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Pubbl. Mar, 28 Giu 2022

La concretizzazione processuale del diritto all´oblio: la domanda di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca

Camilla Della Giustina
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli



Il diritto all´oblio risulta essere al centro della riflessione dottrinaria al fine di realizzare un corretto bilanciamento tra due istanze apparentemente opposte. I principi che si trovano in ”conflitto” sono il diritto alla riservatezza del singolo e il diritto non solo di manifestazione del pensiero ma anche di cronaca. La pronuncia Cassazione civile sez. I, udienza del 16 febbraio 2022, depositata il 28 marzo 2022, n. 9923, che verrà analizzata attiene a quella che nel presente contributo viene definita come la declinazione processuale del diritto all´oblio.


Sommario: 1. Introduzione alla tematica: il diritto all’oblio; 2. Ricostruzione della vicenda oggetto della decisione della Corte di Cassazione; 3. Il concetto di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca; 4. Dall’oblio alla deindicizzazione e viceversa; 5. Considerazioni conclusive

Sommario: 1. Introduzione alla tematica: il diritto all’oblio; 2. Ricostruzione della vicenda oggetto della decisione della Corte di Cassazione; 3. Il concetto di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca; 4. Dall’oblio alla deindicizzazione e viceversa; 5. Considerazioni conclusive

1. Introduzione alla tematica: il diritto all’oblio

Il diritto all’oblio[1] è un istituto di origine giurisprudenziale[2]  che da sempre ha dato spazio a un ampio dibattito interpretativo circa una sua possibile configurazione ed esistenza nell’ordinamento giuridico.

Se inizialmente con l’espressione “diritto all’oblio” si faceva riferimento al diritto del singolo soggetto a essere dimenticato, l’evoluzione tecnologica ha rappresentato una sfida nell’interpretazione e applicazione del medesimo diritto.

L’aspetto maggiormente problematico attiene alla diffusione di un flusso copioso di informazioni che risultano essere decontestualizzate e che vivono in un eterno presente dato dalla dimensione della Rete Internet[3].  La definizione di questo diritto, nata proprio grazie all’elaborazione giurisprudenziale, ha trovato solo successivamente una propria sistemazione normativa. Il riferimento è, ovviamente, al Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali[4] il quale, all’art. 17, ha codificato il cd. “diritto alla cancellazione”.

Il tratto peculiare questo diritto, secondo una interpretazione ormai definita e consolidata tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, è quello di essere costituito dall’essere strettamente connesso con il decorrere del tempo. Precisamente, proprio in forza di un fattore temporale, una determinata notizia potrebbe divenire irrilevante per la società esplicandosi come un fatto di limitazione alla libertà, costituzionalmente garantita, di espressione del pensiero[5]. Nel momento in cui la divulgazione di un fatto e di una notizia, riferibile a un momento passato, dovesse non possedere degli elementi di interesse per la collettività, la pubblicazione di essa non risulterebbe essere legittima nel tempo presente[6].

L’avvento delle cd. nuove tecnologie, e precisamente di Internet, ha aumentato esponenzialmente la problematica connessa con il diritto all’oblio. Nel momento in cui la divulgazione di una notizia avviene attraverso il web, è possibile che essa viva in quello che può essere definito come un eterno presente[7].

Posta questa breve premessa terminologica e storico-ricostruttiva, l’obiettivo che viene perseguito con il contributo è quello di analizzare l’anima “processuale” del diritto all’oblio. Particolare attenzione verrà prestata al contenuto della domanda di deindicizzazione avanzata al fine, oltre a quanto richiesto, anche la cancellazione della notizia pubblicata online.

Al fine di perseguire quanto dichiarato, quindi, si provvederà a esporre il fatto sul quale si è pronunciata la Suprema Corte per poi, successivamente, affrontare la nozione di deindicizzazione per evidenziare gli aspetti di somiglianza e differenza rispetto al contenuto del diritto all’oblio.

La metodologia che verrà utilizzata richiederà, in un primo momento, di fornire una ricostruzione al fatto che ha dato impulso alla querelle giudiziaria per poi, in un secondo momento, trattare, in un modo separato, il concetto di deindicizzazione e di diritto all’oblio[8].

2. Ricostruzione della vicenda oggetto della decisione della Corte di Cassazione

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, un soggetto riassumeva dinnanzi al tribunale di Reggio Emilia il giudizio che era stato instaurato nei confronti di un altro soggetto privato e della casa editrice al fine di ottenere, in primo luogo, la cancellazione o la deindicizzazione della pagina web individuabile a seguito di semplice digitazione del proprio nominativo. In secondo luogo, viene avanzata la richiesta di risarcimento del danno per violazione del codice privacy nonché per violazione del dovere di verità di notizie a lui riferibili a cui aggiungere quello per la creazione di codesta pagina web. In terzo e ultimo luogo, viene richiesto l’ordine di ritiro dal commercio di tutte le copie del libro.

Il tribunale[9] adito evidenziava come la riassunzione aveva quale oggetto, solamente, la domanda attinente alla violazione del Codice privacy alla luce del difetto di legittimazione riconosciuto a tutti i convenuti, eccezione fatta per uno di essi[10]. In relazione all’aspetto della deindicizzazione, infatti, il Tribunale evidenziava che il foro competente fosse quello di Milano. Veniva, di conseguenza, rigettata la domanda di ritiro dal commercio del libro poiché i convenuti erano stati rispettosi dei limiti e dei relativi parametri imposti al giornalista nel momento in cui egli riferisce le notizie contenenti  dati sensibili. Si precisa, infatti, che essi comprendono anche le informazioni attinenti ad atti giudiziari e di applicazione delle misure cautelari.

In seguito alla decisione assunta dal Tribunale, l’istante proponeva ricorso in Corte di Cassazione sulla scorta di tre motivi. Il primo atteneva alla violazione di quanto sancito dall’art. 116 c.p.c. poiché il Tribunale aveva ritenuto provata la verità della notizia concernente la condanna del ricorrente a una grave pena detentiva in forza di semplici fotocopie, disconosciute dal soggetto, e senza fare alcun riferimento ai certificati del casellario giudiziale.[11] In secondo luogo, il ricorso in Corte di Cassazione veniva giustificato sulla scorta della motivazione illogica, o omessa, sui fatti controversi da parte del Tribunale di Reggio Emilia.

Quest’ultimo, secondo la ricostruzione offerta dal ricorrente, non aveva esaurientemente motivato l’interesse pubblico di una condanna intervenuta undici anni fa e non presente nei certificati del casellario giudiziario[12]. Infine, il terzo motivo di ricorso, doveva essere riferito alla violazione dell’art. 8 CEDU nonché dell’art. 17 TFUE e, in generale, del Regolamento Ue 2016/679 circa il rispetto alla vita privata e famigliare, alla protezione dei dati di carattere personale sotto il profilo del diritto all’oblio. In relazione a quest’ultimo fatto, il libro in questione riporterebbe fatti accaduti diciassette anni prima che non si sono conclusi con una condanna per truffa.

Il primo motivo viene ritenuto inammissibile dalla Suprema Corte in quanto, secondo quanto stabilito dal codice di rito, la doglianza relativa all’art. 116 c.p.c. è ammissibile solamente in due ipotesi. In primis, nell’ipotesi in cui il giudice, nell’attività di valutazione di una prova o di una risultanza probatoria, non abbia operato in forza del suo prudente apprezzamento arrivando a attribuire un valore differente rispetto a quello attribuibile.

La seconda ipotesi allude al fatto che il giudice, in relazione a una prova soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare questa secondo il suo prudente apprezzamento quando questo non poteva essere fatto per legge.

A differenza da quanto appena prospettato, nel caso sottoposto all’analisi della Suprema Corte, il ricorrente assumeva solamente che il giudice non avesse correttamente esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, di conseguenza, la censura diviene inammissibile se rapportata all’art. 116 c.p.c.

Potrebbe residuare un vizio motivazionale alla luce della novella che ha interessato l’art. 360 n. 5 c.p.c. il quale, a sua volta, è soggetto a stringenti vincoli[13] che non vengono presi in considerazione dal ricorrente. Quest’ultimo, infatti, non specifica perché il fatto storico, associato alle risultanze del casellario giudiziario, sia da ritenere decisivo posto che il Tribunale ha ritenuto doveroso dare prevalenza agli elementi storici essenziali al fine ultimo di tutelare l’attività di informazione giornalistica rispetto al diritto alla riservatezza[14].

Il secondo e il terzo motivo, suscettibili di essere esaminati in mondo congiunto, vengono ritenuti dalla Cassazione come infondati nonché inammissibili. Sul punto, il riferimento è al richiamo al Regolamento Ue, il GDPR, proprio in ragione del tempo in cui si sono realizzati i fatti che hanno condotto alla pubblicazione del libro frutto di un’attività di indagine giornalistica.

Per quanto attiene al diritto all’oblio, il riferimento viene definito come “irrilevante” poiché non viene confutata l’affermazione del Tribunale di Reggio Emilia circa l’oggetto del processo. Quest’ultimo sarebbe limitato al risarcimento del danno per illecito trattamento dei dati personali realizzatosi, a sua volta, attraverso la pubblicazione del libro.

Sul punto, infatti, è doveroso chiarire la concretizzazione processuale del diritto all’oblio, cioè, la domanda di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca[15]. È evidente, quindi, che la domanda di deindicizzazione non può legittimare una pretesa risarcitoria nei confronti di chi ha scritto un libro i cui contenuti, o meglio, le cui pagine sono state successivamente inserite anche sul web. La domanda di deindicizzazione, infatti, deve essere rivolta ai titolari dei singoli motori di ricerca: questi ultimi, infatti,  possiedono il controllo del programma accessibile dagli opportuni siti.

In relazione al caso di specie non risulta corretto trattare di diritto all’oblio poiché l’oggetto del processo “è costituito esclusivamente dall'asserito illecito trattamento dei dati personali compiuto mediante la pubblicazione del libro; di quel libro di cui unicamente è stato chiesto, in pregiudizio dei convenuti in riassunzione, il ritiro dal commercio”.

Di conseguenza, l’indagine deve essere condotta all’interno dei limiti imposti all’attività di informazione giornalistica la quale, a sua volta, deve essere condotta nel rispetto dei limiti del Codice Privacy. Quest’ultimo ammette il trattamento dei dati personali, anche in assenza del consenso dell’interessato, ai sensi dell’art. 137 co. 2 del già citato Codice Privacy[16].

3. Il concetto di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca

La sentenza oggetto di analisi in questo contributo, ossia la n. 9923/2022 della Corte di Cassazione italiana, precisa che il diritto all’oblio, sul versante del diritto processuale, può essere azionato attraverso la proposizione della domanda di deindicizzazione di pagine web da motori di ricerca. Questa affermazione impone, dunque, di analizzare la reale esplicazione del diritto all’oblio nel mondo digitale.

Il risultato, in conformità anche a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità più recente, è che il diritto all’oblio non si traduce in “cancellazione della copia cache ma unicamente deindicizzazione[17]. La ragione di questa affermazione è giustificata dalla necessità di consentire di accedere all’informazione attraverso il ricorso a chiavi di ricerca differenti a partire dal nominativo della persona, il tutto finalizzato a garantire l’interesse pubblico di accesso alla notizia[18].

In questo senso, quindi, la deindicizzazione rappresenta l’unica soluzione di autentico equilibrio tra il diritto all’oblio della persona e il diritto all’informazione del pubblico. Il bilanciamento tra questi due diritti opposti può essere rinvenuto attraverso l’applicazione di criteri determinati. In primo luogo, ci si deve chiedere se la notizia riguarda in prevalenza l’interessato o se possiede anche un contenuto sociale/collettivo: nella prima ipotesi è possibile disporre anche la cancellazione. A contrario, se il riferimento all’interessato risulta essere inserito in un contesto più ampio dello scenario sociale, come ad esempio un fenomeno di corruzione, deve essere ordinata la deindicizzazione senza la cancellazione della notizia e delle copie cache della medesima nel motore di ricerca[19].

Ai fini di esercitare in modo vittorioso la domanda di deindicizzazione, è necessario che il soggetto istante indichi, nella domanda introduttiva del giudizio, in modo preciso e specifico i contenuti lesivi della reputazione non suscettibili di essere qualificati come  di interesse pubblico. Una doglianza generica che non indichi le informazioni suscettibili di ledere il diritto del singolo alla protezione dei dati personali si traduce, in modo inevitabile, in una domanda che non individua i contenuti rispetto al quale possa ritenersi esigibile la pretesa avanzata.

È solamente attraverso una precisa indicazione dei fatti è possibile individuare il petitum mediato[20] della pretesa rispetto al quale viene richiesto, nonché indirizzato, l’intervento del titolare del trattamento al fine di rimuovere le notizie definite come lesive. In altri termini, “la mancata indicazione specifica indicazione dei contenuti lesivi nella domanda introduttiva del giudizio volto alla rimozione degli stessi, si traduce in un difetto di edictio actionis[21].

Per quanto attiene al requisito della determinatezza dell’atto di citazione, non sempre è necessario indicare gli URL poiché vi sono delle ipotesi in cui è sufficiente indicare in modo specifico i contenuti lesivi rinviando, sempre nell’atto introduttivo del giudizio, alle parole-chiave da inserire nel motore di ricerca[22]. In questa seconda ipotesi, non si può trattare di indeterminatezza a condizione che l’enunciazione sia chiara e completa dei fatti qualificati come lesivi.  Essi devono essere accompagnati dalle parole-chiave consentano di definire precisamente la materia del contendere[23].

In conclusione, presupposto dell’intervento dell’Internet service provider è la conoscenza puntuale dei contenuti da rimuovere[24]. Il gestore deve essere posto nelle condizioni di poter intervenire in modo efficace nonché di prendere contezza dell’interferenza che si è realizzata con riferimento ai diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto di riservatezza.

4. Dall’oblio alla deindicizzazione e viceversa

La deindicizzazione, in base a quanto si desume dalla pronuncia che è stata analizzata, risulta essere strettamente connessa con diritto all’oblio in quanto può essere interpretata quale declinazione del diritto all’autodeterminazione informativa che, a sua volta, consente all’interessato di esercitare, sebbene con determinati limiti, un controllo circa le informazioni che lo riguardano. Alla luce di questo, quindi, il diritto all’oblio subisce un’ulteriore evoluzione divenendo “il diritto a non essere trovato facilmente[25] e non più come il diritto a essere dimenticato[26].

L’evoluzione del diritto all’oblio nel mondo digitale è stato definito, recentemente, dal Supremo Collegio[27] con una sentenza che fornisce una sintesi esaustiva del percorso che si è realizzato sul punto.

Nella pronuncia, si legge, dell’esistenza di due diritti fondamentali, apparentemente in contrasto tra di loro: il diritto di cronaca, ex art. 21 Cost., e il diritto alla riservatezza del singolo. L’individuazione del punto di equilibrio tra questi due diritti, equilibrio che sarà rinvenuto a seguito di un’operazione di bilanciamento[28], dovrà essere individuato dal Giudice il quale, precisamente, dovrà valutare, in modo concreto e attuale, l’interesse pubblico con riferimento alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e vicende sono protagonisti.

Rispetto alla divulgazione di fatti avvenuti nel passato, la menzione dei soggetti cui si riferiscono può essere definita come lecita a condizione che si possa rinvenire un interesse[29] della collettività.

A contrario, deve essere ritenuto prevalente l’interesse alla riservatezza del singolo rispetto ad avvenimenti passati che possano ferirlo nella dignità e nell’onore e rispetto ai quali la collettività non possieda più memoria[30].

Posta questa premessa, le Sezioni Unite, arrivano a qualificare il diritto all’oblio come un diritto nel quale sono presenti tre anime: 1) il diritto a non ri-pubblicare, a distanza di tempo, notizie che in un momento passato erano state legittimamente diffuse[31]; 2) il diritto a ottenere la contestualizzazione, cioè l’aggiornamento, delle notizie presenti su internet[32]; 3) il diritto alla deindicizzazione[33] della notizia dai motori di ricerca.

Il diritto all’oblio, anche nella sua nuova accezione di diritto a non essere trovato facilmente, sta assumendo una portata sempre più pervasiva: un indizio di questa tendenza è il moltiplicarsi di pronunce, soprattutto di legittimità, le quali si pronunciano sulla richiesta avanzata da un soggetto privato di procedere alla cancellazione. Dall’altra parte, invece, spesso questo rimedio della deindicizzazione, a cui spesso viene aggiunta la cancellazione, viene usato in maniera abbastanza frequente[34].

Al di là di questo, la portata dirompente del diritto alla deindicizzazione viene desunta, altresì, dalla circostanza che esso ha plasmato il diritto processuale civile. Il riferimento va all’ordinanza della Corte di Cassazione italiana del 21 luglio 2021[35] con la quale è stato precisato che la richiesta di deindicizzazione deve possedere un contenuto particolare. È onere della parte che intende avanzare legittimamente e proficuamente questa domanda quello di fornire in modo dettagliato gli indirizzi URL o, in alternativa, il contenuto e le parole chiave che conducono alla notizia che cagiona un pregiudizio al soggetto interessato e, rispetto alla quale, viene avanzata la richiesta di deindicizzazione[36].

Volendo fornire un breve excursus storico, il diritto all’oblio nasce quale diritto del singolo a che una notizia, già in precedenza pubblicata in modo legittimo, non venga pubblicata in un momento successivo. Con lo sviluppo tecnologico e con la diffusione di Internet, è stato interpretato come diritto alla protezione dei dati personali e, successivamente, come diritto alla cancellazione dei dati ritenuti lesivi della propria persona, a condizione che questi potessero essere qualificati come non più attuali.

Il diritto all’oblio, da interpretare come diritto a essere dimenticati, si fa portatore dell’esigenza del singolo individuo di non essere più ricordato per fatti che sono avvenuti in passato e che, nel passato appunto, sono stati oggetto di cronaca. In altri termini, il diritto all’oblio esprime la necessità dell’individuo di rientrare nell’anonimato una volta venuto meno l’interesse pubblico alla conoscenza di un determinato fatto accaduto nel passato e che, con il decorso del tempo finisce per scomparire[37]. Il diritto a essere dimenticati si traduce nel diritto a non rimanere esposti, per un periodo di tempo senza fine, a una rappresentazione che non è più attuale della propria persona. Quanto appena descritto, dunque, si può tradurre in un pregiudizio alla reputazione e alla riservatezza[38].

Il problema assume una portata ancora differente, e maggiormente pregnante, se rapportato alle nuove tecnologie. Queste, infatti, hanno aumentato, in modo esponenziale la capacità di elaborazione dei dati, la loro memorizzazione e la loro interconnessione. Da questo, dunque, un aumento del rischio della violazione della sfera del privato a causa proprio di questa evoluzione tecnologica e degli strumenti legislativi non sempre appropriati per quanto attiene all’apprestare le tutele necessarie.

5. Considerazioni conclusive

La pronuncia della Corte di Cassazione analizzata nel presente contributo attiene alla domanda di deindicizzazione avanzata da un soggetto privato. L’aspetto peculiare concerne, in primo luogo, la distinzione che viene effettuata tra deindicizzazione e cancellazione precisando le condizioni che consentono di avanzare, legittimamente, la richiesta sia di cancellazione sia di deindicizzazione, e quali, invece, possono fondare una richiesta di mera deindicizzazione.

In secondo luogo, l’aspetto caratteristico della pronuncia concerne il contenuto che l’atto processuale, con il quale l’attore, da intendere in senso sostanziale, avanzata la richiesta di deindicizzazione. Egli soggiace a una serie di oneri al fine di poter vedere accolta la propria richiesta.

Alla luce di questo, dunque, emerge come il diritto all’oblio[39], nato in un momento storico in cui il diritto a essere dimenticato poteva essere ricondotto al modo “tradizionale” di diffusione delle notizie, cioè grazie alla circolazione giornali, ha subito una trasformazione. Essa è arrivata a incidere non solo sul diritto sostanziale ma anche su quello processuale.

Il diritto all’oblio, originariamente interpretato quale diritto a essere dimenticati, è divenuto diritto a non essere trovati facilmente.

Proprio sulla scorta dell’evoluzione giuridico-tecnologica del diritto all’oblio, all’istante viene imposto, sempre al fine di veder accolta la propria domanda di deindicizzazione, di fornire l’indicazione degli elementi di collegamento. Precisamente, al fine di poter accogliere una domanda diretta a ottenere la deindicizzazione da pagine web e/o la cancellazione della notizia è necessario indicare l’indirizzo URL che rimanda alla notizia ritenuta lesiva[40].

Quanto appena esposto dimostra come, ancora una volta, il diritto non rimane immune alla portata dirompente dell’evoluzione tecnologica. Si potrebbe arrivare a sostenere che, potenzialmente, lo stesso atto di citazione[41] debba piegarsi a quanto imposto da un “nuovo” legislatore. In questa direzione, è la medesima evoluzione tecnologica a integrare delle disposizioni che, da un punto di vista strettamente teorico, sono inderogabili e indisponibili[42]. Appare evidente la nuova sfida che il diritto deve affrontare, cioè, adattare i propri schemi processuali all’innovazione, la quale si pone come un “legislatore del caso concreto”.

Ulteriore conclusione che si può elaborare attiene alla nuova fisionomia che assume il diritto all’oblio: non il diritto a essere dimenticati ma il diritto a non essere trovati.

Si assiste, dinnanzi a un mutamento della domanda giudiziale, a un cambio di prospettiva anche sul piano sostanziale. L’immagine metaforica è quella di un soggetto che risulta essere costretto a “nascondersi” al fine di trovare la pace dell’oblio. L’oblio che da diritto muta la propria pelle per diventare una “lotta” necessaria per liberarsi dal peso del passato. Sempre da un punto di vista metaforico, l’immagine che si può offrire è quella di individuo che scappa da un passato che diviene sempre più presente: la corsa è contro il tempo ed è preordinata a cercare un rifugio[43].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si tratta di uno degli istituti più affascinanti e, rispetto al quale, si è formata una copiosa produzione dottrinaria. Si segnalano, dunque, le opere che si ritengono essere maggiormente significative, senza alcuna pretesa di esaustività. Cfr. F. AGNINO, Il diritto all'oblio e diritto all'informazione: quali condizioni per il dialogo?, in Danno e resp., v. 23, 1, 2018; S. ZANINI, Il diritto all'oblio nel Regolamento europeo 679/2016: quid novi?, in Federalismi.it, n. 15, 18 luglio 2018; S. BONAVITA, R. PARDOLESI, La Corte EDU contro il diritto all'oblio? - Corte Europea dei diritti dell'uomo, Sez. V, 19 ottobre 2017, n. 71233/13, in Danno e resp., v. 23, n. 1, 2018; M.R. ALLEGRI, Diritto all'oblio, tutela della web reputation individuale e “eccezione giornalistica”: spunti giurisprudenziale, in Quad. cost., 6 giugno 2018; F. DI CIOMMO, Il diritto all'oblio (oblito) nel regolamento Ue 2016/679 sul trattamento dei dati personali, in Foro it., 2017; M. Iaselli, Come esercitare il diritto all'oblio in Internet, Roma, 2017; A. SIROTTI GAUDENZI, Diritto all'oblio: responsabilità e risarcimento del danno, Santarcangelo di Romagna, 2017; A. BARCHIESI, La tentazione dell'oblio. Vuoi subire o costruire la tua identità digitale?, Milano, 2016; V. D'ANTONIO, Oblio e cancellazione dei dati nel diritto europeo, in S. SICA, V. D'ANTONIO, G.M. RICCIO (a cura di), La nuova disciplina europea della privacy, Milanofiori Assago, 2016; G. Finocchiaro, Il diritto all'oblio nel quadro dei diritti della personalità, in C. PERLINGIERI, L. RUGGERI (a curi di), Internet e Diritto civile, Napoli, 2015; F. Pizzetti (a cura di), Il caso del diritto all'oblio, Torino, 2013; G. FINOCCHIARO, La memoria della rete e il diritto all'oblio, in Dir. inform.e e dell'informat., 2010; M. MEZZANOTTE, Il diritto all'oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, 2009; M. Di Marzio, Il diritto all'oblio, in Pers. e danno, 6 luglio 2006; E. GABRIELLI (a cura di), Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Napoli, 1999; G.B. FERRI, Diritto all'informazione e diritto all'oblio, in Riv. dir. civ., 1990; T. AULETTA, Diritto alla riservatezza e « droit à l'oubli », in G. ALPA, M. BESSONE, L. BONESCHI, G. CAIAZZA (a cura di), L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983.

[2] Esso è stato riconosciuto, per la prima volta, dalla Corte di Cassazione italiana negli anni Novanta. Con la sentenza n. 3679/1998, la Suprema Corte ha riconosciuto il “diritto di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente pubblicata”.

[3] Essa è stata definita come una “memoria illimitata e senza tempo”.

[4] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE.

[5] Il bene protetto attraverso l’istituto giuridico del diritto all’oblio è la necessità dell’individuo di rientrare in una condizione di anonimato qualora sia decorso un considerevole lasso temporale. Proprio questo aspetto, ossia, il decorso del tempo fa venire meno l’interesse a riportare “in vita” una notizia di un avvenimento del passato. Si vuole evitare, dunque, che una immagine non più attuale e passata possa influenzare la percezione attuale di un individuo. M. COCUCCIO, Deindicizzare per non censurare: il «ragionevole compromesso» tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, in Responsabilita' Civile e Previdenza, fasc.1/2021, pp. 175 ss.

[6] M. MEZZANOTTE, Il diritto all'oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, 2009, pp. 119 ss.

[7] Quanto appena esposto è strettamente connesso con il tratto unico che contraddistingue il cyberspazio: in esso, infatti, le informazioni immagazzinate permangono in quello che può essere definito come un tempo indefinito e indeterminato.

[8] Si tratta di una decisione metodologica al fine di distinguere due istituti che, sebbene strettamente connessi tra di loro, richiedono, ai fini di organizzazione espositiva, di essere affrontati in modo separato. Tuttavia, come verrà evidenziato nel paragrafo n. 4, il diritto all’oblio altro non rappresenta che il presupposto giustificativo per chiedere la deindicizzazione e/o la cancellazione della notizia.

[9] Tribunale di Reggio Emilia, n. 518/2020 

[10] Nel testo della sentenza viene individuato con OMISSIS.

[11] Questi, difatti, non contenevano alcuna menzione delle condanne oggetto della notizia riportata nella narrativa effettuata dal giornalista.Cassazione civile, sez. I, 28 marzo 2022, n. 9923

[12] La fonte normativa cui fa riferimento è l’art. 17 del Regolamento Ue 2016/679 il quale contiene il cd. diritto all’oblio, ossia il diritto a essere dimenticati. Sul punto è stato evidenziato che si deve «negare l’esi­stenza effettiva del diritto all’oblio nel mondo digitale in quanto risulta essere difficile, se non impossibile, adot­tare adeguate tecniche di protezione allo spazio virtuale della rete. Il mondo virtuale, quindi Internet, possiede una portata molto ampia al punto da rendere impossi­bile la cancellazione in modo definitivo di qualunque informazione sia entrata». C. DELLA GIUSTINA, P. de GIOIA CARABELLESE, L’effettività del diritto alla protezione dei dati personali (diritto all’oblio) nel mondo digitale, in Diritto di Internet, fasc. 4/2021, p. 606.

[13] Sul punto “la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione”. Cassazione civile sez. un., 7 aprile 2014, n.8053.

[14] Essa è stata definita in tempo risalente quale termine che  “non individua uno specifico interesse sostanziale; e`, al contra- rio, un elemento formale (e perciò permanente) che individua il modo di proporsi all’esterno della persona. Tale elemento fondamentalmente si riassume in dispositivi di coercizione
contro ogni violazione e aggressione nei confronti della sfera di identità, nella forma che
viene definita dallo stesso soggetto. Linguisticamente il termine identità include l’idea di immutabilità e, conseguentemente, di riservatezza. Si può dire che, in quanto elemento formale, la riservatezza esprime, relativamente alla persona, lo stesso valore che, riguardo ai beni, rappresenta la comunicazione giuridica il concetto di esclusività
”. D. MESSINETTI , Circolazione dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 348.

[15] Sul punto, una precedente ma recente pronuncia della Corte di Cassazione ha precisato che “in tema di diritto all'oblio, la domanda di deindicizzazione dal motore di ricerca di alcune pagine web, ai fini della sua determinatezza, deve contenere la precisa individuazione dei risultati che l'attore intende rimuovere e, quindi, normalmente, l'indicazione degli indirizzi telematici (o URL) dei contenuti rilevanti, anche se una puntuale rappresentazione delle singole informazioni associate alle parole chiave può rivelarsi, secondo le circostanze, idonea a dare comunque contezza della cosa oggetto della domanda, in modo da consentire al convenuto, gestore del motore di ricerca, di apprestare adeguate e puntuali difese sul punto”. Cassazione civile sez. I, 21 luglio 2021, n.20861.

[16] La valutazione relativa al non superamento dei limiti rappresenta una questione di fatto che, come tale, è demandata alla decisione del giudice di merito il quale, secondo il ragionamento svolto dalla Corte di Cassazione, ha svolto una motivazione congruente.

[17] D. BIANCHI, Oblio e motori di ricerca: indicizzazione si ma la copia chace non si tocca, in Diritto & Giustizia, fasc. 27/2022, p. 11.

[18] Questa affermazione prende le mosse dal cd. caso. Yahoo! Concernente una condanna da parte del Garante della Privacy (provvedimento del 25 febbraio 2016) esplicatasi nell’applicazione del diritto all’oblio quale deindicizzazione attraverso la scissione tra il nominativo del soggetto e la notizia di cronaca giudiziaria ritenuta non più attuale e la cancellazione della copia cache delle notizie. A seguito di questa condanna, Yahoo! impugna il provvedimento dinnanzi al Tribunale di Milano che conferma quanto statuito dall’Autorità (sentenza n. 12623/2016) e, dinnanzi a questa decisione, propone ricorso per Cassazione. La Suprema Corte rigetta tutti i motivi accogliendone parzialmente uno che conduce il Supremo Collegio a qualificare come esorbitante la misura inflitta dal Garante poiché non limitata alla sola deindicizzazione ma estesa anche alla cancellazione della copia cache delle pagine inerenti gli articoli deindicizzati. Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2022, n. 3952. Con riferimento a questa pronuncia, vedasi A. ALÙ, Cancellazione delle “copie chace” e tutela del diritto all’oblio “digitale”: spunti di riflessione sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 3952/2022, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2022, pp. 122 ss.

[19] Sul punto, la Suprema Corte, ha statuito che “la deindicizzazione può attuare il divisato bilanciamento: l'interesse alla conoscenza dell'informazione riguardante il fatto è salvaguardato attraverso l'accesso al sito, o alla copia di esso, che si attua attraverso altre chiavi di ricerca; ma è tutelata, al contempo, la sfera personale del soggetto coinvolto nella vicenda, giacché la deindicizzazione esclude che l'utente di internet possa apprendere del fatto storico in conseguenza di una ricerca nominativa che miri ad altri risultati o che sia animata da mera curiosità per aspetti della vita altrui su cui l'interessato voglia mantenere il riserbo”. In tema di bilanciamento tra diritto all'oblio (alias deindicizzazione) e diritto all'informazione, si veda anche l'ulteriore recente orientamento giurisprudenziale secondo cui “la necessità di trovare un punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti (quelli del titolare del sito dell'archivio e quelli del titolare del dato, non più accessibile dai comuni motori di ricerca) adeguatamente soddisfatta dalla deindicizzazione come attività giuridicamente lecita, che pertanto consente la permanenza di un articolo di stampa nell'archivio informatico di un quotidiano, relativo a fatti risalenti nel tempo oggetto di cronaca giudiziaria, ove sussista ancora un interesse pubblico di tipo storico o socio-economico, purché l'articolo sia ‘deindicizzato' e risulti reperibile solo attraverso l'archivio storico del quotidiano”. Cass. 27 marzo 2020 n. 7559.

[20] Solamente attraverso una precisa, dettagliata nonché perimetrata allegazione dei fatti che si ritengono essere lesivi permette, a sua volta, di circoscrivere, ai fini di individuare il bene della vita che l’attore vuol far valere nei confronti del convenuto in giudizio. Cass. civ. 27 marzo 2020 n. 7559.

[21] M. MAROTTA, Diritto all’oblio, URL e parole-chiave: come evitare la nullità dell’atto di citazione, in Diritto & Giustizia, fasc.  143/2021, p. 4. In modo ancora differente, per evitare di “cadere” in un difetto di editio actionis viene richiesto che la domanda di cancellazione individui in modo estremamente preciso le informazioni che vengono ritenute lesive il diritto del soggetto alla protezione dei dati personali al fine di ritenere esigibile l’intervento del titolare o del responsabile del trattamento.

[22] Questi requisiti vengono richiesti al fine di fornire piena attuazione a quanto statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di obbligo di rimozione, da parte del titolare o del responsabile del trattamento dei dati personali, di notizie, link, URL, pagine web relative a un determinato individuo e prive di interesse pubblico. Affinché l’operazione poc’anzi descritta possa essere compiuta è necessario che il titolare o il responsabile del trattamento sia a conoscenza dei contenuti da rimuovere e questi, a loro volta, devono essere individuati in modo specifico e preciso. Il provider, detto in altro modo, deve poter essere messo nella condizione concreta di avere puntuale contezza della situazione che lo obbliga a intervenire al fine di procedere alla rimozione dei contenuti ritenuti lesivi. Il riferimento è a Corte di Giustizia UE C-131/12; Corte di Giustizia UE C-324/09.

[23] La massima cui fare riferimento è quella secondo cui “ai fini della determinatezza del petitum mediato, la domanda di deindicizzazione esige la precisa individuazione ed indicazione degli URL che l'attore intende far rimuovere. Tuttavia, non è escluso che un puntuale e preciso riferimento alle singole informazioni che si assumono lesive associate a delle parole -chiave possa rivelarsi, secondo le circostanze, idonea a dare precisa contezza della cosa oggetto della domanda”. Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2021, n. 20861.

[24] Si può dire che la necessità di indicare chiaramente e precisamente la pagina web attraverso l’indicazione dell’indirizzo URL, in mancanza di esso le parole chiave, e la notizia che si assume essere lesiva risponde, più in generale alla funzione sottesa al processo civile. Esso, infatti, deve rispondere sia a un requisito di efficienza sia di tutela effettiva: quest’ultima è strettamente connessa alla salvaguardia di valori costituzionali (giusto processo, ragionevole durata del processo) nonché alla necessità di apprestare una tutela giurisdizionale rispettosa del diritto di difesa. Per un approfondimento sul punto G. CANALE, Violazione del dovere di sinteticità e chiarezza: abuso del processo? In Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc. 3/2018, pp. 1025 ss.

[25] Altrimenti definito come “right not to be found easily”. M. COCUCCIO, Deindicizzare per non censurare: il «ragionevole compromesso » tra diritto all'oblio e diritto di cronaca, in Resp. civ. prev., fasc. 1/2021, p.175.

[26] R. SETTIMIO, Deindicizzazione e diritto all’oblio al vaglio della Suprema Corte, in GiustiziaCivile.com, 27 settembre 2021.

[27] Cass. civ., sez. unite, 22 luglio 2020, n. 19681. Il Supremo Collegio evidenzia che “il diritto ad informare, che sussiste rispetto a fatti molto lontani, non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali (…) nessuna particolare utilità può trarre chi fruisce di quell'informazione dalla circostanza che siano individuati in modo preciso coloro i quali tali atti hanno compiuto”. Sul punto vedasi A. SPATUZZI, Diritto all’oblio e rievocazione storica. Il bilanciamento delle Sezioni Unite, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc. 4/2020, pp. 1260 ss.

[28] Il bilanciamento richiama, da un punto di vista metaforico, l’immagine di una attività decisionale che, anche se guidata, è mossa da un elemento intuitivo diretto a identificare l’approccio che meglio risponde alle peculiarità del caso concreto. La metafora, dunque, è quella di una “immagine sapienziale della decisione giudiziale”. B. CELANO, Giustizia procedurale pura e teoria del diritto, in M. BASCIU, (a cura di) Giustizia e procedure. Dinamiche di legittimazione tra Stato e società internazionale, in Quaderni della Rivista internazionale di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 101-142. Da un punto di vista “pratico”, il bilanciamento è diretto a fornire una gradazione gerarchica che viene, appunto, a seguito del giudizio dell’interprete. “Questo giudizio, nell’ipotesi dell’ «ad hoc balancing test» è mobile dato che relativo al caso concreto e difficilmente replicabile in casi futuri. Alla luce di questo, «bilanciare non vuol dire ponderare o trovare un punto di equilibrio ma piuttosto sacrificare, accantonare un principio a favore di un altro seppur soltanto in relazione a uno specifico caso concreto”. R. GUASTINI, Principi di diritto e discrezionalità giudiziale, in Diritto pubblico, 1998, pp. 651.659; P. CHIASSONI, La giurisprudenza civile. Metodi di interpretazione e tecniche argomentative, Giuffrè, Milano,1999, p. 287.  All’ “ad hoc balancing test” si contrappone il “definitional balancing” nel quale la soluzione al conflitto tra diritti principi si risolve attraverso l’individuazione di una regola generale e astratta potenzialmente applicabile anche ai casi futuri. R. BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, pp. 65-71.

[29] L’interesse cui si è fatto riferimento può attenere a una esigenza di conoscenza della realtà stessa oppure al ruolo rivestito dai soggetti interessati come, ad esempio, rivestire un ruolo pubblico.

[30] In Roma antica il ricordo della storia possedeva una particolare importanza poiché ogni uomo agiva “ut nome suum posteritati traditus sit”. Paradossalmente se un tempo perdere la memoria poteva essere paragonato a una “damnatio memoriae”, nell’attuale epoca la tutela da accordare all’identità è quasi indissolubilmente connessa con il diritto all’oblio. G. CARAPEZZA FIGLIA, Tutela dell'onore e libertà di espressione. Alla ricerca di un « giusto equilibrio » nel dialogo tra Corte europea dei diritti dell'uomo e giurisprudenza nazionale, in Il Diritto di Famiglia e delle Persone (II), 2013, pp. 1028 ss.

[31]Quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata — la quale, all'epoca, rivestiva un interesse pubblico — egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti. Lo stesso termine “diritto di cronaca”, infatti, trae la propria etimologia dalla parola greca Κρόνος, che significa, appunto, tempo; il che vuol dire che si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto. Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifesta- zione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un'attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca”. Cass. civ., sez. unite, 22 luglio 2020, n. 19681. 

[32] G. GAROFALO, Identità digitale e diritto all’oblio: questioni aperte all’indomani dell’approvazione del GDPR, in Diritto di Famiglia e delle Persone (II) fasc. 3/2021, pp. 1505 ss.

[33] Per quanto attiene alla deindicizzazione, da un punto di vista territoriale, si richiama la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue del 24 settembre 2019 (Google Inc. contro Commission nationale de l'informatique et des libertés (CNIL) con la quale il diritto in questione è stato limitato da un punto di vista geografico. Precisamente, la Corte di Giustizia ha sancito che l’attività di deindicizzazione è limitata solamente alle versioni geografiche che corrispondono ai domini europei del motore di ricerca. Questa conclusione poggia su due giustificazioni: la prima è l’Unione Europea non possiede idonei strumenti di cooperazione per quanto attiene l’attuazione della deindicizzazione al di fuori del proprio territorio; la seconda poggia sul fatto che molti Stati, al di fuori del territorio dell’Unione Europea, non riconoscono il diritto alla deindicizzazione o possiedono un differente approccio. A. ALÙ, La responsabilità dei motori di ricerca: quale regime applicabile? In Diritto di Famiglia e delle Persone (II), fasc. 1/2021, pp. 338 ss.; E. TEROLLI, La protezione dei dati personali UE vs. USA. Evoluzioni di diritto comparato e il trasferimento dei dati dopo la sentenza “Scherms II”, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (II), fasc. 1/2021, pp. 49 ss.

[34] Ci si riferisce a una vicenda arrivata all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Ue con la quale veniva richiesta la rimozione di informazioni personali, cioè una situazione di pregressa insolvenza, dal registro delle imprese. Corte giust. Ue, 9 marzo 2017, causa C-398/15, Manni.

Ulteriore riferimento va a una pronuncia di legittimità della Corte di Cassazione civile italiana con la quale la Suprema Corte ha negato al ricorrente la possibilità di ottenere la cancellazione della cancellazione dell’ipoteca giudiziale. Il ricorrente lamentava la violazione del proprio diritto di riservatezza, di oblio e di immagine. Cass. civ., 18 maggio 2021, n. 13524.

[35] Cass. civ., 21 luglio 2021, n. 20861.

[36] G. CITARELLA, Archivio on-line di quotidiano e diritto all’oblio, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 6/2021, pp. 1936C ss.

[37] Cass. civ., 21 luglio 2021, n. 20861. L’impatto giuridico del diritto all’oblio si è realizzato a seguito della sentenza Google Spain SL e Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González (Corte giust. Ue, Grande Sezione, 13 maggio 2014, causa C-131/12), sul punto, vedasi S. PERON, Il diritto all’oblio nell’era dell’informazione on-line, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 4/2012, pp. 1159 ss.

In altri termini, l’individuo al centro della notizia di cronaca può avere l’esigenza di rientrare di “essere lasciato in pace” rispetto a una notizia di un evento che si è realizzato nel passato poiché questa potrebbe costituire un ostacolo per la sua vita futura. La differenza rispetto alla riservatezza attiene al fatto che, il diritto all’oblio non è preordinato a impedire la divulgazione dei fatti ma a una ri-pubblicazione  di fatti legittimamente pubblicati nel passato. Tuttavia, diritto alla riservatezza e diritto all’oblio possiedo, quale elemento comune, l’essere un diritto della personalità. La differenza che intercorre tra questi due diritti concerne l’esposizione al fattore tempo: nel diritto all’oblio il fattore temporale integra un elemento di nevralgica importanza poiché le notizie, già diffuse in un tempo passato, divengono oggetto di pubblicazione. In questo modo si assiste a una interruzione del fattore temporale che poteva condurre a far cadere nell’oblio i fatti realizzatasi nel passato. E’ stato evidenziato che, il diritto all’oblio “non è volto ad impedire la divulgazione di notizie e fatti appartenenti alla sfera intima dell'individuo e tenuti fino ad allora riservati, ma ad impedire che fatti già resi di pubblico dominio possano essere “rievocati” per richiamare su di essi “ora per allora” l'attenzione del pubblico, proiettando l'individuo, all'improvviso e senza il suo consenso, verso una nuova notorietà indesiderata”. V. CUFFARO, Cancellare i dati personali. Dalla damnatio memoriae al diritto all'oblio, in N. ZORZI GALGANO (a cura di), Persone e mercato dei dati, Milano, 2019; A. GIUFFRIDA, Il diritto alla riservatezza, in P. CENDON (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza. Le Persone, III, Torino, 2000, pp. 317 ss.; L. RATTIN, Il diritto all'oblio, in Arch. civ., 2000, pp. 1069 ss.

[38] M. COCUCCIO, Deindicizzare per non censurare: il «ragionevole compromesso» tra diritto all’oblio e diritto cronaca, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 1/2021, pp. 175 ss.

[39] Per quanto attiene al diritto all’oblio cfr. A. PALLADINO, “Oblio 4.0” tra identità digitale e cancellazione dati: quale diritto?, in De Iustitia, n. 2/ 2019, pp. 76 ss.; M. ZANICHELLI, Il diritto all'oblio tra privacy e identità digitale, in Inf. e dir.,  fasc. 1/2016, pp. 10 ss.; V.M. SCHÖNBERGER, Delete. Il diritto all'oblio nell'era digitale, Milano, 2010; G. DE GREGORIO, Google v. CNIL and Glawischnig-Piesczek v. Facebook: content and data in the algorithmic society, in Medialaws, n.1/ 2020, pp. 249 ss.; A. IANNOTTI DELLA VALLE, La tutela della concorrenza ai tempi di google android tra fondamenti costituzionali e analisi tecnologica, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (II), fasc. 2/2021, pp. 283 ss.; G. ALPA, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contratto e impresa, n. 3/2017, passim; F. DI CIOMMO, Il diritto all’oblio (oblito) nel Regolamento Ue 2016/679 sul trattamento dei dati personali, in IlForo.it, fasc. 9/2017, pp. 1 ss.; R. PARDOLESI, L’ombra del tempo e (il diritto al)l’oblio, in Questione Giustizia, n. 1/2017, pp. 76 ss.; S. MARTINELLI, Diritto all’oblio e motori di ricerca: il bilanciamento tra memoria e oblio in Internet e le problematiche poste dalla de-indicizzazione, in Il Diritto dell’Informazione e dell’Informatica Giuridica, fasc. 3/2017, pp. 565 ss.; S. MARTINELLI, Diritto all’oblio e alla privacy nel bilanciamento tra riservatezza e libertà di espressione: quali limiti per
i personaggi dello spettacolo? (Nota a Cassazione civile, I Sezione, 20 marzo 2018, n. 6919
) in Giurisprudenza Italiana, n. 5/2019.

[40] Questa impostazione, probabilmente, è giustificata dal fatto che il diritto alla deindicizzazione, come anche il diritto all’oblio, è configurato come una delle declinazioni diritto all’autodeterminazione informativa attraverso la quale viene riconosciuto al privato la possibilità di esercitare un controllo sulle informazioni che lo riguardano.

[41] Paradossalmente si potrebbe arrivare a sostenere come, nel momento in cui il petitum mediato attenga a una questione di oblio e richiesta di deindicizzazione, lo stesso contenuto dell’atto di citazione debba subire una modifica. Volendo proseguire in codesta direzione, si potrebbe arrivare a sostenere che gli artt. 163 e 167 cpc potrebbero subire una modifica – avvenuta tacitamente e non per il tramite di una modifica da parte del legislatore – al fine di adeguarsi alle tecno-esigenze. In altri termini, qualora un soggetto dovesse essere, rispettivamente, attore e convenuto egli si trova a dover inserire un ulteriore elemento, ossia, l’indicazione URL e delle parole chiave quando avanzi la richiesta di deindicizzazione e/o cancellazione di una notizia da una pagina web.

[42] Nuovamente si pone il problema se effettivamente il diritto riesca a governare la tecnica poiché quest’ultima sembra prendere il sopravvento. R. CLARIZIA, Internet: gli interrogativi del civilista, in Diritto di Internet, fasc. 1/2022.

[43] Per quanto attiene alla trasformazione del diritto dinnanzi alla evoluzione tecnologica, cfr. U. PAGALLO, Il diritto nell’era dell’informazione, Giappichelli, 2014;

[44] Quanto si vuole evidenziare è che il nuovo potere è proprio il sistema, o i sistemi di Intelligenza Artificiale.

[45] L’aspetto che presenta difficoltà di gestione concerne il funzionamento proprio dei sistemi di Machine Learning: in essi, infatti, i dati personali non solamente sono inputs del sistema ma rappresentano, altresì, gli outputs che possono essere sia intermedi che conclusivi. Questi, in altri termini, rappresentano “dati personali costruiti dagli algoritmi del sistema automatizzato in virtu` di processi di derivazione resi più complessi dalle dinamiche dell’apprendimento autonomo. In questi processi si realizzano, con le differenze tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, le promesse organizzative e predittive della logica dei c.d. big data: la semplificazione, l’efficienza e la sicurezza della società digitalizzata”. R.  MESSINETTI, La tutela della persona umana versus l’intelligenza artificiale. Potere decisionale dell’apparato tecnologico e diritto alla spiegazione della decisione automatizzata, in Contratto e Impresa, n. 3/2019, p. 878.