Verso il superamento del bicameralismo paritario
Modifica paginaIn questo articolo si propone una disamina delle modifiche apportate al vigente sistema bicamerale dal D.d.l. costituzionale, nel testo approvato in secondo esame dal Senato nella seduta del 13 ottobre scorso. Prima di entrare nel merito della riforma si ripercorre, per brevi cenni, la disciplina del procedimento di revisione costituzionale, per poi soffermarsi sui principali modelli di bicameralismo conosciuti, con particolare riguardo a quella forma ´atipica´ che è stata adottata dal Costituente italiano.
SOMMARIO: 1) Premessa: il punto sull’iter di approvazione del Disegno di legge costituzionale - 2) segue: il procedimento di revisione costituzionale - 3) Bicameralismo paritario e bicameralismo differenziato: nozioni e cenni comparatistici. L’atipicità del sistema bicamerale italiano - 3) Il nuovo Senato: composizione, rappresentanza, sistema di elezione. La durata del mandato - 4) Verso il superamento del bicameralismo paritario: il rapporto fiduciario ‘monoasse’ - 5) segue: il procedimento legislativo ordinario ‘a geometrie variabili’ - 6) Altre novità concernenti il ´nuovo´ Senato della Repubblica - 7) Alcune riflessioni conclusive.
1) Premessa: il punto sull’iter di approvazione del Disegno di legge costituzionale.
Il 13 ottobre scorso Palazzo Madama ha approvato - in secondo esame - il Disegno di Legge ‘Boschi’, di riforma della Seconda Parte della Costituzione, con 178 voti favorevoli, 16 contrari e 7 astenuti. In precedenza, la riforma era già stata approvata sia dal Senato che dalla Camera, ma sempre con modifiche.
Il testo dovrà ora passare, nuovamente, al vaglio della Camera dei Deputati dove - è notizia di questi giorni - l’iter inizierà il 20 novembre per concludersi l’11 gennaio: questi sono i termini fissati dalla Conferenza dei Capigruppo di Montecitorio per il - complessivo - quarto esame del D.d.l. costituzionale. Perché si possa considerare chiusa la c.d. prima lettura il testo dovrà, ivi, essere approvato senza modifiche, con la chiosa che si potrà discutere ed emendare solo la parte cambiata al Senato.
Il Disegno di legge dovrà poi ripassare, per la seconda lettura, da entrambe le camere. A quel punto le sorti della riforma dipenderanno dall’ampiezza del consenso espresso.
Al fine di meglio contestualizzare questa premessa introduttiva, ripercorriamo, per brevi cenni, la disciplina procedimentale dettata dall’art. 138 Cost.
1.1.) segue: il procedimento di revisione costituzionale.
Il procedimento di revisione costituzionale si presenta, in conformità alla natura rigida delle costituzioni contemporanee, con i crismi di un iter aggravato.
In primo luogo, a differenza del procedimento legislativo ordinario (per il quale è prevista una sola deliberazione di ciascuna camera parlamentare a maggioranza relativa sullo stesso testo), consta di due deliberazioni successive da parte di ciascun ramo del Parlamento.
In prima deliberazione o ‘lettura’, è necessario che Camera e Senato votino lo stesso testo; ciò significa che, se viene approvato da una camera ma l’altra lo approva con emendamenti, deve tornare alla prima per un’ulteriore approvazione (cosa che è avvenuta proprio con il Disegno di legge Boschi). Questa è, diversamente dal numero di deliberazioni richieste, un’analogia con il procedimento legislativo ordinario; i progetti di legge costituzionale sono destinati, quindi, a ‘viaggiare’ tra Camera e Senato tante volte quante sono necessarie ad ottenere il voto favorevole di ambedue sullo stesso testo.
La seconda deliberazione deve essere effettuata non prima del decorso di un intervallo di tre mesi dalla prima. Per evitare che il procedimento si dilunghi sine die, i regolamenti delle Camere[1] vietano la presentazione di emendamenti al testo votato in prima lettura.
Mentre in prima lettura è richiesta la mera maggioranza relativa, in seconda lettura il Costituente ha tracciato un doppio binario: 1) se il consenso sulla riforma è talmente trasversale che, in ciascuna Camera, si raggiunge la maggioranza qualificata dei due terzi dei membri, il progetto di legge diviene in senso tecnico ‘Legge perfetta’, efficace a seguito di promulgazione del Presidente della Repubblica; 2) se ciò non avviene, è comunque richiesta la maggioranza assoluta (pari alla metà più uno dei membri di ciascuna Camera) ma, in tal caso, il testo approvato dal Parlamento viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in modo da far decorrere il termine di tre mesi, entro il quale determinate minoranze - diremo appresso quali - possono chiedere la sottoposizione a referendum del Testo di legge costituzionale.
La sorte del Disegno di Legge Boschi sembra, numeri alla mano, rientrare in quest’ultima ipotesi, tanto è vero che il Ministro ha già indicato nell’ ottobre 2016 il periodo in cui ragionevolmente si potrebbe tenere il referendum[2]. Al fine di sottoporre il Testo di legge costituzionale alla votazione popolare, la richiesta deve provenire, alternativamente, o da minoranze dello stesso corpo elettorale - attraverso la raccolta di 500.000 firme - o da minoranze territoriali - cinque Consigli di Regione - o da minoranze politiche, ipotesi di più semplice e frequente realizzazione. In tale ultimo caso è sufficiente la presentazione di una proposta sottoscritta da un quinto dei membri di una Camera.
2) Bicameralismo paritario e bicameralismo differenziato: nozioni e cenni comparatistici. L’atipicità del sistema bicamerale italiano.
Fatta questa breve premessa, possiamo passare alla trattazione del merito della riforma.
Il Testo di legge costituzionale è, a partire dal titolo[3], finalizzato ad intervenire su due tematiche di fondamentale importanza per l’ordinamento istituzionale della Repubblica italiana: il superamento del bicameralismo paritario e la revisione del titolo V parte II della Costituzione.
Nello svolgimento che segue ci soffermeremo sul primo di questi profili, con particolare attenzione per quattro aspetti: il sistema di elezione del Senato, la sua composizione, l’assetto dei rapporti politici Parlamento - Esecutivo ed il procedimento legislativo, così come modificati dal Disegno di legge costituzionale. Infine, riporteremo alcuni cambiamenti ‘di contorno’, che si collocano a corollario dei predetti.
Occorre preliminarmente definire i termini della questione: cosa si intende per bicameralismo paritario e bicameralismo differenziato?
Si definisce bicameralismo paritario (o perfetto) quella struttura del Parlamento facente perno su due Camere dotate delle medesime funzioni e poteri. L’attuale ordinamento del potere legislativo statale[4] - intendendosi per tale il plesso Camera-Senato - rappresenta l’esempio più lampante di bicameralismo perfetto: poggia su due Camere che, a parte lievissime differenze strutturali (numero di membri, presenza di membri a vita, età diverse per l’elettorato passivo e quello attivo), presentano, oltre ad una sovrapposizione pressoché identica di funzioni, la stessa durata (una legislatura di cinque anni) e un sistema elettorale, dichiarato in alcune parti incostituzionale[5], basato su analoghe regole di fondo (premio di maggioranza, soglia di sbarramento, liste bloccate, pluri-candidature, collegio unico). A quest’ultimo riguardo chiosiamo che la diversa applicazione, tra le due camere, degli istituti di cui constava la Legge Calderoli era[6] funzione dipendente della prescrizione contenuta nell’art. 57 Cost., in base alla quale il Senato della Repubblica è eletto su base regionale.
Risalendo alle origini degli istituti, non si può negare che la scelta del Costituente di improntare l’ordinamento politico-costituzionale ad un bicameralismo paritario sia stata indotta, principalmente, dal timore che un diverso sistema avrebbe potuto generare, per una strana eterogenesi dei fini, un regime autoritario. Agli occhi dei membri dell’Assemblea costituente la prospettiva di due Camere dotate di identiche funzioni e di poteri simmetrici appariva quindi, in combinato disposto con un sistema elettorale proporzionale ed un Esecutivo ‘debole’, sicura guarentigia di democraticità dell’assetto istituzionale.
Per questi motivi fu immediatamente accantonata la soluzione monocamerale, che dal punto di vista storico-politico, si collega all’esigenza di rafforzare il Parlamento, particolarmente sentita in quei sistemi che indicano nell’Assemblea il solo organo in cui si esprime la sovranità popolare. Il rischio di una concentrazione di potere, circostanza che si voleva scongiurare, fu forse determinante per affossare ogni discorso a riguardo.
Nei lavori della Costituente ci si interrogò a lungo, invece, sul tipo di bicameralismo più conforme al sostrato socio-politico della neonata Repubblica italiana, finendo per costituzionalizzare un sistema bicamerale paritario ‘atipico’, nel quale le differenze si sarebbero dovute ricercare, più che nella struttura, sul terreno elettorale, in modo da consentire due rappresentazioni diverse, e al limite contrapposte della stessa base elettorale[7].
La domanda sorge di conseguenza: verso quali altre tipologie di assetto bicamerale i membri della Costituente avrebbero potuto indirizzare la loro scelta?
Il modello di bicameralismo alternativo, più diffuso - allora come oggi - e che interessa maggiormente ai nostri fini è quello che collega la scelta di un Parlamento suddiviso in due Camere alla dimensione territoriale della forma di Stato. Attraverso questo sistema si persegue l’obiettivo di proiettare nella sfera parlamentare “le forme più accentuate di decentramento politico in uso nell’esperienza contemporanea”[8], quali quelle che si estrinsecano nello Stato federale e nello Stato federale.
In queste esperienze il bicameralismo funge da punto di equilibrio, e di sintesi, tra potere centrale e poteri periferici, posto che la Camera Bassa rappresenta il popolo nel suo insieme (collettività nazionale), laddove nella seconda Camera trovano espressione politica le istituzioni territoriali in cui si articola lo Stato-persona; gli esempi più conosciuti sono gli Stati Uniti di America e la Repubblica Federale Tedesca[9]. In tali ordinamenti il sistema bicamerale si è, quindi, sviluppato grazie alla propulsione esercitata da esigenze di carattere strutturale strettamente collegate al tipo di articolazione che il principio rappresentativo è andando assumendo in relazione ai vari interessi.
A ciò è conseguita, sul piano costituzionale, la scelta di un bicameralismo costruito intorno ad una diversa distribuzione delle funzioni attribuite alle Camere; è con riferimento a questo secondo piano – secondo rispetto a quello strutturale – che si suole discorrere di sistema ‘differenziato’.
Questa differenziazione può poi esprimersi, principalmente, secondo tre moduli: esclusione della Camera alta da determinate materie; attenuazione dei poteri di intervento di questa nel processo legislativo; attribuzione alla Camera alta di sole funzioni di controllo.
A questo proposito, e tornando all’esperienza italiana, dobbiamo fare cenno alla Relazione finale della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali presentata ai Presidenti delle Camere nel gennaio del 1985 che, muovendosi verso una forma di bicameralismo differenziato, prospettava un criterio di specializzazione a metà tra il primo e l’ultimo degli anzidetti.
Si imperniava, in primo luogo, sull’attribuzione, alla Camera dei Deputati, di una prevalente funzione legislativa e, al Senato, di una prevalente funzione di controllo; in secondo luogo, prevedeva che l’esercizio della funzione legislativa sarebbe spettata alla sola Camera dei Deputati, salvo le ipotesi di leggi ‘bicamerali’ espressamente indicate dalla Costituzione.
Di questo testo di riforma, come di tanti altri a precedere e a seguire, non se ne fece alcunché; così, il bicameralismo italiano è rimasto immutato nel tempo e unico nel genere, col suo essere perfettamente paritario sul piano funzionale, non molto differenziato sul piano strutturale e “solo embrionalmente agganciato ad una prospettiva (ancora non del tutto compiuta) di decentramento territoriale”[10].
L’attesa della tanto agognata riforma sembra essere finita se - referendum permettendo - il Disegno di legge de quo diverrà legge costituzionale; con esso molte analogie sia strutturali sia, soprattutto, funzionali vengono abolite.
Vediamo nello specifico.
3) Il nuovo Senato: composizione, rappresentanza, sistema di elezione. La durata del mandato.
In primo luogo, è previsto che i membri del Senato siano eletti, non più tramite le consultazioni politiche, ergo con un sistema di elezione diretta o demo-elezione, ma, secondo un metodo meta-rappresentativo o semi-diretto, mediante elezioni che si svolgono in seno agli organi legislativi regionali.
L’art. 57 Cost, che disciplina la composizione ed elezione del Senato, è stato a questi fini completamente riscritto: i Consigli regionali e quelli delle Province autonome di Trento e Bolzano sono chiamati ad eleggere, con metodo proporzionale, i Senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascun Consiglio, tra i Sindaci dei Comuni appartenenti al territorio della Regione o Provincia autonoma. Al fine di garantire la rappresentatività di ciascuna Regione viene stabilito che nessuna possa avere un numero di senatori inferiore a due (le Province autonome di Trento e Bolzano ne avranno due).
La composizione del Senato cambia per relationem; i Senatori passeranno, in luogo degli attuali 315 (più i membri a vita), a cento unità: 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali (74 Consiglieri regionali e 21 Sindaci), i restanti 5 nominati dal Capo dello Stato per 7 anni, senza possibilità di rinnovo del mandato. Scompare, dunque, la figura del ‘Senatore a vita’, che ad oggi consta di due profili: gli ex Presidenti della Repubblica e le personalità che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Va per inciso specificato che gli attuali Senatori a vita rimarranno in carica, ma la categoria è destinata ad esaurirsi (lo stesso Presidente Mattarella non andrà a ricoprire tale ufficio).
Quanto al sistema di elezione, l’art. 1 del D.d.l. costituzionale demanda ad una legge approvata da entrambe le Camere la disciplina delle modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato, limitandosi a prescrivere che i seggi dovranno essere attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.
Con una scelta stilistica discutibile, il quinto comma contiene l’inciso: “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi” che, pur essendo collocato entro un contesto in parte diverso, deve essere letto in combinato disposto con il successivo, specificamente rivolto al sistema di elezione.
Si desuma, tuttavia, che l’intenzione del Legislatore di riforma sia quella di evitare che i Consigli regionali abbiano troppa discrezione nella scelta dei Senatori, e siano invece vincolati, da una parte, alle modalità di elezione indicate con apposita legge ‘bicamerale’, dall’altra, alla scelta popolare espressa in occasione del rinnovo degli organi rappresentativi territoriali.
E’ poi modificata la durata del mandato dei Senatori che va a coincidere con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti. La decadenza dalla carica di Senatore si produce quindi ipso iure, come conseguenza della cessazione del corrispondente mandato elettivo regionale o locale; tradotto: il Senato prende atto della fine anticipata della carica, non avendo, in merito, alcuna voce capitolo.
Bisogna, al riguardo, evidenziare il rischio implicito di una scelta volta a far dipendere le sorti del mandato parlamentare da quello territoriale. Conseguenza della previsione secondo cui i membri del Senato permangono in carica fino a quando perduri la qualità di Consigliere o Sindaco, è l’eventualità di frequenti, quanto fisiologici, cambiamenti nella composizione del Senato che, di riflesso, potrebbero provocare mutamenti della maggioranza politica in corso di legislatura. Il tutto con implicazioni destabilizzanti sui processi decisionali, particolarmente per quelli inerenti a leggi in relazione alle quali è (ancora) previsto l’esercizio collettivo della funzione legislativa - argomento che affronteremo appresso.
4) Verso il superamento del bicameralismo paritario: il rapporto fiduciario ‘monoasse’.
La riforma interviene in modo radicale anche sull’assetto funzionale (oggi monolitico e perfettamente simmetrico), prevedendo l’attribuzione, a Camera e Senato, di poteri differenziati, a partire da quelli concernenti la concessione, e revoca, della fiducia parlamentare. Se già nella composizione e nel metodo rappresentativo (territoriale) la ‘nuova’ Camera Alta rassomiglia a quella di uno Stato federale o di uno Stato a forte regionalismo, la novellata disciplina del rapporto fiduciario conferma questa tendenza di fondo. All’uopo è necessario ricordare che, non solo nei predetti ordinamenti (con esclusione ovviamente del menzionato presidenzialismo statunitense, ove l’istituto fiduciario non esiste), ma anche in altri che si richiamano al sistema bicamerale differenziato (quale la Francia o l’Inghilterra)[11], la seconda Camera non ha il potere di accordare la fiducia al Governo, tale prerogativa spettando, in via esclusiva, alla Camera che rappresenta ed esprime l’interesse della collettività nazionale.
La riforma interviene, a questo fine, sugli artt. 55 e 94 Cost. - che regolano il rapporto di fiducia - nel senso di un radicale mutamento di contenuto.
E’, in primis, stabilito che la Camera - ed essa sola - rappresenta la Nazione, in quanto il nuovo Senato della Repubblica è, viceversa, chiamato a rappresentare le istituzioni territoriali, svolgendo una duplice funzione di raccordo: tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (Regioni e Autonomie locali), da una parte, tra gli stessi e l’Unione europea, dall’altra.
In secundis, il Senato viene estromesso dal circuito fiduciario, giacché è solamente la Camera dei deputati ad essere titolare del rapporto di fiducia con il Governo e, conseguentemente, ad esercitare la funzione di indirizzo politico e di controllo sull’operato dell’Esecutivo. A questi fini l’art. 25 del D.d.l. costituzionale Boschi ha modificato l’art. 94 Cost., abolendo ogni riferimento al Senato; cosicché la disciplina della fiducia parlamentare e della mozione di sfiducia resta circoscritta alla Camera dei Deputati[12].
5) segue: il procedimento legislativo ordinario ‘a geometrie variabili’.
Per ciò che riguarda il procedimento legislativo, il Legislatore ha optato per una vera e propria rivoluzione copernicana, con il duplice obiettivo di: realizzare un bicameralismo che sia tout court imperfetto, non fermandosi ad una mera differenziazione in punto elezione, costituzione e struttura degli organi delle Camere; rendere meno farraginoso, ergo più celere, l’iter ordinario di approvazione delle leggi. A tal proposito, con specifico riguardo alla fase deliberativa del procedimento legislativo ordinario, abbiamo già evidenziato che per licenziare una legge è ad oggi necessaria l’espressione di un voto favorevole tanto della Camera quanto del Senato[13] sullo stesso testo, potendo il progetto di legge transitare più volte da un ramo all’altro del Parlamento.
Con la riforma si assisterà ad un forte ridimensionamento del fenomeno delle c.d. navette, poiché la funzione legislativa sarà esercitata collettivamente dalle due Camere solo per l’approvazione dei seguenti atti:
1) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali che riguardino le minoranze linguistiche, i referendum popolari e le altre forme di consultazione; 2) le leggi concernenti le autonomie locali[14]; 3) la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea; 4) la legge che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di Senatore; 5) la legge che dovrà stabilire le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri regionali e i sindaci[15]; 6) le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea; 6) la legge che disciplina l’ordinamento di Roma Capitale; 7) la legge che, sulla base di un’intesa tra lo Stato e la Regione, attribuisce ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia a Regioni a statuto ordinario; 8) la legge che fissa le procedure di partecipazione delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi dell’Unione europea, oltre che all’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Ue; 10) la legge che disciplina i casi e le forme, in presenza dei quali La regione, nelle materie di sua competenza, può conclusione accordi con Stati e intese con enti territoriali appartenenti ad altro Stato; 11) la legge che detta i principi generali in materia di patrimonio di Comuni, Città metropolitane e Regioni; 12) la legge che, in materia di esercizio del potere sostitutivo del Governo a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni, definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione; 13) la legge che stabilisce i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra uomini e donne nella rappresentanza nelle istituzioni territoriali, 14) la legge con la quale si consente a Provincie e Comun che ne facciano richiesta di staccarsi da una Regione per essere aggregati ad altra.
Tutte le leggi rientranti in questo elenco tassativo - di non immediata ricostruzione stante il profluvio di rinvii interni contenuti nel ‘nuovo’ art. 70 Cost. - potranno essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e a mezzo di leggi approvate da ambedue le Camere. Va, poi, sottolineato che gli atti legislativi ivi indicati si riconducono, prima facie, alla funzione di rappresentanza delle istituzioni territoriali che il Senato della Repubblica è chiamato a svolgere; secondariamente, a quella di raccordo tra le medesime, da un lato, e lo Stato e l’Unione europea, dall’altro. Dal punto di vista oggettivo essi concernono, essenzialmente, quattro materie: riforme costituzionali, Regioni e Autonomie locali, raccordo con l’Unione europea e ratifica dei trattati internazionali
Per quel che concerne le altre leggi, il Senato non esercita più funzioni legislative, in quanto la fase di approvazione è riservata alla Camera dei deputati. Ciò non significa che alla seconda Camera viene preclusa ogni prerogativa in merito; difatti, il D.d.l. costituzionale prevede che ogni disegno di legge approvato dalla Camera deve essere trasmesso al Senato il quale, entro dieci giorni, e su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può deliberare di sottoporlo ad esame. Nei successivi trenta giorni il Senato può proporre modifiche al testo licenziato dai Deputati sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva[16]; dopodiché la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica.
In sintesi si può dire che, conseguenza diretta del superamento del bicameralismo, è la trasformazione del Senato da ‘camera legislativa’ in camera ‘prevalentemente consultiva’. Occorre, nondimeno, puntualizzare che il Senato della Repubblica conserva il potere legislativo in relazione a tutti gli atti che sono inclusi nell’elenco sopra riportato ed è titolare di un potere di emendamento sulle leggi approvate in via esclusiva dalla Camera.
L’intensità di quest’ultimo potere varia a seconda dell’oggetto della legge; se, in via generale, la Camera non è vincolata alle proposte di modifica sulle leggi da essa approvate, potendo rigettarle senza necessità di esprimersi formalmente con una votazione, per le leggi che riguardano i poteri delle Regioni e degli Enti locali, la Camera dei deputati, per respingere gli emendamenti, dovrà deliberare a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Una specifica disposizione concerne, infine, il procedimento di approvazione della legge di bilancio; il Governo sottopone il relativo disegno di legge alla Camera che, una volta approvato, deve essere trasmesso entro dieci giorni al Senato, il quale nei successivi quindici giorni può deliberare proposte di modifica, tuttavia non vincolanti per la Camera.
Rispetto ai già stretti tempi pocanzi menzionati, il procedimento di approvazione è ancora più ridotto nei termini: al posto dei trenta giorni ordinari per l’esame e la delibera, il Senato sarà costretto ad espletare la sua attività consultivo-propositiva entro termini dimezzati.
All’interno di un procedimento legislativo completamente revisionato nei connotati, anche la disciplina dell’iniziativa legislativa parlamentare, la principale delle forme in cui si può manifestare la prima fase di formazione della legge, è sottoposta ad un radicale mutamento. Mentre nell’ordinamento (ancora) vigente è attribuito ad ogni Deputato e Senatore il potere di presentare progetti di legge alla Camera cui appartiene (anche se nella prassi le proposte sono spesso collettive), la riforma costituzionale abolisce questa prerogativa individuale e stabilisce che il Senato possa, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera di procedere all’esame di un disegno di legge[17]. In tal caso la Camera dei deputati procede all’esame, e si pronuncia, entro il termine di sei mesi dalla data di deliberazione del Senato.
6) Altre novità concernenti il ´nuovo´ Senato della Repubblica.
A corollario del mutato procedimento legislativo al Senato è concesso, secondo quanto previsto dal rispettivo regolamento, il potere di svolgere attività conoscitive, nonché di formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera (ultimo comma art. 70 Cost., come da modifiche). Dal tenore della disposizione, sembrerebbe trattarsi di un potere connesso al nuovo ruolo consultivo che la seconda camera andrà, in parte, a ricoprire; da esercitarsi, quindi, al di fuori dei casi in cui la Costituzione prevede l’espletamento della funzione legislativa in forma ‘bicamerale’.
L’art. 20 del D.d.l. costituzionale interviene, poi, in materia di inchieste parlamentari, attraverso la modifica dell’art. 82 Cost. Il potere del Senato di disporre inchieste viene delimitato alle sole materie di: “Pubblico interesse concernenti le Autonomie territoriali”, con la specificazione che, all’uopo, dovrà procedersi all’istituzione di un’apposita Commissione. Si tratta di una limitazione piuttosto incisiva, se confrontata col potere ad oggi generalmente accordato ad entrambe le camere - concernente le materie, sic et simpliciter, di ‘pubblico interesse’; a seguito dell’entrata in vigore della riforma solo la Camera potrà, dunque, esercitare tale facoltà con la medesima estensione oggettiva dell’originaria previsione costituzionale
In tema di elezione dei giudici della Corte costituzionale, non è più previsto che il Parlamento si riunisca in seduta comune per nominare cinque dei quindici membri della Consulta; la riforma suddivide le nomine parlamentari tra le due camere, di modo che: tre giudici saranno nominati dalla Camera dei Deputati, due dal Senato della Repubblica.
Quanto allo status economico dei Senatori, è stato modificato il testo dell’art. 69 Cost. nel senso che l’indennità, prima riferita al Parlamento nel suo insieme, è ora circoscritta ai membri della Camera; da ciò si desuma che la carica di Senatore sarà ricoperta a titolo gratuito[18].
Infine, una modifica riguarda specificamente il Presidente del Senato, nel senso di un suo declassamento a ‘terza carica dello Stato’. La revisione costituzionale prevede, infatti, che la ‘seconda carica dello Stato’ sia il Presidente della Camera. Spetta, però, al Presidente del Senato il potere di convocare il Parlamento in seduta comune nella circostanza in cui il Presidente della Camera sia chiamato ad esercitare le funzioni del Presidente della Repubblica, per impedimento permanente, morte o dimissioni di quest’ultimo.
7) Alcune riflessioni conclusive.
Al termine di questo articolo desidero portare all’attenzione del lettore alcune osservazioni conclusive, che si collochino entro un quadro di più largo respiro.
In primo luogo, le ragioni del bicameralismo paritario sono divenute recessive rispetto a quelle del bicameralismo differenziato. Se agli albori dell’ordinamento repubblicano, la configurazione del Senato quale sede di ‘riflessione’ e di maggiore ponderazione dei processi decisionali, poteva sembrare una soluzione, anche politicamente, condivisibile, la lunga vita istituzionale del modello ne ha messo a nudo tutti i difetti intrinseci. Una camera alta che svolga le stesse funzioni di quella ‘bassa’ è un costo, sia in termini economici che, soprattutto, efficientistici.
In secondo luogo, da un punto di vista comparativo, la storia insegna che il modello ‘imperfetto’ di bicameralismo - solo per nomen non de facto - è quello vincente, anche in considerazione che, al di fuori di quella italiana, la più significativa esperienza di bicameralismo ‘perfetto’ ha ceduto il passo al modello alternativo (parliamo del Belgio)[19].
Il Disegno di legge costituzionale approvato dal Senato attua, poi, quella che, da più parti (opinione pubblica, classe politica, dottrina), è da tempo considerata come una riforma necessaria ad eliminare duplicazioni prive di effettiva utilità.
La principale fonte di inutili superfetazioni è stata rappresentata, fino ad oggi, dalla procedura ordinaria di approvazione delle leggi che, costruita attorno all’ideologia della migliore ponderazione dei processi decisionali, ha finito per appesantire, per non dire ‘ingolfare’, il circuito parlamentare. Vi è di più. Se per ogni progetto di legge viene richiesta la deliberazione conforme di entrambe le Camere sullo stesso testo, le conseguenze negative non si fermano alla farraginosità del processo decisionale; come è stato rilevato in dottrina[20], si aumentano altresì le possibilità che i gruppi portatori di interessi settoriali trovino, nella lunghezza dell’iter, maggiori occasioni per ottenere modifiche dei progetti di legge (il tutto pro domo... loro). A perderne quindi è, insieme all’efficienza del procedimento, anche la qualità del deciso.
Bisogna, a questo proposito, evidenziare come la scelta del riformatore costituente, più che essere orientata verso un bicameralismo funzionale alla creazione di un vero e proprio contrappeso alla rappresentanza politica generale - facendo del Senato il luogo degli interessi territoriali - particolari, pare teleologicamente rivolta alla realizzazione di un ben preciso obiettivo: razionalizzare il procedimento legislativo ordinario.
Con ciò non si vuole, e non si può, escludere che l’intentio legislatoris possa essere, altresì, quella di arricchire la rappresentanza politico-democratica mediante il veicolo di nuove e diverse istanze, di cui saranno portatori Consiglieri regionali e Sindaci; sembra trattarsi, tuttavia, di un rapporto tra fine principale, il primo, e fine accessorio, il secondo.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Per il Senato art. 123, comma 3 Reg. Senato; per la Camera art. 99, comma 3, Reg. Camera.
[2]www.repubblica.it/politica/2015/10/16/news/riforme_accordo_alla_camera_si_vota_l_11_gennaio-125206186/?ref=search, dichiarazione del Ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
[3] Il titolo completo del Disegno di legge costituzionale è: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.
[4] Utilizzo questa espressione per circoscrivere le considerazioni che faremo alle assemblee legislative dello Stato, ergo a Camera e Senato; come è noto a tutti, il potere legislativo non è prerogativa esclusiva dello Stato-ente, in quanto anche altri enti costitutivi della Repubblica - le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano - esercitano funzioni legislative nelle materie di competenza concorrente e residuale di cui all’art. 117 cost. Sicché nella nozione di potere legislativo - pur essendo storicamente ricondotta alla suddivisione dei poteri dello Stato - non possono escludersi enti, diversi dallo Stato, che sono costituzionalmente chiamati alla legiferazione, attività derivante dall’attribuzione del potere stesso..
[5] Tralasciamo la diatriba scaturita dalla pronuncia della Consulta, vertente sulla legittimazione costituzionale o meno dell’attuale Parlamento, quindi sulla opportunità che un Parlamento scelto con una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale approvi una riforma organica della Costituzione. E’ invece utile ricordare che la vecchia legge elettorale è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui prevede un premio di maggioranza irragionevole, foriero di eccessiva sovra-rappresentazione, e liste bloccate che alterano il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti, oltre a coartare la libertà degli elettori nell´elezione dei propri rappresentanti. Il testo di Corte Cost., sent. 4 dicembre 2014, n. 1 è consultabile sul sito www.cortecostituzionale.it
[6] In previsione della possibile approvazione della riforma costituzionale de qua, la nuova Legge elettorale (ribattezzata Italicum), che entrerà in vigore il 16 luglio 2016, è stata circoscritta alla sola Camera, per la ragione che il Senato cesserà - come diremo - di essere demo-eletto. L’Italicum ha modificato alcuni degli istituti accennati (premio di maggioranza al 40%, soglia di sbarramento al 3%, pluri-candidature nel numero di 10), abolendone altri (liste bloccate, collegio uninominale).
[7] In tal senso E. CHELI, in “Bicameralismo”, Dig. Disc. Pubbl, 1987, Utet, Vol. II, p. 320
[8] Letteralmente E. CHELI, op. cit.
[9] Ma anche l’ex Unione Societica e l’ex Jugoslavia o l’Austria e la Spagna, per parlare ‘al presente’, sono esempi di sistemi bicamerali finalizzati a garantire l’equilibrio de quo.
[10] Vedi E. CHELI, op. cit.
[11] Ordinamenti che non si possono certamente qualificare né a forte regionalismo né, a fortiori, federali.
[12] Ricordiamo brevemente la disciplina dei due istituti, adattandola alle modifiche della riforma costituzionale.
Fiducia. Il Governo deve presentarsi entro dieci dal giuramento (prestato nelle mani del Presidente della Repubblica) alla Camera per ottenere la fiducia; i deputati di maggioranza avanzano una mozione di fiducia motivata, votata per appello nominale e approvata a maggioranza relativa.
Mozione di sfiducia. Con la sottoscrizione di almeno un decimo dei componenti della Camera dei Deputati può essere presentata una mozione di sfiducia, messa in discussione non prima che siano decorsi almeno tre giorni; votata ad appello nominale, è approvata se la maggioranza relativa si esprime a favore.
[13] L’art. 70 Cost., in relazione alla formazione delle leggi, stabilisce: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”.
[14] L’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni.
[15] Nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale.
[16] La legge è, viceversa, immediatamente promulgata quando il Senato non deliberi l’esame del testo o sia inutilmente decorso il termine per deliberare sulle proposte di modificazione del testo. A sottolineare che la natura del potere attribuito al Senato è discrezionale, non doverosa.
[17] Il testo modificato dell’art. 71 Cost. utilizza impropriamente il termine “disegno di legge”; sarebbe stato più consono utilizzare ‘proposta di legge’, termine con il quale tecnicamente si denomina l’atto di iniziativa legislativa parlamentare. Disegno di legge è, invece, l’atto di iniziativa governativa.
[18] Ciò non significa che si passerà ad un “Senato a costo zero” in quanto gli uffici e la struttura rimangono pienamente operanti e, ovviamente, con personale retribuito.
[19] Esempio di bicameralismo perfetto è anche la Confederazione elvetica; le due camere godono di identiche competenze e ogni atto legislativo deve essere approvato sia dal Consiglio Nazionale sia dal Consiglio degli Stati.
[20] Bin R. – Pitruzzella G., Diritto costituzionale, 2008, Giappichelli, Torino, p. 204