Pubbl. Mar, 6 Set 2022
Il sistema di giustizia informale anglicano tra fondamenti canonistici e ultrattività secolare
Modifica paginaIl presente contributo si propone di analizzare, innanzitutto, le caratteristiche della giurisdizione confessionale anglicana. Poi, particolare attenzione sarà dedicata allo studio dei settori in cui si attua la definizione non contenziosa dei conflitti, mostrando interesse per le modalità concrete in cui essa si manifesta, privilegiando un approccio comparativo. Infine, si indagheranno e si riscontreranno le note tipiche delle risoluzioni alternative delle controversie d´oltremanica, richiamando l´atto costitutivo della Anglicana Ecclesia e la fede personale di Enrico VIII, individuata, fondamentalmente, nel diritto canonico come fonte del diritto anglicano, e nella natura politica dell´allodossia enriciana.
The Anglican system of informal justice between canonical foundations and secular ultimacy
This paper aims to analyze, first, the characteristics of Anglican denominational jurisdiction. Then, particular attention will be paid to the study of the areas in which noncontentious conflict resolution is implemented, showing interest in the concrete ways in which it manifests itself, favoring a comparative approach. Finally, the typical notes of alternative dispute resolutions in Overseas America will be investigated and encountered, recalling the constitutive act of the Anglicana Ecclesia and the personal faith of Henry VIII, identified, fundamentally, in canon law as the source of Anglican law, and in the political nature of the Enrician allodoxy.Sommario: 1. «Ius est realis et personalis hominis ad hominem proportio»; 2. «The Church’s courts are courts of the State and the State’s courts are courts of the Church»; 3. La risoluzione dei conflitti ecclesiastici anglicani nella prospettiva applicativa dei quasi-judicial settlements; 4. Conclusioni.
1.«Ius est realis et personalis hominis ad hominem proportio»
Al diritto, sovente identificato con la giustizia1, viene tradizionalmente accordata la funzione «di individuare e di tradurre in concreto» le relazioni intersoggettive2. Tale finalità è compiutamente argomentata nel Monarchia di Dante Alighieri3, per il quale «il diritto, inteso come rapporto proporzionale, prende vita tanto nell’ambito dei rapporti personali quanto in quello dei rapporti reali; è una "proporzione nella relazione” chiaramente legata a quella giustizia “la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose”, caratterizzata dal principio di relazione la cui custodia permette all’uomo di restare zoon politikòn.
Nel trattato dantesco, dunque, il diritto si fa misura proporzionale delle relazioni umane contraddistinta da una necessaria intersoggettività. Tale misura, se conservata, ha la forza di conservare le relazioni umane; se corrotta, al contrario rompe il vincolo sociale non ponendo freno alcuno alla cupidigia degli uomini»4.
Questa prerogativa (del diritto), riconducibile all’alveo della socialità5, assume nella più aggiornata dottrina costituzionalistica6 valore precettivo soltanto quando è lo Stato ad esercitarla7, legandone così l’attuazione alla sua capacità imperativa8.
Infatti, è il declino della 'statualità della giustizia' sperimentato dallo Stato moderno, ed alimentato dalla globalizzazione e dalla incapacità istituzionale di disciplinare la socialità multiforme che da essa ha tratto origine9, a favorire lo sviluppo ed il ricorso a forme 'non contenziose' di accesso alla giustizia, che si diversificano a seconda del sistema giuridico considerato10.
Si parlerà di Alternative Dispute Resolutions per indicare forme alternative di definizione delle controversie presenti nei sistemi di common law, e di Modes Alternatifs de Resolution des Conflicts nel fare riferimento ai modelli ordinamentali di civil law11.
Il fenomeno in parola, tuttavia, non limita il proprio ambito applicativo alla sfera secolare ma coinvolge, per ragioni diversificate ed eterogenee, anche l’ambito confessionale. Infatti, sembra essere positivamente risolta l’antinomia, da più parti richiamata, tra 'mediazione' e 'religioni'12, fino al punto che può legittimamente parlarsi di una mediazione ecclesiale o ecclesiastica «nella quale cioè la chiesa è mediatrice o beneficia di mediazioni interne o esterne, con autorità pubbliche o private»13.
In particolare, (anche) il diritto delle Chiese protestanti offre un complesso di strumenti volti alla composizione dei conflitti religiosi che vengono peculiarmente ispirati al principio non vi sed verbi14. A tal proposito, è utile ricordare come la relazione tra 'l’essere del diritto' e 'l’essere della Chiesa' abbia costituito l’oggetto di una riflessione riproposta in ambito protestante tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, che vide nel giurista luterano Rudolph Sohm la sua massima espressione15.
Nell’interpretare le tesi di Lutero, condensate per quanto di ragione nella cosiddetta 'dottrina dei due regni'16, l’autore tedesco formula una radicale teorizzazione del cosiddetto antigiuridismo (di segno spiritualistico) ossia di quel pensiero che considera il diritto ecclesiale una contraddizione in termini e che quindi porta ad escludere dalla Chiesa fondata da Cristo ogni dimensione giuridica17.
Quest’idea che «ha trovato storicamente diverse espressioni sia nei movimenti spiritualistici dei primi secoli e del medioevo, sia soprattutto nella Riforma protestante»18 non ha, comunque, mai escluso il bisogno di un ordinamento giuridico (per le Chiese protestanti), storicamente affidato all’autorità temporale dei monarchi e dei principi19.
2.«The Church’s courts are courts of the State and the State’s courts are courts of the Church»
La realtà descritta appare ancora più stringente se riferita alle vicende che portarono alla nascita della Chiesa d’Inghilterra20. Infatti, nel relativo percorso costitutivo, segnato (tra l’altro) dall’approvazione dell’Act of the Submission of the Clergy (16 maggio 1532) e dall’Act in Restaint of Appeals to Rome (5 aprile 1533), venne devoluto alla Monarchia inglese l’esercizio del potere normativo e di quello giurisdizionale fino ad allora riservato al clero cattolico21, ed in seguito recuperato dal clero anglicano con le riforme licenziate dal Parlamento di Westminster nella seconda metà del XX secolo.
Pertanto, in questa direzione devono essere intese le istituzioni ed i rimedi quasi- giudiziali di risoluzione delle controversie ecclesiastiche previste dall’ordinamento giuridico della Anglicana Ecclesia, che la rinnovata riflessione dottrinale ha escluso dal novero delle Chiese protestanti storiche in ragione di una loro profonda inconciliabilità, resa particolarmente evidente proprio a livello giurisdizionale22.
Infatti, mentre nelle Chiese luterane è il Sinodo, ferme le proprie competenze generali, a scegliere gli organi tecnici ai quali devolvere la materia giudiziaria23, e nelle Chiese riformate, che hanno in tutto sostituito il ruolo dei vescovi con quello delle assemblee, la potestà giudiziaria si concentra nello stesso Sinodo, chiamato ad assumere direttamente decisioni definitive sia in materia di dottrina sia in materia disciplinare24, nella Chiesa d’Inghilterra, definita 'Chiesa madre anglicana'25, l’esercizio del dicere ius è affidato costituzionalmente ai tribunali ecclesiastici che però risultano inseriti nel sistema delle corti civili inglesi, e pertanto sono anche definiti established church26.
Questo inquadramento se da un lato comporta una limitazione dell’autonomia di giudizio dei tribunali confessionali anglicani in favore di quelli secolari, che sovente si fanno preferire ai primi anche per la soluzione di questioni di diritto canonico, considerata la loro maggiore celerità ed efficacia nell’accertamento del diritto controverso27,, dall’altro favorisce la sopravvivenza nella vigente giurisdizione statuale di istituti sorti in ambito ecclesiale, come dimostra la presenza nelle Civil Procedure Rules28 inglesi delle injuctions che vengono definite «un rimedio specifico della equity, definitivo o provvisorio, per mezzo del quale una parte che ha violato o minaccia di violare un legal o equity right, riceve dal giudice l’ordine di non commettere, continuare o ripetere l’atto di violazione (se questo si concretizza in un fare) o di eseguire un atto positivo (se la violazione consiste in un non facere) ripristinando in tal modo la vittima nello status quo»29.
Infatti, le injuctions, che rappresentano uno dei numerosi procedimenti semplificati per la definizione delle controversie civili inglesi30, rinvengono la loro origine nell’operato della Court of Chancery31 e del Lord Chancellor inglese32 i quali, a partire dal XIV secolo, garantivano alla parte lesa l’esecuzione in forma specifica dei contratti nell’ipotesi di loro inosservanza33.
Analogamente, la family mediation introdotta in Inghilterra con il Family Law Act del 1996, ed attualmente disciplinata dalle Family Procedure Rules del 2011, rappresenta un ulteriore metodo di risoluzione alternativo delle controversie previsto «nel contesto di salvaguardia e custodia del legame matrimoniale, cardine del diritto di famiglia inglese»34.
Infatti, tale forma di mediazione, ritenuta strumento di «assistenza alle parti per fronteggiare l’irreversibile scioglimento del loro matrimonio (…)»35, costituisce un percorso che i coniugi devono preliminarmente (ed obbligatoriamente) sperimentare tutte le volte in cui intendano accedere alla giustizia matrimoniale che viene, quindi, considerata «una sorta di last resort alla soluzione della crisi coniugale»36.
Questa valutazione trova, a mio avviso, evidente giustificazione nella diffusione oltre Manica, come nel resto dell’Europa continentale, della concezione cattolica del matrimonio, considerato ad un tempo sacramento e negozio giuridico pubblico, sottomesso ad una forma celebrativa, obbligatoria ad validitatem con la promulgazione del decreto Tametsi nel 1563, ed orientata alla procreazione ed alla stabilità del vincolo e della società coniugale37.
Fu proprio questa costruzione giuridica del matrimonio, fondata sulle elaborazioni della scolastica medievale e sugli scritti degli autori cristiani dei primi secoli della Chiesa, a giustificare, già a partire dal secolo XI, il monopolio delle corti cristiane sulla materia matrimoniale38, e specificamente la loro competenza sulla validità del vincolo e sulle cause che ne determinavano la nullità, lo scioglimento e la separazione, ammessa esclusivamente quoad mensam et thorum39, che sopravvisse nell’ordinamento della Chiesa anglicana, fatta eccezione per il breve governo di Oliver Cromwell40, nonostante la riforma del diritto matrimoniale voluta da Martin Lutero e dagli altri riformatori protestanti41, frutto della loro rinnovata concezione teologica42.
3. La risoluzione dei conflitti ecclesiastici anglicani nella prospettiva applicativa dei quasi-judicial settlement
Il moderno diritto canonico anglicano ammette differenti percorsi per la composizione dei conflitti ecclesiastici il cui utilizzo, da un lato, è subordinato all’insuccesso della negoziazione quale mezzo bonario di pacificazione sociale43, e dall’altro è difficilmente conseguibile attraverso l’intervento dell’autorità giudiziaria, attesa la complessità e la durezza delle posizioni rappresentate44.
Pertanto, anche nella realtà giuridica considerata, si lascia preferire la 'mediazione' quale strumento non contenzioso di definizione delle controversie confessionali45, considerato il coinvolgimento, nel relativo percorso procedimentale, di una terza figura neutrale46, una maggiore sensibilità verso i bisogni e gli interessi fondamentali delle parti contrapposte47, ed una più evidente prossimità ai principi cristiani48.
Inoltre, un utilizzo diffuso della mediazione o di altra risoluzione alternativa delle controversie, attualmente affidate alla responsabilità del vescovo diocesano49, sarebbe in grado di assicurare alla Chiesa d’Inghilterra notevoli benefici «dal punto di vista funzionale, spirituale e (non ultimo) finanziario»50.
In particolare, un primo settore nel quale risulta sviluppato l’impiego dei cosiddetti quasi-judicial settlements è quello amministrativo che contempla, tra gli altri, l’istituto del hierarchical recourse introdotto con la presentazione dell’istanza di conflitto nelle mani del vescovo competente.
Le fattispecie sottoposte all’attenzione di quest’ultimo possono riguardare la cancellazione di un nominativo dal registro dei componenti della chiesa, la legittimità di un reclamo relativo alla condotta di un ministro, ovvero la possibilità per quest’ultimo di rifiutarsi di battezzare una persona e/o di ammetterla alla comunità religiosa.
In ognuno di questi casi viene presa una decisione sull’applicazione della legge rispetto ad una prestabilita serie di fatti, avverso la quale è possibile, di regola, interporre appello al metropolita o all’Assemblea diocesana51.
La centralità episcopale è, inoltre, evidente in tema di disciplina del clero. Infatti, secondo la Clergy Discipline Measure del 2003, il vescovo ha la facoltà di devolvere ad un mediatore qualificato la composizione di un conflitto originato da una denuncia sporta a carico di un chierico, ricevuta in prima istanza dal cancelliere diocesano.
In questo caso il vescovo, medio tempore investito della questione, potrà procedere, raccolto il consenso delle parti, alla nomina di un conciliator che, decorsi tre mesi dal ricevimento dell’incarico, è tenuto a formulare al presule interessato la soluzione della vertenza sottoposta alla sua attenzione52.
In caso di mancato accordo il vescovo in parola, responsabile nuovamente della vicenda, potrà, secondo quanto disposto del Code of Practice to the Clergy Discipline Measure del 2003, astenersi dall’intraprendere nuove azioni, operare un rinvio condizionato, imporre consensualmente una sanzione, ordinare una formale investigazione i cui esiti verranno affidati ad un tribunale ecclesiastico o ad un tribunale secolare, competente quest’ultimo nelle ipotesi descritte dai Terms and Conditions of Service vista l’assenza «di una chiara linea di demarcazione tra i tribunali della Chiesa e dello Stato»53.
La visita, invece, ereditata dal pre-Reformation law54, ha come funzione principale quella di consentire a chi la esercita (primate, arcivescovo, vescovo o arcidiacono) una valutazione adeguata circa le condizioni della proprietà ecclesiastica e dell’adempimento dei doveri che i funzionari del clero e del laicato sono tenuti ad assolvere55.
Nello specifico, il primate, come l’arcivescovo56, visita le diocesi con regolarità allo scopo di tenere consultazioni pastorali con il vescovo e con i leaders laici ed ecclesiastici della giurisdizione, predicando la Parola e celebrando la Santa Comunione.
Accanto a questa forma 'ordinaria', l’ordinamento ammette la visita 'straordinaria', dettata dalle necessità della Diocesi, e quella 'su invito', laddove sollecitata dal vescovo diocesano. Allo stesso modo, il vescovo è tenuto a visitare le Parrocchie e le Congregazioni presenti nella Diocesi a lui affidata57.
In caso contrario sarà un Council of Conciliation a valutare le ragioni di tale omissione.
Non sono previste procedure particolari per questo tipo di visita essendo semplicemente richiesta la piena cooperazione dei ministri e dei funzionari delle Chiese locali, i quali sono tenuti a mostrare il registro della Parrocchia ed a riferire circa lo stato 'temporale e spirituale' della Congregazione.
Alcune Chiese mettono, inoltre, in pratica un sistema di visite annuali da parte dell’arcidiacono, il cui adempimento è riservato alla sua scelta discrezionale58.
Quanto, infine, alle relazioni pastorali, accade sovente che all’interno di una Parrocchia, le normali dinamiche tra parroco ed Assemblea parrocchiale possano essere minate da forti disaccordi o dissidi. In tali casi, la legislazione inglese affida sia al parroco sia all’Assemblea parrocchiale il diritto/dovere di sollecitare l’intervento del vescovo competente il quale, in un primo momento, inviterà i contendenti a tentare un componimento bonario della lite.
Laddove le parti non dovessero addivenire a tale risultato, lo stesso prelato provvederà a nominare una commissione, generalmente composta da un sacerdote e da un laico, estranei alla Parrocchia interessata dal dissidio, con il compito di sentire le parti e di aggiornarlo sulla questione59.
Sarà, poi, il presule in parola, decorsi sessanta giorni dalla nomina della commissione, nella qualità di arbitro e giudice ultimo, ad assumere la decisione definitiva circa lo scioglimento del rapporto pastorale o la sua necessaria prosecuzione, secondo quanto disposto dalla Incumbents (Vacation of Benefices) Measure del 1977 e dalle Incumbents (Vacation of Benefices) Rules del 1994.
Ad ogni modo, la rottura delle relazioni pastorali rappresenta un’eccezione nello svolgimento delle ordinarie dinamiche tra parroco e Consiglio parrocchiale le quali, secondo la Parochial Church Councils (Power) Measure del 1956, nella forma emendata dalla Synodical Government Measure del 1969, dovrebbero essere fisiologicamente ispirate al generale principio di reciproca collaborazione60.
Tuttavia, nonostante l’ingiunzione a cooperare, la prassi ha dimostrato essere non peregrina l’ipotesi di disaccordo tra minister e Parochial Church Councils che, senza assumere le caratteristiche del pastoral breakdown, può tradursi nella mancata intesa circa una decisione da assumere in comune. La soluzione della vicenda è, anche in questi casi, affidata alla potestà conciliativa del vescovo, il quale sarà libero di esercitarla per se ipse vel per alios61.
4. Conclusioni
Le vicende che hanno riguardato la Chiesa d’Inghilterra si discostano profondamente dal quadro teologico-giuridico protestante, nonostante la Reformation Parliament62 con cui Enrico VIII formalizzò la separazione da Roma, e la successiva calvinizzazione della Anglicana Ecclesia63 che ha trovato compimento regnando Eduardo VI ed Elisabetta I64. Le ragioni di tale peculiare condizione sono rinvenibili, da un lato, nella posizione che il diritto canonico ha da sempre ricoperto nel sistema delle fonti del diritto della Chiesa d’Inghilterra e, dall’altro, nella natura politica dello scisma anglicano65.
Infatti, nel periodo che precedette l’allodossia di Enrico VIII, il diritto della Chiesa d’Inghilterra era costituito dal diritto canonico classico66, meglio definito pre-Reformation canon law67, ovvero dal Corpus iuris canonici, dai decreti dei Sinodi nazionali e provinciali nonché «dalle epistole, bolle e decretali della Santa Sede»68, che ad ogni modo sopravvisse al distacco cennato laddove non in contrasto con la normativa ad esso successiva69.
In questa direzione, quindi, le Alternative Dispute Resolutions rappresentano un ulteriore settore di influsso del diritto canonico avendo l’ordinamento anglicano (già) ereditato dal primo i concetti «di matrimonio cristiano, della legittimazione dei figli per susseguente matrimonio, della separazione giudiziale, della tutela dei legittimari, della buona fede, dell’elemento psicologico del reato, del carcere come punizione del crimine, dell’usura, dell’ingiuria e della diffamazione»70, oltre al rimedio della cy-prèss doctrine, in virtù della quale il giudice, quando lo scopo di un trust non possa essere raggiunto, è legittimato a modificarne l’atto costitutivo e a individuarne una finalità affine71.
A conferma di quanto innanzi, infatti, è opportuno ribadire, per un verso, la perfetta sovrapponibilità del modello processuale della Court of Canchery alla prassi adottata dalle Churchs courts in special modo sotto il profilo dei rimedi esecutivi della decisione del Cancelliere, che in caso di inosservanza dell’injuction poteva sanzionare il convenuto, per il tramite di una Commission of ribellion, disponendone la detenzione o il sequestro patrimoniale72, e per l’altro ricordare come oltre Manica fosse preclusa la possibilità di ottenere per via giudiziale la dissoluzione del vincolo matrimoniale, conseguibile esclusivamente per atto del Parlamento.
Infatti, fu necessaria l’approvazione del Matrimonial Causes Act del 1857 e l’istituzione della Court for Divorce and Matrimonial Causes, per vedere affidata ad una corte secolare la giurisdizione matrimoniale anglicana, ivi compresa la competenza sul divorzio, fino ad allora riservata alla giurisdizione delle corti cristiane73.
Le medesime considerazioni risultano, altresì, estendibili alla visita ed all’applicazione della legge sulla rottura delle relazioni pastorali anglicane che, mutatis mutandis, trovano piena corrispondenza nel diritto canonico latino.
Infatti, da un lato, il vescovo diocesano visita «le persone, le istituzioni cattoliche, le cose, i luoghi sacri che sono nell’ambito della Diocesi» (can. 397, § 1 CIC 1983)74 affinché si rispettino tutte le norme di diritto patrimoniale che reggono una corretta amministrazione75, e dall’altro nella relazione pastorale tra parroco e comunità parrocchiale «la perdita della buona considerazione da parte dei parrocchiani onesti o l’avversione contro il parroco» (can. 1741 CIC 1983), tradizionalmente definita odium plebs (can. 2147 CIC 1917), possono legittimare la scelta del vescovo diocesano, e dei presuli ad esso equiparati, di procedere alla rimozione dello stesso76. Sotto il profilo politico, infine, l’esperienza inglese ha dimostrato una corrispondenza stringente tra la fede personale del monarca e la politica religiosa attuata nei confronti dei sudditi-fedeli.
Infatti, la Chiesa d’Inghilterra, uniformandosi al principio del cuis regio, eius et religio77, ha riprodotto i caratteri tipici della Chiesa nazionale78, in cui l’unica religione consentita è quella professata dal sovrano.
Bisogna pertanto ricordare che nonostante le concessioni fatte ai luterani ed ai sostenitori delle idee riformate, finalizzate ad ottenere il sostegno dei principi tedeschi nella propria contesa matrimoniale79, Enrico VIII non si allontanò mai dalla tradizione cattolica che così personalmente lo aveva caratterizzato, e che gli aveva garantito il titolo di Defensor fidei80. Per cui, nel costituire il fondamento dogmatico-liturgico della neonata Chiesa d’Inghilterra furono conservati i riti, la dottrina e la liturgia della tanto avversata Chiesa romana81, così come la competenza dei tribunali ecclesiastici e soprattutto le norme canoniche, sostantive e processuali, ad essa relative82.
1 A tal proposito, rilevante è il contributo di G. ZAGREBELSKY, Diritto allo specchio, Torino, 2018, p. 372, secondo cui «come addetti a una professione che oggi definiamo “liberale”, nel senso della sovrana neutralità e superiorità spirituale rispetto alle bassure della vita, ci riferiamo volentieri a Themis, la dea garante dell’armonia universale che abbraccia tanto gli dei quanto gli uomini o, più spesso come Díkē, sua figlia, la dea garante dell’ordine divino incarnato nelle istituzioni umane. Díkē è raffigurata come vergine saggia, figlia del pudore, nemica della menzogna, pensosa e bella in tutti i sensi, che assurge a simbolo univerale diffuso, in prossimità delle aule dei tribunali, sui manuali di diritto che diamo da studiare ai nostri studenti o sul frontespizio di collane giuridiche intitolate alla “civiltà del diritto”. Che i giuristi si considerino adepti di quella divinità è forse un atto d’orgoglio ma non un’arbitraria sostituzione o identificazione: tra il diritto e la giustizia c’è un legame intimo, essenziale».
2 Cfr. S. BERLINGÒ, Mediazione e Religioni: la sfida in una società complessa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (http://www.statoechiese.it), n. 22 del 2018, p. 7.
3 Infatti, la definizione dantesca del diritto è considerata, tutt’oggi, una tra le più accreditate mai elaborate: «Quicunque preterea bonum rei publice intendit, finem iuris intendit. Quodque ita sequatur sic ostenditur: ius est realis et personalis hominis ad hominem proportio, que servata hominum servat sotietatem, et corrupta corrumpit – nam illa Digestorum descriptio non dicit quod quid est iuris, sed describit illud per notizia utendi illo –; si ergo definitio ista bene “quid est” et “quare” comprehendit, et cuiuslibet sotietatis finis est comune sotiorum bonum, necesse est finem cuiusque iuris bonum comune esse; et inpossibile est ius esse, bonum comune non intendens. Propter quod bene Tullius in Prima rethorica: semper – inquit – ad utilitatem rei publice leges interpretande sunt. Quod si ad utilitatem eorum qui sunt sub lege leges directe non sunt, leges nomine solo sunt, re autem leges esse non possunt: leges enim oportet homines devincire ad invicem propter comunem utilitatem. Propter quod bene Seneca de lege, cum in libro De quatuor virtutibus, legem ʹvinculumʹ dicit “humane sotietatis”». Cfr. D. ALIGHIERI, Monarchia, II, V, 1-3.
4 Cfr. G. ZANIOL, Ius est realis et personalis hominis ad hominem proportio, in Le definizioni nel diritto. Atti delle giornate di studio 30-31 ottobre 2015 a cura di Cortese, Tomasi, Trento, 2016, pp. 30-31.
5 Emblematica è, senza dubbio, la definizione del diritto come 'ordinamento osservato' elaborata da P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 200811, pp. 15-16 e 19-20, secondo il quale «il referente necessario del diritto è soltanto la società, la società come realtà complessa, articolatissima, con la possibilità che ciascuna delle sue articolazioni produca diritto, anche la fila di fronte all’ufficio pubblico». Per cui, prosegue l’A., «il diritto organizza il sociale, mette ordine nella rissa incomposta che ribolle in seno alla società, è innanzitutto ordinamento» ed infine «come ci svela bene il nostro illuminate esempio della fila, l’osservanza fisiologica, quella che fa di qualsiasi ordinamento un ordinamento giuridico, si fonda su una precisa consapevolezza del valore che lo sorregge. Le proposte oridinative della fila provenienti dal suo membro intraprendente sono osservate dalla piccola comunità disordinata perchè ritenute oggettivamente buone, valide per trasformare il disordine presente in ordine futuro. L’ordine giuridico autentico attinge allo strato dei valori di una comunità per trarne quella forza vitale che nasce unicamente da una convinzione sentita, per trarne quella solidità che non ha bisogno della coazione poliziesca per mantenersi stabile».
6 Cfr. S. BERLINGÒ, Mediazione e Religioni, cit., p. 9, nota 34.
7 Infatti, secondo la concezione positivistica del diritto, «auctoritas, non veritas fecit legem». Cfr. T. HOBBES, Leviathan, II, 26.
8 Di avviso contrario P. GROSSI, Prima lezione, cit., p. 25, secondo cui «per occhi superficiali, che guardino con una visuale ristretta al passato prossimo e al presente, lo Stato può sembrare la nicchia imprescindibile, nicchia naturale, per il generarsi e il vivere del diritto. Si dovrebbe invece riflettere più ponderatamente che lo Stato è soltanto un accidente storico a fronte di quel recupero del diritto che è valso a restituirlo al grembo ben più vasto della società. Una restituzione valevole a togliergli una snaturante incrostazione storica potestativa e imperativa».
9 In realtà, ricorda P. CONSORTI, Conflitti, mediazione e diritto interculturale, Pisa, 2013, p. 223, «abbiamo avuto modo di parlare della crescente sensazione di distanza che sembra contrassegnare la scienza giuridica – più in generale, il diritto – dalla vita concreta: il diritto interculturale rappresenta un passo concreto per recuperare la sua dimensione relazionale, umana e sociale».
10 Infatti, secondo G.M. MORAN, Challenges of Pluralistic Societies with Dissimilar Cultural Identities and Religious Legal Traditions: ADR and Role of Religious Mediation and Arbitration, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (http://www.statoechiese.it), n. 34 del 2017, p. 35, «One powerful expanding example of global legal pluralism is the transnational experience of arbitration, conciliation, and mediation in communities transcending legal systems. Basically, consists in the intervention of a neutral party in a conflict between two opponents facilitating its resolution; when the neutral party takes an authoritative interventionist role is called conciliation; arbitration requires that both parties bind themselves to the arbiter’s decision, and in mediation, the parties are not tied to any mediator decision. Traditional mediation and conciliation are ancient practices from the Antiquity, as I mentioned. Modern mediation is a social movement and practice that started in the US about four decades ago, in the seventies, opening a new alternative path to conflict resolution. The dual Western legal traditions of Anglo common law and Continental European civil Law, globalized by the European colonialism, is challenged by this new mediation as alternative dispute resolution (ADR); particularly, as a process to overcome the crisis in the traditional administration of justice. The most innovative tool in this process is the multi-door courthouse introduced by Frank Sander institutionalizing ADR inside the courts and helping to speed up and diminish adversarial interaction in legal processes. Since then, in common law and civil law countries, ADR has been developed extensively and the skills of mediators have been improved. Particularly, the role of religion and religious organizations in mediation is expanding quickly at international level and at a communal level».
11 Cfr. S. BERLINGÒ, Mediazione e Religioni, cit., p. 8.
12 Questo, quantomeno, ad avviso di S. BERLINGÒ, Mediazione e Religioni, cit., p. 1, per il quale «l’asserita antitesi tra mediazione e religioni è sfidata dalle sempre più diffuse e ramificate articolazioni della complessità che caratterizza l’odierna realtà sociale».
13 Cfr. J. LUTHER, Le mediazioni nel diritto protestante, in Daimon. Diritto comparato delle religioni. Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, Numero speciale 2020, Bologna, p. 115.
14 Cfr. J. LUTHER, Le mediazioni nel diritto protestante, cit., p. 123.
15 Cfr. R. SOHM, Kirchenrecht, Berlin, 1923.
16 Secondo N. REALI, Lutero e il diritto. Certezza della fede e istituzioni ecclesiali, Venezia, 2017, pp. 34-35, «Lutero sosteneva con forza, infatti, che questi due regni fossero governati da due differenti autorità o governi (regimenten) di modo che la Zwei-Reuche-Lehre era in realtà anche una Zwei- Regimenten-Lehre. Al regno di Dio (Reich Gottes, regnum Dei) appartengono i veri credenti che “non hanno bisogno di alcuna spada secolare ne di leggi […] perchè essi hanno nel cuore lo Spirito Santo, che li ammaestra …”, mentre al regno del mondo (Reich der Welt, Teufels Reich, regnum diaboli) appartengono “… tutti coloro che non sono cristani e che sono sottoposti alla legge […] Dio ha stabilito per loro - esclusa la cristianità e il regno di Dio (ausser dem Christlichen stand vnnd Gottis reych) - un altro governo (regiment) e li ha sottoposti alla spada […] Dio ha stabilito due governi: quello spirituale (geystiliche), che mediante lo Spirito Santo suscita cristiani e uomini retti sotto l’autorità di Cristo; e quello temporale (welltliche), che tiene a bada i non-cristani e i malvagi”. Il diritto divino si trova unicamente nelle Sacre Scritture, tutto il resto (comprese le Decretali papali) sono “decreta hominum” che non possono confondersi con l’insegnamento di Dio. Pertanto nessuno stato può pretendere di costituire sulla terra ciò che Dio ha riservato a coloro che credono – neppure il papa e i vescovi». Per cui, precisa A. FERRARI, Il diritto delle Chiese evangeliche, in Introduzione al diritto comparato delle religioni, a cura di Ferrari, Neri, Lugano (Svizzera), 2007, pp. 121-122, «L’idea che il diritto – tanto più quello canonico – non fosse necessario alla salvezza e che tutti i fedeli partecipassero del medesimo sacerdozio universale, unitamente alla circostanza storica per cui furono spesso i principi secolari ad assicurare protezione ai primi “riformatori”, sono alla base del cosiddetto giurisdizionalismo protestante, vale a dire di quell’orientamento che lascia al sovrano il compito di regolare l’organizzazione ecclesiastica».
17 Cfr. C.J. ERRÁZURIZ M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa. Per una teoria fondamentale del diritto canonico, Milano, 2000, p. 4.
18 Cfr. C.J. ERRÁZURIZ M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa, cit., p. 19.
19 Cfr. R.H. HELMHOLZ (edited by), Canon Law in Protestant Lands, Berlin, 1992.
20 Lo scisma anglicano matura storicamente attraverso l’approvazione di un composito pacchetto legislativo licenziato dal 'Parlamento della Riforma' nelle sue numerose convocations. Si ricorda, a tal proposito: (a) l’Atto di Supremazia del 1531, con cui Enrico VIII viene riconosciuto «l’unico e supremo sovrano, e salva la legge di Cristo, anche capo supremo della Chiesa d’Inghilterra»; (b) l’Atto di Limitazione Condizionata delle Annate del 10 aprile 1532, e (c) l’Atto di Sottomissione del Clero del 16 maggio 1532, con cui veniva richiesto, rispettivamente, al titolare di un beneficio ecclesiastico di pagare la tassa di nomina alla Corona e non più alla Curia romana, ed al clero di rinunciare alla propria autonomia legislativa; nonché (d) l’Atto di Limitazione degli Appelli (5 aprile 1533), con cui veniva eliminato il residuo strumento di ingerenza pontificia nella vita civile inglese; a questi provvedimenti fecero seguito (e) l’Atto di Limitazione assoluta delle Annate (1534), (f) l’Atto delle Dispense (1534), un ulteriore (g) Atto di Sottomissione del Clero (1534), ed un nuovo (h) Atto di Supremazia (1534) con cui il monarca viene designato «capo supremo sulla terra della Chiesa d’Inghilterra», assumendo i diritti e le prerogative di cui aveva goduto fino ad allora il pontefice, comprese le facoltà di reprimere eresie e scomunicare; infine si segnalano (i) l’Atto dei Primi Frutti e delle Decime (1534), (l) l’Atto di Dissoluzione dei Monasteri Minori (1536), e (m) l’Atto di Dissoluzione dei Monasteri Maggiori (1539), con cui venne disposta la soppressione di monasteri e conventi presenti sul territorio inglese, assicurando alle casse regie nuova ricchezza e alla nobiltà terriera l’incremento di latifondi. Cfr. H. GEE, W.J. HARDY, Documents Illustrative of English Church History, London (England), 19143.
21 Cfr. P. BAINI, La Chiesa Anglicana. Le sue origini, Bologna, 2006, p. 64.
22 Cfr. G. LONG, Ordinamenti giuridici delle chiese protestanti, Bologna, 2008, p. 9, contra M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, 2007, p. 45, e M. FERRANTE, Due matrimoni alle origini dello scisma anglicano?, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (http://www.statoechiese.it), n. 9 del 2018, p. 1, per il quale «Lo scisma anglicano (…) s’inserisce nell’alveo della Riforma protestante europea, un movimento politico e religioso che si fa ufficialmente iniziare con la pubblicazione delle 95 tesi che Martin Lutero affisse sulla porta della Cattedrale di Wittemberg il 31 ottobre 1517».
23 Infatti, in Italia lo statuto della CELI affida proprio al Sinodo l’elezione degli organismi deputati a dirimere le controversie ecclesiali individuati nel Collegio dei conciliatori e nel Collegio in materia dottrinale. Cfr. G. LONG, Ordinamenti giuridici, cit., p. 40.
24 Quanto detto è testimoniato chiaramente dalla realtà valdese in cui il Sinodo è la massima autorità della Chiesa in materia dottrinale, legislativa, giurisdizionale e di governo. Cfr. G. LONG, Ordinamenti giuridici, cit., p. 39.
25 Cfr. J. ERNESTI, Le Chiese cristiane. Identità ed evoluzione storica, Milano, 2012, p. 194.
26 Cfr. S. FERRARI, Diritto della Chiesa d’Inghilterra, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile, Torino, 2008, vol VI, p. 186.
27 Sia consentito il confronto con R. GRANATA, La risoluzione dei «conflitti ecclesiali» nel Diritto della Chiesa d’Inghilterra, in Capys, Lutero e la Riforma protestante 1517 - 2017, Capua (Caserta), 2017, p. 48.
28 Cfr. G. OBERTO, I procedimenti semplificati ed accelerati nell’esperienza tedesca ed in quella inglese (II), in Corriere Giuridico, 11/2002, Milano, pp. 1519-1520.
29 Cfr. A. FRIGNANI, L’injunction nella common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, p. 210.
30 Cfr. G. OBERTO, I procedimenti semplificati, cit., pp. 1519-1520.
31 L’evoluzione storica e le principali funzioni (giurisdizionali) della Court of Chancery sono puntualmente descritte da G. CRISCUOLI, M. SERIO, Nuova introduzione allo studio del diritto inglese. Le fonti, Milano, 20164, pp. 160-208.
32 Questi, ricorda M. FERRANTE, L’apporto del diritto canonico nella disciplina delle pie volontà fiduciarie testamentarie del diritto inglese, Milano, 2008, pp. 26 e 91, «era un ufficiale di Stato e un ministro della Corona e per lungo tempo tale ruolo venne ricoperto da vescovi o arcivescovi» al quale «il sovrano (…) delegò interamente l’esercizio (del proprio) potere di grazia». Tale figura rappresenta altresì il prototipo dell’ombudsman (mediatore) nei paesi scandinavi. Sul punto argomenta J. LUTHER, Le mediazioni nel diritto protestante, cit., p. 131, «La “probità” di questo mediatore tra l’amministratore e il popolo può essere letta come un elemento di coscienza, anche religiosa, che esonerava peraltro la chiesa dal compito di mediare tra il Re e il suo popolo nelle pratiche amministrative».
33 Cfr. M. FERRANTE, L’apporto del diritto canonico, cit., pp. 89-92.
34 Cfr. C. RINALDI, Nascita e sviluppo della mediazione familiare in Inghilterra, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, LXV, 4/2011, Milano, p. 1118, per il quale «Tali Family procedure rules, da una parte, riprendono le norme contenute nel Family law act del 1996, dall’altra innovano la disciplina del procedimento di separazione e divorzio, facendo proprie le raccomandazioni e gli obiettivi già declamati dalla radicale riforma delle civil procedure rules del 1999 guidata da Lord Woolf: la concezione del processo come last resort e il potere dovere dei giudici di incoraggiare e favorire il ricorso a mezzi alternativi di risoluzioni delle liti».
35 «(…) che si manifesta nei procedimenti di separazione e divorzio per raggiungere accordi o creare consensi ovvero ridurre la conflittualità sulla custodia, il mantenimento, il diritto di visita e educazione dei bambini nonchè sulle questioni finanziarie, sull’assegnazione della casa coniugale, sui costi delle spese giudiziarie comprensive delle parcelle agli avvocati e su ogni problema che sorge dalla rottura del vincolo matrimoniale e potrebbe essere oggetto di disputa anche nel futuro». Cfr. S. CONNEELY, Family mediation in Ireland, Farnham (England), 2001, p. 10.
36 Cfr. C. RINALDI, Nascita e sviluppo della mediazione, cit., p. 1122.
37 Cfr. J. MARTINEZ-TORRON, Derecho angloamericano y derecho canonico. Las raices canonicas de la «common law», Madrid (España), pp. 109-110.
38 Cfr. R.H. HELMHOLZ, Marriage Litigation in Medieval England, Cambridge (England), 1974, pp. 146 e ss.
39 Infatti, ricorda M. VAN DER HEIJDEN, Il controllo del matrimonio in Olanda nei secoli XVI e XVII, in I tribunali del matrimonio (secoli XV-XVIII), a cura di Seidel Menchi, Bologna, 2006, p. 644, «La Chiesa concedeva (…) il cosiddetto divortium quoad (mensam et) thorum, ma questa separazione di letto e di mensa non metteva fine all’unione coniugale: non aveva altro effetto che permettere agli sposi di vivere in case separate». Inoltre, afferma R.H. BAINTON, La Riforma protestante, Torino, 2000, p. 234, «Il problema dello scioglimento del matrimonio, nell’etica cattolica e in quella protestante, diede origine a contraddizioni evidenti. La Chiesa cattolica non ammette il divorzio, ma l’annullamento ne costituisce di fatto un surrogato. La sua concezione al riguardo è stata illustrata a sufficienza a proposito dell’episodio di Enrico VIII d’Inghilterra. Perfino il vincolo spirituale contratto dal padrino o dalla madrina al fonte battesimale, nonchè i vincoli naturali fino al settimo grado, venivano considerati come un impedimento, che la Chiesa poteva poi rimuovere a mezzo di dispense. Lutero denunciava questo procedimento come uno spregevole sotterfugio, ma concordava pienamente con la Chiesa stessa nel vietare il divorzio. La sua soluzione, occasionalmente, era la bigamia, che egli infatti suggerì nel caso di Enrico VIII, sostenendo che era stata praticata dai patriarchi dell’Antico Testamento con l’approvazione divina e che non era mai stata ripudiata esplicitamente nel Nuovo. A causa di questo parere del riformatore, si afferma spesso che il protestantesimo abbatté le barriere morali erette dalla Chiesa cattolica, ma a questo riguardo sia i cattolici che i protestanti non erano compatti. Nell’episodio di Enrico VIII i teologi svizzeri, fra cui Zwingli, ritenevano che la prima dispensa non era stata valida e proponevano quindi l’annullamento. Il papa, per contro, vedendo che l’annullamento era di fatto impossibile, aveva suggerito da parte sua la bigamia; e il cardinale Caietano, il grande antagonista teologico di Lutero, era pienamente d’accordo con il riformatore nel preferire la bigamia al divorzio».
40 Durante questo tempo furono celebrati solo matrimoni civili. Cfr. D. MCCLEAN, Marriage in England, in Marriage and Religion in Europe, a cura di Europian consortium for church-state research, Milano, 1993, p. 188.
41 Per Lutero ed i suoi seguaci, ricorda G. LONG, Ordinamenti giuridici, cit., p. 132, «il matrimonio (era) “una cosa esteriore, mondana, come i vestiti e il cibo, la casa e il cortile, soggetta all’autorità terrena”», per cui prosegue J. WITTE JR., Diritto e protestantesimo. La dottrina giuridica della Riforma luterana, Macerata, 2012, p. 287, «Come stato del regno terreno, il matrimonio era soggetto al principe, non al papa. Il diritto civile, non quello canonico, doveva regolare il matrimonio. Le cause matrimoniali dovevano essere portate davanti ai tribunali civili, non presso quelli ecclesiastici».
42 Per un approfondimento sulla teologia matrimoniale luterana si veda, Martin Lutero. Da monaco a marito: due scritti sul matrimonio. La vita matrimoniale (1522). Questioni matrimoniali (1530), a cura di Ricca, 2017, pp. 43-71.
43 Infatti, per N. DOE, Canon Law in the Anglican Communion. A Worldwide Perspective, Oxford (England), 1998, p. 71, «When parties to disagreements are unable to settle by negotiation, commonly the law requires referral of the matter to the bishop».
44 Cfr. S.R. HADLEY, Handbook of American Church Courts, 22 WHITTIER L. REV. 251, 257 (2000).
45 Come ricorda, A.L. MARUTZKY, Making a Deal with the Devil: A Mediation Approach to Mitigating the Negative Effetcs of Church Conflict, in Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, 10, 2 [2010], pp. 309-312, «While negotiation is a bargaining process solely between the disputants, mediation uses an outside third-party. The distinction is important because church conflicts involve strong emotions and hard positions. Negotiating parties are left to their own bargaining techniques to try to influence the other sides' perspective. It can be difficult for either side to maneuver through emotions to reach an amicable agreement. Since many of these disputes involve moral or religious controversies, parties tend to view compromise as going against God's will. As a result, "[c]onflict within religious communities can be particularly painful. When a party believes God is on its side, there is not much bargaining room. As conflict escalates, the church becomes a closed system and communication collapses. It is precisely in these situations, after negotiation has failed, when mediation is most applicable. Formal litigation is equally ineffective. Courts rarely consider church conflicts. They historically treat "hot-button" religious disputes with caution and shy away from doctrinal concerns. Recent courts have been willing to intervene when a church dispute involves dividing property, and some churches may even feel compelled to use litigation because of this trend. However, in litigation parties focus on disagreement rather than compromise. Adjudication fails to address church disputants' underlying interests because of this focus. Since the formal rules of evidence preclude open discussions and candidness in the courtroom, the system does not consider parties' attitudes or feelings amidst doctrinal disputes. As opposed to negotiation or litigation then, church conflicts need a form of dispute resolution that assists communication and targets underlying concerns».
46 Secondo C.W. MOORE, The Mediation Process: Pratical Strategies for Resolving Conflict, Hoboken (New Jersey), 20033, p. 237, «A third-party mediator [would] bring perspective and constructive communicative processes».
47 Cfr. A.P. MORRISS, B.D. CRAMER, Disestablishing Environmentalism, in Environmental Law, 39, 1 [2009], p. 376, nota 310.
48 Per A.L. MARUTZKY, Making a Deal, cit., p. 313, nota 74, «Some believe the principles of mediation are rooted in Christian theology itself, rendering it the most appropriate means of resolving Christian disputes».
49 Cfr. N. DOE, Canon Law, cit., p. 71.
50 Cfr. M. HILL, Mediation: An Untapped Resource for the Church of England?, in Ecclesiastical Law Journal, 13, 1 [2011], p. 57.
51 Cfr. N. DOE, Canon Law, cit., pp. 72-73.
52 Cfr. M. HILL, Mediation: An Untapped Resource, cit., pp. 61-62.
53 Cfr. S. FERRARI, Diritto della Chiesa d’Inghilterra, cit., p. 186.
54 Cfr. R.H. HELMHOLTZ, Reformation Canon Law in Reformation England, Cambridge (England), 1990, pp. 105-109 e 165.
55 Cfr. P. SMITH, Points of law and practice concerning ecclesiastical visitation, in Ecclesiastical Law Journal, 9, 7 [2009], p. 189.
56 Secondo N. DOE, Canon Law, cit., p. 76, nota 25, «Archiepiscopal Visitations shall be held as heretofore, and the law and practice there to shall be that prevailing on the date of disestablishment of the church».
57 Per J. ORLANDIS, Le istituzioni della Chiesa cattolica. Storia, diritto, attualità, Cinisello Balsamo (Milano), 2005, p. 121, «Nel corso della lunga storia della visita diocesana, è bene ricordare i “giudizi sinodali”, che durante il medioevo venivano celebrati in occasione di essa. Si trattava di giudizi nei quali il vescovo era l’unico giudice e i sacerdoti presenti lo assistevano: esaminavano tutte le trasgressioni pubbliche delle leggi divine o ecclesiastiche. Per fornire al vescovo una specie di manuale pratico per la realizzazione di queste sessioni di giudizio, Regino di Prüm (abate dell’omonima abazia) compose i suoi Libri duo de synodalibus iudiciis et disciplinis ecclesiasticis (906). Il ʹmanualeʹ esponeva 89 casi concreti, sui quali poteva essere chiamato a intervenire il tribunale».
58 Cfr. N. DOE, Canon Law, cit., pp. 74-77.
59 Cfr. R. GRANATA, La risoluzione dei «conflitti ecclesiali», cit., p. 52.
60 Infatti, secondo M. HILL, Mediation: An Untapped Resource, cit., p. 57, «The Parochial Church Councils (Powers) Measure 1956 provides that ‘it shall be the duty of the minister and the parochial church council to consult together on matters of general concern and importance to the parish’. The functions of the PCC include co-operation with the minister in promoting in the parish the whole mission of the Church, pastoral, evangelistic, social and ecumenical, and the consideration and discussions of matters concerning the Church of England, or any other matters of religious or public interest».
61 In questi casi il vescovo ricorre sovente alla nomina di un arcidiacono o del decano di zona. Cfr.
M. HILL, Mediation: An Untapped Resource, cit., p. 59.
62 Con tale espressione si intende, infatti, l’approvazione ad opera del Parlamento inglese di un serie complessa di provvedimenti legislativi, adottati tra il 1531 ed il 1539, attraverso i quali venne formalizzato lo scisma anglicano. Cfr. V. BARRIE-CURIEN, La Riforma anglicana, in Storia del Cristianesimo. Religione-Politica-Cultura, a cura di Alberigo, Roma, 2001, vol. VIII, pp. 184-188. 63 Infatti, consentendo il rimando a R. GRANATA, Riforma protestante ed ecclesiologia cristiana: il modello di governo della Chiesa d’Inghilterra, in Il diritto come “scienza di mezzo”. Studi in onore di Mario Tedeschi, a cura di D’Arienzo, Cosenza, 2017, vol. II, p. 1187, si ribadisce come «Bisogna […] attendere le monarchie succedutesi dopo la scomparsa di Enrico VIII per considerare avviato il processo di protestantizzazione della Chiesa anglicana che anche sotto il profilo dottrinale appare espressione della volontà ʹconfessionaleʹ del sovrano più che della condivisione delle idee riformate da parte dei suoi sudditi».
64 Esaurita la parentesi controriformista di Maria Tudor, durante la quale si ricostituisce l’originario rapporto tra la Corona inglese ed il papa, fu infatti Elisabetta I, con i cosiddetti Elizabethan Settlement, a ridefinire il ʹvoltoʹ della Chiesa anglicana in chiave calvinista. Cfr. K. BIHLMEYER, H. TUECHLE, Storia della chiesa. L’epoca delle riforme, Brescia, 200811, vol. III, pp. 400-403.
65 Infatti, L. MAGGI, A. REGINATO, La Riforma Protestante tra passato e presente, Bologna, 2004, p. 45, ritengono come «Un veloce sguardo sulle vicende che portarono allo scisma e alla riforma in Inghilterra focalizza facilmente l’attenzione sul fatto che la Riforma anglicana fu introdotta e portata a termine “dall’alto”: non avvenne, cioè, attraverso un consenso di base, bensì mediante le decisioni prese dai governanti». Nonostante ciò, per M. FERRANTE, Due matrimoni, cit., p. 2, «vi è ancora chi – specie nella letteratura inglese – individua la vera causa dello scisma anglicano nel rifiuto di Papa Clemente VII di dichiarare la nullità del matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona, impedendogli di sposare l’amata Anna Bolena».
66 Sia consentito confrontare R. GRANATA, Il ruolo della “codificazione” nel sistema delle fonti del Diritto della Chiesa d’Inghilterra, in Diritto canonico e culture giuridiche. Nel Centenario del Codice di Diritto canonico del 1917, a cura di Miñambres, Roma, 2019, p. 850, secondo cui all’epoca «la Chiesa anglicana altro non era che quella porzione di Chiesa cattolica presente oltre Manica, divisa già al tempo di Gregorio Magno nelle provincie ecclesiastiche di Canterbury e di York guidate dai rispettivi Primati i quali indossavano il pallium, simbolo di unità con il Supremo Pontefice».
67 Cfr. C. CIANITTO, Il diritto della Chiesa d’Inghilterra, in Introduzione al diritto comparato delle religioni, a cura di Ferrari, Neri, Lugano (Svizzera), 2007, p. 144.
68 Cfr. G. CRISCUOLI, M. SERIO, Nuova introduzione, cit., p. 82.
69 Cfr. S. FERRARI, Diritto della Chiesa d’Inghilterra, cit., p. 182.
70 Cfr. G. CRISCUOLI, Introduzione allo studio del diritto inglese. Le fonti, Milano, 19942, p. 107. Rilevante è, altresì, il contributo offerto dal diritto canonico al sistema delle libertà fondamentali inglesi, sintetizzate emblematicamente nella Magna Carta Libertatum, del 1215, in cui è possibile rinvenire la presenza del diritto e della giurisprudenza canonica medievale. Infatti, secondo R.H. HELMHOLZ, Continental law and common law: historical strangers or companions?, in Duke Law Journal, 1990, 6 [1990], pp. 1207-1228, alcuni capitoli della Magna Carta traggono parzialmente origine da fonti giuridiche continentali.
71 Sia ammesso il richiamo a R. GRANATA, Charity sector e Chiesa d’Inghilterra, in Enti religiosi e Riforma del non profit, a cura di Guarino, 2020, p. 92. Dal canto suo, L. CAVALAGIO, La Fondazione fiduciaria: struttura e funzione della destinazione patrimoniale, Padova, p. 175, osserva che l’introduzione della cy-prèss nell’ordinamento giuridico britannico «costituisce l’ennesimo esempio di influenza decisiva del diritto canonico sul Common Law».
72 Cfr. M. FERRANTE, L’apporto del diritto canonico, cit., pp. 94 e 96.
73 Cfr. G. LONG., Ordinamenti giuridici, cit., p. 136.
74 Infatti, per J. ORLANDIS, Le istituzioni, cit., p. 121, «Uno dei doveri che tradizionalmente appartengono al vescovo è la visita diocesana. Anche oggi il Codice di diritto canonico stabilisce l’obbligo di visitare ogni anno una parte della diocesi, in modo tale che tutto il terriorio diocesano sia visitato in cinque anni. Se il vescovo fosse impedito, la visita potrà essere realizzata dal vescovo ausiliare o da un vicario».
75 Per un approfondimento si rinvia a C. BEGUS, Diritto patrimoniale canonico, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2007, pp. 167-168, ed a V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, Bologna, 2011, pp. 205-210.
76 Cfr. R. GRANATA, La risoluzione dei «conflitti ecclesiali», cit., p. 52, nota 38.
77 Tale formula, ideata dal canonista luterano Joachim Stephani, letteralmente «Di chi [è] il potere, di lui [sia] la religione», rappresenta la prima clausola della Pace di Augusta sancita il 25 settembre 1555 al termine della guerra tra Carlo V ed i Principi protestanti tedeschi uniti nella Lega di Smalcalda (1531). Per un’analisi particolareggiata si vedano J. LECLER, Les origines ed le sens de la formule «Cuius regio, eius religio», in Recherches de science religieuse, Paris, 1951, vol. XXXVIII, pp. 119- 131, e C. FANTAPPIÈ, Introduzione storica al diritto canonico, Bologna, 2003, pp. 182-183.
78 Sul concetto di Chiesa nazionale si rimanda a N. DOE, J.P. DURAND (sous la direction), Deuxième colloque sur la notion d’“Églises nationales”, in L’année canonique, 44, 2002, pp. 9-87. Conformemente, C. CARDIA, Principi di Diritto ecclesiastico. Tradizione europea legislazione italiana, G. Giappichelli Editore, Torino, 20103, p. 66, ribadisce «Molto peculiare la vicenda che coinvolge l’Inghilterra, che prende a spunto la rivolta luterana per conseguire il suo obiettivo storico e si confeziona una Chiesa nazionale tutta fatta in casa, unica nel suo genere e irripetibile in continente».
79 Cfr. ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Causa Anglica. Il tribolato caso matrimoniale di Enrico VIII, Città del Vaticano, 2009.
80 Fu Leone X, nel 1521, a riconoscere al monarca inglese il ruolo di difensore della fede cattolica in Europa, unitamente a Francesco I e Carlo V, in virtù delle critiche rivolte al «De captivitate Babylonica ecclesiae» di Martin Lutero, contenute nel libello «Assertio septem sacramentorum adversus Martinum Lutherum». Infatti, afferma ENRICO VIII, Contro Lutero, Pordenone, 1989, p. 93, «Il Matrimonio, il primo di tutti i sacramenti, celebrato fra i primi uomini e reso più bello dal primo miracolo di Cristo, che per il nome stesso di sacramento è stato onorato tanto a lungo e tanto religiosamente, ora finalmente, perchè nessuno in futuro dia tanto valore all’impegno coniugale, Lutero afferma che non è affatto sacramento. (…) La Chiesa crede che sia sacramento, la Chiesa crede che sia stato istituito da Dio, affidato agli apostoli, trasmesso da essi e dai santi Padri, e che, di mano in mano, come sacramento sia giunto fino a noi. E noi dobbiamo trasmetterlo ai posteri, fino alla fine del tempo, e venerarlo come sacramento. Questo crede la Chiesa, e insegna questa sua convinzione». Per cui, come ribadisce G. ALBERIGO, La Riforma Protestante, origini e cause, Editrice Queriniana, Brescia, 1988, p. 31, «È noto che Enrico VIII ebbe a meritarsi nel 1521 il titolo di difensore della fede per uno scritto che polemizzava con La cattività babilonese della chiesa di Lutero. Non meno significativo è il fatto che il De libero arbitrio di Erasmo fosse dedicato allo stesso re d’Inghilterra, che aveva sollecitato il grande umanista a prendere posizione contro Lutero».
81 Cfr. H. CHADWICK, La continuità della Chiesa in Inghilterra e l’Atto di Supremazia del 1534, in L’Anglicanesimo. Dalla Chiesa d’Inghilterra alla Comunione Anglicana, a cura di Alzati, Genova, 1992, p. 50.
82 Dal canto suo, J. MARTINEZ-TORRON, Derecho angloamericano y derecho canonico, cit., p. 113, precisa come «La dependencia del derecho de Roma perviviò tambièn tras la separación de la iglesia anglicana efectuada por Enrique VIII. La Corona mantuvo la competencia matrimonial de los tribunales ecclesiásticos, y las normas canónicas – tanto sustantivas come procesales – apenas sufrierion modificaciones».