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Pubbl. Lun, 28 Nov 2022

La presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l´inefficacia del provvedimento di demolizione pregresso

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Aurora Ricci
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Perugia



Lo scopo di questo articolo consiste nell´indagare lo stretto collegamento sussistente tra l´ordinanza di demolizione di un fabbricato abusivo e la domanda di condono edilizio (o di sanatoria ordinaria) anche sotto il profilo cronologico dell´adozione dei due distinti atti, nonché le conseguenze derivanti dall´eventuale diniego della domanda di sanatoria anche alla luce dell´interessante pronuncia del Consiglio di Stato, Sesta Sezione, 8 aprile 2022, n. 2596


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The submission of the request for amnesty does not result in the ineffectives of the measure of demolition

The purpose of this article is to investigate the close link between the order for the demolition of an abusive building and the application for a building amnesty (or ordinary amnesty) and the consequences in the event of refusal of the request for amnesty also in the light of the interesting decision of the Council of State, Section VI, 8 Aprile 2022, n. 2596

Sommario: 1. Il caso. 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento. 3. La pronuncia del Consiglio di Stato dell’8 aprile 2022, n. 2596. 4. Considerazioni conclusive.

1. Il caso

La vicenda processuale oggetto della sentenza del Consiglio di Stato dell’8 aprile 2022, n. 2596, concerne una richiesta di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 del D.L. 269/2003 (c.d. terzo condono edilizio) di un prefabbricato destinato a deposito, realizzato senza alcun titolo edilizio. Successivamente alla presentazione della predetta istanza, il Comune adottava un’ordinanza di demolizione, ingiungendo il ripristino dello stato dei luoghi entro un termine di 90 giorni. L’ordinanza di demolizione restava, tuttavia, inottemperata, circostanza che veniva accertata dal Comune tramite apposito verbale.

L’Amministrazione comunale notificava, poi, il provvedimento di diniego della predetta domanda di condono edilizio e prendeva atto dell’intervenuto trasferimento ope legis dell’immobile per procedere alla trascrizione dello stesso presso i registri immobiliari della competente conservatoria in favore del Comune.

In primo grado è stato impugnato il provvedimento di diniego dell’istanza di condono, domandandone l’annullamento, e censurata la dichiarazione di avvenuto trasferimento della proprietà del bene in capo al patrimonio comunale mediante la proposizione di motivi aggiunti. Non sono stati, invece, impugnati l’ordinanza di demolizione ed il verbale di accertamento della relativa inottemperanza. Ad avviso dei ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto riesaminare l’abusività delle opere e, successivamente al rigetto della domanda di condono, adottare un nuovo provvedimento di demolizione.

Il TAR ha respinto il ricorso principale sul diniego di condono edilizio e ha accolto, per contro, quello per motivi aggiunti, annullando la dichiarazione di acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale. In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuta fondata l’eccezione dei ricorrenti secondo cui, successivamente al diniego dell’istanza di condono, il Comune avrebbe dovuto adottare un nuovo provvedimento di demolizione. Da qui la decisione dell’Amministrazione comunale di ricorrere al Consiglio di Stato.

2. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento

In via preliminare, occorre premettere che l’abusivismo edilizio attiene al fenomeno che si realizza ove vengano violate le disposizioni che regolamentano l’attività edificatoria. Tuttavia, l’attività edilizia può essere oggetto della c.d. “sanatoria edilizia”, laddove con tale termine si fa usualmente riferimento a due istituti di regolarizzazione edilizia, in realtà completamente differenti quanto a ratio e condizioni di operatività, pur essendo accomunati dal risultato finale, in caso di esito positivo, rappresentato dalla legittimazione dell’intervento in via successiva alla sua ultimazione. Si fa, in particolare, riferimento agli istituti del c.d. “condono edilizio” e della “sanatoria ordinaria”.

Nello specifico, la c.d. “sanatoria ordinaria” risulta oggi regolamentata dall’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia D.P.R. n. 380/2001, rubricato “Accertamento di conformità” e si concreta nella regolarizzazione di abusi “formali”, poiché l’opera, pur essendo stata realizzata senza il previo titolo o in difformità dal medesimo, non risulta effettuata in violazione della disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione, sia a quello della presentazione dell’istanza (c.d. doppia conformità).

In particolare, a seconda della tipologia di illecito edilizio e della gravità del medesimo, tale procedura può condurre, a seconda dei casi: alla presentazione di istanza di accertamento di conformità per ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria qualora si tratti di abusi di tipo primario (art. 36 DPR n. 380/2001), oppure alla presentazione della SCIA in sanatoria se vengono in rilievo opere compiute che avrebbero richiesto la SCIA ordinaria (art. 37 DPR n. 380/2001).

A ben vedere, anche prima dell’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia, le procedure di sanatoria erano disciplinate dalla L. n. 47/1985 secondo due analoghi livelli di gravità: la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità finalizzata all’ottenimento della concessione edilizia in sanatoria (art. 13 L. n. 47/1985), oppure il rilascio dell’autorizzazione edilizia in sanatoria (Art. 10 L. 47/85). In proposito, occorre precisare che in passato le opere di minore entità era soggette alla predetta autorizzazione edilizia, che tuttavia è un istituto tramontato con l’avvento del DPR n. 380/2001.

Mentre l’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 che regolamenta istituto dell’accertamento di conformità ha ripreso, ampliandone la portata, la circoscritta previsione già contenuta nella L. n. 10/1977. Invero, prima di quell’intervento normativo, l’ammissibilità della sanatoria degli abusi edilizi era stata oggetto di un accesso dibattito in giurisprudenza, all’esito del quale si era affermato quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il Comune poteva rilasciare una licenza edilizia postuma per le opere compiute sine titulo o in contrasto con quello rilasciato, purché conformi allo strumento urbanistico in vigore al momento del rilascio.

In ogni caso, oggi la relativa disciplina è contenuta, come sopra esposto, nell’articolo 36 del DPR n. 380/2001 che contempla un procedimento su istanza di parte del soggetto interessato differenziando le procedure di sanatoria tra permesso di costruire in sanatoria e SCIA in sanatoria. A ciò si aggiunga l’istituto della CILA tardiva finalizzata a regolarizzare illeciti edilizi meno gravi, senza, tuttavia, richiedere la c.d. doppia conformità, attuando in concreto una sorta di sanatoria giurisprudenziale.

Per contro, la nozione di “condono edilizio” fa riferimento ad un procedimento che consente la regolarizzazione amministrativa degli illeciti edilizi e l’estinzione dei reati connessi a tale attività illecita. In particolare, per beneficiare del condono l’interessato ha l’onere di provare l’esistenza del fabbricato oggetto di abuso alla data ultima per poter presentare la relativa richiesta, proprio in quanto il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale nella disponibilità della parte richiedente il condono edilizio.

Il condono edilizio si può qualificare come una sorta di “sanatoria sostanziale”, finalizzata a rendere legittimo ciò che è stato realizzato in modo illegittimo, ovvero in violazione delle regole di pianificazione del territorio, degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi comunali.

In particolare, in Italia si sono succedute tre leggi sul condono: la prima è contenuta nei capi IV e V della L. n. 47/1985, che prevedeva una serie di strumenti dissuasivi per gli abusi futuri; le successive, invece, prevedono entrambe un’estensione del lasso temporale entro il quale l’abuso doveva essere stato ultimato per poter fruire del beneficio. In particolare, si fa riferimento all’art. 39 della L. n. 724/1994 (c.d. “secondo condono”), la cui disciplina procedimentale è stata completata con la L. 662/1996, che prevede alcuni limiti e condizioni aggiuntive rispetto alla precedente L. n. 47/1985 e l’art. 32 della L. n. 326/2003 (conversione D.L. n. 269/2003 – c.d. “terzo condono”), che ha applicato la disciplina del condono risultante dai predetti capi IV e V della L. 47/1985, modificati dall’art. 39 L. 724/1994, alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, con l’ulteriore limite che le medesime non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 % della volumetria originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi.

Orbene, nel caso di specie, la sentenza del giudice di prime cure rinviene la propria base normativa proprio nell’art. 44 della L. n. 47 del 1985 (c.d. primo condono) richiamata dall’art. 39 della L. n. 724 del 1994 (secondo condono) e dall’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003 (terzo condono), ai sensi della quale:

Dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla scadenza dei termini fissati dall’articolo 35”- che richiama il procedimento in sanatoria - “sono sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali nonché quelli connessi all’applicazione dell’articolo 15 della L. 6 agosto 1967, n. 765, attinenti al presente capo. La sospensione di cui al comma precedente non si applica ai procedimenti cautelari avanti agli organi di giurisdizione amministrativa, previsti dall’articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Decorso il termine del 30 settembre 1986 senza che sia stata presentata domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, la sospensione di cui al precedente primo comma perde efficacia. I procedimenti sospesi possono essere ripresi a richiesta degli interessati." 

In relazione a tale quadro normativo si sono delineati orientamenti giurisprudenziali contrapposti.

In particolare, un primo filone giurisprudenziale sostiene che la presentazione dell'istanza di sanatoria, sia che si tratti di accertamento di conformità, sia che venga in rilievo una domanda di condono, implichi l’inefficacia dell'ordinanza di demolizione delle opere abusive[1], con l'onere dell'amministrazione di riesercitare il potere amministrativo, riemanando il provvedimento restrittivo allorquando il procedimento di sanatoria edilizia si concluda negativamente.

Alla base di tale indirizzo vi è l’assunto secondo il quale è lo stesso procedimento che scaturisce dall'esame dell'istanza di sanatoria (o di condono) ad imporre "il riesame dell'abusività dell'opera", con la conseguenza della necessaria formazione di un nuovo provvedimento che supera quello oggetto di gravame.

Pertanto, nell'ipotesi di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'Amministrazione sarà tenuta ad assegnare un nuovo termine per adempiere, mentre "nel caso di positiva delibazione dell'istanza non si avrebbe più interesse alla definizione del giudizio, essendo stato sanato il lamentato abuso, con effetto estintivo anche delle sanzioni acquisitive eventualmente già adottate"[2].

Ciò posto, l’esito procedurale cui conduce tale primo orientamento assume connotazioni diverse. Invero, secondo parte della giurisprudenza amministrativa si addiverrebbe alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per assenza di interesse allorché presentato in epoca antecedente alla presentazione della domanda di accertamento di conformità, ciò in quanto il provvedimento di demolizione sarebbe divenuto inefficace in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria e come tale inidoneo a ledere la sfera giuridica del ricorrente[3].

In altri casi, invece, i giudici amministrativi hanno ritenuto il ricorso improcedibile per difetto di interesse, stante la presentazione della domanda di accertamento di conformità in epoca successiva alla proposizione del ricorso che renderebbe il provvedimento oggetto di gravame inidoneo a ledere l’interesse del ricorrente[4].

Per contro, secondo un contrapposto orientamento giurisprudenziale, l’inefficacia dell’ordinanza di demolizione è meramente temporanea, con conseguente “riespansione” dell’efficacia della medesima all’esito della conclusione del procedimento di sanatoria, ovvero di maturazione del termine legalmente stabilito per la sua definizione[5]. In particolare, viene sostenuto che la domanda di accertamento di conformità non incide sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione, né pregiudica definitivamente la sua efficacia, ma ne sospende soltanto gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza[6].

Anche il risvolto procedurale cui conduce tale secondo indirizzo interpretativo è ben diverso da quello prospettato dal primo filone giurisprudenziale. Invero, in forza del secondo orientamento sopra citato, la proposizione dell'istanza ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 non produce l'improcedibilità del ricorso proposto avverso l'ordinanza di demolizione, "poiché la presentazione dell'istanza diretta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria determina solo un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, che è posto in uno stato di temporanea quiescenza"[7].

In altri termini, la proposizione della domanda di sanatoria implica "unicamente la sospensione temporanea dei suoi effetti, limitatamente al periodo di tempo necessario fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza medesima"[8].

A supporto di tale ricostruzione ermeneutica si adduce la fondamentale considerazione secondo la quale “se [...] si sostenesse che l'amministrazione, nell'ipotesi in cui debba operare un rigetto esplicito o implicito dell'istanza di accertamento di conformità, avesse l'obbligo di riadottare l'ordinanza di demolizione, ciò equivarrebbe a riconoscere in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento”[9].

Infine, occorre dare atto di un terzo indirizzo giurisprudenziale, seppur risalente, il quale distingue a seconda che l'istanza di concessione in sanatoria sia stata presenta in epoca antecedente o successiva all'adozione dell'ordinanza di demolizione. Orbene, solo in tale ultima ipotesi si ritiene non applicabile il principio secondo il quale a fronte di un’istanza di concessione in sanatoria non si possa procedere all'adozione di provvedimenti repressivi delle opere abusive.[10]

Come sopra esposto, nella vicenda processuale in commento il giudice di primo grado ha aderito al secondo orientamento giurisprudenziale.

3. La pronuncia del Consiglio di Stato dell’8 aprile 2022, n. 2596

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato, ribaltando completamente le statuizioni del TAR, ha accolto la tesi prospettata dal Comune.

Occorre premettere che in secondo grado l’Amministrazione comunale ha censurato il capo della sentenza teso alla reiezione dell’eccezione relativa alla mancanza di interesse dei ricorrenti, che non avevano impugnato né l’ordinanza di demolizione, né il verbale di accertamento di inottemperanza, ma unicamente la dichiarazione di avvenuta acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.

A ben vedere, secondo il Comune, il giudice di prime cure avrebbe confuso il provvedimento di acquisizione risalente alla presa d’atto dell’inottemperanza con la predetta dichiarazione reputata dall’Amministrazione resistente non lesiva integrando un atto di mera ricognizione dell’effetto acquisitivo legato all’avvenuta inottemperanza all’ordine di demolizione nel termine di novanta giorni, accertato con verbale di inottemperanza non impugnato.

In relazione alla portata lesiva dell’atto dichiarativo dell’acquisizione dell’immobile, il Consiglio di Stato ha rilevato che tale atto è lesivo e, in astratto, autonomamente impugnabile per vizi propri (anche in assenza dell’impugnazione della demolizione e della impugnazione della presa d’atto dell’inottemperanza alla demolizione) in quanto specifica l’area acquisita dall’Amministrazione dopo il verificarsi dell’effetto ope legis.

Tale dichiarazione integra, infatti, un ulteriore passaggio di concretizzazione nel procedimento sanzionatorio, peraltro, necessario ai fini della trascrizione immobiliare. I veri atti lesivi dell’interesse azionato dal ricorrente in primo grado consistono nel verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, pur impugnato con i motivi aggiunti, ma tardivamente e nell’ordinanza medesima mai impugnata.

I motivi aggiunti sono incentrati sulla mancata previa definizione del procedimento di condono e dovevano essere proposti avverso il provvedimento di demolizione.

Circostanza dirimente è, inoltre, costituita dal fatto che l’ordinanza di demolizione è stata adottata successivamente alla presentazione dell’istanza di condono edilizio, e non prima. Pertanto, tale ordine di demolizione non ha perso efficacia e avrebbe dovuto essere impugnato nel termine decadenziale. Invece, l’omessa impugnazione di entrambi gli atti, ovvero tanto dell’ordinanza di demolizione prima, quanto del verbale di inottemperanza poi, implica l’inammissibilità dell’impugnazione della mera dichiarazione di acquisizione dell’area di sedime impugnata con motivi aggiunti che avrebbero dovuto rivolgersi avversi atti rimasti inoppugnati.

Sul punto, infatti, la Sezione ha precisato che per giurisprudenza pacifica, “la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un'automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione; nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere (da verificare nel caso di specie da parte degli organi comunali), l'efficacia dell'ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione”[11].

Viene, inoltre, specificato che in tema di abusi edilizi, l'ordine di demolizione, similmente a tutti provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, costituisce “atto vincolato”, non configurandosi, pertanto, neppure un’ipotesi di “affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva”, che non è suscettibile di rinvenire la propria legittimazione con il mero decorso del tempo. Conseguentemente, una volta rigettata la domanda di condono edilizio, l’ordinanza di demolizione del manufatto abusivo, la cui efficacia è rimasta sospesa in pendenza del procedimento di condono, riprende vigore.

Inoltre, viene chiarito che l’ordinanza di demolizione non avrebbe poi mai potuto perdere definitivamente efficacia in virtù dell’art. 44, l. n. 47 del 1985, poiché tale previsione normativa si riferisce testualmente alla sospensione dei provvedimenti sanzionatori pregressi, facendo riferimento al caso – diverso dal caso di specie - dell’ordine di demolizione adottato precedentemente alla presentazione dell’istanza di condono edilizio. Per contro, nella fattispecie oggetto della decisione l’ordine di demolizione è intervenuto successivamente alla presentazione della domanda di condono e, pertanto, ben avrebbe dovuto essere impugnato sul presupposto della relativa illegittimità stante la mancanza della previa definizione dell’istanza di sanatoria, che paralizza solo temporaneamente l’esecuzione delle sanzioni.

Non solo. Secondo il Consiglio di Stato, nel caso di specie non sussistono neppure i presupposti per l’applicazione dell’orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente che si riferisce ai provvedimenti di condono - e non agli accertamenti di conformità - secondo il quale la presentazione della domanda di condono successivamente alla impugnazione dell’ordinanza di demolizione rende inefficace tale provvedimento, con conseguente improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse.

Difatti, tale orientamento – “comunque revocabile in dubbio nel caso in cui il procedimento di condono si concluda con un rigetto a distanza di tempo ragionevole dalla demolizione sospesa dal condono – non può trovare applicazione nei casi come quello in esame, in cui sia palese la mancanza dei presupposti minimi di ammissibilità della stessa domanda di condono”. Invero, il giudice di secondo grado rileva la non accoglibilità della medesima istanza di condono poiché priva degli elementi essenziali, giacché la medesima risulta proposta ai sensi della l.  n. 326 del 2003, che si riferisce unicamente agli abusi di natura residenziale, mentre nel caso di specie, oggetto dell’opera abusiva è un deposito.

La Sezione specifica ulteriormente che l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere implicato dalla domanda di condono con la conseguente adozione di un nuovo provvedimento repressivo sussiste unicamente nel caso di un intervento astrattamente sanabile, ovvero allorquando venga meno l’operatività della precedente ordinanza di demolizione in seguito alla formazione di un nuovo provvedimento esplicito.

Il Consiglio di Stato, inoltre, ritiene meritevole di pregio il richiamo effettuato da parte del Comune resistente ai principi di speditezza e di non aggravamento dei procedimenti amministrativi repressivi, cui la riedizione ex novo del potere repressivo causerebbe un vulnus, stante l’identico provvedimento repressivo da adottare in sede di rinnovo, alla luce della natura abusiva del prefabbricato e dell’impossibilità di condonarlo.

4. Considerazioni conclusive

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato si è espressamente schierato in favore del secondo orientamento giurisprudenziale sopra citato, ritenendolo, peraltro, pacifico, secondo il quale: “la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l’inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un’automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione; nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere (da verificare nel caso di specie da parte degli organi comunali), l’efficacia dell’ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione”.

Ad ogni buon conto, la ricostruzione seguita dal Consiglio di Stato si appalesa del tutto condivisibile, anche in considerazione delle rilevanti conseguenze che si configurerebbero laddove si seguisse l’opposto filone giurisprudenziale, ovvero quello sopra esplicitato secondo il quale la proposizione di una mera domanda di condono ad opera di una parte privata implicherebbe la gravosa conseguenza della perdita di efficacia definitiva di un provvedimento repressivo promanante dalla Pubblica Amministrazione e al di fuori di un sindacato del giudice amministrativo sul punto.

In conclusione, stante l’acceso dibattito giurisprudenziale, ancora peraltro di stretta attualità e non ricomposto in senso pacifico come sostenuto dalla pronuncia in commento, non può che evidenziarsi la necessità di un intervento dell’Adunanza Plenaria in proposito, finalizzato a dirimere in maniera puntuale e definitiva il suesposto contrasto tra orientamenti giurisprudenziali contrapposti e a tutt’oggi tutt’altro che consolidati.

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, n. 671/2020 cit., T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 30/03/2020, n. 575, T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 26/03/2020, n. 293; Cons. Stato Sez. VI, 03/03/2020, n. 1540; T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 02/03/2020, n. 278; T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 12/11/2019, n. 2381; T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. II, 12/11/2019, n. 1863; T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 21/10/2019, n. 4991; T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, 26/08/2019, n. 483.

[2] T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 30/03/2020, n. 575.

[3] T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 08/05/2019, n. 680.

[4] T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 28/06/2019, n. 1129; T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, n. 680/2019 cit.; T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 11/03/2019, n. 343.

[5] Infra multis TAR Milano, n. 2152/2021; Consiglio di Stato, n. 3545/2021.

[6] T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 14/02/2020, n. 194; T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 13/11/2019, n. 678; T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 11/11/2019, n. 5329; T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 28/10/2019, n. 5094; T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 23/03/2019, n. 170; Cons. Stato, Sez. V, 01/03/2019 n. 1435; T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 08/02/2019, n. 201.

[7] T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 10/10/2019, n. 4823; così anche Cons. Stato Sez. VI, 29/08/2019, n. 5939; id. 29/08/2019, n. 5937.

[8] T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 02/04/2019, n. 1834. Cfr. altresì Cons. Stato Sez. IV, 31/08/2018, n. 5124.

[9] Cons. Stato Sez. IV,  n. 5124/2018 cit., id Cons. Stato Sez. VI Sent., 04/04/2017, n. 1565.

[10] Cons. Stato Sez. V, 09/10/2003, n. 6037.

[11] Cfr. Cons. Stato, sez. VI,16 marzo 2020, n. 1848; id. n. 4829 del 2020.