando la necessità di educare gli imprenditori verso una loro responsabilità nei confronti della società considerata nel suo complesso[5].

Tuttavia, un più chiaro riferimento alla responsabilità sociale come la si intende oggi è stato certamente elaborato da Howard Rothmann Bowen[6] il quale formula finalmente la visione di un’impresa filantropica orientata al finanziamento delle cause sociali volte a beneficio dei dipendenti e della comunità di riferimento.

Secondo Bowen, la responsabilità sociale di impresa (CSR) rappresenta l'insieme degli obblighi morali e personali che il datore di lavoro deve seguire, considerando l'esercizio di politiche, decisioni o linee d'azione in termini di obiettivi e valori desiderati dalla società.

In altre parole, le imprese devono assumersi una responsabilità sociale e considerare gli effetti delle loro azioni sugli stakeholder, quali dipendenti e clienti, nei diversi aspetti della loro vita[7]

Pertanto, le imprese sono da considerare come centri vitali di potere e di decision making, poiché il modo di agire degli uomini d'affari influenza direttamente l'atteggiamento degli altri stakeholder[8].

Tale importante concetto è stato poi ulteriormente ampliato da altri grandi autori come Selekman, con la pubblicazione de "Moral Philosophy for Management to Society: The Growth of an Idea", e Keith Davis, il quale ha sostenuto che le responsabilità sociali degli uomini d'affari devono essere proporzionali al loro potere sociale e che evitare tale obbligo comporterebbe una diminuzione del potere sociale dell'azienda[9].

Fra gli autori che sottolinearono l’importanza degli aspetti sociali a livello accademico occorre, inoltre, ricordare i contributi di Frederick e McGuire.

Da un lato, Frederick ha elaborato una teoria della responsabilità sociale basata su tre pilastri fondamentali: la necessità di adottare un criterio di valore, la consapevolezza che una condotta aziendale responsabile richiede sforzi deliberati e consapevoli e l'idea che l'agire imprenditoriale sia una funzione del ruolo dell'azienda all'interno della società, che a sua volta è il risultato di tradizioni storiche e culturali [10].

D'altra parte, McGuire ha sostenuto che la responsabilità sociale dell'impresa non deve limitarsi al rispetto degli obblighi legali o al soddisfacimento dei propri interessi economici, ma deve estendersi al benessere della comunità e alla felicità dei dipendenti.[11].

Durante lo stesso periodo di riferimento, altri autori come Eells e Walton (1961) hanno definito la responsabilità sociale come i problemi che sorgono quando «l'impresa getta la propria ombra sulla scena sociale e sui principi etici che dovrebbero governare la relazione tra l'azienda e la società»[12]

Successivamente, gli anni ’60 e ’70 sono caratterizzati dal proliferare di definizioni, segno che il concetto di responsabilità sociale inizia a mutare e ad assumere un sempre più crescente interesse sia nell’ambito della comunità nazionale che internazionale. 

In tale periodo, uno tra i più autorevoli autori a livello nazionale è stato sicuramente Gino Zappa, considerato uno dei padri fondatori della Ragioneria Italiana[13].

Secondo l’eccezione suggerita da Zappa, «gli interessi e i bisogni degli individui operanti nelle aziende non sono solamente meri bisogni materiali ed economici, ma ricomprendono anche aspetti morali, sociali, politici, religiosi, ecc..». 

Zappa sviluppa, poi, il concetto di bene comune «non riconducibile ad una somma di interessi particolari», anticipando così, con particolare lungimiranza, la discussione in corso su come le logiche di sostenibilità, valore condiviso e cittadinanza d’impresa contribuiscano alla creazione di valore ed al bene comune. 

In campo internazionale, la più celebre definizione di responsabilità sociale di impresa è sicuramente quella data da Edward Freeman, noto economista e vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1976, attraverso la pubblicazione dell'opera "Strategic Management: a Stakeholder Approach"[14].

Lo stakeholder, secondo Freeman, è «ogni individuo o gruppo che può influenzare o essere influenzato dal perseguimento degli obbiettivi d’impresa» contrapponendosi quindi al più ristretto concetto di shareholders, ossia l’azionista[15]

La teoria proposta da Freeman rappresenta una significativa innovazione nel modo di concepire il capitalismo, nel quale le imprese dovrebbero creare valore non solo per i propri azionisti, ma anche per tutti i soggetti interessati (stakeholder) coinvolti nell'organizzazione. 

Come si può comprendere, la definizione formulata da Freeman rimane comunque particolarmente estesa, perché lascia aperta la questione su cosa rientri nel concetto di stake (in italiano, interesse) ragion per cui ammette, almeno in linea teorica, a qualsiasi soggetto di rientrare all’interno della categoria del concetto stesso.

Nonostante la rilevanza del contributo fornito da Freeman, si sono sviluppati nel corso degli anni ulteriori approcci sulla responsabilità sociale d’impresa basati sulla c.d. natura sociale di impresa.

Gli studi sul "Business Ethics" effettuati da Lorenzo Sacconi costituiscono un importante punto di partenza per gli sviluppi successivi, attraverso l'inclusione di valori etici e morali nelle decisioni adottate dai dirigenti aziendali.

In particolare, Sacconi descrive RSI come «un modello di governance allargata d’impresa, in base alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza di doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder[16]».

In tale ottica, una governance aziendale efficace può essere considerata tale solo se tiene conto dei diritti di tutti gli stakeholder coinvolti.

3. Lo sviluppo sostenibile dall'ambientalismo alla sfera sociale e aziendale: una visione internazionale ed europea

Il principio di sviluppo sostenibile trae origine nell’ambito delle politiche ambientali e, più precisamente, dalla Conferenza di Stoccolma del 1972, la prima ad affrontare i temi ambientali su scala mondiale e a sottolineare la necessità di un equilibrio tra sviluppo economico e ambiente[17].

Nel 1983, a seguito di una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU, fu istituita la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo con l’intento preciso di elaborare un’agenda globale per il cambiamento.

Con la pubblicazione del suo rapporto "Our common future", la Commissione raggiunge finalmente una definizione di sviluppo sostenibile, definendolo come un «processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti (…) siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali».

Più tardi, con la Conferenza di Rio de Janeiro, svoltasi 20 anni esatti dopo quella di Stoccolma, lo sviluppo sostenibile viene interpretato quale concetto integrato capace di coinvolgere, oltre che l’ambiente, anche l’economia e la società[18].

La Convenzione imprime una prima e importante risposta giuridica al tema affermando la necessità di definire finalmente obiettivi e piani d’azione per dar luogo ad uno sviluppo sostenibile.

Sulla base degli orientamenti a livello internazionale, l’Unione Europea inizia a muoversi sul piano giuridico per creare le condizioni favorevoli per favorire una crescita sostenibile ed un comportamento eticamente responsabile da parte delle imprese.

Così, a partire dal Trattato di Maastricht del 1992, tra i propositi dell’Unione rientra quello di «promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile». 

Successivamente con il Trattato di Amsterdam il principio dello sviluppo sostenibile viene ricompreso nell’alveo degli obiettivi dell’Unione, ora non più legato ad una mera politica ambientale, bensì come «fondamento dell’insieme delle politiche e delle azioni comuni».

Fa seguito la pubblicazione dell'opera "Il Libro Verde della Commissione Europea” che ha dato origine alla prima definizione di RSI socialmente condivisa, descrivendola come una «integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate».

In questo nuovo contesto normativo, si inserisce quindi il Preambolo del TUE del 2007, in cui si afferma all’art. 2 che «la Comunità Europea promuoverà uno sviluppo sostenibile, armonioso ed equilibrato delle attività economiche, un alto livello di occupazione e della sicurezza sociale (…) una crescita economica sostenibile e non inflattiva (…) la crescita degli standard e della qualità della vita, la solidarietà e la coesione sociale ed economica tra gli Stati membri».

Il documento ora esaminato rappresenta pertanto un insieme di indicazioni di più ampia portata, andando ben oltre alla preservazione della natura dal degrado ambientale.

Infatti, con l’Agenda 2030, il concetto di sviluppo sostenibile si espande, non coinvolgendo più la sola sfera ambientale. ma anche quella sociale.

In questo scenario, lo sviluppo sostenibile prende oggi in considerazione una serie di nuovi fattori fra cui quelli a carattere ambientale, sociale e delle buone prassi di governance aziendale (ESG), veri anelli di congiunzione tra gli interessi degli azionisti e degli stakeholder.

3.1 La finanza sostenibile: una triplice dimensione dell'attività imprenditoriale

Una prima definizione di finanza sostenibile è stata offerta per la prima volta dalla Commissione europea, ritenendola come un «processo che tiene in debita considerazione, nell’adozione delle decisioni di investimento, i fattori ambientali e sociali, per ottenere maggiori investimenti in attività sostenibili e a lungo termine»[19].

La finanza sostenibile non riguarda solo gli investimenti in settori legati all'ambiente, ma si estende anche ad altri ambiti come l'inclusione sociale, la tutela dei diritti umani, la lotta alla corruzione e la promozione della trasparenza e della responsabilità d'impresa. 

In quest’ottica, la sustainable finance opera un superamento della logica tradizionale neoclassica, basata quest’ultima sul solo valore economico botton line, orientando il proprio focus su una triplice dimensione dell’attività imprenditoriale c.d. triple bottom line[20].

Quest’ultimo richiede alle imprese di adottare sistemi di rendicontazione complementari al bilancio d’esercizio, come ad esempio il bilancio sociale o il reporting ESG (environmental, social and governance), in modo da monitorare e comunicare in modo trasparente le proprie performance non solo in termini economici, ma anche sociali e ambientali.

Così, accanto alla contabilità tradizionale si affianca quella sostenibile utile per gestire e controllare i vari impatti sociali ed ambientali. 

Come corollario, le imprese oggi sono incoraggiate ad adottare strategie che guardano anche verso le dinamiche ambientali, sociali e di governance (ESG), come il rispetto dei diritti dei lavoratori e della comunità di riferimento, dell’ambiente e della qualità della vita delle generazioni presenti e future, c.d. di green economy

Nonostante l'aumento dell'attenzione sulla dimensione ambientale dell'attività imprenditoriale, il concetto di finanza sostenibile è ancora oggetto di critiche.

Al fine di promuovere la sostenibilità finanziaria, l'Unione Europea ha adottato una vasta gamma di misure normative, in continua evoluzione, di cui ora se ne darà conto al lettore.

4. Il quadro normativo europeo sulla finanza sostenibile

Il legislatore europeo è intervenuto nel settore della finanza sostenibile con il chiaro intento di orientare gli operatori finanziari verso una maggiore attenzione ai rischi di sostenibilità nell'ambito delle proprie decisioni di investimento.

Tale intervento mira a promuovere una maggiore trasparenza nei confronti dei clienti finali, consentendo loro di comprendere meglio l'impatto ambientale e sociale degli investimenti effettuati. 

In questo modo, l'Unione Europea intende promuovere una cultura di investimento più responsabile e sostenibile, in linea con gli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Tale regolamentazione in materia mira, quindi, a promuovere una maggiore consapevolezza dei rischi di sostenibilità associati agli investimenti e a fornire agli operatori finanziari gli strumenti necessari per integrare tali rischi nelle proprie decisioni di investimento.

L’attuale quadro giuridico comunitario sulla finanza sostenibile si compone di diverse iniziative e atti legislativi, tra cui il "The Sustainable Finance Action Plan", una strategia adottata dalla Commissione Europea con l'obiettivo di integrare i fattori ESG nelle politiche finanziarie dell'Unione europea, al fine di favorire una crescita più sostenibile ed inclusiva.

La Commissione ha poi adottato "The Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy", un insieme di misure volte ad orientare i capitali finanziari verso attività sostenibili, e, successivamente, "The European Green Bond Standard", una proposta di regolamento per le obbligazioni verdi finalizzata ad attrarre investitori privati in progetti ad elevato valore ambientale. 

In ultimo,” The Delegated Act supplementing Article 8 of the Taxonomy Regulation" mira invece a migliorare la qualità e l'affidabilità delle comunicazioni non finanziarie, con conseguente riduzione degli oneri amministrativi per le imprese nel campo della rendicontazione.

I regolamenti così elencati, insieme alle direttive 2014/65/UE e 2016/97/UE, costituiscono l’attuale impianto europeo sulla sostenibilità finanziaria[21].

4.1 Il piano d'azione per la finanza sostenibile: verso un'Europa più green e trasparente

Un primo importante passo verso una sostenibilità finanziaria in ambito europeo è sicuramente  rappresentato dall’adozione del “Sustainable Finance Action Plan”, una strategia promossa dalla Commissione Europea per integrare i principi ESG nelle sue politiche finanziarie e per promuovere finanziamenti per una crescita più sostenibile[22]

Il Piano, presentato l’8 marzo 2018 dalla Commissione Europea a seguito dell'Accordo di Parigi e dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è stato ideato in conformità con le raccomandazioni formulate dall’ "High-Level Expert Group on Sustainable Finance", un gruppo di esperti di finanza sostenibile nominato alla fine del 2016. 

Obiettivo principale del Piano è di implementare politiche specifiche volte a gestire i rischi finanziari derivanti dal cambiamento climatico e dalle calamità naturali.

In termini generali, il Piano tende dunque a stimolare una maggior trasparenza e una visione a lungo termine delle attività economiche e finanziarie[23]

Le dieci azioni principali delineate nel Piano[24] sono supportate da ulteriori tre proposte legislative volte a coordinare gli sforzi sulle iniziative di finanza ecosostenibile, tra cui il Regolamento "Tassonomia"[25], il Regolamento "Disclosure"[26] e il Regolamento "Benchmark"[27].

Tali interventi propongono di fornire ai mercati finanziari e alle aziende uno standard comune per identificare le attività ecosostenibili e promuovere la trasparenza sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. 

Il Piano d'azione ora in esame si inserisce nell'ambito della strategia quadro del "Green Deal Europeo" e del "NextGenerationUE", due strumenti finanziari dell'Unione Europea volti a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e sostenere la ripresa economica degli Stati Membri colpiti dalle recenti ondate pandemiche[28].

Dall'analisi puntuale dell'Action Plan emerge chiaramente come la Commissione Europea abbia adottato un approccio cauto nella realizzazione degli obiettivi prefissati.

Tale condotta è stata motivata dalla consapevolezza della complessità e dell'elevato livello di specializzazione tecnica che caratterizza l'elaborazione di un sistema di classificazione di tale portata.

Lo scopo precipuo è quindi stato quello di garantire una corretta applicazione del sistema da parte di tutte le figure coinvolte, nonché di fare del Regolamento Tassonomia il fulcro centrale di tale processo di riferimento[29]

Ratio del piano riguarda, quindi, la creazione di un linguaggio comune standardizzato a livello comunitario, tramite l'adozione di criteri di misurazione uniformi, al fine di agevolare una facile comparazione settoriale e di garantire confronti omogenei tra aziende. 

La recente legislazione dell'Unione Europea pare, dunque, essere apprezzabile in quanto costituisce un importante primo passo verso lo sviluppo di una classificazione armonizzata e condivisa delle attività economiche e sostenibili.

Questo contribuirà certamente ad aumentare la trasparenza e a facilitare la comparabilità dei prodotti finanziari sotto la lente della sostenibilità, impedendo l'adozione di pratiche fraudolente (notoriamente note come "greenwashing") e consolidando il necessario livello di trasparenza per l'intero mercato.

4.2 La strategia della Commissione Europea per finanziare la transizione verso un'economia sostenibile

Nel 2021, la Commissione Europea ha divulgato una serie di documenti inerenti ad una campagna strategica al fine di stabilire le priorità legislative e non legislative a livello comunitario[30].

Motivo principale di tale intervento è quello di stimolare un maggior impiego di fondi in attività sostenibili e di ridefinire il quadro finanziario europeo. 

Tra i documenti presentati, spiccano la nuova strategia per finanziare la transizione verso un'economia sostenibile (The Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy), la proposta di regolamento per le obbligazioni verdi ("The European Green Bond Standard") e l'approvazione dell'atto delegato che integra l'articolo 8 del regolamento sulla Tassonomia ("The Delegated Act Supplementing Article 8 of the Taxonomy Regulation”).

Ora, merita particolare attenzione la prima delle strategie adottate dalla Commissione Europea, in quanto si tratta della più incisiva nel quadro della sostenibilità finanziaria rispetto alle altre.

Infatti “The Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy” individua quattro aree principali di intervento, affinché il sistema finanziario possa realmente sostenere la transizione dell’economia verso la sostenibilità finanziaria. 

Anzitutto, come prima area di intervento, la Commissione Europea mira ad ampliare il quadro tassonomico dell'Unione Europea in nuovi settori al fine di incentivare l'impiego di nuovi capitali in attività che presentano un grande margine di miglioramento nel campo della sostenibilità, avvalendosi altresì del supporto del Regolamento "Climate Delegate Act" e dell’”EU Taxonomy Compass".

La strategia in tale settore intende dunque chiarire la classificazione (e la distinzione) delle attività economiche che possono favorire azioni di mitigazione e di adattamento in risposta ai cambiamenti climatici senza arrecare significativi danni alla sostenibilità ambientale (ex. art. 2, punto 5-6, del Regolamento “Climate Delegate Act”)[31].

Obiettivo successivo è quello di coinvolgere maggiormente il mondo degli individui e delle piccole e medie imprese nell'universo della finanza sostenibile tramite un miglior utilizzo delle tecnologie digitali[32].

Inoltre, la strategia propone di migliorare la resilienza del sistema economico e finanziario sui rischi di sostenibilità, attraverso un approccio globale a doppia rilevanza, ovvero tramite una integrazione sistematica dei rischi per la sostenibilità rilevanti sotto il profilo economico-finanziario e degli impatti sulla sostenibilità nei processi decisionali di investimento.

A tal fine, la Commissione prevede di rafforzare la cooperazione tra enti come l'ESMA, l'EFRAG e l'IASB per cogliere al meglio i rischi rilevanti per la sostenibilità tramite l’uso dei principi di informativa finanziaria[33].

Infine, ultima area di intervento riguarda la promozione del dibattito sulle nuove iniziative e sulle potenzialità in ambito ESG nei forum internazionali e, soprattutto, nel dialogo tra i paesi appartenenti all’Unione Europea[34]

4.3 La proposta di regolamento sulle obbligazioni verdi

Con l’intento di promuovere gli investimenti sostenibili e la transizione verso un'economia a zero emissioni, la Commissione Europea ha elaborato una proposta di regolamento sulle obbligazioni verdi, ovvero strumenti di finanza etica, analoghi alle obbligazioni tradizionali, i cui proventi vengono impiegati esclusivamente per finanziare o rifinanziare, in tutto o in parte, nuovi e/o preesistenti progetti a impatto ambientale (come ad esempio l’energia rinnovabile , lo smaltimento di rifiuti o la riforestazione)[35].

Noto come "The European Green Bond Standard - EU GBS”, questo regolamento introdurrà uno standard rigoroso al quale tutti gli emittenti, sia pubblici che privati, compresi coloro che sono collocati al di fuori dell’Unione Europea, potranno aderire volontariamente.

La proposta elaborata dalla Commissione Europea si basa sulle raccomandazioni del gruppo di esperti tecnici sulla finanza sostenibile (TEG) e si inserisce nell'Action Plan e nell'European Green Deal Investment Plan del 14 Gennaio 2020.

L'obiettivo è rendere gli investimenti più sicuri e attrarre gli investitori privati in progetti ad alto valore ambientale, certificando l'allineamento dell'utilizzo dei proventi dell'obbligazione ecosostenibile ai requisiti della Tassonomia dell'Unione Europea, e proteggendo gli investitori dal fenomeno del greenwashing.

La proposta di regolamento sui green bond europei segue le attuali best-pratcties di mercato in materia di trasparenza ed esame (pre- e post-emissione) di tali informazioni da parte di revisori esterni.

Questi ultimi sono infatti registrati e vigilati presso l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)[36].

In sintesi, la proposta di regolamento sull'emissione di obbligazioni verdi prevede quattro requisiti chiave.

In primo luogo, tutti i proventi dell'emissione delle obbligazioni verdi devono essere interamente destinati a finanziare progetti in linea con la Tassonomia dell'Unione Europea[37].

In secondo luogo, deve essere garantita piena trasparenza sulla destinazione dei proventi attraverso la pubblicazione di una scheda informativa sottoposta a controllo pre-emissione da parte di un revisore esterno.

In terzo luogo, gli emittenti devono pubblicare relazioni annuali sul proprio sito web per illustrare l'utilizzo dei proventi dell'obbligazione, sottoposte a controllo post-emissione da parte di un revisore esterno[38].

Infine, gli emittenti devono redigere almeno una volta una relazione sull'impatto ambientale dell'utilizzo dei proventi delle obbligazioni[39].

Ove sia necessaria la pubblicazione del Prospetto, ex Regolamento UE 2017/1129, tale documento deve includere le informazioni necessarie per dichiarare che l'obbligazione è emessa conformemente al Regolamento, comprese quelle contenute nella scheda informativa dell'European Green Bond.

In definitiva, la proposta di regolamento in questione pone finalmente ordine alla complessa e frammentata disciplina sulle obbligazioni verdi permettendo, dunque, una maggiore chiarezza e trasparenza agli attori finanziari nel valutare gli impatti ambientali derivanti dai propri investimenti. 

4.4 La nuova normativa europea sulla rendicontazione non finanziaria: obiettivi, strumenti e impatti

Nel Gennaio 2020, è stata avviata la revisione della direttiva 2014/95/UE con il chiaro intento di migliorare la qualità e l'affidabilità delle comunicazioni non finanziarie, nonché di ridurre gli oneri amministrativi a carico delle aziende nell’ambito della rendicontazione.

Tra il febbraio e giugno 2020, è stata condotta un'ampia consultazione pubblica per raccogliere i diversi punti di vista delle parti interessate in merito alla revisione delle disposizioni della direttiva.

A termine della consultazione, è stato adottato, nel 2021, il nuovo regolamento "The Delegated Act supplementing Article 8 of the Taxonomy Regulation” accompagnato dalla proposta di direttiva sulla "Corporate Sustainability Reporting”.

Attraverso un miglioramento del flusso delle informazioni sulle prestazioni ambientali, questi documenti stabiliscono che le imprese finanziarie e non finanziarie devono divulgare tali informazioni tramite l'uso di due nuovi strumenti di rendicontazione: il bilancio di sostenibilità e specifici indicatori chiave di performance (KPI). 

Il reporting di sostenibilità permette la comunicazione di informazioni riguardanti la performance non finanziarie dell'organizzazione a soggetti esterni, sia su base volontaria che in risposta a sollecitazioni o richieste.

In altre parole, il bilancio di sostenibilità rappresenta un importante strumento di comunicazione aziendale che fornisce informazioni non finanziarie sulle performance ambientali, sociali ed economiche dell’azienda[40].

Finalità precipua del reporting aziendale è quindi quella di rendere trasparente e responsabile la gestione aziendale nei confronti degli stakeholder, sia interni che esterni, aumentando la fiducia dei consumatori e migliorando conseguentemente la reputazione aziendale. 

In sostanza, l'obiettivo delle normative europee e nazionali in materia di rendicontazione non finanziaria è quello di incentivare le imprese a divulgare informazioni sui loro impatti sociali e ambientali, promuovendo la sostenibilità e la trasparenza delle attività economiche. 

Attualmente, la rendicontazione delle informazioni non finanziarie è obbligatoria soltanto per le imprese di interesse pubblico di grandi dimensioni che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500.

Al contrario, le piccole e medie imprese sono esentate da tale obbligo e possono adottare la rendicontazione su base volontaria[41].

Tuttavia, in data 21 aprile 2021 la Commissione Europea ha proposto una nuova direttiva, la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), che estende il campo di applicazione della rendicontazione di sostenibilità a tutte le grandi imprese europee, indipendentemente dal fatto di essere quotate in borsa, ad eccezione delle micro-imprese.

Ciò significa che l'obbligo di rendicontazione sarà comunque esteso sempre a un numero maggiore di imprese.

Inoltre, in data 23 febbraio 2022 la Commissione ha emesso una nuova proposta di direttiva, la n°2022/0051, relativa al dovere di diligenza in materia di sostenibilità aziendale (Corporate Sustainability Due Diligence).

Questa proposta mira a promuovere un comportamento sostenibile e responsabile da parte delle imprese di grandi e grandissime dimensioni (oltre 250 e 500 dipendenti, rispettivamente) e le obbligherà a mitigare o ridurre l'impatto negativo delle loro attività sui diritti umani e sull'ambiente.

Quanto agli indicatori chiave di performance (KPI), questi sono stati definiti dall'articolo 8 della Tassonomia e specificati ulteriormente nel nuovo atto delegato.

Essi consentono di garantire una misurazione precisa e uniforme dei progressi dell'azienda in materia di sostenibilità, distinguendo tra imprese finanziarie e non finanziarie.

Nel caso delle imprese finanziarie, l'atto delegato definisce specifici KPI e metodologie di calcolo da utilizzare[42], mentre per le imprese non finanziarie, si richiede una suddivisione dei KPI in base all'attività economica svolta ed alla fornitura di informazioni qualitative per spiegare la modalità di calcolo durante il periodo di riferimento[43].

Pur tuttavia, l’applicazione dell'atto delegato è avvenuta in fasi, con la rendicontazione qualitativa che è entrata in vigore nel 2022, mentre le restanti disposizioni hanno iniziato ad applicarsi dal 1° gennaio 2023, per le imprese non finanziarie, e dal 1° gennaio 2024 per le imprese finanziarie.

In questo modo, la politica europea sulla rendicontazione non finanziaria garantirà, dunque, una vera e propria sostenibilità europea finanziaria, dando così piena attuazione al Regolamento UE/2021/1119 e al dettato di cui agli artt. 9 e 41 della Costituzione.

5. Conclusioni 

Come il lettore può aver notato, la Suistainable Finance ha attraversato un lungo e complesso percorso caratterizzato da rilevanti difficoltà di riconoscimento, il che ha determinato non pochi problemi per quanto riguarda la differenziazione degli strumenti di valutazione delle performance ESG.

Tali difficoltà, infatti, hanno prodotto una notevole confusione e disomogeneità nell'osservazione e/o nella valutazione dei risultati.

Questi problemi sono stati essenzialmente determinati da una cornice normativa in continuo evolversi che ha ampliato la molteplicità di approcci necessari per integrare le informazioni ESG nel processo decisionale finanziario. 

Ad aggravare la situazione, si è aggiunta l'assenza di una tassonomia condivisa sulle attività sostenibili, che ha contribuito allo sviluppo di diverse accezioni per identificare e classificare gli investimenti in green finance.

Rimane comunque apprezzabile il tentativo del legislatore europeo che, almeno negli ultimi anni, è intervenuto attraverso la previsione di una grande mole di testi normativi volti ad orientare il funzionamento del sistema finanziario europeo verso investimenti del capitale privato che risultino maggiormente efficienti ed efficaci, non solo sotto l'aspetto economico e finanziario, ma anche in termini di sostenibilità ambientale. 

A parer di chi scrive, il nuovo quadro normativo dell'Unione Europea sembra pertanto ricevere un giudizio favorevole, poiché rappresenta un importante passo in avanti verso lo sviluppo di una classificazione armonizzata e condivisa delle attività economiche sostenibili.

Infatti, tale sistema di classificazione mira a migliorare la trasparenza e a consentire un confronto più facile tra i prodotti finanziari sulla base di criteri di sostenibilità.

Inoltre, contribuisce a prevenire la diffusione di pratiche scorrette come il greenwashing, fornendo al mercato la necessaria trasparenza.

Concludendo, si può solo sperare che tali normative sui temi ESG e green economy non rimangano delle semplici leggi-manifesto ovvero leggi sulla carta.

Occorre, dunque, una comunità di intenti e un vero processo di armonizzazione dei vari ordinamenti che possa soddisfare finalmente i vari interessi degli attori coinvolti.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Visto il grande volume di contributi dottrinari scritti sul tema, ci si limita a segnalare quelli di M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dellambiente, Torino, 2007, 61 ss; R. FERRARA, La tutela dell'ambiente, Torino, 2006, 10 ss; M. POLITI, Tutela dellambiente e «sviluppo sostenibile». Profili e prospettive di evoluzione nel diritto internazionale alla luce della Conferenza di Rio de Janeiro, in Scritti in memoria di P. Barile, Padova, 1995, 464 ss; D. PORENA, La protezione dell'ambiente tra Costituzione italiana e Costituzione globale, Torino, 2009,  90 ss.

[2] Tesi sostenuta in particolare da E. FRUMENTO, Lo stato ambientale e le generazioni future: per una tutela del diritto fondamentale dellambiente, in www.ambientediritto.it.

[3] Cfr. D. JAMALI, A Stakeholder Approach to Corporate Social Responsibility: A Fresh Perspective into Theory and Practice, Journal of Business Ethics, 2008. 

[4] Il mancato riferimento ad una corporate social responsability è certamente giustificato dalle tipologie aziendali presenti all’epoca.

[5] Secondo dottrina maggioritaria, scritti validi da un punto di vista scientifico sull’argomento possono essere attributi già ad autori come Barnard con “The Functions of the Executive” (1938), a Clarks, “Social Control of Business” (1939), e a Kreps con l’uscita del suo volume dal titolo “Measurement of the Social Performance of Business” (1940).

[6] Secondo quanto affermato da A.B. CARROLL, Corporate Social Responsibility: Evolution of a Definitional Construct, Business & Society, 38, 1999, Bowen sarebbe da considerare “The Father of Corporate Social Responsibility”.

[7] H. R. BOWEN, Social Responsibilities of the Businessman, University of Iowa Press, 1953,6. 

[8] Secondo Bowen infatti ci si deve riferire: «agli obblighi dei uomini d'affari di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni o di seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in termini degli obiettivi e dei valori della nostra società».

[9] K. DAVIS, The case For and Against business assumption of social responsibilityAcademy of Management Journal 16, 1973, 312-322.

[10] W. C. FREDERICK, The growing concern over business responsibility”, California Management Review, 1960, 54–61.

[11] Cfr. M. MCGUIRE, Business and society, McGraw-Hill Book Company, 1963, 143-145.

[12] Cfr. R. ELLS, C. WALTON, Conceptual Foundations of Business, Homewood,1961. 

[13] Il concetto di CSR è stato ulteriormente ampliato da importanti autori italiani come Pietro Onida, Carlo Masini e Aldo Amaduzzi.

Questi autori hanno sviluppato ulteriori riflessioni su specifiche tematiche riconducibili alla CSR.

Ad esempio, Pietro Onida ha sottolineato l'importanza della responsabilità sociale delle imprese nel contesto della globalizzazione e della sostenibilità ambientale.

Carlo Masini ha, invece, focalizzato la sua attenzione sull'etica degli affari, sostenendo l'importanza dell'integrità e della trasparenza nella gestione delle imprese.

Aldo Amaduzzi ha evidenziato l'importanza della collaborazione tra imprese, istituzioni e società civile per la promozione della CSR.

In generale, questi autori hanno contribuito a sviluppare una visione più ampia e articolata della CSR, mettendo in evidenza l'importanza di un approccio sistemico e integrato alla gestione aziendale sostenibile.

[14] Cfr. E. FREEMAN, Strategic management: A stakeholder approach, Boston, 1984, 46.

[15] I soggetti coinvolti nella creazione di ricchezza sono molteplici e hanno esigenze diverse che devono essere soddisfatte in modo equo.

Questi soggetti includono i dipendenti, i fornitori, i clienti, i finanziatori e la collettività.

Ognuno di questi soggetti ha un ruolo importante nella creazione di ricchezza e deve essere considerato in modo equo e adeguato.

I dipendenti sono fondamentali per la produzione e la fornitura di beni e servizi, mentre i fornitori reperiscono le materie prime e le risorse necessarie per la produzione.

I clienti sono l'obiettivo finale della produzione, e quindi devono essere soddisfatti per garantire il successo dell'attività.

I finanziatori forniscono il capitale necessario per l'attività e hanno bisogno di un ritorno adeguato sul loro investimento.

Infine, la collettività in cui l'attività opera ha esigenze di ordine pubblico, ambientale e sociale che devono essere considerate.

In sintesi, la creazione di ricchezza deve essere gestita in modo equo e sostenibile per garantire il successo dell'attività a lungo termine.

[16] In questi termini L. SACCONI, Problemi, teorie e applicazioni della Csr, Banca editrice, 2005, 28.

[17] Dopo il convegno, è stata pubblicata una relazione che ha proclamato la necessità di trovare un equilibrio tra lo sviluppo economico e la tutela dell'ambiente.

La relazione ha stabilito 28 principi chiave volti a preservare l'ambiente e ridurre la povertà, riconoscendo che questi obiettivi sono strettamente collegati.

Inoltre, sono state formulate 109 raccomandazioni, tra cui quelle socio-economiche, politiche ed educative, per una gestione ambientale di qualità.

Il piano d'azione ha sottolineato l'importanza della partecipazione e della cooperazione tra i vari attori, tra cui i governi, il settore privato e la società civile, per raggiungere gli obiettivi stabiliti.

L'implementazione di tali raccomandazioni avrebbe contribuito ad una gestione ambientale più sostenibile e ad una migliore qualità della vita per le persone.

[18] Sul carattere interdisciplinare dello sviluppo sostenibile si vedano M. CICIRIELLO, Dal principio del patrimonio comune al concetto di sviluppo sostenibile, AA.VV., LONU: cinquantanni di attività e prospettive per il futuro, Atti dei Convegni organizzati dalla SIOI in occasione della celebrazione del 50° anniversario dellONU, Roma, 1996, 265 ss. 

[19] COM(2018) 97 FINAL, Action Plan: Financing Sustainable Growth,  2.

[20] Il principio del Triple Bottom Line (TBL), anche noto come PPP (Planet, People, Profit), è stato coniato dal sociologo ed economista inglese John Elkington nel 1997.

Secondo questo concetto, le imprese non dovrebbero concentrarsi solo sulla generazione di profitti, ma anche sulla promozione di politiche volte a migliorare le condizioni ambientali e sociali.

Tale concetto ha portato alla diffusione dell'idea di una rendicontazione non solo economica, ma anche sociale e ambientale attraverso la creazione di un bilancio di sostenibilità.

In questo modo, le aziende possono comunicare i risultati delle proprie attività non solo in termini finanziari, ma anche in termini di impatto sociale e ambientale.

Questo approccio a triplice risultato è diventato sempre più rilevante negli ultimi anni, in cui la sostenibilità e la responsabilità sociale sono diventate priorità fondamentali per molte organizzazioni.

Sul tema, v. J. ELKINGTON, Cannibals with Forks: The Triple Bottom Line on the 21th Century Business, New Society Publishers, 1998. 

[21] I regolamenti rappresentano uno strumento giuridico altamente centralizzante nell'ambito dell'Unione Europea, utilizzato per garantire l'uniformità normativa in ogni ambito in cui essa risulti necessaria.

Una delle principali peculiarità dei regolamenti è la loro diretta applicabilità, ossia il fatto che, a partire dalla data di entrata in vigore, questi si pongono come leggi immediate nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri nazionali, senza richiedere alcun ulteriore passaggio di recepimento.

Di conseguenza, gli Stati membri non possono adottare leggi nazionali che implementino un regolamento, a meno che quest'ultimo non lo consenta esplicitamente.

Alla luce di tali considerazioni, è possibile affermare che, in quanto regolamento, la tassonomia dell'Unione Europea costituisce un atto giuridico immediatamente applicabile come legge in tutti gli Stati membri dell'Unione Europea.

[22] Per una maggiore disamina si rimanda a C. KEMFERT, S. SCHMALZ, Sustainable Finance: Political Challenges of Development and Implementation of Framework Conditions, Green Finance, AIMS Press, Springfield, MO, Vol. 1, Iss. 3, 237-248.

[23] Ibidem.

[24] L'Action Plan prevede una serie di azioni principali volte a promuovere la sostenibilità finanziaria, tra cui l'istituzione di un sistema di classificazione dell'Unione Europea per le attività sostenibili, la creazione di norme ed etichette per i prodotti finanziari verdi, la promozione degli investimenti in progetti sostenibili, l'incorporazione della sostenibilità nella fornitura di consulenza finanziaria, lo sviluppo di parametri di riferimento di sostenibilità e una migliore integrazione della sostenibilità nei rating e nelle ricerche di mercato.

Inoltre, si intende chiarire i doveri degli investitori istituzionali e dei gestori di attività, integrare la sostenibilità nei requisiti prudenziali, rafforzare l'informativa sulla sostenibilità e l'elaborazione delle norme contabili e promuovere un governo societario sostenibile, cercando di attenuare il breve termine nei mercati dei capitali.

[25] Regolamento n. 2020/852, recante modifica del regolamento 2019/2088.

[26] Regolamento n. 2019/2088.

[27] Il Regolamento “Benchmark” 2019/2089 ha introdotto un quadro normativo che comprende la creazione di due nuovi indici di riferimento, l’EU Climate Transition Benchmark e l’EU Paris-Aligned Benchmark, al fine di garantire l’armonizzazione e l’adesione all’obiettivo di mitigare i cambiamenti climatici.

Inoltre, il regolamento richiede la pubblicazione dei requisiti minimi di informativa ambientale, sociale e di governance applicabili a tutti i benchmark di investimento, al fine di valutare come l'indice di riferimento contribuisca agli obiettivi ambientali e consentire ai gestori di attività di scegliere l'indice di riferimento più adatto alla loro strategia di investimento.

Queste modifiche sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea nel dicembre 2019 per aumentare la comparabilità tra i benchmark, fornire uno strumento per supportare le strategie di investimento incentrate sul clima, aumentare la trasparenza rispetto agli impatti degli investimenti e disincentivare il greenwashing.

[28] L'Unione Europea ha adottato un pacchetto di misure ambiziose volte a ridurre le emissioni nette di gas ad effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, con l'obiettivo di raggiungere l'emissione zero entro il 2050.

[29] D. CLARINGBOULD, M. KOCH,  P. OWEN, Sustainable finance: the European Unions approach to increasing sustainable investments and growth – opportunities and challengesVierteljahrshefte zur Wirtschaftsforschung, ISSN 1861-1559, Duncker & Humblot, Berlin, Vol. 88, Iss. 2, 11-27.

[30] Si rimanda il lettore al Comunicato stampa della Commissione Europea del 21 aprile 2021, “Finanza sostenibile e tassonomia UE: nuove iniziative della Commissione per dirigere i capitali verso attività sostenibili”.

[31] La mitigazione si riferisce al processo di stabilizzazione delle concentrazioni di gas ad effetto serra nell'atmosfera attraverso la riduzione o l'eliminazione delle emissioni.

L'obiettivo è mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C e continuare gli sforzi per limitarlo a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito dall'Accordo di Parigi.

Al contrario, l’adattamento si riferisce all'insieme di azioni finalizzate a contrastare e mitigare gli effetti avversi del cambiamento climatico e adottare misure adeguate per prevenire o ridurre al minimo i danni ad esso correlati. In altre parole, l'adattamento comprende il processo di adeguamento del sistema ecologico, sociale ed economico alle condizioni climatiche attuali e future ed ai suoi impatti.

[32] La Commissione ha pianificato di facilitare l'utilizzo di prestiti e mutui ipotecari a impatto ambientale positivo entro il 2022 e di aumentare l'accesso dei cittadini e delle piccole e medie imprese ai servizi di consulenza sulla finanza sostenibile.

I prestiti verdi possono essere utilizzati per aiutare le famiglie e le PMI a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici o a passare a veicoli a zero emissioni, contribuendo così ad aumentare l'efficienza energetica ed a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.

Inoltre, si procederà verso l’implementazione dell’european single access point (ESAP), che consiste in una soluzione digitale con l'obiettivo di semplificare la gestione e l'accesso alle informazioni sull'informativa societaria.

Questa piattaforma online comune mira a centralizzare tutti i documenti in un formato standardizzato e facilmente consultabile, contribuendo a migliorare l'efficienza e la trasparenza delle attività aziendali.

Grazie a ESAP, i soggetti interessati potranno accedere in modo rapido e completo alle informazioni societarie, il che porterà a una maggiore fiducia nel mercato finanziario e contribuirà ad una migliore gestione del rischio.

[33] L’ESMA, ovvero l'autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, è un'agenzia europea il cui obiettivo principale è quello di preservare la stabilità del sistema finanziario dell'Unione Europea.

A tal fine, l'ESMA si occupa di rafforzare la tutela degli investitori e di promuovere mercati finanziari stabili ed ordinati.

L'agenzia contribuisce anche alla definizione di norme e regolamenti finanziari a livello europeo, in particolare per quanto riguarda la supervisione delle società di gestione degli investimenti, degli intermediari finanziari e dei mercati finanziari.

Inoltre, l'ESMA svolge un ruolo importante nella valutazione dei rischi emergenti e nella promozione della trasparenza e dell'efficienza dei mercati finanziari dell’Unione Europea.

L'EFRAG, ovvero l'european financial reporting advisory group, è un organismo di advisory della Commissione Europea specializzato nel campo del reporting aziendale.

La principale funzione dell'EFRAG è quella di fornire consulenza tecnica alla Commissione Europea sui principi contabili internazionali e sulle politiche finanziarie dell'Unione Europea.

In più, l'EFRAG contribuisce al processo di omologazione dei principi di contabilità e promuove l'armonizzazione delle normative contabili a livello europeo.

Inoltre, l'organismo si occupa anche di promuovere la partecipazione dei soggetti interessati al processo decisionale relativo alle normative finanziarie dell’Unione Europea.

Lo IASB, ovvero l'international accounting standards board, è un organismo indipendente che si occupa della stesura dei principi contabili internazionali IFRS (international financial reporting standards) e della convergenza dei vari principi contabili nazionali diffusi nel mondo.

L'obiettivo principale dello IASB è quello di sviluppare norme contabili di alta qualità e di promuovere l'armonizzazione delle normative contabili a livello internazionale.

Le norme IFRS sono utilizzate in molti Paesi del mondo e sono considerate un importante strumento per aumentare la trasparenza e la comparabilità delle informazioni finanziarie delle imprese.

Lo IASB collabora anche con altri organi internazionali, come l'Organizzazione Internazionale delle Commissioni di Valore (IOSCO) e l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), per promuovere l'armonizzazione delle normative contabili a livello globale.

[34] Si pensi in questo caso alla Fondazione IFRS ovvero alla Piattaforma internazionale IPS.

In particolare, La Fondazione IFRS, acronimo che sta per International Financial Reporting Standards Foundation, è un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che si occupa della governance e della supervisione del lavoro svolto dall'IASB, l'organismo indipendente che sviluppa i principi contabili internazionali IFRS.

La Fondazione IFRS svolge diverse attività tra cui la nomina dei membri dell'IASB, la definizione della strategia dell'organismo e la definizione del suo budget.

Inoltre, la Fondazione IFRS collabora con altre organizzazioni internazionali, come l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e l'Organizzazione Internazionale delle Commissioni di Valore (IOSCO), per promuovere l'armonizzazione delle normative contabili a livello globale e la diffusione dei principi contabili IFRS in tutto il mondo. 

[35] Le obbligazioni verdi, anche note come green bond, rappresentano uno strumento finanziario relativamente recente, la cui diffusione è cresciuta a partire dal 2007.

Tale crescita è proseguita in modo costante negli ultimi anni, grazie all'entrata nel mercato delle grandi aziende provenienti dai paesi emergenti e alla sempre crescente attenzione delle istituzioni nei confronti della sostenibilità ambientale.

Tuttavia, ad oggi, non esiste uno standard internazionale riconosciuto per la certificazione dei green bond, ma esistono delle linee guida elaborate dall'International Capital Market Association (ICMA).

Si veda la relazione pubblicata dal TEG (Technical Expert Group) il 18 Giungo 2019.

[36] Ex artt. 4-17 del presente Regolamento.

[37] A tal proposito, si veda l’articolo 3 del regolamento sulla Tassonomia dell’UE.

[38] Ex. Art 13 del Regolamento.

[39] Così come stabilito all’art. 10 COM/2021/391 – Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle obbligazioni verdi europee.

[40] Per un approfondimento della materia, si rimanda il lettore ai contenuti pubblicati sul sito https://www.c4sv.it.

[41] Cfr. M. CISI, F. SANSALVADORE, Dal bilancio ESG al report di sostenibilità tra compliance e forward looking, in Bilancio e Revisione, Fasc. n.11/2021.

[42] In particolare, le imprese finanziarie hanno specifici KPI da utilizzare, come il GAR (Green Asset Ratio), che indica la percentuale di finanziamenti a istituzioni ecosostenibili secondo la tassonomia dell'Unione Europea.

Le imprese di investimento, di assicurazione e di riassicurazione devono, invece, comunicare specifici KPI relativi ai propri servizi di investimento e alle attività di sottoscrizione, in relazione all'allineamento tassonomico degli stessi.

[43] Infine, seguendo il parere dell'ESMA, l’Atto Delegato richiede che ciascuno dei tre indicatori chiave di prestazione sia presentato sulla base di un modello standardizzato.