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Pubbl. Gio, 25 Ago 2022

I limiti alla domanda di condanna generica: la Cassazione supera l´orientamento delle Sezioni Unite

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Annamaria Di Clemente



Con recente ordinanza del 3 giugno 2022, n. 17984, la Cassazione, superando una risalente sentenza con pronuncia a Sezioni Unite del 23 novembre 1995, n. 12103, ha affermato il principio di diritto secondo cui nei casi in cui l´attore chieda tutela giurisdizionale al fine di conseguire condanna all´esecuzione di una prestazione necessaria non può proporre la domanda limitando la richiesta di tutela ad una condanna generica, cioè al solo an debeatur, con riserva di introdurre un successivo giudizio per l´accertamento del quantum, non ricorrendo, in siffatte ipotesi, alcuna analogia con la fattispecie prevista e disciplinata dall´art. 278 c.p.c. in cui, diversamente, l’attore propone domanda di condanna in modo pieno.


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Boundaries of the generic conviction: the Supreme Court reviews the orientation of the United Chambers

With the recent ordinance of June 3, 2022, n. 17984, the Supreme Court, overcoming a dating sentence with a ruling in the United Sections of November 23, 1995, n. 12103, affirmed the principle of law according to which in cases in which the plaintiff asks for judicial protection in order to obtain a sentence for the execution of a necessary service, he cannot propose the request limiting the request for protection to a generic sentence, that is only an debeatur, subject to introducing a subsequent judgment to ascertain the quantum, since, in such a case, there is no analogy with the case envisaged and governed by art. 278 c.p.c. in which, otherwise, the plaintiff proposes a full conviction request.

Sommario: 1. Profili introduttivi; 2. La sentenza di condanna generica prevista dall’art. 278 c.p.c. ed i principali orientamenti delineatisi in dottrina e giurisprudenza sull’istituto; 3. La pronuncia a Sezioni Unite del 23 novembre 1995, n. 12103; 4. Il recente revirement della Cassazione con ordinanza del 3 giugno 2022, n. 17984; 5. Conclusioni.

1. Profili introduttivi 

Tra i principi fondamentali che informano il nostro sistema processuale rientra quello di c.d. concentrazione previsto dall’art. 277, primo comma, c.p.c. secondo cui “Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio”.

Tale connotazione, di ispirazione chiovendiana, si contrappone alla previgente disciplina del codice di rito caratterizzata dalla possibilità di frazionamento del giudizio in più sentenze. 

L’attuale codice di rito, invero, come osservato in dottrina 1, vuole una pronuncia il più possibile sintetica, globale ed esauriente espressione del potere decisorio dell’organo giudicante enunciato, nei suoi termini generali, dall’art. 112 c.p.c.

Tuttavia, il vigente sistema processuale prevede alcune deroghe. 

Una prima limitazione a tale principio è prevista dall’articolo 277, secondo comma, c.p.c. secondo cui il collegio, anche quando il giudice istruttore gli abbia rimesso la causa a norma dell’art. 187, primo comma, può limitare la decisione, qualora ricorrano specifici presupposti, solo ad alcune domande, e non all’intera causa, disponendo il proseguimento dell’attività istruttoria per le altre.

Una seconda ed importante deroga, di particolare interesse per il presente contributo, come si vedrà più avanti, è quella prevista dall’art. 278 c.p.c. rappresentata dalla “condanna generica - provvisionale” secondo cui su istanza di parte e laddove risulti già accertata la sussistenza di un diritto, se pur ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il giudice può pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo, poi, con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione del quantum.

Infine, ulteriori deroghe sono previste dall’art. 279, secondo comma n. 4 c.p.c., nei casi in cui il collegio decidendo, ad esempio, su questioni di giurisdizione ovvero su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, non definisce il giudizio ed impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa.

2. La sentenza di condanna generica prevista dall’art. 278 c.p.c. ed i principali orientamenti delineatisi in dottrina e giurisprudenza sull’istituto 

L’articolo in esame, come già anticipato, prevede la possibilità che il giudice, su istanza della parte interessata, emetta pronuncia non definitiva limitata all’an debeatur con rinvio alla fase successiva del medesimo giudizio per quanto attiene alla liquidazione del quantum.

Sulla natura di detta pronuncia si sono delineati due contrapposti orientamenti in dottrina.

Il primo e maggioritario indirizzo riconosce alla condanna generica natura di sentenza di condanna, benché la stessa sia inidonea, prima della decisione anche sul quantum debeatur, a dare inizio al processo di esecuzione forzata 2.

Diversamente, il secondo orientamento assimila l’istituto in esame ai provvedimenti giurisdizionali sommari con funzione lato sensu cautelare atteso che la condanna generica non costituisce ex se titolo esecutivo, quale connotazione propria della sentenza di condanna, ma lo diviene solo a seguito dell’integrazione con la pronuncia di liquidazione del quantum 3.

In giurisprudenza, se pur pacificamente ribadita l’ammissibilità della separazione del giudizio relativo alla liquidazione del quantum, è, invece, controversa la necessità dell’istanza della parte interessata. 

Invero, sul rilievo che la parte interessata può far riesaminare la decisione mediante impugnazione, una parte della giurisprudenza di legittimità afferma il principio secondo cui il giudice, anche in assenza di domanda di parte, può ugualmente procedere ad emettere sentenza non definitiva affermativa dell’an debeatur, in quanto ciò non lede i principi fondamentali del processo, né il diritto di difesa 4

In senso difforme, invece, l’orientamento maggioritario e prevalente secondo cui il giudice non può operare una scissione dell’an e del quantum della prestazione in assenza di istanza di parte, osservando che, diversamente, sarebbe in tal modo violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.  5.  

Per altro aspetto, la Cassazione con recente pronuncia 6 non ha mancato di osservare come l’opposizione del convenuto alla domanda di condanna generica al risarcimento del danno sia ammissibile, imponendo al giudice di stabilire se il pregiudizio si sia verificato o meno con certezza e non con mera probabilità e conseguentemente che l'accertamento negativo di detto danno preclude la prosecuzione della pretesa attorea in una seconda fase o in un successivo giudizio.

Tale prosecuzione è, al contrario, legittima laddove tale accertamento, pur condotto in termini di certezza e non di semplice probabilità, dia esito positivo, ma sia, comunque, necessario quantificare in concreto il pregiudizio in questione in una separata fase od in un distinto giudizio. 

È appena il caso di sottolineare che, comunque, la condanna generica pur senza  rappresentare titolo esecutivo, possiede talune prerogative che esulano dalle sentenze di mero accertamento, quali quella di costituire titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 c.c., nonché quella di convertire il termine della prescrizione in decennale con il passaggio in giudicato della condanna generica ex art. 2953 c.c., se prevista una prescrizione di minore durata per il diritto fatto valere.

3. La pronuncia a Sezioni Unite del 23 novembre 1995, n. 12103

Prima di esaminare la recente pronuncia della Cassazione, per completezza espositiva gioverà richiamare i passaggi salienti della decisione n. 12103/1995 delle Sezioni Unite, oramai risalente e superata, in tema di c.d. frazionamento della pretesa creditoria, più precisamente di domanda proposta con espressa riserva di liquidazione del quantum in separato giudizio.

Ebbene, le Sezioni Unite sulla premessa che la condanna benché generica non può, per sua natura, esaurirsi in un mero accertamento, per essere, diversamente, prodromica alla fase dell’esecuzione forzata, costituendo, invero, un prius logico giuridico della sentenza finale contenente anche la determinazione del quantum, osservavano come una siffatta forma di tutela tendente alla reintegrazione patrimoniale, può assumere preventive forme cautelari proprio al fine di assicurare l'effettività di successive forme esecutive.

A ciò aggiungevano che, infatti, a fronte dell’esistenza attuale di una lesione di diritto, se pur ancora manchevole di prove sulla effettiva entità della stessa, il soggetto legittimato può avere l'interesse di fatto, giuridicamente rilevante come condizione dell'azione, all'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c., prevista, invero, tra le altre, per ipotesi di condanna al risarcimento danni da liquidarsi successivamente. 

Per altro aspetto, le Sezioni Unite, con argomentazioni relative all’interpretazione dell’art 278 c.p.c., senza, tuttavia, puntualizzavano, carattere analogico ovvero estensivo, osservavano come la previsione di detto articolo sia espressione del più generale principio di disponibilità della domanda tesa al conseguimento della tutela richiesta dalla parte attrice ed al tempo stesso di superamento del contrasto con il diverso principio di concentrazione processuale in tal caso richiamabile.

Pertanto, precisavano che se ai sensi dell’art. 278 c.p.c., è da ritenersi giuridicamente rilevante l’interesse dell'attore ad ottenere, sulla base dell'accertata sussistenza di un diritto, una sentenza di condanna generica alla prestazione e solo successivamente la relativa liquidazione del quantum, allo stesso modo non può negarsi la medesima condizione dell'azione in tutti i casi in cui la domanda alla condanna generica sia proposta ab initio in via autonoma.

Di più. Tale modo di ragionare, osservavano, ben si concilia con la specialità della fattispecie di cui all’art. 278 c.p.c. in relazione al principio di concentrazione del giudizio, assumendo, diversamente, rilievo l'interesse dell'attore alla pronuncia parziale ed al consequenziale accesso alle forme cautelative; interesse, questo, che è identico sia nella previsione dell'art. 278 c.p.c., sia in quella dell'autonoma azione di condanna generica e che, come tale, consente, evidentemente, la possibilità di ottenere la medesima tutela anche in quest’ultima ipotesi.

Alla luce delle considerazioni sin qui sinteticamente illustrate, le Sezioni Unite statuivano il seguente principio di diritto:

Con riguardo alle azioni di risarcimento del danno (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), è ammissibile la domanda dell'attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall'ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell'attore a forme di tutela cautelare o speciale (quali l'iscrizione d'ipoteca giudiziale ex art. 2818 cod. civ. o l'azione risarcitoria in materia di concorrenza sleale di cui all'art. 2600 cod. civ.). Rispetto a siffatta domanda, l'opposizione del convenuto si configura come richiesta (anche implicita) di accertamento dell'insussistenza del danno, attraverso un giudizio di certezza e non di semplice probabilità, ed è ricollegabile all'interesse del convenuto medesimo ad ottenere una tutela preventiva contrapposta a quella richiesta dall'attore; con la conseguenza che, una volta proposta detta opposizione, l'attore, al fine dell'accoglimento della propria domanda, è tenuto a dare la dimostrazione della sussistenza del danno (non della sua mera probabilità), anche se indipendentemente dall'individuazione attuale dell'entità dello stesso”.

4. Il recente revirement della Cassazione con ordinanza del 3 giugno 2022, n. 17984

Con la recente pronuncia, ordinanza del 3 giugno 2022, n. 17984, la Corte Suprema è ritornata sul tema superando la ormai lontana sentenza del 1995, di cui al superiore paragrafo, con articolata motivazione di cui si riportano in sintesi i passaggi più significativi.

Il ragionamento seguito muove dall’assunto secondo cui la domanda di condanna generica ex art. 278 c.p.c., salva la liquidazione successiva, e quella proposta ab initio in via autonoma non presentano, come diversamente affermato dalle Sezioni Unite, identità di interesse quale condizione dell’azione.  

Le due situazioni, invero, sono contraddistinte ognuna in modo suo proprio, per avere quella di cui all’art. 278 c.p.c. fondamento di tipo oggettivo legato allo svolgimento del relativo processo in cui l’attore richiede tutela giurisdizionale in modo completo, fondamento, questo, che non si rinviene nel diverso di caso di autonoma domanda di condanna generica.

Inoltre, precisa la Cassazione, mentre nel caso dell’art. 278 c.p.c. l’attore formula la sua richiesta nel corso del giudizio e, quindi, nel contraddittorio già instauratosi, nel diverso caso in esame l’attore, al fine di motivare il suo interesse ad una condanna generica, può solo prospettare in limine litis delle mere allegazioni. 

Per altro aspetto, osserva la Corte come proprio l’affermata specialità dell’art. 278 c.p.c., frutto di una precisa scelta del legislatore, e, comunque, questo l’aspetto di maggior rilievo, correlata all'esercizio della tutela condannatoria di tipo pieno, preclude la configurabilità di un’altra fattispecie speciale diversamente connotata.

Quale ulteriore argomentazione, la Corte Suprema osserva che ammettere l'azione di condanna generica significherebbe riconoscere il solo attore come dominus della mancanza del giudizio sul quantum, laddove, al contrario, nel caso dell’art. 278 c.p.c.  l’eventuale estinzione del giudizio in prosecuzione sul quantum dipende da una scelta riferibile ad entrambe le parti e, quindi, anche al convenuto.
Sotto altro profilo, precisano come, contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite, l’art. 278 c.p.c. non riconosce all’attore alcun potere dispositivo dell'azione di condanna, così da circoscriverla all’an debeatur, bensì una semplice facoltà atteso che è, comunque, il giudice a decidere se emettere la sentenza di condanna generica, mentre, diversamente, la richiesta di condanna generica autonoma presupporrebbe un siffatto riconoscimento.

Non è poi senza rilievo, osservano, considerare la funzione, seppure lato sensu, cautelare della condanna ex art. 278 c.p.c. tesa, per effetto della possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale a norma dell'art. 2818 c.c., ad assicurare, con la prosecuzione del giudizio, che la successiva condanna nel quantum possa realizzarsi fruttuosamente, ponendosi, quindi, in modo strumentale rispetto ad essa, a nulla rilevando, per quanto qui di interesse, l’eventuale estinzione del giudizio in prosecuzione determinata, questa la differenza sostanziale, da entrambe le parti.

Più in generale, a sostegno dell'esclusione della proponibilità in via autonoma dell'azione di condanna generica, la Cassazione conclude il percorso argomentativo, sin qui sintetizzato in riferimento all’art. 278 c.p.c., citando l’orientamento delle Sezioni Unite sul tema del c.d. frazionamento della domanda secondo cui sul piano costituzionale una parcellizzazione dell'esercizio della tutela giurisdizionale determina un vero e proprio abuso del processo, abuso, questo, da ritenersi ricorrente nel caso si consentisse all'attore di proporre, per sua mera scelta, una domanda di condanna generica, in tal modo parcellizzandola con la consequenziale ed inutile moltiplicazione dei processi.

Così inquadrata la fattispecie, l’eventuale limitazione della domanda all’an è da ritenersi tamquam non esset investendo, al contrario, il giudice di una richiesta di tutela condannatoria piena, sia sull’an che sul quantum, con il chiaro effetto che laddove l'atto introduttivo si presentasse carente quanto all'indicazione dei fatti identificatori della domanda, il giudice sulla rilevata nullità della citazione ex art. 164, quarto comma e ss., c.p.c. dovrebbe ordinare il rinnovo della citazione o la sua integrazione.

5. Conclusioni

Il tema affrontato con la recente pronuncia della Cassazione è di estremo interesse anche per la sua innegabile attualità, come evidenziato nella premessa della motivazione, tanto da non ritenere necessario sollecitare un nuovo intervento delle Sezioni Unite, pur superandolo, atteso il tempo trascorso da quell'arresto e considerata l'evoluzione della stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite manifestatasi proprio in tema di c.d. frazionamento della pretesa creditoria.


Note e riferimenti bibliografici

1. C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, XIV ed., 2002, p. 286.

2. per tutti, Satta – Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 1996, p. 447; Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1941, p. 380 ss.. 

3. tra gli altri,  Andrioli,  Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 343; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale, Vol. I, Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, Torino, 2012, 167. 

4. per tutte, Cassazione 14 marzo 2000, n. 2904, in Foro it., Rep. 2000, voce Sentenza civile, n. 72; Cassazione 15 luglio 1997, n. 6471 in Foro it., Rep. 1997, voce Sentenza civile, n. 79.

5. ex plurimis,  Cassazione 10 aprile 2000, n. 4487 in Foro it. Rep. 2000, voce Sentenza civile, n. 10; Cassazione 20 marzo 1999 n. 2572 in Foro it., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 29; Cassazione 3 marzo 1994, n. 2124, in Foro it. , Rep. 1994, voce Sentenza civile, n. 16.

6. Cassazione 22 febbraio 2021, n. 4653. 

7. Sezioni Unite, sentenza n. 23726/2007 il cui principio è stato riaffermato con sentenza n. 4090 del 2017.