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Pubbl. Ven, 27 Mag 2022

La Cassazione sulla responsabilità penale del consigliere di amministrazione senza deleghe per gli illeciti deliberati dal Cda

Francesco Serra



Lo scritto intende soffermarsi con brevi considerazioni sulla sentenza n. 11087 del 28 marzo del 2022, con la quale la suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla responsabilità penale dei consiglieri di amministrazione senza deleghe per gli illeciti deliberati dal CdA.


Sommario: 1. Il caso trattato dagli Ermellini; 2. Questione giuridica e soluzione giurisprudenziale raggiunta; 3. Osservazioni conclusive. 

Sommario: 1. Il caso trattato dagli Ermellini; 2. Questione giuridica e soluzione giurisprudenziale raggiunta; 3. Osservazioni conclusive. 

1. Il caso trattato dagli Ermellini

Con la sentenza in epigrafe emarginata, la Terza Sezione Penale della Corte di cassazione ha analizzato i profili di responsabilità dei componenti del CdA di una società nell’ipotesi di assenza di deleghe, dovendosi ritenere gravante su tutti i consiglieri, in solido tra loro, la responsabilità per gli illeciti deliberati o posti in essere dall'organo amministrativo.

Nello specifico, la vicenda posta all’esame dei Giudici di P.zza Cavour trae abbrivio dal ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo nei confronti di un soggetto, indagato in concorso con altri, per il reato di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74 del 2000 - registrazione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Invero, con il primo motivo il ricorrente aveva censurato l’ordinanza impugnata deducendo il vizio di motivazione apparente, essendo stata la stessa resa per relationem e in spregio agli artt. 292 e 309 c.p.p., nonché rimarcando la carenza assoluta del fumus del reato contestato, attesa la mancata indicazione degli indizi circa la conoscenza o conoscibilità del disegno criminoso contestato; in tale prospettiva, allora, secondo la tesi difensiva sarebbe stato insufficiente il richiamo operato dal Tribunale alla sola condizione soggettiva afferente alla carica di consigliere di amministrazione rivestita dall'indagato.

Al riguardo, il ricorrente aveva, quindi, evidenziato che «dopo la riforma dell'art. 2392, cod. civ., infatti, è stato eliminato in capo ai semplici componenti del C.d.A. l'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, proprio al fine di evitare che in capo agli amministratori non operativi si potessero addebitare rilievi sulla base di quella che altro non era che una responsabilità oggettiva». Sul punto, il vizio motivazionale dell'ordinanza gravata, secondo l'interessata, avrebbe risieduto nel fatto che il Tribunale del riesame aveva trasfuso nel provvedimento, “in maniera pedissequa”, le risultanze di quanto già evidenziato nella relazione della GdF, nella richiesta del PM e nel provvedimento del GIP, senza alcuna autonoma ed aggiuntiva valutazione sulla sussistenza in capo all'indagato del fumus.

Con il secondo motivo era stato altresì dedotto «il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 292 e 309 c.p.p., e correlato vizio di motivazione e motivazione apparente essendo la motivazione unicamente eseguita per relationem».

In specie, l’ordinanza impugnata era stata censurata nella parte in cui il Tribunale aveva affermato che «nei reati tributari il limite all'espropriazione immobiliare previsto dall'art. 76, d.P.R. n. 602/1973, opera solo nei confronti dell'Erario per debiti tributari, non costituendo limite né all'adozione della confisca penale né al sequestro preventivo ad essa funzionale. Si sostiene che l'indagato avrebbe dato prova che l'immobile sottoposto a sequestro è l'unica e prima casa adibita a residenza familiare».

Il Procuratore Generale della Cassazione, con requisitoria scritta del 13.01.2022, aderendo all'impostazione difensiva del ricorrente, ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza, rilevando che il predetto provvedimento «sarebbe carente di argomentazioni in merito, avendo concentrato i giudici la decisione circa il coinvolgimento nei reati dell'indagato solo in virtù della carica formale di componente del C.d.A. del Consorzio, omettendo ogni valutazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico, donde il provvedimento impugnato sarebbe privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza».

Il ricorrente, a mezzo note conclusive, ha richiesto in via principale l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza in oggetto ed in subordine, anche all'esito delle conclusioni depositate dal Procuratore Generale, di pervenire ad un annullamento con rinvio del prefato provvedimento.

2. Questione giuridica e soluzione giurisprudenziale raggiunta

La Corte di cassazione ha, di contro, reputato il ricorso complessivamente infondato.

Orbene, per quel che più interessa in questa sede, con particolare riferimento, quindi, al primo motivo di impugnazione, la Corte, evidenziando preliminarmente la corretta applicazione, nella fattispecie al vaglio, dell’art. 2392 c.c., disciplinante la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A., ha fondato il poprio convincimento sulla scorta della norma civilistica precedentemente menzionata, in base alla quale gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la persona giuridica da loro amministrata dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, «a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi; principio ribadito specificamente per il consiglio di amministrazione dall'art. 2381, secondo comma, c.c.».

In base all’attuale assetto normativo e alla distinzione che insiste tra le ipotesi in cui il CdA operi con deleghe ovvero senza, la Cassazione ha, quindi, rilevato che laddove l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o a taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti dell'organo amministrativo rispondono degli illeciti da quest'ultimo deliberati, anche se non decisi o compiuti da tutti i suoi membri, specificando, tuttavia, che va fatto «salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell'art. 2392 cod. civ. che prevede l'esternazione e l'annotazione dell'opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti».

La suprema Corte ha, poi, soggiunto che nella diversa ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite  ad uno o più membri del CdA, gli illeciti compiuti investirebbero esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati; in tale ultimo caso, però, potrebbe configurarsi responsabilità anche degli amministratori privi di delega non già per violazione della posizione di garanzia ex art. 2392 , comma 1, c.c., «bensì per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava sui singoli amministratori», anche all'esito dell riforma introdotta dalla legge n. 6 del 2003.

Sotto tale profilo la Cassazione ha, difatti, precisato che se è vero che la riforma del 2003 ha alleggerito «gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe, responsabili verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie, quali stabilite dalla disciplina normativa, rimuovendo il generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione (già contemplato dall'art. 2392 c.c., comma 2) e sostituendolo con l'onere di agire informato» anche ai sensi dell'art. 2381 c.c., altrettando vero è che «trattasi di disposizioni applicabili in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri».

Va da sé che, in caso di assenza di deleghe ad uno dei componenti del Consiglio di Amministrazione, ad avviso della suprema Corte la posizione di garanzia di cui all’art. 2392, comma 1 c.c., debba ritenersi sussistente in capo a tutti i consiglieri ed in ragione della medesima risponderanno solidalmente degli atti illeciti deliberati o posti in essere dal Consiglio, fatto salvo, come detto, il meccanismo di esenzione previsto dall'art. 2392, comma 3, c.c.

Per le ragioni sopra rassegnate, con la sentenza in commento la Cassazione ha ritenuto privi di fondamento i motivi di doglianza sviluppati dal ricorrendo, confermando in tal guisa il sequestro preventivo disposto, gravando sull’indagato una posizione di garanzia ex art. 2392 c.c. “proprio perché, investito al pari di ogni altro componente del Consiglio di Amministrazione dei compiti di amministrazione diretta, aveva uno specifico obbligo di vigilanza, quand’anche di fatto le determinazioni sugli obblighi tributari non fossero state da costui direttamente assunte”.

3. Osservazioni conclusive

Con la sentenza sopra richiamata è stato nuovamente trattato il discusso tema attinente ai profili di penale responsabilità potenzialmente ravvisabili in capo ai consiglieri di amministrazione privi di deleghe per gli illeciti prodotti dal CdA[1].

Da ormai parecchio tempo, la giurisprudenza di legittimità ha delineato con piena coscienza i criteri in ordine alla valutazione dell’operato dei consiglieri non delegati, facendone una applicazione invero “stabile e costante[2]”.

Il significativo costrutto incardinato al concetto di delega, infatti, se per certi versi elide quello che apparentemente risulta essere il tema dell’unitarietà della prestazione dell’amministratore, alleggerendo in tal maniera il regime generale della solidarietà de facto, per altro non comporta e non prova automaticamente che «i componenti del consiglio di amministrazione siano esonerati da ogni responsabilità circa i comportamenti illeciti tenuti dagli amministratori delegati[3]».

Posto che la riforma attuata con legge n. 6/2003 sul diritto societario ha innovato la materia degli obblighi degli amministratori non operativi, essa stessa ha conseguentemente prodotto decisive ripercussioni anche sul perimetro della loro responsabilità nei confronti della società per fatti illeciti commessi dagli executives[4].

Non di meno, la novella del 2003 ha inteso alleggerire il peso della responsabilità in capo agli amministratori privi di delega, riconoscendo responsabilità soltanto verso la società nei limiti delle competenze e attribuzioni proprie[5], rimuovendo, a ragion veduta, quanto statuito dall’art. 2392, secondo comma, c.c. in ordine all'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, sostituendolo con il cosiddetto “onere di agire informato” mediante il potere di richiedere ulteriori informazioni; trattasi, ad ogni modo, di disposizioni applicabili solo in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o a uno o più consiglieri.

Ed in effetti, in concorde visione con la giurisprudenza in commento, la qualificazione essenziale di requisiti specifici e ben definiti sull’esenzione da qualsivoglia responsabilità in capo all’indagato consigliere privo di deleghe non può che trovare terreno fertile anche sotto il profilo probante dell’imputazione de qua[6]: può evocarsi l’assenza di responsabilità non già per l’essere l’indagato sprovvisto di deleghe, quanto piuttosto, incidendo la stessa sul presupposto che altri consiglieri fossero muniti di specifiche deleghe in materia, laddove rilevasse necessario attribuire in capo a ciascuno di essi preminente qualificazione come nell’ipotesi di ottemperare agli obblighi fiscali-tributari.

La conclusione a cui sono approdati gli Ermellini, stante il combinato disposto degli artt. 2381, 2392 e 2476 c.c., in ragione della succitata sentenza, riafferma, con sicura e pacifica chiarezza, il principio in forza del quale l’amministratore senza deleghe per un verso ha il dovere di acquisire informazioni, e/o di richiederle in sede consiliare, circa la gestione delle attività aziendali e per altro verso, allorquando avendo acquisito determinate informazioni e/o la conoscenza di un ipotetico evento illecito deliberato dal Consiglio di Amministrazione, esso ha il dovere non soltanto di esprimere il proprio dissenso rispetto alle condotte avanzate e produttrici dell’evento prossimo venturo ma anche quello di attivarsi affinchè sia impedito il compimento dell’illecito stesso[7].

In caso contrario, esso diviene responsabile, anche penalmente, per concorso nel reato commesso a seguito di delibera del Consiglio di Amministrazione, confermando conseguentemente la misura del sequestro preventivo.

E a ben vedere, in ragione dell'articolato pregresso ragionamento, ogni amministratore non delegato avrebbe tuttavia, in primis, il dovere di analizzare e valutare le informazioni fornite dagli organi delegati.

Nondimeno, gli stessi amministratori non esecutivi dovrebbero attivarsi e richiedere agli organi delegati di fornire informazioni e/o integrare le informazioni già rese ogni qualvolta queste apparissero illogiche, immotivate, insufficienti ovvero influenzate da conflitti di interesse[8].

Dal provvedimento espresso dalla Cassazione emerge che l’attuale assetto normativo riguardante i poteri e le prerogative del CdA potrebbe impedire, per certi versi, lo sviluppo di un lineare e coerente iter di rappresentazione della responsabilità penale dei componenti del CDA per fatti illeciti degli esecutivi, potendo risultare tanto opportuno quanto proficuo perseguire la tutela dei beni giuridici tipici del mercato economico con una concertazione ad ampio spettro delle normative di riferimento oltre quella penale, in specie la normativa di cui al d. lgs. 231/2001, nonché l’applicazione della disciplina della responsabilità civile degli amministratori.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Come ben può intuirsi, il tema è stato oggetto di un copioso approfondimento; fra tutti si veda La riforma del diritto societario: lavori preparatori, testi e materiali, a cura di AULETTA, LO CASCIO, TOMBARI, VIETTI, ZOPPINI, Milano, 2006.

[2] Si veda sul punto ROCCATAGLIATA L., I criteri di attribuzione della responsabilità penale in capo al consigliere senza deleghe. Quando repetita iuvant, in www.giurisprudenzapenale.com, 24 giugno 2018, il quale, nel formulare proprie riflessioni, ha evidenziato che: «i suddetti criteri mostrano troppo spesso di non adeguarsi la giurisprudenza di merito, quando, nel giudicare la posizione di tutti i consiglieri, non di rado pronuncia sentenze di condanna anche nei confronti di coloro per i quali il fatto non costituisce reato, per difetto dell’elemento soggettivo, doloso o colposo a seconda della fattispecie contestata».

[3] PAPPONE M., Amministratori non esecutivi e profili di responsabilità penale alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali, in Arch. Pen., 2018; SPIOTTA, sub art. 2392 c.c., in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da COTTINO -BONFANTE – CAGNASSO - MONTALENTI, Bologna, 2004, 833.

[4] Si veda sul punto MENARDO N., La responsabilità penale omissiva degli amministratori privi di delega recenti approdi giurisprudenziali e spunti di riflessione, in Dir. Pen. Cont., 2015; lo stesso Autore ha, inoltre, evidenziato che: «Il regime degli obblighi dei consiglieri senza delega vigente prima della novella, prevedeva a carico di questi ultimi un ampio e indefinito dovere di vigilanza sull’andamento della gestione, con l’annesso obbligo di attivarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli o quantomeno attenuarne le conseguenze».

[5] Cfr. Cass. pen., Sez. V, 14 luglio 1998, in Cass. Pen., 1999, 652, con la quale già allora il Supremo Collegio si adoperava a descrivere la natura ed il ruolo di quei segnali di pericolo a fondamento della responsabilità degli amministratori non esecutivi. Significativamente più garantista la posizione dell’epoca assunta in Cass. pen., Sez. V., 8 giugno 2012, n. 42519,  in Società, 2013, 5, 603.

[6] Si veda Cass. pen., Sez. V, Sent. 13 settembre 2021 (ud. 9 luglio 2021), n. 33856, nella quale, in relazione all’ascrizione di un fatto di bancarotta fraudolenta in capo al consigliere di amministrazione senza deleghe il quale omette di impedire fatti illeciti compiuti dalla società, si è avuto modo di affermare che: «ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di ‘segnali di allarme’ inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – nella forma del dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento».

[7] Da ultimo, si veda sul tema Cass., Sez.II civ., Ordinanza 19 aprile 2022, n. 12436 che, nel trattare il tema dell’obbligo di vigilanza sulla generale gestione di un istituto bancario, ha riconosciuto come: «Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, 3° e 6° co., e 2392 cod. civ., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del "business" bancario ed, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall'intero consiglio, hanno l'obbligo di e contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati ma anche ai fini dell'esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega».

[8] ROMANO D., La responsabilità degli amministratori privi di deleghe, 2 giugno 2012, in www.judicium.it,  il quale richiama DE NICOLA A., Commento sub art. 2381, in Commentario alla riforma delle società, a cura di F. GHEZZI, Milano, 2005, 128.