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Pubbl. Ven, 2 Dic 2022

Particolare tenuità del fatto e delitto di evasione

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Anna Onore
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli



La Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 marzo 2022, n. 18332, ha chiarito che in ordine all’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p., richiedendosi un’equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, anche rispetto al delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p.


ENG

Particular tenuity of the act and crime of evasion

The Supreme Court, with the judgment of March 29, 2022, n. 18332, explained that concerning the institution of Article 131-bis, Criminal Code, the judgment on the tenuousness of the act requires a complex assessment, which has as its object the modalities of the conduct and the exiguity of the damage or danger, assessed according to Article 133, par. 1, Criminal Code, requiring a balanced consideration of all the peculiarities of the concrete case and those relating to the extent of the aggression against the protected legal asset and the crime of evasion, Article 385 Criminal Code.

Sommario. 1. La vicenda al vaglio della Cassazione; 2. L’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.); 3. Considerazioni conclusive.

1. La vicenda al vaglio della Cassazione

La vicenda giuridica trae origine dal rinvio a giudizio per il delitto di evasione, ai sensi dell’art. 385 c.p.[1], nei confronti del ricorrente per essersi allontanato senza autorizzazione sulla pubblica via a 500 metri dalla propria abitazione, dove era detenuto agli arresti domiciliari per ulteriori fatti di causa. Il Tribunale dichiarava l’imputato non punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p. per la particolare tenuità del fatto contestato.

Avverso la sentenza di proscioglimento, il Procuratore generale proponeva ricorso per saltum in Cassazione, ai sensi dell’art. 569 c.p.p., denunciando il vizio di violazione di legge per aver il Tribunale erroneamente applicato la causa di non punibilità in assenza dei presupposti necessari per l’inquadramento della condotta del predetto nell’ipotesi di cui all’art. 131-bis c.p.

La Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile sostenendo che il Giudice di prime cure aveva operato una valutazione congiunta degli elementi rilevanti ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, che risultava immune da rilievi di legittimità. Nell’occasione si è rammentato che nell’interpretazione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi sulla relativa richiesta, è tenuto a fornire adeguata motivazione del suo convincimento, frutto della valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, compiuta utilizzando quali parametri di riferimento i criteri previsti dall’art. 133, co. 1, c.p. - modalità della condotta, grado di colpevolezza da esse desumibile ed entità del danno o del pericolo - e, specificamente, indicando quelli ritenuti all’uopo rilevanti[2].

Con riferimento al reato di evasione, ex art. 385 c.p., i predetti principi trovano compiuta declinazione  qualora la fattispecie concreta, all’esito della suddetta valutazione, risulti caratterizzata da un’offensività minima; nel caso in esame, ai fini del riconoscimento della causa di esenzione in parola, il Tribunale aveva valorizzato sia l’episodicità e le circostanze della condotta, sotto il profilo oggettivo, che la tenue intensità del dolo che investe l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato[3].

2. L’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)

La pronuncia in commento, che intercetta il tema della non punibilità per particolare tenuità del fatto rispetto al delitto di evasione, consente di sviluppare alcune riflessioni sui presupposti applicativi della predetta clausola di non punibilità, da ultimo modificata con D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150[4], in attuazione della Legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari (c.d. Riforma Cartabia)[5], in vigore dal 1° novembre.

L’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., introdotto con D. Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 e successive modifiche (D. L. 14 giugno 2019, n. 53 e D. L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 173), è stato da sempre oggetto di annoso dibattito sia giurisprudenziale che dottrinale per la sua infelice formulazione e per le conseguenti problematicità riscontrate in sede applicativa.

La non punibilità per particolare tenuità del fatto si presenta come clausola di equità connotata da una duplice ratio ed avente natura giuridica controversa. L’orientamento prevalente sostiene che l’istituto in parola persegua un duplice obiettivo: di natura sostanziale, consentendo al giudice di escludere la punibilità di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole ma connotato da un’esigua offensività, e di natura processuale, ove soddisfa esigenze di tipo deflazionistiche del contenzioso penale[6].

Per tali motivi si è soliti affiancare la predetta disposizione ad altri istituti contemplati dall’ordinamento giuridico penale, quale il perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto (art. 169 c.p.), la sentenza di non doversi procedere per irrilevanza del fatto ex art. 27 d.P.R. n. 448/1988,  nel processo penale minorile, e il provvedimento di esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità descritto dall’art. 34 D. Lgs. n. 274/2000, nei procedimenti dinnanzi al Giudice di Pace.

Quanto alla relativa natura giuridica, l’esenzione di cui all’art. 131-bis c.p. è qualificata come causa di non punibilità in senso stretto e non come causa di esclusione del reato, posto che non incide su alcuno degli elementi strutturali del reato ma rende non punibile un fatto costituente reato per ragioni di convenienza e politica criminale. Peraltro, conditio sine qua non all’operatività della norma di favore è che il fatto di reato sia connotato da offensività minima, condizione che vale a distinguere la predetta causa di non punibilità dal fatto del tutto inoffensivo, quindi impossibile di cui all’art. 49, co. 2. c.p.[7].

L’art. 131-bis c.p. trova applicazione al ricorrere di una serie di condizioni di natura mista, oggettiva e soggettiva, come da ultime modificate[8]: deve trattarsi di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena; l’offesa deve essere di particolare tenuità e il comportamento non abituale.

Rispetto al primo requisito relativo alla cornice edittale, il legislatore subordinava l’operatività della predetta clausola alla previsione del massimo edittale, non superiore a cinque anni: disposizione dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale nella parte in cui «non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva»[9]. Nello specifico la Consulta aveva evidenziato come fosse del tutto irragionevole e fonte di disparità, in violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., subordinare il riconoscimento della non punibilità alla previsione del criterio basato sul massimo edittale; d’altronde, solo attraverso la verifica del grado di offesa (desumibile anche dalla cornice edittale della pena, specie nel minimo) è possibile distinguere tra fatto inoffensivo e fatto connotato da un’offesa c.d. tenue[10].

La modifica del parametro di riferimento dal massimo al minimo edittale non superiore a due anni ha, così, ampliato la platea dei reati per i quali è possibile ottenere l’esenzione da pena; basti pensare, tra le figure più ricorrenti, alle fattispecie di furto aggravato ex art. 625 c.p. (non però di furto pluriaggravato: comma 2, reclusione da tre a dieci anni), dei falsi in atti pubblici (artt. 476 e 479 c.p.), di distruzione di cadavere (art. 411 c.p.), della calunnia (art. 368 c.p.), della falsa testimonianza (art. 372 c.p.), del sequestro di persona (art. 605 c.p.), della truffa in erogazioni pubbliche (640 bis c.p.) ecc.

Inoltre, l’offesa deve essere di particolare tenuità, desumibile dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p.[11], con la peculiarità che il giudice è tenuto a prendere in considerazione anche il comportamento del reo successivo al fatto di reato posto in essere. L’inciso “condotta susseguente al reato”, che ha introdotto un ulteriore e inedito criterio di valutazione, consente non solo una verifica in concreto del comportamento offensivo, in un’ottica riparativa, ma al tempo stesso svolge una funzione di valutazione prognostica sul concreto bisogno rieducativo del reo, in una dimensione finalistica[12].

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà oppure quando si procede per delitti (puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione) commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, e nell’ipotesi di cui all’art. 343 c.p. (co. 2)[13]. Oltre i casi indicati , sono aggiunte ulteriori ipotesi delittuose per cui opera lo sbarramento anzidetto, sia nella forma tentata che consumata; a titolo esemplificativo ma non esaustivo, il legislatore esclude dall’applicazione della causa di non punibilità fattispecie che mirano a reprimere la violenza fisica, psicologica, sessuale di genere, quella occorsa nelle mura domestiche, quella posta in essere contro una vittima che l’ordinamento considera particolarmente bisognosa di protezione o vulnerabile (si pensi  ai delitti di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., agli atti persecutori ex art. 612 bis c.p., ai delitti contro la sfera sessuale, quelli introdotti o ritoccati con legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso) e le ipotesi criminose individuate in forza del richiamo alla Convenzione del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77[14].

Infine, il comportamento deve risultare non abituale. Questo è tale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate (co. 3).

Rispetto a tale ultimo requisito e sulla possibile estensione dell’esimente ex art. 131-bis c.p. ai reati permanenti, caratterizzati dalla persistenza ma non dalla reiterazione della condotta, si sono registrati orientamenti contrapposti per i quali si auspica un intervento delle Sezioni Unite[15].

Chiarimento, invece, che si è avuto riguardo al rapporto tra particolare tenuità del fatto e reato continuato (art. 81 cpv c.p.); la Suprema Corte[16] ha affermato che «la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione può risultare ostativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non di per sé, ma soltanto se è ritenuta, in concreto, dal giudice idonea a integrare una o più delle condizioni previste tassativamente dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale».

L’istituto, infine, trova applicazione solo nei giudizi dinanzi al giudice ordinario, con esclusione di quelli di competenza del Giudice di Pace[17], ed è applicabile anche al delitto tentato sempre che sia accertata l’esiguità dell’offesa nel caso in cui il reato avesse raggiunto il suo normale compimento, salvo le ipotesi escluse.

Nel caso in esame, sull’applicazione dell’esimente al soggetto che evade dalla propria abitazione, sottoposto agli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), la Corte rammenta che il giudice è tenuto a effettuare una valutazione complessiva dei presupposti sopra indicati, non potendo la sola violazione della prescrizione di non allontanamento dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, imposta dalle Autorità giudiziarie, precludere l’operatività dell’art. 131-bis c.p.

Piuttosto, per ragioni di giustizia sostanziale si impone una verifica in concreto delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, secondo lo schema dell’art. 133 c.p.; nel caso in commento, era emersa non solo un’episodica violazione dell’art. 284 c.p.p. ma, soprattutto, un’intensità tenue dell’apporto psicologico (doloso) alla condotta illecita, desumibile anche dall’esigua distanza tra l’abitazione del ristretto e il luogo in cui era stato sorpreso (circa 500 mt).

Le censure mosse dal Procuratore generale alla sentenza di primo grado, da questi impugnata, riguardavano proprio la valutazione dei presupposti oggettivi e soggettivi che legittimano il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto; ricostruzione disattesa dalla Suprema Corte, la quale ritiene che il giudice di merito abbia correttamente proceduto alla detta verifica e pronunciato una sentenza di proscioglimento in forza dell’art. 131-bis c.p.

3. Considerazioni conclusive

Dai primi commenti alla Riforma del processo penale rispetto all’istituto della particolare tenuità del fatto, senza entrare nel merito delle considerazioni di favore o critiche allo stato emerse sulla modifica normativa nel suo complesso[18], rileva un dato condiviso: il legislatore, con la predetta modifica, non solo ha voluto rafforzare le istanze deflattive e migliorare la concreta portata applicativa dell’art. 131-bis c.p. ma, per alcuni versi, ha inteso adeguarlo alle sollecitazioni della moderna scienza giuridica dirette verso una “giustizia riparativa”[19].

Relegare l’operatività della predetta clausola al minimo edittale, recependo nei fatti i principi di diritto enunciati della Corte Costituzionale[20], consente una più adeguata valutazione in concreto dell’offesa che l’agente ha cagionato con la sua condotta criminosa. Tale manovra legislativa meglio si allinea alla finalità dell’istituto, ossia quella di ricorrere allo strumento penale solo in extrema ratio, evitando una superflua applicazione della sanzione penale in presenza di una condotta connotata da minima offensività. Occorre, tuttavia, sottolineare che non sono mancate voci dissenzienti da parte di coloro i quali ritengono che sarebbe stato più efficace e coerente assegnare rilevanza non già al limite edittale della pena bensì alla sanzione destinata a trovare concreta applicazione, consentendo un’effettiva valutazione della particolare tenuità dell’offesa[21].

Semmai qualche dubbio si pone sul concreto rilievo da attribuire al comportamento “post delictum” ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa, il cui richiamo è sempre stato disatteso dalla giurisprudenza di legittimità[22]. Di diverso avviso è chi sostiene che la valutazione della condotta susseguente al reato possa contribuire efficacemente alla c.d. personalizzazione del fatto delittuoso, attraverso un approccio più umano e più circostanziato nei confronti del responsabile di infrazioni bagatellari[23].

Né è passibile di critica la scelta di trovare un punto di equilibrio tra ampliamento della platea dei reati per i quali la non punibilità può operare e soglia di sbarramento rispetto a certe fattispecie delittuose che, per il tipo di offesa cagionato, non possono beneficiare del trattamento sanzionatorio di favore.

Quanto all’incidenza della Riforma Cartabia sull’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto al delitto di evasione non ricorrono puntualizzazioni di rilievo; infatti, anche a seguito della modifica del requisito oggettivo del minimo edittale (non superiore a due anni), il delitto ex art. 385 c.p. continua a rientrare nel raggio operativo della clausola di esenzione, essendo punito con la reclusione da uno a tre anni nell’ipotesi di cui al primo comma; nelle forme aggravate da due a cinque anni se ricorre l’uso della violenza o minaccia ai danni delle persone ovvero mediante effrazione oppure da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite.

A tal proposito si ricordi che ai fini della determinazione della pena detentiva prevista dall’art. 131-bis, co. 1, non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (co. 4).

Rispetto, poi, alla costatazione che la tenuità dell’offesa debba essere accertata prendendo in considerazione anche la “condotta susseguente al reato”, non può che favorire un giudizio più rispondente alla realtà dei fatti, specie a quelli oggetto di contestazione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] La disposizione così recita: «1. Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade, è punito con la reclusione da uno a tre anni. 2. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. 3. Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale. 4. Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita». Con la precisazione che “lo stato di arresto o detenzione” è presupposto del reato, che viene dunque ad integrarsi ogni volta che il soggetto evade da una struttura carceraria, dalla propria abitazione, da una struttura ospedaliera o da qualsiasi altro luogo indicato nel provvedimento di restrizione. Non rientrano invece nella disposizione in esame l’accompagnamento coattivo, le misure di prevenzione e il fermo per l’identificazione. Cfr. ex multis Cass. pen., Sez. VI, 2 luglio 2020, n. 21514; Cass. pen., Sez. VI, 6 agosto 2019, n. 35681; Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 8292, tutte consultabili in DeJure.

[2] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681, in C.E.D. Cass., Rv. 266590; Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 2018, n. 5107, in C.E.D. Cass., Rv. 274647.

[3] Cass. pen., Sez. VI, 2 luglio 2020, n. 21514, in C.E.D. Cass., Rv. 279311: il caso riguardava un’episodica violazione del permesso di uscita per lo svolgimento di attività lavorativa, per essersi l’imputato recato in una sede operativa diversa da quella presso la quale era stato autorizzato a lavorare e per essere rientrato a casa con due ore di ritardo. Analogamente Cass. pen., Sez. VI, 9 marzo 2016, n. 19126, in DeJure: nel caso di specie, la Corte afferma che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, cristallizzata nell’art. 131-bis c.p., è applicabile al delitto di evasione, p. e p. ex art. 385 c.p., «qualora il soggetto agente, in via del tutto episodica ed occasionale, si sia allontanato dall’abitazione e si sia recato in uno spazio condominiale col precipuo fine, rivelato da inequivoche circostanze fattuali, di far ritorno nei confini assegnati dal provvedimento giurisdizionale, il che risulta evocativo di un dolo di scarsa intensità, rilevante in virtù del combinato disposto degli artt. 131-bis c.p. e 133 co. 1, n. 3, c.p.».

[4] Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022 – Serie generale, ed entrerà in vigore il 1° novembre 2022. Consultabile online: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2022/10/17/243/sg/pdf.

[5] Per un commento alla riforma della giustizia e del processo penale si rinvia a Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “Legge Cartabia”, in Sistema penale, 15 ottobre, 2021. L’autore sottolinea come «la riforma della giustizia penale si ambienta in un più ampio contesto e va letta come un fondamentale tassello di un complessivo disegno di riorganizzazione della giustizia volto a elevarne il tasso di efficienza e a ridurne i tempi, in linea con gli obiettivi del P.N.R.R.». Alla riforma in materia penale si affianca un’altra riforma relativa al processo civile, che è stata approvata in prima lettura dal Senato nello scorso mese di settembre ed è ora all’esame della Camera (d.d.l. A.C. 3289 – “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”).

[6] Così Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681, in C.E.D. Cass., Rv. 266594, ove si legge che «L’istituto di cui all’art. 131-bis c.p., costituisce una causa di non punibilità in senso stretto e ha la finalità di evitare la reazione punitiva dello Stato quando il fatto, pur essendo accertato in tutti i suoi presupposti, sia caratterizzato da un’offensività minimale che rende superflua l’applicazione della sanzione penale. Si tratta di una norma di natura sostanziale che persegue finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio, con effetti anche in tema di deflazione. Lo scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo. Proporzione e deflazione si intrecciano coerentemente».

[7] L’art. 49, co. 2, c.p. esclude la punibilità del fatto quando l’evento dannoso o pericoloso è impossibile “per l’inidoneità della azione o per l’inesistenza dell’oggetto”. In altri termini, il reato è impossibile quando non si verifica alcuna offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice, sebbene la condotta si sia perfezionata in tutti i suoi elementi costitutivi. L’azione è inidonea quando per sua natura intrinseca non ha alcuna potenzialità di cagionare l’evento dannoso o pericoloso. Con riferimento, invece, alla seconda ipotesi menzionata, l’oggetto che viene in rilievo è quello materiale (cosa o bene su cui ricade l’azione criminosa) e perché possa applicarsi la norma de qua l’inesistenza dell’oggetto deve essere assoluta. Per un approfondimento del principio di offensività si rinvia alla manualistica di parte generale Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè Editore, Milano, 2021, 43 ss.; Fiandaca-Musco, Diritto penale - parte generale, ed. VIII, Zanichelli Editore, Bologna, 2019, 50 ss.; Mantovani, Diritto penale, ed. IX, Cedam, Milano, 2015, 30 ss.

[8] Si riporta l’art. 2, co. 1, lett. c), D. Lgs. 10 ottobre 2022 , n. 150, Titolo I - “modifiche al codice penale”, che  rispetto all’art. 131-bis c.p. così dispone: «Al Libro I del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: c) all’articolo 131-bis: 1) al primo comma, le parole: «massimo a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti «minimo a due anni» e dopo le parole: «primo comma» sono inserite le seguenti «anche in considerazione della condotta susseguente al reato»; 2) al secondo comma, il secondo periodo è soppresso; 3) dopo il secondo comma è inserito il seguente: «L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: 1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall’articolo 343; 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 391-bis, 423, 423-bis , 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583-bis, 593-ter, 600-bis, 600-ter, primo comma, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-undecies, 612-bis, 612-ter, 613-bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648-bis, 648-ter; 4) per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, dall’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58».

[9] Cfr. Corte Cost., 25 giugno 2020, n. 20099, in DeJure. Nel caso di specie, ad avviso del giudice a quo, l’art. 131-bis c.p. avrebbe violato gli evocati parametri nella parte in cui non consente la sua applicazione al reato di ricettazione attenuata previsto dall’art. 648, co. 2, c.p., che non prevede un minimo edittale di pena detentiva. Il giudice rimettente portava a comparazione i reati di furto, danneggiamento e truffa che, lesivi dello stesso bene giuridico della ricettazione, rientrano nella sfera di applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis c.p. in ragione di un massimo edittale di pena detentiva non superiore a cinque anni e che tuttavia hanno una pena minima di sei mesi di reclusione, «maggiore di ben dodici volte la pena minima prevista dal codice penale in riferimento al delitto di ricettazione attenuata». L’irragionevole esclusione di quest’ultimo reato dalla sfera applicativa della causa di non punibilità avrebbe violato non solo l’art. 3 Cost. ma anche l’art. 27, co. 3, Cost. atteso che «la palese disparità di trattamento in parola è idonea a frustrare le esigenze rieducative correlate al trattamento sanzionatorio».

[10] Vedi Brunelli, La tenuità del fatto nella riforma “Cartabia”: scenari per l’abolizione dei minimi edittali?, in Sistema penale, 13 gennaio 2022. L’autore sottolinea come sia più coerente il criterio limitativo basato sul minimo edittale, perché consente di valutare in concreto la distanza che separa la nessuna pena con la pena minima che altrimenti sarebbe stata irrogata per il fatto tenue; ma è anche consistente l’individuazione di quella misura nei due anni di pena detentiva, la quale apre la concessione del beneficio nei confronti di un rilevante novero di delitti che oggi risultano esclusi perché puniti con pena massima superiore a cinque anni.

[11] L’art. 133 c.p. stabilisce che «1. Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. 2. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo».

[12] L’art. 1, co. 21, legge n. 134 del 2021, delega il Governo a estendere l’ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati puniti con pena edittale non superiore nel minimo a due anni, con la possibilità di prevedere eccezioni per specifici reati e con l’obbligo di precludere sempre l’accesso all’istituto in caso di reati di violenza domestica puniti con pena detentiva superiore nel massimo a 5 anni. La delega prevede inoltre di dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa.

[13] La Consulta con sentenza 5 marzo 2021, n. 30, in DeJure, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis c.p., co. 2, per violazione degli artt. 3, 27, co. 3 e 117 Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 2 Carta di Nizza, nella parte in cui non consente l’applicazione della predetta esimente al reato di resistenza a pubblico ufficiale, quando l’offesa risulta di particolare tenuità, affermando che «la scelta legislativa di escludere dal campo di applicazione dell’esimente il reato ex art. 337 c.p. non è manifestamente irragionevole, poiché viceversa corrisponde all’individuazione discrezionale di un bene giuridico complesso, ritenuto meritevole di speciale protezione né contrastante con i principi di proporzionalità e finalismo rieducativo della pena, considerato altresì che i criteri di cui all’art. 133, co. 1, c.p., richiamati dall’art. 131-bis, co. 1 c.p.., seppure non rilevano agli effetti dell’applicazione della causa di non punibilità, mantengono tuttavia la loro ordinaria funzione di dosimetria sanzionatoria, unitamente a quelli di cui al secondo comma del medesimo art. 133».

[14] Si rinvia al testo dell’art. 131-bis c.p. per l’individuazione dei delitti per cui la clausola di non punibilità non trova applicazione, indicato in nota 8.

[15] Sul tema, in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte si registrano due orientamenti: secondo la prima impostazione, i reati permanenti sono caratterizzati dalla persistenza ma non dalla reiterazione della condotta per cui gli stessi non sono riconducibili all’ambito del comportamento abituale (Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2015, n. 47039, in DeJure); per altro orientamento, invece, la mancata cessazione della permanenza esclude sempre l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., posto che l’offesa all’interesse penalmente rilevante protrae nel tempo (Cass. pen, Sez. II, 29 marzo 2019, n. 13765, in DeJure). 

[16] Cass. pen., Sez. Un., 27 gennaio 2022, n. 18891, in DeJure. Prima dell’intervento della Suprema Corte la giurisprudenza di legittimità ha mostrato un atteggiamento oscillante tra due opposte tesi: l’una favorevole se le azioni penalmente rilevanti siano commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo (Cass. pen., Sez. II, 6 giugno 2018, n. 41011, in DeJure); l’altra, invece, esclude l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. dal momento che sostiene che anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale (Cass. pen., Sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 6550, in DeJure). A fronte di questo contrasto, è stata proposta una soluzione mediana che fonda il suo iter logico-interpretativo sulla distinzione tra continuazione sincrona (quando i reati avvinti dal vincolo della continuazione si manifestano nelle stesse circostanze di tempo e luogo o comunque in momenti spazio-temporali non lontani tra loro) e continuazione diacronica (quando l’assiduità criminale del reo denota una progressione criminosa che assume i connotati della serialità). Soltanto nella prima ipotesi sarebbe ammessa l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358, in DeJure).

[18] Per una visione d’insieme sul c.d. modello Cartabia si rinvia a Canzio, Il modello “Cartabia”. Organizzazione giudiziaria, prescrizione del reato, improcedibilità, in Sistema Penale, 14 febbraio 2022; La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”: ragioni e prospettive della Delega n. 134/2021, in Arch. pen., 2021, 11; Pulvirenti, Dalla 'Riforma Cartabia' una spinta verso l´efficienza anticognitiva, in Proc. pen. e giust., 2022, 3.

[19] Vedi Di Vizio, L’obbligatorietà dell’azione penale efficiente ai tempi del PNRR, in Questione giustizia, 2021, 4; Brunelli, La tenuità del fatto nella riforma “Cartabia”: scenari per l’abolizione dei minimi edittali?, cit., 1-14.

[20] Cfr. Corte Cost., 25 giugno 2020, n. 20099, in DeJure.

[21] Vedi Salerno, La particolare tenuità del fatto: dubbi interpretativi e prospettive di riforma, in Riv. La Magistratura, 2022, 2, 33 ss.

[22] Per tutte cfr. Cass. pen., Sez. V, 10 gennaio 2020, n. 660, in DeJure, che ha escluso che possa assumere rilievo, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, «il comportamento tenuto dall’agente “post delictum”, atteso che la norma […] correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato».

[23] Sul punto si rinvia a Turco, L'estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Proc. pen. e giust., 2022, 1, 102-110.