Pubbl. Gio, 15 Dic 2022
La presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l´ inefficacia del provvedimento di demolizione pregresso
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Alessandra Coppola
Il presente contributo è volto ad analizzare gli istituti di sanatoria ordinaria e straordinaria in materia edilizia, ripercorrendo in particolare le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza amministrativa in ordine al rapporto tra le istanze de quibus e l´ordinanza di demolizione già emanata dalla competente amministrazione comunale, tematica da ultimo affrontata dal Consiglio di Stato con sentenza dell´8 aprile 2022, n. 2596.
Sommario: 1. Premessa. 2. La sanatoria edilizia: l’accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. 380/2001 ed il condono edilizio. 3. Il contrasto ermeneutico in ordine all’inquadramento dei rapporti tra le “istanze di sanatoria” e la pregressa ordinanza di demolizione del manufatto abusivo. 4. L'orientamento seguito dal Consiglio di Stato, Sez. VI nella sentenza dell’8 aprile 2022, n. 2596. 5. Conclusioni.
1. Premessa
La pronuncia del Consiglio di Stato 8 aprile 2022, n. 2596 concerne l’inquadramento delle conseguenze dell’avvenuta presentazione di una istanza di condono edilizio sul procedimento sanzionatorio avviato dall’amministrazione comunale e terminato con l’emissione di una ordinanza di demolizione.
Sul tema si è a più riprese pronunciata la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato e dei tribunali territoriali: taluni si sono espressi reiteratamente nel senso della definitiva inefficacia dell’ingiunzione di demolizione a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità disciplinata dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), talaltri hanno affermato che la presentazione di una domanda di sanatoria non comporta l’inefficacia definitiva della pregressa ordinanza sanzionatoria, determinando soltanto un arresto temporaneo dell’efficacia della medesima che non pone alcun obbligo in capo alla competente amministrazione di adottare un nuovo provvedimento di demolizione in caso di esito negativo del procedimento di accertamento di conformità.
Analoghi dubbi ermeneutici hanno riguardato altresì l’istituto del condono edilizio, la cui istanza, secondo molti, determinerebbe una inefficacia assoluta del pregresso atto repressivo dell’abuso, salva la necessità di una sua rinnovata adozione nell’eventualità di un rigetto della richiesta di sanatoria.
Dunque, al fine di meglio comprendere l’iter giurisprudenziale che ha portato alla pronuncia in esame, occorre preliminarmente analizzare entrambi gli istituti “di sanatoria edilizia”, onde evidenziarne le differenze intrinseche ed indagarne il rapporto con la vincolata ordinanza sanzionatoria di demolizione previamente emanata della competente amministrazione.
2. La sanatoria edilizia: l’accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. 380/2001 ed il condono edilizio
Il sistema normativo che governa l’edilizia attribuisce ai relativi titoli autorizzativi la funzione di attestare la conformità tra il progetto edilizio presentato dall’interessato, gli atti di pianificazione urbanistica territoriale e le leggi settoriali di riferimento.
Ciononostante, lo ius aedificandi del privato, esercitato in assenza o in difformità di un valido titolo di assenso, potrebbe ugualmente presentarsi come legittimo allorquando risulti comunque coerente con la disciplina di settore e con gli atti di programmazione urbanistica, ovvero sia idoneo a realizzare un interesse finanziario dello Stato, a discapito dell’interesse generale ad una perfetta conformazione urbanistica del bene.
Per questo il Legislatore, onde evitare di comminare la sanzione demolitoria del manufatto per mancanza del titolo richiesto in assenza di una preventiva indagine in ordine alla sua conformità urbanistico-territoriale o alla sua utilità economico-finanziaria, consente all’interessato di recuperare ex post la legittimità dell’intervento eseguito, conformando la realtà fattuale alle norme giuridiche attraverso l’attivazione di un procedimento cd. “di sanatoria”.
Con il termine “sanatoria” vengono tradizionalmente intesi due istituti che si risolvono nella legittimazione di un intervento solo dopo la sua effettiva esecuzione.
Il primo è l’accertamento di conformità, detto anche “sanatoria ordinaria”, che consiste nella regolarizzazione di abusi cd. formali: il manufatto è stato sì realizzato in assenza del titolo richiesto ex lege o comunque in difformità da esso, ma comunque senza violare la disciplina urbanistica vigente al momento della sua attuazione e della presentazione della relativa istanza di sanatoria.
La ratio dell’istituto introdotto con l’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, poi trasfuso nell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia), è da rinvenirsi nel principio generale secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono svolgere un’attività ispirata ai criteri di adeguatezza e proporzionalità: conseguentemente, l’esercizio dei poteri autoritativi dell’amministrazione non può comportare un sacrificio del diritto di proprietà laddove le facoltà ad esso connesse non siano, poi, contrastanti con l’ordinamento giuridico.
L’accertamento di conformità non può mai essere attivato d’ufficio: è sempre necessaria una istanza di parte. Invero, risulta evidente che, a seguito dell’intervento necessario e vincolato dell’amministrazione, i soli soggetti interessati ad opporsi alle iniziative sanzionatorie intraprese da quest’ultima non possono che essere il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario del manufatto abusivo esistente.
Vieppiù che l’effetto di arrestare l’attività sanzionatoria dell’ente comunale, come già accennato, consegue unicamente all’accertamento da parte di quest’ultimo della cd. doppia conformità: il manufatto esistente deve essere confacente non soltanto alla normativa edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso edilizio, ma anche a quella applicabile al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
E, per orientamento ormai consolidato, il silenzio dell’amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità ha un valore legale tipico di rigetto e costituisce, quindi, un'ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego.
Va soggiunto, per completezza espositiva, che, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, è richiesto al soggetto interessato il pagamento, a titolo di sanzione, del contributo di costruzione in misura doppia a quella prevista[1]e ciò anche nel caso in cui l’intervento edilizio sia gratuito ex lege.
Da siffatto istituto si differenzia, per presupposti e finalità, il condono. Seppur entrato ormai nell’uso comune, il termine “condono” non compare in nessun testo legislativo in quanto ritenuto, probabilmente, “evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite” previa corresponsione di una somma a titolo di sanzione pecuniaria idonea ad estinguere altresì la relativa fattispecie penale configurabile per la costruzione abusiva [2].
Il condono, quindi, diversamente dalla sanatoria ordinaria, presuppone un abuso “sostanziale”, una situazione di abusività insanabile poiché sprovvista di qualsivoglia, anche minima, conformità formale.
In Italia si sono succedute, in particolare, tre leggi di condono.
La prima è la n. 47/1985 che, ai capi IV e V, prevede una serie di norme aventi una portata preventiva e repressiva, volte a garantire un incisivo rispetto dell’ordinamento giuridico [3].
Le successive –L. 23 dicembre 1994, n. 724 e L. 24 novembre 2003, n 326- sono finalizzate ad estendere l’efficacia della precedente legge di condono, applicandola altresì alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi.
Dunque, anche in tale ipotesi la relativa istanza va presentata all’amministrazione comunale ove insiste l’opera abusiva da colui che ha provveduto alla sua realizzazione, o dai figli di questo.
Più di precipuo e per quanto di interesse in tal sede, l’art. 35, co. 17, della l. 47/1985 prevede che “Fermo il disposto del primo comma dell’art. 40 [rappresentazione dolosamente infedele] e con l’esclusione dei casi di cui all’art. 33 [contrasto con vincoli nominativamente indicati], decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento”.
La presentazione entro il termine perentorio della domanda previsto dall’art. 31, accompagnata dall’attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell’art. 35, sospende i procedimenti per abusi accertati al fine di consentire all'interessato di accedere alla sanatoria [4], il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative [5]; peraltro, dalla entrata in vigore della legge e fino alla scadenza dei termini per la presentazione della domanda di condono, sono sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali e quelli connessi all’applicazione dell’art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
3. Il contrasto ermeneutico in ordine all’inquadramento dei rapporti tra le “istanze di sanatoria” e la pregressa ordinanza di demolizione del manufatto abusivo
Tanto premesso, è d’uopo analizzare il contrasto giurisprudenziale concernente l’inquadramento delle conseguenze dell’avvenuta presentazione di un’istanza di sanatoria sul procedimento sanzionatorio per originario intervento illecito, concretizzatosi nell’adozione dell’ingiunzione a demolire.
In origine, la giurisprudenza amministrativa predominante aderiva all’orientamento secondo il quale l’attivazione di un procedimento di sanatoria mediante apposita richiesta di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 all’amministrazione comunale avesse l’effetto di rendere improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione, il ricorso di annullamento giurisdizionale dell’ordinanza di demolizione.
A sostegno della tesi anzidetta veniva addotta la circostanza che, in applicazione dei principi di economicità e coerenza dell’azione amministrativa che impediscono di sanzionare previamente ciò che potrebbe essere sanato anche ex post [6], la mera proposizione dell’istanza di sanatoria de qua avrebbe comportato tout court l’inefficacia dell’ingiunzione repressiva impugnata [7].
Dunque, a seguito della domanda di accertamento ex art. 36, D.P.R. 380/2001, secondo l’orientamento in commento, si sarebbe dovuto comunque provvedere alla sostituzione della originaria ordinanza di demolizione: in caso di accoglimento dell’istanza, con il titolo autorizzativo domandato e, in caso di diniego, con un nuovo ordine repressivo.
Altra corrente giurisprudenziale è, a contrario, sempre stata favorevole al riconoscimento della “inefficacia solo temporanea dell’atto, con sua conseguente “riespansione” all’esito della definizione del procedimento di sanatoria, ovvero di maturazione del termine legalmente stabilito per la sua definizione” [8].
Sul versante processuale, questa seconda opzione si risolve nella possibilità di vagliare l’atto gravato, rectius l’ordinanza di demolizione, nel merito.
Non va sottaciuto che l'anzidetto contrasto interpretativo si ravvisa altresì nei Tribunali territoriali.
Si sono, invero, espressi nel senso della definitiva inefficacia dell’ordine di demolizione in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria il TAR per la Toscana, quello per la Lombardia, per il Molise ed il TAR Campania, sezione staccata di Salerno che hanno affermato a più riprese che “la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, successivamente all’emanazione dell’ordinanza di demolizione, produce l’effetto di rendere inefficace il pregresso provvedimento di demolizione, in quanto il necessario riesame dell’abusività o meno dell’opera obbliga l’Amministrazione ad una nuova valutazione della situazione di abusività che impatta sulla precedente ordinanza di demolizione (emanata, appunto, sul presupposto dell’illegittimità dell’opera), rendendola inefficace; pertanto, anche nel caso in cui l’accertamento ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 o ex art. 140 della L.R. n. 1/2005 si concludesse negativamente, la P.A. sarà comunque tenuta ad emanare una nuova ordinanza di demolizione, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere; da ciò consegue che l’interesse a ricorrere del privato proprietario viene traslato, innanzitutto, sugli eventuali provvedimenti di rigetto della domanda di sanatoria e, successivamente, sulla nuova ordinanza di demolizione adottata dall’amministrazione in conseguenza al rigetto dell’istanza di sanatoria edilizia” [9].
Di diverso avviso il TAR per la Campania, sede di Napoli e quello per il Lazio. Quest’ultimo ha ricordato che “la presentazione di una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendovi dunque un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina, infatti, un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale efficacia opera in termini di mera sospensione, sicché qualora si formi il silenzio-rigetto per il decorso infruttuoso dei 60 giorni, ai sensi dell’art. 36, co. 3, ovvero l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto espresso, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia” [10].
A sostegno di siffatto orientamento, si è sostenuto che l’art. 36 del T.U. Edilizia prevede il rilascio del permesso di costruire in sanatoria non oltre il termine di 60 giorni, ma “non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere” [11].
Diversamente va riferito per quanto concerne il rapporto tra la presentazione di una istanza di condono e l’ordinanza di demolizione pregressa.
Invero, per espressa previsione legislativa, la domanda di condono sospende il procedimento sanzionatorio e, laddove accolta, determina altresì l’inapplicabilità di tutte le sanzioni, comprese quelle penali, in via definitiva. Il riferimento è sia all'art. 38 della legge n. 47/1985, che prevede che la presentazione della domanda di condono sospenda il procedimento per l'applicazione di sanzioni amministrative, sia all'art. 44, ultimo comma, della stessa legge che prevede che in pendenza del termine per la presentazione di tali domande, tutti i procedimenti sanzionatori in materia di edilizia siano sospesi[12].
Sicché le ordinanze demolitorie già emanate dall’autorità competente, seppur illegittime, perdono la propria efficacia ed il tempo necessario alla definizione della procedura di sanatoria rende doverosa la reiterazione dell’ingiunzione a demolire che, tuttavia, trova il suo fondamento nella non condonabilità del manufatto e non, invece, nella abusività originaria dello stesso.
Più di precipuo, occorre distinguere: se il Comune procede all’accoglimento della domanda di concessione in sanatoria, conseguentemente gli atti sanzionatori impugnati vengono implicitamente rimossi; se invece l’amministrazione respinge l’istanza, è tenuta, ai sensi dell’art. 40, co. 1, L. n. 47/1985 a riesaminare la fattispecie, assumendo nuovi e conclusivi provvedimenti sanzionatori.
Ne consegue che, qualora il provvedimento acquisitivo da parte dell’amministrazione comunale sia assunto prima della definizione della istanza di condono e sulla base della ormai inefficace ordinanza sanzionatoria, è sicuramente illegittimo e, quindi, annullabile.
A questo punto, sul piano processuale, il ricorso avverso l’ordinanza di demolizione sarà dichiarato inammissibile ovvero improcedibile, essendo la stessa ormai divenuta inefficace dal momento della presentazione dell’istanza di sanatoria straordinaria de qua.
Non va, tuttavia, sottaciuto che, la giurisprudenza amministrativa ha a più riprese sostenuto come, in realtà, la presentazione della domanda di condono successivamente alla impugnazione dell’ordinanza di demolizione produca l’effetto di rendere inefficace quest’ultima e, di conseguenza, improcedibile l’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse solo ove non sia evidente la mancanza dei presupposti minimi di ammissibilità della medesima istanza di sanatoria.
4. L'orientamento seguito dal Consiglio di Stato, Sez. VI nella sentenza dell’8 aprile 2022, n. 2596
Tanto premesso, occorre soffermarsi da ultimo sulla pronuncia del Consiglio di Stato n. 2596 dell'8 aprile 2022.
Aderendo all’orientamento secondo il quale la presentazione dell’istanza di sanatoria -rectius condono- non comporta tout court l’inefficacia del provvedimento di demolizione pregresso, il supremo Consesso di Giustizia Amministrativa ha rilevato nella sentenza in commento che la tesi secondo cui a seguito della presentazione della domanda di condono il procedimento repressivo edilizio subisce un definitivo arresto che fa sorgere l’obbligo del Comune di riesaminare la domanda prima di ogni altra conclusione sanzionatoria e di adottare un nuovo atto di ingiunzione a demolire in caso di diniego della richiesta di sanatoria straordinaria, con la conseguente perdita definitiva dell’efficacia del provvedimento di demolizione già adottato e della improcedibilità delle impugnazioni ad esso rivolte per sopravvenuta carenza di interesse, si riferisce unicamente al caso in cui l'ordine di demolizione sia stato adottato precedentemente alla presentazione della domanda di condono ed è comunque revocabile in dubbio nel caso in cui il procedimento di condono si concluda con un diniego a distanza di un ragionevole lasso di tempo rispetto alla demolizione sospesa, nonché nell’ipotesi di evidente mancanza dei presupposti minimi ed essenziali di ammissibilità della richiesta di condono.
Più precisamente l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere determinato dalla presentazione dalla istanza de qua con la riadozione dei provvedimenti repressivi ha senso solo ove vi sia un intervenuto astrattamente sanabile, “ossia quando per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito e per il suo concreto contenuto risulti definitivamente vanificata l’operatività del precedente provvedimento demolitorio, adottato senza tener conto della (astratta) condonabilità del bene”.
5. Conclusioni
Le conclusioni cui è pervenuta la IV Sezione del Consiglio di Stato, oltre ad essere confacenti alle acquisizioni ermeneutiche della giurisprudenza amministrativa in materia, risultano altresì conformi al principio di speditezza dei procedimenti amministrativi repressivi.
Invero, se in genere, al momento della presentazione dell’istanza di condono edilizio, l’ordinanza di demolizione già emanata dal Comune diviene tout court inefficace, una inutile riedizione ex novo del potere repressivo, atteso l’identico provvedimento da adottare in sede di rinnovo a causa della natura palesemente abusiva del manufatto e dell’impossibilità di condonarla [13], aggrava e rallenta indubbiamente ed ingiustificatamente il procedimento amministrativo volto al ripristino della violata legalità, in spregio ai principi generali che regolano l’attività amministrativa nel perseguimento del pubblico interesse [14].
Si auspica, pertanto, non soltanto un intervento chiarificatore dell'Adunanza Plenaria relativamente all’inquadramento del rapporto tra ordinanza di demolizione pregressa e istanza di sanatoria, tutt'oggi ancora dubbio, ma altresì una rinnovata adesione all’orientamento pocanzi illustrato che, quantomeno in tema di sanatoria straordinaria, è senz'altro idoneo ad assicurare un equilibrio tra garanzia procedimentale e buon andamento dell’azione amministrativa.
[1] Art. 36, co. 2 D.P.R. n. 380/2001
[2] G. GUZZO, G. PALLIGGIANO, L'attività edilizia- Titoli, procedure, sanzioni e tutela, Giuffrè editore, 2018
[3] Al riguardo è stato autorevolmente osservato che la L. n. 47/1985 rappresenta “(…) il frutto della tormentata integrazione tra due diverse (se non opposte) logiche che avevano caratterizzato le precedenti iniziative legislative sul tema della sanatoria dell’abusivismo edilizio: una prima, cui era ispirato l’originario provvedimento governativo che privilegiava gli aspetti urbanistici dell’intervento di recupero dell’abusivismo edilizio e che, in conseguenza, considerava sanabili soltanto quelle costruzioni che fossero compatibili con un razionale assetto del territorio comunale; ed un’altra, che –secondo le dichiarazioni dello stesso Governo- considerava prevalenti, su qualunque altro, gli aspetti fiscali del provvedimento ed alle necessità dell’intera manovra finanziaria governativa sacrificava rilevanti esigenze di asseto territoriale (…)” così G. TORREGROSSA, Aspetti innovativi della disciplina urbanistica nella l. 28 febbraio 1985, n. 47: mutamento di destinazione d’uso concessione in sanatoria e nullità degli atti di trasferimento, in suppl. a Riv. Giur. Edil, 1985, n. 2,2.
[4] Art. 44, co. 1 L. 47/1985
[5] Art. 38, co. 1 L. 47/1985
[6] TAR Campania Napoli, Sez. VII, sent. 11 febbraio 2011, n, 890; Cons. St., Sez. IV, sent. 13 gennaio 2010, n. 100.