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Pubbl. Mar, 22 Nov 2022

Il discrimine tra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi e il delitto di atti persecutori nella lettura della Cassazione

Dalila Mara Schirò
Ricercatore (TDA)Università degli Studi di Palermo



Lo scritto si sofferma sulla sentenza n. 24745 del 30 maggio 2022, per mezzo della quale la sezione V della Corte di cassazione delinea il perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, individuando anche i tratti che consentono di distinguere detta figura di reato dal delitto di atti persecutori.


Sommario: 1. Brevi considerazioni introduttive; 2. Il perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi; 3. I rapporti tra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il delitto di atti persecutori; 4. La soluzione della Cassazione.

Sommario: 1. Brevi considerazioni introduttive; 2. Il perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi; 3. I rapporti tra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il delitto di atti persecutori; 4. La soluzione della Cassazione.

1. Brevi considerazioni introduttive

Con la sentenza n. 24745 del 30 maggio 2022, la sezione V della Corte di cassazione offre l’occasione per riflettere sul perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsto dall’art. 572 c.p., e sui tratti che consentono di distinguerlo dal delitto di atti persecutori, disciplinato dall’art. 612 bis c.p.[1]

Oggetto della citata pronuncia è il ricorso presentato da un imputato, condannato sia dal giudice di primo grado sia dal giudice di secondo grado alla pena di anni due di reclusione, oltre le statuizioni civili, in relazione al delitto di maltrattamenti commesso nei confronti della moglie (art. 572, commi 1 e 2, c.p.).

In sintesi, questi i motivi di ricorso, sia di natura sostanziale sia di natura processuale. Con il primo motivo, l’imputato lamentava l’«inosservanza dell’art. 521 c.p.p., alla luce della intervenuta violazione degli artt. 111 della Costituzione e 6 della CEDU», nonché il vizio di motivazione in ordine alla erronea qualificazione del fatto, operata in sentenza dal giudice di primo grado, e poi confermata dal giudice di appello. Ad avviso dell’imputato, al quale era stato inizialmente contestato il delitto di atti persecutori aggravato (art. 612 bis, commi 1 e 2, c.p. e art. 61, comma 1, n. 11 quinquies, c.p.), la riqualificazione del fatto “a sorpresa”, in sentenza, avrebbe determinato una inosservanza delle regole processuali già ad opera del giudice di primo grado. Inoltre, detta riqualificazione, sempre secondo l’imputato, non sarebbe stata prevedibile, poiché dagli elementi fattuali posti a fondamento della contestazione risultava che i comportamenti rimproverati si erano verificati dopo la cessazione della convivenza con la moglie.

Con il secondo motivo di ricorso, l’imputato denunciava l’erronea applicazione della legge penale: a suo avviso, infatti, la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p. non avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, tenuto conto della cessazione della relazione di convivenza con la moglie; e, comunque, i comportamenti dalla stessa riferiti non avrebbero dovuto essere ricondotti nella sfera di azione del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

Con il terzo motivo di ricorso, l’imputato lamentava la mancanza e la contraddittorietà della motivazione ricavabile sia dal testo della sentenza che dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, non in grado di provare uno stato di ansia e di prostrazione dipendente dai comportamenti contestati all’imputato.

2. Il perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi

Nel dichiarare inammissibile il ricorso, perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati, la Cassazione dedica particolare attenzione alla censura racchiusa nel secondo motivo, sopra richiamato. La Suprema Corte tiene, infatti, a sottolineare immediatamente che la ricostruzione prospettata dalla difesa, secondo la quale il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi non sarebbe configurabile per la cessazione della relazione di convivenza, è erronea, ponendosi in contrasto sia con la lettera della disposizione di cui all’art. 572 c.p. sia con la giurisprudenza di legittimità. Una erronea ricostruzione che, sempre secondo la Cassazione, sarebbe stata posta alla base delle lamentate violazioni della legge processuale penale, indicate nel primo motivo di ricorso.

Richiamando il testo dell’art. 572 c.p., la Cassazione prosegue, difatti, affermando che l’espresso riferimento alla «persona della famiglia» non ha mai suscitato dubbi circa la possibile configurabilità del delitto di maltrattamenti laddove la condotta rilevante ai sensi della disposizione sia realizzata nei confronti del coniuge, a prescindere dalla cessazione della relazione di convivenza.

Ad avere, semmai, sollevato incertezze, mettendo in discussione i confini applicativi della fattispecie incriminatrice, è stata la configurabilità del delitto de quo nel caso nel quale i maltrattamenti siano stati realizzati nella fase della cessazione della convivenza di fatto (o more uxorio).

La Suprema Corte ricorda, infatti, che il delitto di cui all’art. 572 c.p. era già presente nella tessitura originaria del codice penale del 1930[2]. E il richiamo in esso contenuto alla «persona della famiglia» era stato inizialmente inteso in senso restrittivo, ricomprendendo soltanto i componenti la famiglia legittima, e non la famiglia di fatto.

Ma già nei decenni successivi alla entrata in vigore del codice penale, la giurisprudenza ne aveva ampliato il raggio di azione, riconducendovi anche i maltrattamenti posti in essere nei confronti del convivente more uxorio, poiché anche in tale ipotesi si crea tra le parti un rapporto stabile di comunità familiare[3]. Del resto, le intense relazioni e le consuetudini di vita che si creano fra le persone costituiscono fonte di obblighi di protezione reciproca e di assistenza e determinano tra i soggetti una situazione identica a quella che deriva dal rapporto di coniugio, sicché anche esse meritano, in presenza di maltrattamenti, specifica protezione da parte dell’ordinamento giuridico.

Soltanto in anni più recenti, con legge 1° ottobre 2012, n. 172, il riferimento alla persona «convivente» è stato inserito nel testo dell’art. 572 c.p.[4]

Ora, come sottolineato dalla Cassazione, proprio lo scioglimento della convivenza di fatto, che naturalmente non coincide con la mera cessazione della coabitazione, mal si concilierebbe con il testo dell’art. 572 c.p., il quale rinvia alla relazione di convivenza e alla sua attualità. E, in effetti, continua la Cassazione, tale profilo ha sollevato alcune criticità sottoposte, nel 2021, all’attenzione della Consulta, la quale ha invitato al rispetto del divieto di analogia in malam partem[5].

Ma, ad avviso della Cassazione, tale aspetto, richiamato dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso, non assumerebbe alcuna rilevanza nel caso di specie poiché, nel momento nel quale sono stati realizzati i maltrattamenti, l’imputato e la persona offesa erano legati dal rapporto matrimoniale. E la giurisprudenza non ha mai posto in dubbio la configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., in presenza dei requisiti fissati dalla disposizione, ove le condotte si realizzino nell’ambito di un rapporto fondato sul matrimonio anche nella fase della separazione, trattandosi di uno stadio nel corso del quale i vincoli derivanti dal coniugio sono ancora intatti[6].

3. I rapporti tra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il delitto di atti persecutori

Tramite ulteriori passaggi argomentativi, riguardanti profili di carattere processuale sui quali in tale sede non ci si soffermerà, la Cassazione respinge anche le ulteriori censure prospettate dall’imputato, riguardanti, sostanzialmente, le condotte inizialmente contestate e la loro successiva riqualificazione, nonché i rilievi inerenti alla ricostruzione dei fatti, effettuata tramite il richiamo alle dichiarazioni rese dalla persona offesa e ai riscontri che esse hanno trovato nelle dichiarazioni rese dal padre della persona offesa e da ulteriori soggetti. E aggiunge, poi, altri elementi che consentono non solo di cogliere ulteriori caratteristiche del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ma, altresì, di segnalarne i tratti che consentono di differenziarlo dal delitto di atti persecutori.

Sottolinea, infatti, la Cassazione che il giudice di secondo grado avrebbe coerentemente applicato il principio in forza del quale il delitto di cui all’art. 572 c.p. consiste «nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita e in cui i singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l’esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo»[7]. Inoltre, alla luce della natura abituale del delitto de quo, il giudice di appello avrebbe tenuto conto anche della giurisprudenza secondo la quale «il dolo non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale sia finalizzata, fin dalla loro rappresentazione iniziale, la serie di condotte tale da cagionare le abituali sofferenze fisiche o morali della vittima, essendo, invece, sufficiente la sola consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima»[8].

Certo - riconosce la Cassazione - sono indiscutibili i punti di contatto tra il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il delitto di atti persecutori. Ma non vanno trascurati quegli elementi che consentono di tracciare una linea di discrimine. Mentre, infatti, il delitto di maltrattamenti sarebbe reato abituale, configurabile qualora venga realizzata una condotta in grado di creare della vittima uno «stato di prostrazione», il delitto di atti persecutori sarebbe «reato abituale di evento», configurabile ove l’agente, con condotte reiterate, minacci o molesti taluno in modo da determinare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per la incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata al medesimo da una relazione affettiva, o da costringere lo stesso a modificare le proprie abitudini di vita[9]. Inoltre, occorre ricordare che il testo dell’art. 612 bis c.p. esordisce con una clausola di riserva (più precisamente: clausola di consunzione) che ne impedisce l’applicazione ove il fatto costituisca più grave reato; esso, poi, prevede una apposita fattispecie aggravata applicabile, per quel che qui rileva, qualora il fatto sia commesso «dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa». Interessante anche notare l’impegno compiuto dalla Cassazione nella individuazione di alcuni profili che segnerebbero la distanza tra i due delitti sul piano «fenomenico e sociologico»: per la Cassazione, infatti, il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi sarebbe idoneo ad assicurare protezione da «comportamenti violenti o abusanti che si realizzano in un contesto di vita comunitaria o, comunque, di condivisione del quotidiano (è un tipico reato commesso in ambienti istituzionali quali scuole o residenze di anziani o soggetti inabili e nelle quali si registra un affidamento al potere di direzione o coordinamento dei soggetti che dirigono la struttura)»; invece, il delitto di atti persecutori sarebbe «maggiormente funzionale ad apprestare tutela in quelle situazioni in cui dalla rottura del rapporto interpersonale tra i soggetti emergono situazioni di conflitto e di contrapposizione, spesso di rifiuto della rottura del rapporto, che possono sfociare in atteggiamenti minatori, violenti o insistentemente rivendicativi verso l’ex partner»[10].

4. La soluzione della Cassazione

Dunque, sotto il profilo sostanziale, sia la ricostruzione del perimetro applicativo del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi sia la messa a fuoco dei suoi rapporti con il delitto di atti persecutori consentono alla Cassazione di affermare che i comportamenti realizzati dall’imputato integrano il delitto di cui all’art. 572 c.p., e non il delitto di cui all’art. 612 bis c.p.: essi, infatti, si sarebbero manifestati durante il rapporto di coniugio; sarebbero stati reiterati nel tempo e connotati dalla volontà di sopraffazione e di asservimento della persona offesa, della quale avrebbero svilito la dignità.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il testo della sentenza richiamata è consultabile in questa Rivista.

[2] Sul delitto di cui all’art. 572 c.p., tra gli altri: F. Mantovani, Riflessioni sul reato di maltrattamenti in famiglia, in Studi in onore di Francesco Antolisei, vol. II, Giuffrè, Milano, 1965, 227; G.D. Pisapia, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Noviss. dig. it., vol. X, Utet, Torino, 1968, 72; Id., Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Digesto pen., vol. VII, Utet, Torino, 1993, 518; F. Coppi, Profili del reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Arch. pen., 1974, 173; Id., Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Enc. dir., vol. XXV, Giuffrè, Milano, 1975, 223; M. Meneghello, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in S. Riondato (a cura di), Diritto penale della famiglia, vol. IV, 2a ed., in P. Zatti (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Giuffrè, Milano, 2011, 635; G. Belcastro, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli. Art. 572 c.p., in F.G. Catullo (a cura di), Diritto penale della famiglia, Cedam, Padova, 2012, 327; A. Spena, Reati contro la famiglia, in C.F. Grosso-T. Padovani-A. Pagliaro (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte spec., vol. XIII, Giuffrè, Milano, 2012, 347; M. Del Tufo, Delitti contro la famiglia, in D. Pulitanò (a cura di), Diritto penale. Parte spec., vol. I, Tutela penale della persona, 2a ed., Giappichelli, Torino, 2014, 425.

Per le più recenti modifiche, volendo, D.M. Schirò, Le modifiche agli articoli 61, 572 e 612-bis del codice penale, nonché al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (art. 9, l. 19 luglio 2019, n. 69), in B. Romano-A. Marandola (a cura di), Codice rosso. Commento alla l. 19 luglio 2019, n. 69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pacini Giuridica, Pisa, 2020, 91 ss.

[3] Benché nella sentenza che si annota sia inserito solo un generico richiamo alla «giurisprudenza», sembra il caso di indicare alcune interessanti pronunce sul tema. Tra le altre: Cass. pen., sez. III, 26 febbraio 1986, n. 1691, in Riv. pen., 1986, 1079; Cass. pen., sez. III, 13 novembre 1985, in Cass. pen., 1987, 602; Cass. pen., sez. VI, 18 dicembre 1970, in Giust. pen., 1971, II, 835; Cass. pen., 31 gennaio 1956, in Giust. pen., 1956, II, 744.

[4] Sulla legge 1° ottobre 2012, n. 172, cfr.: G.L. Gatta, Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale: ratificata la Convenzione di Lanzarote del 2007 (e attuata una mini-riforma nell’ambito dei delitti contro la persona), in Dir. pen. cont., 20 settembre 2012, e G. Pavich, Luci e ombre nel “nuovo volto” del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle novità apportate dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ivi, 9 novembre 2012.

[5] Corte cost., 14 aprile 2021, n. 98, in www.cortecostituzionale.it. Sulla sentenza, tra gli altri, cfr.: E. Aprile, Per la Consulta, nel caso di riqualificazione giuridica del fatto contestato ai sensi dell’art. 521 c.p.p., il giudice deve rispettare il divieto di analogia in malam partem. Osservazioni, in Cass. pen., 2021, 2777; C. Cupelli, Divieto di analogia in malam partem e limiti dell’interpretazione in materia penale: spunti dalla sentenza 98 del 2021, in Giur. cost., 2021, 1807.

[6] Tra le altre: Cass. pen., sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 3087, in C.E.D. Cass., n. 272134; Cass. pen., sez. II, 5 luglio 2016, n. 39331, in C.E.D. Cass., n. 267915. Invece, per la configurabilità del delitto di atti persecutori ove le condotte penalmente rilevanti siano realizzate in caso di divorzio, situazione giuridica caratterizzata dalla cessazione dei vincoli nascenti dal coniugio, v. Cass. pen., sez. VI, 12 giugno 2013, n. 50333, in C.E.D. Cass., n. 258644.

[7] Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7192, in C.E.D. Cass., n. 228461.

[8] Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2020, n. 13013, in C.E.D. Cass., n. 279326.

[9] Cass. pen., sez. VI, 30 maggio 2022, n. 24745, cit.

[10] Cass. pen., sez. VI, 30 maggio 2022, n. 24745, cit.