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Pubbl. Sab, 17 Dic 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio di Diritto penale dell´economia: Settembre/Ottobre 2022

Gaia Gandolfi



Osservatorio bimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte di cassazione in tema di Diritto penale dell’economia. Periodo Settembre-Ottobre 2022


Sommario: Parte I: Sentenze in primo piano. 1) Infortuni sul lavoro – Sulla responsabilità del costruttore in caso di infortunio occorso al lavoratore; 2) Illeciti tributari – Non basta l’atto dispositivo per concretizzare la sottrazione fraudolenta; 3) Illeciti fallimentari – La Cassazione mostra aperture rispetto all’irrilevanza delle opera-zioni di c.d. “cash pooling” all’interno del gruppo societario. Parte II: Altre pronunce in rassegna.

Sommario: Parte I: Sentenze in primo piano. 1) Infortuni sul lavoro – Sulla responsabilità del costruttore in caso di infortunio occorso al lavoratore; 2) Illeciti tributari – Non basta l’atto dispositivo per concretizzare la sottrazione fraudolenta; 3) Illeciti fallimentari – La Cassazione mostra aperture rispetto all’irrilevanza delle opera-zioni di c.d. “cash pooling” all’interno del gruppo societario. Parte II: Altre pronunce in rassegna.

SENTENZE IN PRIMO PIANO

1) Infortuni sul lavoro – Sulla responsabilità del costruttore in caso di infortunio occorso al lavoratore

Cassazione, Sez. IV, 8 marzo 2022, dep. 13 settembre 2022, n. 33548 – Pres. Ciampi – Rel. Dovere – P.M. Costantini (diff.) – Ric. C.F. e alt. – (rif. art. 23 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 590 c.p.)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

1. (omissis) la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 15 novembre 2018, con cui C.F. e C.G. erano stati condannati alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, C.P. alla pena di mesi due e giorni quindici di reclusione, tutti coi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, in relazione al reato di cui agli artt. 113, 590, commi primo, secondo e terzo, c.p. in relazione all’art. 583, comma 1, nn. 1), e secondo, c.p., perché, in cooperazione colposa tra loro (e con B.A.H. giudicato separatamente), il C., quale presidente del consiglio di amministrazione e consigliere ed amministratore delegato, e, quindi, datori di lavoro della società (omissis) S.p.A., avente ad oggetto la fabbricazione di altri articoli in materie plastiche, il C., quale dirigente della (omissis), munito di delega in materia di sicurezza e igiene sul lavoro conferita il 31 ottobre 2001 e il C., quale legale rappresentante della società (omissis) S.p.A., fabbricante della macchina denominata “Linea di estrusione 1”, avente matricola n. 926, e recante marcatura CE, per colpa generica per inosservanza di leggi, regolamenti e discipline e, segnatamente:

1) omissis;

2) omissis

3) il C. in violazione dell’art. 23 d.lgs. n. 81 del 2008, in quanto fabbricava attrezzature da lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, cagionavano a G.A. dipendente della (omissis) S.r.l. con mansioni di operaio aiuto estrusionista, in servizio a decorrere dal maggio 2013 presso la (omissis) - lesioni personali consistite in “amputazione con sguantamento III, IV e V dito mano sinistra”, dalle quali derivava uno stato di malattia per un tempo superiore ai 40 giorni, segnatamente giorni 402, nonché l’indebolimento permanente di un organo in quanto il lavoratore, intento ad effettuare la sostituzione di un rotolo di tessuto ormai esaurito con un nuovo rotolo in ingresso alla linea di estrusione 1 - zona calandra - nell'atto di inserire il capo della bobina di tessuto, rimaneva pizzicato con la mano sinistra indossante il guanto di protezione dal calore tra i cilindri della calandra.

Con le aggravanti di avere cagionato una lesione personale grave e di avere commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro - in (omissis), in data (omissis).

1.1. Il Tribunale ricavava l’affermazione di responsabilità in base ai seguenti elementi di prova:

A) omissis.

B) L’accertata non conformità del macchinario adoperato dal lavoratore infortunato al momento del fatto, che era stato poi oggetto di prescrizioni ex d.lgs. n. 19 settembre 1994, n. 758 puntualmente ottemperate dalla (omissis).

C) omissis.

D) L’accertato erroneo utilizzo del macchinario in quanto impiegato per attività diverse da quelle previste dal suo costruttore, il quale aveva previsto che l’incorsamento del tessuto avvenisse con un telo (che avrebbe trainato la pasta plastica) in un punto diverso della linea a macchina ferma, evitando il rischio di intrappolamento degli arti nella calandra (presso la quale non era prevista la presenza di operatori).

E) Sussistenza del nesso causale tra la condizione del macchinario e le sue modalità di utilizzo e l’evento verificatosi (omissis).

F) omissis.

G) omissis.

H) La responsabilità del C., legale rappresentante della società costruttrice del macchinario - (omissis) S.p.A. - cui il lavoratore era intento al momento dell'infortunio - ossia la calandra di cui sopra - rivelatosi ex post inadeguato da un punto di vista delle precauzioni antinfortunistiche - è stata riconosciuta perché, sebbene tale macchinario fosse stato modificato per adeguarlo alle esigenze produttive della (omissis), non era stato provato che l’(omissis) non fosse a conoscenza delle modifiche all’impianto e della possibilità di utilizzare una filiera di lunghezza inferiore ai due metri (omissis). 

1.2. La Corte di appello ha confermato la pronunzia di condanna emessa nei confronti dei tre imputati.

(omissis).

Quanto alla posizione del C., in base al quadro probatorio, la Corte di merito ha ricavato la conoscenza dell’avvenuta modifica del macchinario mediante collocazione di un inappropriato estrusore (di dimensioni diverse da quello originale progettato dalla omissis) che presentava componenti in movimento non protette da contatto, anche accidentale, tra l’operatore e gli ingranaggi (omissis).

2. Gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.

3. omissis

4. omissis

5. Il C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sette motivi di impugnazione.

5.1. Violazione degli artt. 2, lett. I), Direttiva Macchine 2006/42/CE e 23 d.lgs. n. 81 del 2008, in relazione alla definizione di fabbricante.

Si osserva che il C. risponde in qualità di fabbricante della sola calandra e non della più complessa macchina denominata “Linea di estrusione 1” (come erroneamente ancora riportato in sentenza), sulla quale era occorso l’infortunio. Le modifiche apportate dalla (omissis) alla linea di estrusione per la quale la (omissis) aveva progettato, prodotto e certificato la propria calandra, l’avevano resa differente da quella per la quale la (omissis) aveva progettato e venduto la propria calandra. Le caratteristiche di conformità CE della calandra presenti al momento della vendita erano venute meno a causa delle modifiche apportate dalla (omissis). L’aggiunta del trasco, componente sconosciuto alla (omissis) e installato autonomamente dalla (omissis) sulla linea di produzione nonché la decisione della società acquirente di montare una testa di estrusione di dimensioni ridotte rispetto a quella inserita nelle specifiche date alla (omissis), avevano sostanzialmente modificato il macchinario originario.

5.2. Travisamento della prova (documento “Offerta n. 12.09.286-1/ZZ - Linea Calandratura Lastra WPC”).

Si rileva che non era condivisibile il passaggio in cui la Corte di appello (salvo poi fornire tutt’altra motivazione) ha tentato di affermare che il C. sapesse delle modifiche che la (omissis) voleva apportare alla “Linea di estrusione 1” (omissis).

5.3. Violazione degli artt. 23,87 e 72 d.lgs. n. 81 del 2008 in relazione alle condotte doverose del venditore.

Si deduce che la motivazione della sentenza di appello è fondata sull’errato presupposto della conoscenza da parte dell’(omissis) delle modifiche apportate. La verifica circa la sussistenza o meno dei requisiti di sicurezza e, conseguentemente, la certificazione vanno rapportati al momento della consegna a chi acquisti. Se, in un momento successivo, e a totale insaputa del venditore-certificatore l’acquirente apporta modifiche sostanziali che richiedono - per i rischi insorti a seguito di esse nuovi e diversi dispositivi di sicurezza, ciò diventa incontrovertibilmente responsabilità esclusiva di chi tali modifiche ha posto in essere (il quale, come già eccepito, assume ex novo la qualifica di fabbricante).

5.4. Travisamento della prova in relazione alla deposizione del c.t. ing. M.V.

(omissis).

5.5. Violazione di legge in relazione al nesso causale e vizio di motivazione.

Si rileva che le modifiche sostanziali apportate dalla (omissis) al macchinario venduto e originariamente certificato dalla (omissis) - anche ove non fossero ritenute tali da trasferire sulla medesima società la qualifica di “fabbricante” - risultavano quantomeno idonee ad interrompere il nesso causale rispetto all’evento infortunistico.

5.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo.

(omissis).

5.7. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

(omissis).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti da C.G. e da C.F. sono fondati nei termini meglio precisati nell’esposizione in diritto. Il ricorso di C.P. è infondato.

2. omissis.

3. É fondato anche il ricorso proposto dal C., legale rappresentante della società costruttrice del macchinario - (omissis) S.p.A.

Il ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, non era a conoscenza delle modifiche apportate al macchinario per adeguarlo alle esigenze produttive della (omissis) S.p.A.

Va ricordato al riguardo, che la responsabilità colposa del costruttore, che deriva dall’inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, cioè dalla mancata predisposizione dei sistemi di sicurezza previsti dalla normativa di settore e da quelli che, in relazione alla singola apparecchiatura, si rivelino idonei ad evitare che l’uso del macchinario costituisca pericolo per colui che lo utilizza, può essere esclusa solo quando si provi che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (omissis).

Qualora un infortunio sia dipeso dall’utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione, senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta, non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi (omissis).

Il costruttore, infatti, in quanto titolare di una posizione di garanzia, risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre che l’utilizzatore non ne abbia fatto un uso improprio, tale da poter essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento (omissis); a meno, quindi, che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (omissis).

Ciò posto, sui principi operanti in materia, va osservato che, nella fattispecie in esame, il C. aveva costruito un solo macchinario (la calandra) e non il complesso macchinario denominato “Linea di estrusione 1”, al quale la (omissis) S.p.A. aveva aggiunto modifiche mediante l’installazione di un componente nuovo (T.) e di una testa di estrusione di dimensioni ridotte rispetto a quella prevista dal progetto.

Il macchinario, pertanto, era stato alterato in senso diverso rispetto a quello originario, che aveva ottenuto la certificazione CE. Tali innovazioni avrebbero comportato la necessità di un positivo espletamento di un nuovo iter certificativo per conseguire la marcatura CE.

(omissis).

Sotto il profilo contrattuale, il rapporto tra costruttore ed acquirente cessava alla data della vendita. Il costruttore, pertanto, non poteva sapere anticipatamente che l’acquirente avrebbe modificato il macchinario né, tanto meno, che sarebbe stato profondamente alterato rispetto alla struttura originaria con un componente di tipologia nettamente diversa. Né, ovviamente, il fabbricante aveva poteri di controllo per verificare la permanenza delle condizioni di sicurezza e per scongiurare modifiche al macchinario rischiose per l’incolumità degli operatori.

Le modifiche sostanziali apportate dalla (omissis) S.p.A. al macchinario venduto e originariamente certificato dalla (omissis), pertanto, determinavano quantomeno l’interruzione del nesso causale rispetto all’evento infortunistico.

In sostanza, il C. non aveva nessun dovere di compiere azioni per evitare i pericoli insorti ex post a seguito delle modifiche apportate dal compratore, in quanto, ai sensi del d.lgs. n. 17 del 2010 (art. 15) è punito “chiunque apporta modifiche ad apparecchiature dotate della prescritta marcatura CE, che comportano la non conformità ai medesimi requisiti”. Si trattava di un’innovazione dovuta ad esclusiva volontà ed all’autonoma iniziativa dell’utilizzatore dell’impianto, non prevista dal contratto di vendita e difforme da qualsiasi indicazione del costruttore.

In conseguenza delle modifiche al macchinario non previste dal costruttore, pertanto, si realizzava un subentro dell’acquirente nella posizione di garanzia, per non aver assolto all’obbligo di fornire misure di sicurezza utili ed efficaci.

4. (omissis).

5. Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di C.G. perché il fatto non sussiste.

La sentenza va annullata nei confronti di C.F. con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Il ricorso proposto dal C. va rigettato con conseguente condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.G. perché il fatto non sussiste.

Annulla la medesima sentenza nei confronti di C.F. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.

Rigetta il ricorso di C.P. e condanna al pagamento delle spese processuali.

Il principio di diritto: È penalmente responsabile, per l’infortunio occorso al lavoratore, il costruttore che nella progettazione e fabbricazione del macchinario abbia omesso di predisporre i sistemi di sicurezza previsti dalla normativa di settore, nonché quelli che, in relazione allo specifico apparecchio, appaiano idonei ad evitare che l’utilizzo dello strumento costituisca pericolo. La responsabilità colposa del costruttore è, quindi, esclusa solo laddove l’utilizzatore abbia apportato al macchinario trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento lesivo.

Il caso ed il processo: in sede di merito l’imputato era stato riconosciuto responsabile (unitamente ad altri soggetti che rispondevano a diverso titolo in merito alla posizione di garanzia assunta), del reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2 e 3, 583, comma 1, n.1, c.p., per avere, nella qualità di legale rappresentante dell’impresa produttrice il macchinario che aveva cagionato, al lavoratore, le lesioni contestate, fabbricato attrezzature da lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Avverso la sentenza di condanna era, dunque, insorto l’interessato rilevando, per qual che più interessa in questa sede ed in sintesi, che le caratteristiche di conformità dello strumento prodotto e presenti al momento della vendita erano venute meno, successivamente, in ragione delle sostanziali modifiche autonomamente apportate al macchinario, all’insaputa del produttore/venditore, dalla società datrice di lavoro. Secondo la tesi difensiva, quindi, avendo l’intervento compiuto sul macchinario, dopo la vendita, comportato la necessità, per i rischi insorti a seguito del predetto intervento, di nuovi e diversi dispositivi di sicurezza, l’omessa predisposizione di questi ultimi configurava una responsabilità esclusiva di chi tali modifiche aveva posto in essere.

Ad avviso del ricorrente, le modifiche impresse all’strumento avrebbero dovuto essere valutate, dunque, in termini di idoneità delle medesime ad interrompere il nesso causale rispetto all’evento lesivo occorso al lavoratore, esaurendosi, peraltro, la condotta doverosa del venditore al momento della consegna del macchinario, col collaudo e non potendo essere estesa a qualsivoglia momento successivo.

Talché, in riforma della prefata pronuncia, si era invocato l’accoglimento del ricorso.

La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha accolto il ricorso spiegato dal produttore, annullando la sentenza impugnata senza rinvio «perché il fatto non sussiste».

In particolare, la Corte ha, anzitutto, rimarcato che il costruttore, in quanto titolare di una posizione di garanzia, «risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza», purché, però, l’utilizzatore non «abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento».

Detta ultima circostanza, ad avviso della Cassazione, avrebbe caratterizzato il caso scrutinato, atteso che il macchinario prodotto, e venduto, dall’imputato sarebbe stato significativamente modificato ed alterato, rispetto a quello originario, dalla società datrice di lavoro mediante l’installazione di nuovi componenti, che avrebbero, allora, richiesto «un positivo espletamento di un nuovo iter certificativo per conseguire la marcatura CE».

Secondo i giudici di legittimità, quindi, il costruttore non avrebbe potuto conoscere anticipatamente la volontà dell’acquirente in ordine agli interventi modificativi da quest’ultimo effettuati, né che lo strumento sarebbe stato «profondamente alterato rispetto alla struttura originaria con un componente di tipologia nettamente diversa», né, ancora, «il fabbricante aveva poteri di controllo per verificare la permanenza delle condizioni di sicurezza e per scongiurare modifiche al macchinario rischiose per l'incolumità degli operatori».

La Cassazione ha, quindi, evidenziato non solo che le importanti modifiche apportate al macchinario prodotto e originariamente certificato avrebbero determinato l’interruzione del nesso eziologico rispetto all’evento lesivo contestato, ma anche che le predette modifiche avrebbero determinato «un subentro dell’acquirente nella posizione di garanzia, per non aver assolto all’obbligo di fornire misure di sicurezza utili ed efficaci».

La Cassazione, quindi, alla luce di tale iter motivazionale, ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso spiegato dall’interessato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata «perché il fatto non sussiste».

Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: i principi fondamentali che debbono ispirare una corretta gestione, nella prospettiva dell’igiene e della sicurezza nei luoghi di lavoro, dei macchinari impiegati nel ciclo produttivo sono rappresentati, sostanzialmente, i) dalla corretta progettazione delle attrezzature, a fini di salute e sicurezza; ii) dal corretto impiego delle attrezzature medesime.

Per quanto, in particolare, attiene alla fabbricazione degli strumenti di lavoro, gli stessi debbono essere realizzati perseguendo la massima sicurezza dal punto di vista costruttivo; tale obbligo promana, innanzitutto, dall’art. 70 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ai sensi del quale «le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto» (si veda, in particolare, la direttiva 2006/42 CE, recepita in Italia con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 41).

Diretto corollario del predetto principio è, tra l’altro, rappresentato dalla penale responsabilità gravante su progettisti, fabbricanti e costruttori in caso di violazione dell’obbligo di garantire che le attrezzature da essi realizzate siano conformi alle “regole dell’arte” (si vedano, ad esempio, artt. 22, 23 e 24 d.lgs. n. 81/2008), che convive con quella del datore di laddove non si adoperi per impedire che i macchinari impiegati vengano utilizzati in maniera impropria o pericolosa da parte dei dipendenti (cfr. art. 71 d.lgs. n. 81/2008. Costituisce eccezione a detta regola solo l’ipotesi in cui «l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza», come affermato da Cass., Sez. IV, 12 novembre 2021, n. 41147).

In subiecta materia, invero, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; occorre, quindi, configurare già sul piano dell’imputazione oggettiva distinte sfere di responsabilità, che conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto, o ai soggetti, ritenuti “gestori” del rischio (su tali principi, cfr. Cass., Sez. IV, 23 novembre 2012, n. 49821. Si veda anche Cass., Sez. IV, 14 febbraio 2014, n. 9699, che ha statuito che «in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione»).

Per quanto, allora, specificamente attiene alla figura del costruttore/fabbricante, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza Cass., Sez. Un., 23 novembre 1990, n. 1003, avevano già affermato che «qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi», individuando, quindi, in capo al costruttore una posizione di garanzia in relazione ai difetti strutturali degli strumenti immessi nel circuito produttivo, rispondendo questi, pertanto, per gli eventi dannosi occorsi al lavoratore causalmente ascrivibili alla fornitura di tali macchinari.

Il pronunciamento in disamina si pone, dunque, nel solco di consolidata giurisprudenza di legittimità, che ritiene il costruttore responsabile degli «eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione e fornitura di una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza indipendentemente dal soggetto che la utilizza, poiché il divieto di fabbricazione e vendita fissato dalla norma e di carattere generale è assoluto, in quanto collegato al divieto di utilizzo di un macchinario non a norma», non potendo egli neppure «invocare il principio dell’affidamento qualora l’acquirente utilizzi la macchina ponendo in essere una condotta imprudente, in quanto tale condotta sarebbe stata innocua o, comunque, avrebbe avuto conseguenze di ben diverso spessore, qualora la macchina fosse stata dotata dei presidi antinfortunistici» (cfr. Cass., Sez. IV, 25 novembre 2020, n. 35945). Il tutto, peraltro, indipendentemente dalla «distanza temporale della condotta colposa rispetto all’evento da essa causato» (Cass., Sez. IV, 8 novembre 2019, n. 5541), nonché, secondo un consolidato orientamento, dalla conformità dello strumento alle caratteristiche richieste per ottenere la prescritta omologazione dal competente organo amministrativo, «atteso che il rispetto di norme finalizzate ad ottenere omologazioni e, in genere, autorizzazioni o certificazioni pubbliche non può di per sé garantire che a carico del costruttore non sia riconosciuta una sua inadeguatezza professionale o che non gli possa essere ascritto l’avvenuto verificarsi di un evento che risulti dovuto ad inosservanza di altre norme di cautela o anche al solo mancato, costante aggiornamento del prodotto alla evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecniche, soprattutto in campi di attività che presentino alti margini di rischio» (cfr. Cass., Sez. IV, 18 gennaio 2013, n. 39157).

Occorre, infatti, rimarcare che l’esegesi giurisprudenziale se da un lato esclude che la presenza, sul macchinario, della marchiatura di conformità “CE” valga ad esonerare il datore di lavoro da responsabilità in caso di infortunio del dipendente, dall’altro estende detto principio nei confronti del produttore o rivenditore della macchina, «in quanto l’interpretazione di una disposizione legislativa non può differenziarsi nei confronti dei diversi destinatari, sicché se la presunzione di conformità alla legge del macchinario con marcatura e dichiarazione CE è superabile rispetto al datore di lavoro, non operando quale causa di esenzione da responsabilità, lo è anche rispetto al produttore o venditore, i quali, peraltro, hanno maggiori possibilità di controllo del macchinario» (Cass., Sez. IV, 21 ottobre 2021, n. 42110).

Con la sentenza in commento la Cassazione si pone, poi, perfettamente in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario anche con riguardo all’individuazione di deroghe al generale riconoscimento di penale responsabilità del costruttore in caso di infortuni dul lavoro.

Si voglia, infatti, considerare che sul punto la giurisprudenza di legittimità è costante nel rimarcare che  la responsabilità colposa del costruttore, promanante dall’inosservanza di cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione dello strumento, può essere esclusa solo laddove  l’utilizzatore abbia apportato alla macchina modifiche di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento lesivo, ovvero nelle ipotesi in cui il macchinario sia stato utilizzato in modo assolutamente improprio, tale da poter essere considerato, anche in questo caso, causa sopravvenuta da sola sufficiente alla produzione dell’evento (si veda Cass., Sez. IV, 11 novembre 2021, n. 3938).

In dottrina, sul tema generale della responsabilità del produttore nella c.d. “società del rischio” si veda C. Piergallini, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico.criminali, Milano, 2004. Per un’ampia e aggiornata rassegna giurisprudenziale sulla responsabilità del produttore, cfr. R. Guariniello, Il testo unico sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, Milano, 2018, 433 ss. In generale, sul problema del concorso di cause, si veda di recente E. Mezzetti, Autore del reato e divieto di “regresso” nella società del rischio, Napoli, 2021.

2) Illeciti tributari – Non basta l’atto dispositivo per concretizzare la sottrazione fraudolenta

Cassazione, Sez. V, 27 giugno 2022, dep. 21 settembre 2022, n. 35295 – Pres. De Marzo – Rel. Pilla – P.M. Tassone (parz. diff.) – Ric. D.P.S. – (rif. 11, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)

(Omissis)                

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza depositata in data 25 novembre 2021 il Tribunale del Riesame di Bologna ha confermato il decreto del giudice delle indagini preliminari del medesimo tribunale del 16 luglio 2021 con il quale era disposto nei confronti della società (omissis) S.r.l., legalmente rappresentata da D.P.S., indagato per il reato associativo di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di una serie di reati tributari e fallimentari:

- il sequestro impeditivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. delle quote sociali e del relativo patrimonio aziendale della società (omissis) S.r.l. in relazione al reato di cui all’art. 416 c.p. contestato al capo A);

- il sequestro preventivo diretto finalizzato alla confisca in relazione al reato di cui al capo F) (d.lgs. n. 74 del 2000, art. 11) riferibile alla società (omissis) della somma di Euro 429.800,00 sui conti della (omissis) S.r.l.

2. Ha proposto ricorso il D.P.S., in proprio e quale legale rappresentante della (omissis) S.r.l., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi di doglianza.

2.1. Con il primo motivo ed il secondo motivo il ricorrente ha denunziato violazione di legge in relazione agli artt. 321 e 292 lett. c-bis) c.p.p. e motivazione apparente quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al capo F).

In particolare, la ordinanza del Tribunale del Riesame non avrebbe motivato sulla specifica doglianza proposta quanto alla carenza di motivazione in relazione al fumus commissi delicti del reato contestato.

L’ordinanza impugnata non motiva, con riferimento alla somma sequestrata alla società, in relazione a quali sarebbero stati gli atti simulati e in quali date sarebbero stati compiuti al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte; non indica gli elementi di prova dai quali desumere la fittizietà dei negozi e le fatture a cui si era fatto ricorso per realizzare l’evasione di imposta con l’impossibilità di individuare la data di prescrizione del reato e la eventuale prescrizione dei fatti riferiti ad alcune annualità fiscali; non indica come sia stata determinata la entità del profitto del reato derivante dalla somma dei pagamenti da collegare ad atti simulati.

L’ordinanza non ha operato disamina o valutazione alcuna della documentazione di parte con allegata memoria depositata dalla difesa che fornisce una giustificazione dei pagamenti effettuati dalla società fallita (omissis) alla (omissis) S.r.l.

In relazione ai rapporti con la (omissis) la documentazione evidenzia che i pagamenti rappresentavano il corrispettivo della stessa alla (omissis) S.r.l. per l’acquisto di gabbioni in plastica che la società di trasporti utilizzava per la sua attività. I rapporti commerciali tra le due società non erano simulati, ma realmente sussistenti.

(omissis)

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 321 c.p.p. quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al capo A).

In particolare, la ordinanza del Tribunale del Riesame sarebbe censurabile quanto alla prospettata sussistenza del fumus commissi delicti dal momento che A.M. non è l’amministratore di fatto della (omissis) S.r.l. quanto piuttosto un semplice dipendente addetto alle vendite e detentore del 26% delle quote sociali.

Da ciò consegue che l’operato dell’A.M. all’interno della (omissis) S.r.l. è legittimo ed è da escludersi l’asservimento di siffatta società alla sua persona che con il solo 26% di quote non poteva certo operare un controllo della società utilizzando quale prestanome il ricorrente D.P.S.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è nel suo complesso fondato per le ragioni di seguito indicate.

(omissis)

1. Va poi premesso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

1.1. A parere del Collegio risultano fondati i motivi di ricorso in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti quanto al reato contestato al capo F) di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 art. 11.

1.1.1. Nella prospettazione accusatoria i movimenti di danaro registrati sul conto corrente della società (omissis) S.r.l., esaminati dalla Guardia di Finanza, documentano la circostanza che dagli anni 2014 al 2017 vi sia stato “(..)un anomalo e significativo flusso in entrata (...) dalla (omissis) alla (omissis) S.r.l. con causali non circostanziate” per un ammontare pari circa ad euro 429.800,00, somma che è stata sequestrata a titolo di profitto diretto del reato di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 art. 11.

L’ordinanza impugnata, nel riconoscere la sussistenza del fumus commissi delicti, consistito nella sottrazione fraudolenta di valori alla imposizione tributaria rispetto alla (omissis), valorizza l’anomalia delle operazioni effettuate per importi ingenti e senza causali e richiama la recente giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli atti dispositivi rilevanti ai fini della configurabilità della fattispecie in esame possono essere anche leciti, purché finalizzati a penalizzare l’Erario.

1.1.2. è necessario al riguardo osservare che d.lgs. n. 74 del 2000 art. 11 comma 1 sanziona la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l’ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.

La norma incriminatrice ha un suo precedente nell’art. 97 D.P.R. n. 602 del 1973, nella versione novellata dalla legge. n. 413 del 1991.

A differenza della precedente norma incriminatrice, tuttavia, per la configurabilità della attuale ipotesi risulta sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace l’esecuzione esattoriale, configurandosi dunque l’illecito penale in termini di reato di pericolo concreto, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria.

Per la configurazione del rilievo penale della condotta, non è sufficiente che gli atti siano oggettivamente finalizzati a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, ma è necessario che gli stessi si caratterizzino altresì per la loro natura simulatoria o fraudolenta.

Con riguardo, in particolare, alla nozione di “atti fraudolenti”, deve evidenziarsi che devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.

Gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, avranno dunque natura fraudolenta se connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva.

1.2. Alla luce dei principi fissati da questa Corte in tema di configurabilità della fattispecie contestata, a parere del Collegio l’ordinanza impugnata non ha operato una completa applicazione degli stessi nel motivare sulla esistenza del fumus commissi delicti, soffermandosi in realtà unicamente sulla circostanza di un parziale svuotamento dei conti correnti della (omissis) attraverso “un anomalo e significativo flusso in entrata con causali non circostanziate…” sul conto della (omissis) S.r.l. per euro 249.000,00 (somma, quest’ultima, oggetto di sequestro finalizzato alla confisca).

Ed invero occorre osservare che non risultano adeguatamente illustrate quali siano le singole operazioni compiute e dunque i singoli atti di disposizione al fine di valutare il requisito della natura fraudolenta delle operazioni medesime che, come detto, non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario.

Al riguardo deve in particolare rilevarsi che, a fronte della specifica deduzione difensiva in base alla quale i pagamenti rappresentavano il corrispettivo della (omissis) alla (omissis) S.r.l. per l’acquisto di gabbioni in plastica che la società di trasporti utilizzava per la sua attività, a riprova della effettiva sussistenza dei rapporti negoziali tra le due società, la ordinanza si è limitata ad evidenziare che l’esercizio di attività di impresa lecita non esclude una strumentalizzazione della stessa per la realizzazione di scopi illeciti di evasione fiscale, argomentazione logica, ma non sufficiente.

L’idoneità degli atti a eludere l’esecuzione esattoriale non può ritenersi di per sé sufficiente a riconoscere la natura ingannatoria o artificiosa degli atti per cui, essendo mancata nell’ordinanza una motivazione effettiva e non apparente sulla individuazione dei tempi degli atti di disposizione e sul carattere effettivamente fraudolento delle varie operazioni compiute, la ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Bologna.

2. Il terzo motivo di ricorso è da ritenersi infondato.

La ordinanza impugnata ha correttamente motivato, in punto di fumus commissi delicti, in relazione alla sussistenza della compagine associativa di cui al capo A).

Il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, ha esaurientemente e dettagliatamente ricostruito l’attività del gruppo imprenditoriale in esame, la rete di relazioni, parentele, cointeressenze tra gli indagati, l’articolazione del “(omissis)”, a cui capo si pone A.M., gli ambiti di operatività, la galassia di società la cui costituzione risponde a un preciso disegno delittuoso finalizzato alla consumazione di un indeterminato numero di reati tributari e fallimentari, ma anche all’acquisizione da parte delle società in bonis del gruppo di una posizione dominante nel settore di mercato di riferimento (logistica, trasporti, smaltimento di rifiuti).

Con particolare riferimento alla posizione del ricorrente, nel motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e omessa motivazione in relazione alla sua funzione di mero prestanome, quale legale rappresentante della (omissis) S.r.l.; si esclude altresì che A.M., il vero dominus della intera operazione illecita, fosse l’amministratore di fatto della società sequestrata, lamentando anche in tal caso carenza di motivazione.

A parere di questo Collegio, l’ordinanza impugnata esaustivamente motiva sul punto richiamando una breve, ma efficace conversazione telefonica intercorsa tra A.M., formalmente mero dipendente della società, e D.F.P., socio della (omissis) S.r.l., nel corso della quale il primo dice al secondo: “Ti do 2500,00 Euro al mese e non mi porti mai risultati”, conversazione che disvela i reali rapporti esistenti all’interno della società.

L’ordinanza richiama altresì le numerose altre intercettazioni telefoniche che chiariscono la posizione di amministratore di fatto dell’A.M. e quella di semplice prestanome del ricorrente. L’A., chiarisce l’ordinanza, risulta essere l’amministratore di fatto di tutte le società a lui facenti capo, pur avvalendosi di prestanomi di fiducia, come nel caso di specie di D.P.S., facenti funzione di amministratori di diritto.

La ordinanza impugnata fornisce dunque esaustiva motivazione in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al capo A) che consente il sequestro impeditivo ex art. 321 c.p.p. della società (omissis) S.r.l. solo formalmente amministrata dal ricorrente, ma gestita da A.M.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato, limitatamente al sequestro disposto in relazione al reato di cui al capo F), con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bologna.

Rigetta nel resto il ricorso.

Il principio di diritto: La fattispecie di cui all’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 è reato di pericolo concreto, integrato dal compimento di atti aventi natura simulatoria o fraudolenta volti a occultare i propri o altrui beni, i quali, sulla base di un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della capienza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa erariale, risultino idonei a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria.

Il caso ed il processo: la vicenda si innesta nel coacervo di procedimenti attivati, presso diversi uffici giudiziari, nei confronti, tra gli altri, di un soggetto ritenuto titolare di una pluralità di imprese componenti un gruppo leader nel settore della logistica, che si sono originati dalla contestazione di una serie di illeciti, anche in materia tributaria. Nel particolare caso oggetto della pronuncia, era stato disposto un sequestro finalizzato alla confisca in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

Più di preciso, era stato rilevato che una serie di pagamenti da una società ad un’altra appartenente al medesimo gruppo sarebbe stata priva di reali causali.

La soluzione resa dalla Corte: la suprema Corte, sul punto, ha accolto il ricorso dell’interessato, rilevando che sebbene la fattispecie contestata possa integrarsi attraverso atti dispositivi “formalmente” leciti, purché finalizzati ad eludere il pagamento del dovuto all’Erario a titolo di imposte, sanzioni e interessi, nel contesto di una figura di pericolo concreto, il richiamo ad atti di natura “simulata” o “fraudolenta” avrebbe imposto una più forte dimostrazione della riconducibilità degli atti dispositivi ai suddetti paradigmi, essendosi di contro il provvedimento attestato sulla mera traslatio e, in definitiva, non essendo sufficiente, ai fini dell’integrazione della fattispecie astratta, la più difficile recuperabilità del credito erariale.

Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: la fattispecie contemplata dall’art. 11 del d.lgs. n. 74/2000 affonda le proprie radici in epoca assai remota, tanto da consentire di affermare che l’incriminazione di atti finalizzati all’inadempimento delle obbligazioni tributarie costituisca una vera e propria costante sistematica[1]; nondimeno si tratta di una figura dall’esegesi assai controversa.

Per la giurisprudenza, il bene giuridico tutelato, nel complesso di una figura che è di pericolo concreto, sarebbe rappresentato dalla garanzia patrimoniale dell’Erario, con conseguente rilevanza di condotte antecedenti all’attivazione della procedura esecutiva[2], anche se ai fini dell’integrazione del delitto il debito debba essere già maturato al momento del compimento dell’azione criminosa[3].

La condotta, che si sostanzia in atti di alienazione simulati (con conseguente rilevanza di atti di simulazione tanto assoluta quanto relativa) o altri «atti fraudolenti», è, quanto a tale ultimo aspetto, affetta da grave indeterminatezza, spingendo la giurisprudenza, in molti casi, a ritenere punibili condotte del tutto sprovviste da contenuti fraudolenti[4].

Sicché, la sentenza in rassegna si apprezza per la valorizzazione del principio di legalità, essendo stato posto in luce che il richiamo ad opera del legislatore al concetto di “frode” implica che possano essere attratte nell’illecito solo condotte di artifici e raggiri, non meri atti dispositivi, sol perché lesivi della “ragion fiscale”.

Quanto ai rapporti con altri reati, è oggetto di annoso dibattito il concorso con la bancarotta fraudolenta che, tuttavia, in ragione del rapporto di specialità reciproco per aggiunta, sembra dover essere inquadrato nel concorso materiale[5], secondo delle linee accolte in giurisprudenza[6].

3) Illeciti fallimentari – La Cassazione mostra aperture rispetto all’irrilevanza delle operazioni di c.d. “cash pooling” all’interno del gruppo societario

Cassazione, Sez. V, 24 maggio 2022, dep. 30 settembre 2022, n. 37062 – Pres. Zaza – Rel. Tudino – P.M. omissis (conf.) – Ric. L.I. – (rif. artt. 216, 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267; art. 2497 c.c.)

(omissis)

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata del 4 novembre 2020, la Corte d’appello di Milano – per quanto di rilievo in questa sede – ha, in riforma della decisione del Tribunale in sede del 2 aprile 2019, rideterminato la pena per le imputazioni di bancarotta al medesimo contestate in qualità di amministratore unico di (omissis) S.r.l e (omissis) S.r.l., entrambe dichiarate fallite il 31 agosto 2012.

1.1. I fatti descritti nella contestazione riguardano operazioni distrattive o, comunque, dissipative poste in essere dal L., in qualità di amministratore unico della società (omissis) S.r.l.:

(omissis)

Pagamenti non sorretti da giusta causa a favore della controllante;

(omissis)

2. Avverso la sentenza indicata della Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso L.I., con atto a firma del difensore, affidando le proprie censure a sei motivi.

(omissis)

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è complessivamente infondato.

(omissis)

Va ricordato come, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, possa realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali; in tal senso, pertanto, anche il contratto di affitto di azienda può connotarsi in modo da integrare la bancarotta per distrazione, e ciò tanto nel caso in cui l’affitto venga stipulato con canoni incongrui o simulati, quanto in quello cui la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento.

È stato, altresì, precisato che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società.

(omissis)

Quanto all’elemento soggettivo del reato, le censure del ricorrente sono parimenti manifestamente infondate. La bancarotta fraudolenta per distrazione ha, invero, natura di reato di pericolo a dolo generico. In relazione a tale reato, non ha allora incidenza né la finalità perseguita in via contingente dal soggetto – e pertanto sono per l’appunto manifestamente infondate le numerose censure del ricorrente tese a valorizzare tale profilo – né si richiede uno specifico intento di arrecare pregiudizio economico ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilità di danno che possa derivare alle ragioni creditorie.

(omissis)

Il quinto motivo è infondato. Il tema che la censura devolve a questa Corte investe i termini ed i limiti di liceità dei trasferimenti infragruppo, prospettati dal ricorrente quanto ai pagamenti sine titulo effettuati in favore della controllante.

Sul punto, il ricorrente deduce l’omessa disamina dei documenti già richiamati, dimostrativi – in tesi difensiva – dell’unitaria gestione dei rapporti finanziari e del saldo attivo finale che ne è conseguito.

Trattasi di deduzione inconcludente, che trascura la ratio decidendi esplicata nella sentenza impugnata che, pur all’esito della valutazione della documentazione difensiva, ha argomentativamente escluso l’esistenza di un rapporto organizzativo unitario tra le società del gruppo, rispondente ai requisiti declinati da questa Corte di legittimità, nonché valorizzato l’epoca dei trasferimenti in questione in correlazione allo stato di crisi delle società del gruppo.

La locuzione cash pooling si riferisce, invero, nel gergo economico-aziendalistico, a quel particolare tipo di accordo negoziale, integrante, secondo parte della dottrina, una tipologia di conto corrente non bancario a causa mista, presentando anche elementi propri di un contratto di finanziamento, e che intercorre tra diverse società (c.d. partecipants) facenti parte di un medesimo gruppo societario e in esecuzione del quale le predette persone giuridiche si impegnano ad accorpare in capo ad un unico soggetto giuridico – denominato società pooler e generalmente individuato nella holding o nella finanziaria del gruppo – la gestione delle rispettive disponibilità finanziarie, nonché le liquidità e i relativi pagamenti.

L’obiettivo primario di siffatta modalità operativa è, generalmente, finalizzato ad assicurare, attraverso una forma di gestione accentrata della tesoreria aziendale, un efficiente andamento dei rapporti tra le società aderenti al gruppo e gli istituti di credito, razionalizzando l’utilizzo complessivo delle liquidità e scongiurando in tal modo il rischio che si verifichino diseconomie all’interno dei singoli rapporti. Risulta, difatti, ben possibile che mentre una società disponga di risorse finanziarie (sia in cash) ed ottenga, dalla banca presso la quale detiene tali somme, una remunerazione per il deposito del proprio contante, altra società del gruppo versi in condizioni diametralmente opposte e sia, pertanto, costretta ad attingere alle linee di credito concesse dalle banche, pagando un tasso di interesse di importo più elevato rispetto a quello di cui gode la società economicamente florida. In siffatti casi, si prospetta il rischio che il gruppo nel suo complesso subisca le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla circostanza che il saldo economico tra tutte le società collegate e il ceto bancario sia negativo. Con il ricorso al meccanismo del cash pooling si pone, invece, rimedio a tale situazione, consentendo il trasferimento dell’eccesso di liquidità della società in cash alla società pooler, che potrà poi disporre in favore dell’impresa che si trova in una condizione di tensione finanziaria, evitando che quest’ultima si avvalga dell’utilizzo del credito bancario, con i conseguenti maggiori oneri.

In altri termini, una siffatta gestione delle finanze delle singole imprese genera l’effetto vantaggioso di compensare i saldi passivi di alcune società con i saldi attivi delle altre, venendosi così a realizzare un risparmio di tassi passivi.

La giurisprudenza di questa Corte ha, tradizionalmente, reputato illecite le operazioni di trasferimento di risorse finanziarie dai conti periferici delle società del gruppo a quello accentrato e amministrato dal pooler, che ne dispone a vantaggio della società che versi in stato di difficoltà, integrando siffatte condotte gli estremi della bancarotta fraudolenta per distrazione, ovvero della bancarotta preferenziale, qualora, invece, la società originariamente beneficiata dal suddetto meccanismo, saldi, per mezzo della gestione della tesoreria unica, il suo debito nei confronti delle consociate, restituendo quanto in precedenza ottenuto.

Secondo un primo indirizzo ermeneutico, in caso di fallimento di alcune delle società del gruppo interessate e coinvolte nella gestione unitaria della tesoreria, il conferimento della liquidità alla pooler non merita altra qualifica che quella di condotta distrattiva ingiustificata di parte del patrimonio aziendale o, quando il trasferimento della liquidità non possa assumere immediatamente una tale valenza di illecito distacco del denaro dal patrimonio sociale, la partecipazione al sistema di gestione accentrata della tesoreria sarebbe da qualificare come operazione dolosa idonea a determinare il dissesto dell’impresa.

Questa Corte ha, successivamente, affermato – con orientamento consolidato, che va qui ribadito – come, in materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurano il reato di bancarotta e possono eventualmente essere ricondotti all’operatività del contratto cosiddetto di “cash pooling” solo qualora ricorra la formalizzazione di tale contratto di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo; e si è, ulteriormente, specificato come integri distrazione rilevante il trasferimento di fondi alla capogruppo invocando l’attuazione di un sistema di tesoreria accentrata, atteso che nessun “sistema”, comunque denominato o qualificato, giustifica il passaggio di risorse da una società ad un’altra, anche facenti parte dello stesso gruppo, in una situazione di conclamata sofferenza della società deprivata, senza garanzia di restituzione dei valori trasferiti e al di fuori di un credibile programma di riassestamento del gruppo, che sia rivolto a superare prioritariamente le problematiche dell’ente in sofferenza.

Da tanto si inferisce come, nella valutazione dei trasferimenti di ricchezza infragruppo, intanto può accedersi ad una visione unitaria dei rapporti e dei saldi in quanto, sul piano formale, esista una precostituita e trasparente gestione finanziaria accentrata, e, sul versante sostanziale, sia esplicitata la vocazione funzionale di siffatta modalità di gestione alla massimizzazione, quantomeno in chiave proiettiva, della competitività delle società del gruppo. E tanto alla luce del principio generale per cui, al fine di escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra, non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo, ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 c.c., per la società apparentemente danneggiata.

In altri termini, ai fini della valutazione di rilevanza penale delle rimesse sine titulo intercorse tra società collegate, occorre la dimostrazione della previa esistenza di rapporti di gestione unitaria, deliberati nella prospettiva fisiologica dell’attività del gruppo, sicché, quand’anche le operazioni compensative possono sembrare rivestire, se isolatamente considerate ed in relazione alle singole imprese, gli estremi di un fatto penalmente tipizzato, l’intera operazione di cash pooling può ritenersi inoffensiva in ragione dell’esistenza di compensazioni comunque realizzate in conseguenza della partecipazione della singola società apparentemente “depredata” al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi, essendovi evidenti benefici derivanti dal far parte di un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica.

A tal fine, s’appalesa necessario il ricorso di una duplice condizione: in primo luogo, i trasferimenti di risorse fra partecipants e pooler devono essere eseguiti in presenza di una antecedente puntuale regolamentazione contrattuale dei rapporti interni al gruppo, dovendosi stipulare un contratto con indicazioni relative alle modalità e ai termini con cui i saldi dei conti correnti periferici delle consociate devono essere trasferiti al conto corrente accentrato, nonché alle modalità e ai termini entro i quali il pooler deve restituire la liquidità ricevuta sul conto accentrato di cui è titolare, ed anche all’ammontare dei tassi in base ai quali maturano gli interessi attivi e passivi, sui crediti annotati nel conto comune, alle modalità con cui gli interessi verranno corrisposti ed all’eventuale commissione spettante al pooler per lo svolgimento dell’attività di tesoriere. In sostanza, se i trasferimenti infragruppo di denaro costituiscono modalità esecutive di un contratto, di tale negozio giuridico deve esservi adeguata traccia documentale e, inoltre, la struttura e il contenuto negoziale devono essere completi e idonei a regolamentare in maniera ragionevole comportamenti che presentano un significativo grado di rischio per le condizioni economiche e patrimoniali delle società che vi partecipano, avendo cura di approntare un sistema di accordi e prestazioni che non risulti immotivatamente pregiudizievole per alcuna delle società del gruppo. In secondo luogo, siffatto accordo deve inscriversi all’interno della logica dei c.d. vantaggi compensativi, propria dell’operatività di un gruppo di imprese, e in base alla quale operazioni che, isolatamente considerate, evidenziano margini di rischio per una persona giuridica, possono trovare giustificazione nei vantaggi che la medesima società riceve da scelte gestionali poste in essere a suo beneficio da altri enti del medesimo gruppo o dalla holding che dirige il raggruppamento di imprese.

Più in particolare, se si accerta che l’atto di depauperamento non risponde all’interesse diretto della società il cui amministratore lo ha compiuto e che ne è scaturito nell’immediato un danno al patrimonio sociale, il medesimo amministratore deve provare sia l’esistenza di un gruppo di imprese, sia il rilievo per cui gli ipotizzati benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta, in guisa tale da non renderla capace di incidere sulle ragioni dei creditori sociali. E ciò in quanto l’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo, né può identificarsi nel vantaggio della società controllante, dovendo, invece, l’interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per reputare lecita l’attività temporaneamente svantaggiosa per la società impoverita.

Nel caso in esame, il ricorrente non si confronta con lo standard predetto, limitandosi a ribadire, trascurando in toto di confrontarsi con la sentenza impugnata, che ha evidenziato come la prospettiva difensiva altro non è che il tentativo postumo di rielaborare, in chiave unitaria, rapporti privi ex ante di una trasparente organizzazione accentrata, proiettata al risanamento del gruppo, in tal modo precludendo in radice la riconducibilità della fattispecie nel novero dei vantaggi compensativi.

(omissis)

Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il principio di diritto: Non integrano il reato di bancarotta per distrazione i trasferimenti di ricchezza infragruppo, potendo gli stessi essere riconducibili nell’alveo del contratto a causa mista c.d. di “cash pooling”, laddove ricorra la formalizzazione di tale negozio di conto corrente intersocietario, con specifica regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo. La predetta operazione di cash pooling può, infatti, ritenersi inoffensiva attesa l’esistenza di compensazioni comunque realizzate per effetto della partecipazione della società apparentemente depauperata al raggruppamento, secondo la logica dei vantaggi compensativi di cui all’art. 2634, comma 3, c.c., sussistendo evidenti benefici derivanti dall’appartenenza ad un gruppo di imprese legate da un rapporto di natura sinallagmatica.

 

Il caso ed il processo: la vicenda ha ad oggetto la contestazione ad un soggetto di una pluralità di fatti di bancarotta realizzati, ad avviso dell’accusa, in riferimento ad alcune società appartenenti ad un medesimo gruppo. Tra le varie ipotesi di illecito, vi era quella di spostamenti pecuniari da una delle società fallite, con risorse confluite nella disponibilità della holding e di altre imprese appartenenti al gruppo, in un momento in cui la disponente si sarebbe trovata in una situazione di grave squilibrio.

La soluzione resa dalla Corte: la suprema Corte, sul punto, ha rigettato il ricorso, rilevando la carenza di una prova documentale del rapporto di cash pooling dedotto dall’interessato, in base al quale le singole società appartenenti al gruppo sarebbero state tenute, al fine di ottenere vantaggi finanziari, a trasferire le giacenze di conto nella disponibilità della holding, nonché della sussistenza di vantaggi compensativi, ottenuti o ragionevolmente attesi, in capo alla società prima del fallimento, per l’effetto del predetto rapporto.

Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: il tema della rilevanza penale di operazioni compiute da due o più imprese che interagiscono all’interno di un “gruppo” attraverso rapporti non pienamente improntati sull’autonomia decisionale, sulla pura logica del mercato e sull’economicità del risultato di singoli atti dispositivi, è ormai da anni all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza.

Il problema è quello degli effetti per gli stakeholders di attraverso operazioni che, isolatamente considerate, risultino svantaggiose per la società che le compie.

Per lungo tempo l’ordinamento italiano non ha previsto una specifica disciplina dei gruppi d’impresa, verosimilmente temendo il legislatore che l’introduzione di norme in tale delicato ambito avrebbe potuto generare un effetto addirittura “criminogeno”; solo con il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, l’art. 2634 c.c., sull’infedeltà patrimoniale, si è “codificata” la teoria dei vantaggi compensativi e, subito dopo, è stato introdotto il capo IX nel libro V del codice civile in tema di “direzione e coordinamento di società” (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), prevedendosi l’esimente correlata al risultato complessivo della gestione dei rapporti intersoggettivi e alle condotte ripristinatorie (primo comma dell’art. 2497 c.c.).

La giurisprudenza, tuttavia, in un primo momento, ha assunto un atteggiamento di chiusura rispetto all’estensione della clausola dei vantaggi compensativi nel contesto dei reati fallimentari, limitandone l’efficacia esimente (vd. Cass., Sez. V, 24 aprile 2003, n. 23241).

Successivamente si è registrata una maggiore apertura, sebbene in molte occasioni la Cassazione abbia sostenuto che l’esclusione della responsabilità sussisterebbe soltanto laddove, sulla base di un approccio “ragionieristico”, il “saldo finale” dell’operazione originariamente svantaggiosa per la disponente risulti perlomeno in pareggio (cfr. Cass., Sez. V, 30 giugno 2016, n. 46689).

In tempi recenti si registrano pronunce che, invece, correttamente valorizzano anche la ragionevole aspettativa di detti vantaggi, seppur non conseguiti materialmente, come nel caso di Cass., Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 13284, nel cui solco si inserisce anche la sentenza in rassegna.

Quest’ultima, tuttavia, sembra aver valorizzato oltremodo, in linea di principio, lo stato di crisi dell’impresa disponente che, per il vero, non può essere considerato assorbente nell’ottica dell’esclusione dell’esimente poiché, a ben considerare, è proprio in simili fasi che si sviluppano generalmente le sinergie all’interno di un gruppo societario, tanto da rappresentare detto elemento, al più, un indice di fraudolenza, tale da essere suscettibile di smentita a cura dell’interessato. Sul punto vd. Cass., Sez. V, 5 luglio 2012, n. 38995.

Non appare neppure condivisibile l’ulteriore affermazione, compendiata nel provvedimento oggetto di commento, in base alla quale il rapporto di cash pooling, tale da giustificare a certe condizioni gli spostamenti patrimoniali infragruppo, debba essere dimostrato attraverso la produzione di un contratto in forma scritta al fine di escludere la natura fraudolenta delle operazioni. Trattasi, infatti, di requisito non richiesto dal diritto civile né prescritto in materia penale, tanto che, a rigore, dovrebbe essere ammessa la prova in ordine alla sussistenza del rapporto (nonché delle condizioni) anche in forme diverse[7].

 

ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA

 Cassazione, Sez. II, 13 luglio 2022, dep. 5 settembre 2022, n. 32571 – Pres. Rago – Rel. Imperiali – P.M. Seccia (parz. diff.) – Ric. C.R. – (rif. art. 648-ter.1 c.p.)

In tema di autoriciclaggio, affinché possa ritenersi sussistente la condotta dissimulatoria occorre procedere ad una valutazione ex ante in ordine alla idoneità della stessa, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Cassazione, Sez. VI, 8 luglio 2022, dep. 6 settembre 2022, n. 32827 – Pres. Fidelbo – Rel. Tripiccione – P.M. Morosini (diff.) – Ric. A.A. – (rif. art. 316-bis c.p.)

Il delitto di malversazione di erogazioni pubbliche si perfeziona allorquando viene a scadenza il termine essenziale previsto in contratto per la realizzazione dell’opera, ovvero, anche in un momento antecedente, allorquando divenga comunque impossibile la destinazione dei fondi alla finalità pubblicistica per la quale gli stessi siano stati erogati, come, ad esempio, nelle ipotesi dell’inosservanza di vincoli e condizioni ulteriori che dia luogo ad una irreversibile compromissione del conseguimento della finalità perseguita con l’erogazione pubblica.

Cassazione, Sez. V, 8 aprile 2022, dep. 13 settembre 2022, n. 33575 – Pres. De Gregorio – Rel. Guardiano – P.M. Orsi (conf.) – Ric. S.R. – (rif. art. 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

Il dolo generico che assiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma 1, n. 2 R.D. n. 267/1942,  può essere desunto, ricorrendo ad un metodo logico-presuntivo, anche dall’accertata responsabilità del soggetto agente per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale; la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, è, infatti, normalmente funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.

Cassazione, Sez. IV, 30 giugno 2022, dep. 15 settembre 2022, n. 33976 – Pres. Piccialli – Rel. Antenzza – P.M. Giorgio (parz. diff.) – Ric. omissis S.c.a r.l. – (rif. artt. 5, 25-septies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 590 c.p.)

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati di lesioni personali colpose in violazione della disciplina antinfortunistica, integra il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231/2001 un modesto, ma comunque oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, connesso alla violazione, sebbene non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti un’area rilevante di rischio aziendale (nel caso al vaglio, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’infortunio occorso ad un lavoratore il quale, nell’esercizio delle proprie mansioni, a causa della pavimentazione bagnata era scivolato, inserendo così la mano all’interno di una vasca priva della necessaria griglia di protezione, riportando lesioni gravi all’arto a causa del contatto con un macchinario idraulico contenuto nella predetta vasca. Il tutto, con un risparmio di spesa per l’ente pari a 1.860,00 euro, percentualmente minimo rispetto all’investimento per l’adeguamento complessivo dei presìdi antinfortunistici).

Cassazione, Sez. IV, 24 maggio 2022, dep. 21 settembre 2022, n. 34943 – Pres. Dovere – Rel. Bellini – P.M. Marinelli (diff.) – Ric. omissis S.r.l. – (rif. art. 16 d.lgs. 8 aprile 2008, n. 81, art. 5 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 590 c.p.)

Non rappresenta un elemento sintomatico della costituzione di una posizione apicale ovvero direzionale, rilevante ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 231/2001, lo strumento delineato dall’art. 16 d.lgs. n. 81/2008 che attiene, invece, al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo, strumento che non determina il trasferimento della funzione datoriale, sotto il profilo gestionale e di indirizzo, né di regola, la costituzione di una posizione verticistica.

Cassazione, Sez. IV, 24 maggio 2022, dep. 21 settembre 2022, n. 34944 – Pres. Dovere – Rel. Ranaldi – P.M. omissis (parz. diff.) – Ric. P.F. – (rif. art. 589 c.p., art. 2087 c.c.)

In tema di infortuni sul lavoro, la regola cautelare che si assume violata deve essere preesistente al fatto, ovverosia il comportamento doveroso fondato sulla diligenza, prudenza e perizia deve essere valutato in concreto ed ex ante  non potendo essere frutto di un’elaborazione creativa, basata su una valutazione ricavata ex post (la suprema Corte, nel caso scrutinato, ha escluso la penale responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio mortale occorso ad un rider che indossava un casco omologato tipo jet e non un casco integrale).

Cassazione, Sez. III, 5 luglio 2022, dep. 22 settembre 2022, n. 35383 – Pres. Liberati – Rel. Mengoni – P.M. Orsi (diff.) – Ric. B.A. e alt. – (rif. artt. 30, 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

Nelle ipotesi in cui l’intervento edificatorio, per il quale siano stati rilasciati singoli permessi di costruire, abbia natura lottizzatoria, è necessaria l’approvazione del piano di lottizzazione, anche laddove non sussista un formale obbligo di adozione in tal senso. Ciò in quanto il titolo edilizio deve essere verificato alla luce della natura dell’opera realizzanda, delle sue caratteristiche strutturali e dell’idoneità dell’intervento medesimo a produrre una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni interessati, ai sensi dell’art. 30 d.P.R. n. 380/2001 (nel caso di specie, la suprema Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile il reato di lottizzazione abusiva in relazione all’edificazione di diciotto edifici, suddivisi in circa trecentotrenta unità immobiliari, aventi volumetria assentita ottantaseimila mc., idonei ad accogliere oltre milleduecento persone, intervento realizzato in assenza della previa approvazione di un piano di lottizzazione, in zona di nuova espansione e solo parzialmente urbanizzata, che, quindi, rendeva necessario il raccordo con il preesistente agglomerato abitativo ed il potenziamento delle opere di urbanizzazione).

Cassazione, Sez. III, 15 giugno 2022, dep. 27 settembre 2022, n. 36552 – Pres. Andreazza – Rel. Reynaud – P.M. di Nardo (parz. diff.) – Ric. C.A. e alt. – (rif. artt. 3, 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; l. 11 settembre 2020 n. 120)

È configurabile il reato di lottizzazione abusiva – anche successivamente alle modifiche apportate all’art. 3, comma 1, lett. e.5) d.P.R. n. 380/2001, introdotte dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 – in caso di installazione di manufatti leggeri qualora gli stessi, se non amovibili e destinati a soddisfare bisogni non temporanei degli utilizzatori, risultino stabilmente collocati sull’area di sedime e, quindi, privi del requisito di precarietà strutturale e funzionale, richiesto per la sottrazione al regime di controllo edilizio, risultando, piuttosto, quali beni immobili.

Cassazione, Sez. V, 15 giugno 2022, dep. 30 settembre 2022, n. 37101 – Pres. Palla – Rel. Pezzullo – P.M. Lettieri (conf.) – Ric. Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano – (rif. artt. 216, 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

In tema di concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria per operazioni dolose, il parere reso dal legale della società dichiarata successivamente fallita può assurgere a contributo causalmente rilevante rispetto alla condotta tipica di bancarotta solo nelle ipotesi in cui lo stesso sia risultato decisivo ai fini della realizzazione della condotta da parte dell’intraneus.

Cassazione, Sez. V, 23 giugno 2022, dep. 30 settembre 2022, n. 37109 – Pres. Zaza – Rel. Belmonte – P.M. Ceroni (parz. diff.) – Ric. G.A. – (rif. art. 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

Integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, ove sussistano “indici di fraudolenza” della distrazione, anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone, in tal modo, l’apprensione da parte degli organi della procedura (nel caso di specie, gli indici di fraudolenza sono stati rinvenuti nel fatto che l’imputato aveva ceduto in comodato gratuito, in assenza di cause riconducibili all’oggetto sociale, un’autovettura della società a un terzo estraneo, che a sua volta l’aveva successivamente ceduta ad altri).

Cassazione, Sez. II, 15 luglio 2022, dep. 10 ottobre 2022, n. 38141 – Pres. Imperiali – Rel. D’Agostini – P.M. Romano (parz. diff.) – Ric. A.A. – (rif. art. 648-bis c.p.)

Il delitto di cui all’art. 648-bis c.p. è un reato a forma libera, configurabile anche nell’ipotesi di una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempo l’uno dall’altro, purché, però, unitariamente finalizzati al comune obiettivo di occultare la provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l’oggetto. In tali casi, dunque, si configura un unico reato a formazione progressiva, che cessa con l’ultima operazione posta in essere (nel caso scrutinato, la Cassazione ha affermato che l’intestazione fittizia di un immobile acquistato mediante denaro proveniente da condotte illecite costituisse un segmento della più articolata condotta di riciclaggio, con il conseguente “assorbimento” del reato di cui all’art. 512-bis c.p. in quello di riciclaggio). 

Cassazione, Sez. III, 5 luglio 2022, dep. 14 ottobre 2022, n. 38861 – Pres. Liberati – Rel. Zunica – P.M. Orsi (conf.) – Ric. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona – (rif. art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74/2000 ha natura permanente, nel senso che l’obbligo di esibizione dei documenti perdura sino a quando non si esaurisce il controllo da parte degli organi verificatori. Sicché, il momento consumativo del reato deve, quindi, individuarsi nella conclusione e non nell’inizio di detto accertamento.

Il reato di cui all’art. 10 d.lgs.n. 74/2000 delinea una fattispecie unitaria, il cui disvalore si incentra, per l’appunto, nell’occultamento o nella distruzione, condotte che acquistano autonoma rilevanza in quanto tali, al di là del numero delle scritture contabili o dei documenti occultati o distrutti. In tale prospettiva, allora, deve escludersi che il reato si configuri in relazione a ogni singolo documento/scrittura contabile oggetto di distruzione o occultamento e che vada, quindi, applicata la continuazione interna al reato nel caso in cui siano molteplici le scritture contabili o i documenti oggetto delle condotte sanzionate.

Cassazione, Sez. IV, 26 gennaio 2022, dep. 20 ottobre 2022, n. 39615 – Pres./Rel. Ciampi – P.M. Perelli (diff.) – Ric. omissis S.p.A. – (rif. artt. 5, 25-septies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 590 c.p.)

In tema di infortuni sul lavoro, l’interesse o il vantaggio per l’ente può conseguire alla violazione delle norme antinfortunistiche solamente al momento della condotta ed al netto dell’evento, sub specie di risparmio di spesa o di accelerazione e massimizzazione della produzione; è, infatti, al momento della condotta realizzata dal soggetto agente che si realizza l’intento finalistico di procurare un vantaggio all’ente, necessario a ritenere anche quest’ultimo responsabile, essendo l’evento del reato non voluto.

Cassazione, Sez. III, 27 maggio 2022, dep. 21 ottobre 2022, n. 39832 – Pres. Rosi – Rel. Gentili – P.M. Orsi (diff.) – Ric. A.A. e alt. – (rif. art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

La confisca urbanistica di cui all’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, può essere ordinata anche nel caso di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, purché, però, sia stata accertata la sussistenza di detto reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la partecipazione degli interessati. Il tutto, fermo che, una volta maturata detta causa di estinzione del reato, il procedimento, in ossequio a quanto previsto dall’art. 129, comma 1, c.p.p., non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento.

Cassazione, Sez. III, 14 luglio 2022, dep. 21 ottobre 2022, n. 39834 – Pres. Aceto – Rel. Semeraro – P.M. Tocci (diff.) – Ric. B.D. – (rif. art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74)

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000 presenta una struttura bifasica, che prevede la compilazione e presentazione di una dichiarazione mendace nonché la realizzazione di una attività ingannatoria prodromica; laddove quest’ultima sia realizzata da terzi,  affinché sia configurabile il reato in disamina è necessario che il soggetto agente ne abbia consapevolezza al momento della presentazione della dichiarazione.

Cassazione, Sez. III, 27 settembre 2022, dep. 21 ottobre 2022, n. 39835 – Pres. Marini – Rel. Corbetta – P.M. Angelillis (diff.) – Ric. P.M. – (rif. art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 131-bis c.p.)

Integra la fattispecie di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 la condotta del contribuente che provvede, tardivamente, ad un parziale versamento dell’imposta evasa, riducendo l’esposizione debitoria al di sotto della soglia prevista per la punibilità. In tali ipotesi, difatti, non opera la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto attesa l’irrilevanza, nella valutazione del grado dell’offesa, dei comportamenti successivi alla realizzazione del reato, dovendosi guardare al momento della commissione dell’illecito al fine di verificare la sussistenza dei presupposti integranti detta causa di non punibilità.

Cassazione, Sez. II, 6 luglio 2022, dep. 24 ottobre 2022, n. 40148 – Pres. Mantovano – Rel. Di Paola – P.M. Cocomello (conf.) – Ric. Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Napoli e alt. – (rif. artt. 379, 648-bis c.p.)

Il delitto di favoreggiamento reale è una figura criminosa sussidiaria rispetto al reato del riciclaggio, sicché laddove siano ritenuti sussistenti gli elementi costitutivi di detta ultima fattispecie, deve essere esclusa la prima.

22) Cassazione, Sez. V, 22 settembre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 40797 – Pres. Zaza – Rel. Sessa – P.M. Tassone (conf.) – Ric. N.G. – (rif. art. 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

In tema di reati fallimentari, il ruolo di amministratore di fatto, ricorrendo indici sintomatici dell’esercizio continuativo e non occasionale, da parte di questi, di funzioni riservate alla competenza tipica degli amministratori di diritto, nonché del godimento di autonomia decisionale, costituisce il presupposto fondante il riconoscimento della penale responsabilità ex art. 216 L.F.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] I precedenti sono rappresentati dall’art. 30 r.d. 17 settembre 1931, n. 1608, poi rimpiazzato dall’art. 261 comma 4 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, e successivamente dall’art. 97 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rimasto in vigore fino all’introduzione dell’art. 11 del d.lgs. n. 74/2000. Tale ultima disposizione è stata modificata dall’articolo 29, comma 4, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, che ha espunto la “clausola di riserva” introduttiva (infra) ed ha aggiunto la circostanza aggravante di cui all’ultimo periodo dell’attuale comma 1, nel caso in cui il debito erariale sia superiore a 200.000 euro.

[2] Da ultimo vd. Cass., Sez. III, 3 settembre 2015, n. 36378.

[3] A. Ingrassia, Le diverse forme di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in R. Bricchetti – P. Veneziani (a cura di), Reati tributari, in Trattato teorico-pratico di diritto penale diretto da F. Palazzo e C.E. Paliero, vol. XIII, Torino, 2017, 380.

[4] Cfr. ad esempio Cass., Sez. III, 2 marzo 2018, n. 29636.

[5] Cfr. ad esempio A. De Lia, Brevi note a margine del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, tra torsioni ermeneutiche, utilizzo improprio dello strumento della confisca ed efficientismo esasperato, in Riv. Dir. Trib., 2018, 59 ss; G. Forte, Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposta, in A. Manna (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova, 2018, 850; G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2013, 389.

[6] Cfr. Cass., Sez. III, 20 giugno 2017, n. 35591.

[7] Su questi temi vd. I. Caraccioli, Gruppi di società e valenza strategica dell’art. 2634 comma 3 c.c., in Impresa Comm. Ind., 2003, 882 ss; F. Mucciarelli, Il ruolo dei vantaggi compensativi nell’economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, in Giur. Comm., 2002, 633; C. Benussi, La Cassazione ad una svolta: la clausola dei vantaggi compensativi è esportabile nella bancarotta per distrazione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2007, 421 ss; E. Scaroina, Verso una responsabilizzazione del gruppo di imprese multinazionali, 23 luglio 2018, in www.penalecontemporaneo.it; E. Borzheku, L’offensività nella bancarotta fraudolenta per operazioni distrattive infragruppo, in Cass. Pen., 2018, 340 ss; C. Santoriello, Contratto di cash pooling: penalmente irrilevante ma solo a determinate condizioni, 15 ottobre 2018, in www.ilsocietario.it; A. De Lia, Riflessi penali delle operazioni infragruppo, in Id. – A. Manna, Dieci nodi gordiani di diritto penale dell’economia, Milano, 2021, 195 ss.