Pubbl. Gio, 24 Mar 2022
Illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto che sia parzialmente fondato su giorni di assenza non riferibili a malattia
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Matteo Bottino
È illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto nel caso in cui il termine risulti superato a causa dell’errato computo, da parte del datore di lavoro, di giorni di assenza che non siano riferibili a malattia, ma ad altre fattispecie quali le assenze ingiustificate. Infatti, ancorché il datore di lavoro non sia tenuto a indicare gli specifici giorni di malattia nella relativa comunicazione - a meno che il licenziamento non si riferisca al comporto per sommatoria - dovrà fornire prova che l’assenza è stata causata da malattia. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 16/03/2022, n. 8628 (data ud. 22/12/2021).
Sommario: 1. Il caso di specie; 2. Il periodo di comporto; 3. Il licenziamento per superamento del periodo di comporto; 4. La pronuncia.
1. Il caso di specie
La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dal datore di lavoro, nel caso di specie il Ministero dell’Interno, il quale impugnava la pronuncia della corte di appello di Trieste che aveva confermato la declaratoria di illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto e ordinato la reintegrazione sul posto di lavoro, per inesistenza della fattispecie contestata.
In particolare, si rilevava come con la comunicazione di licenziamento, il Ministero avesse indicato periodi di assenza per malattia che risultavano – in definitiva – inferiori al limite previsto dalla contrattazione collettiva. Invero, nella suddetta comunicazione, il datore di lavoro aveva specificamente qualificato alcuni giorni di assenza come “assenza ingiustificata”, non potendo dunque essere conteggiati nel computo del periodo di malattia.
2. Il periodo di comporto
Prima di analizzare nello specifico la pronuncia in commento, si rende opportuno un breve cenno all’istituto del periodo di comporto, che può essere definito come quel periodo durante il quale il datore di lavoro deve “sopportare” l’assenza del lavoratore che sia dovuta a malattia, impedendogli di intimare il licenziamento nonostante il mancato ricevimento della prestazione lavorativa per un periodo protratto nel tempo.
Il periodo di comporto, infatti, è un istituto previsto dal legislatore con il quale si identifica il lasso temporale entro cui deve ritenersi – con presunzione legale assoluta - ancora sussistente l’interesse del datore di lavoro all’adempimento da parte del lavoratore[1], impedendo così al primo di risolvere il contratto di lavoro prima del decorso del periodo temporale previsto dai singoli contratti collettivi nazionali, dalla legge o determinato dal giudice.
Il legislatore ha previsto tale istituto al fine di garantire e bilanciare gli interessi contrapposti[2], che possono essere identificati nel diritto del lavoratore di mantenere il proprio posto di lavoro, nonostante una inabilità temporanea dovuta alla malattia, e il diritto del datore di lavoro di sostituire il prestatore di lavoro quando lo stesso non renda la propria prestazione per un periodo di tempo eccessivamente lungo.
Invero, così come è previsto che prima del superamento del periodo di comporto il datore di lavoro non possa intimare il licenziamento in nessun caso, allo stesso modo è previsto che - una volta superato il limite predeterminato - il datore di lavoro possa recedere dal contratto senza dover addurre o dimostrare l’assenza di un interesse a ricevere la prestazione di lavoro. Infatti, come confermato dalla giurisprudenza, il recesso del datore di lavoro per superamento del comporto non è subordinato, né alla prova dell'impossibilità di utilmente ricollocare il lavoratore (c.d. obbligo di repechage), né tanto meno alla dimostrazione di una sua persistente inidoneità fisica alle mansioni[3].
3. Il licenziamento per superamento del periodo di comporto
Come sopra anticipato, nel caso di eccessiva morbilità del lavoratore e – dunque – in caso di assenza dal lavoro a causa di malattia per un periodo superiore al limite previsto dal contratto collettivo, dalla legge o determinato dal giudice, il datore di lavoro potrà intimare il licenziamento.
La pronuncia in commento – per quanto di interesse in questa sede - si riferisce proprio al momento in cui il datore di lavoro provvede a comunicare al lavoratore il recesso dal contratto, con il conseguente licenziamento, ed in particolare al contenuto della suddetta comunicazione. La Suprema Corte ha infatti anzitutto ribadito come nel nostro ordinamento viga l’obbligo di indicazione contestuale dei motivi che hanno portato al licenziamento, ai sensi del disposto di cui all’art. 2 L. 604/1996 che prevede come “La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”.
In forza di tale disposizione, il lavoratore deve essere messo al corrente che il licenziamento è stato intimato per superamento del periodo di comporto, dovendosi altresì indicare il periodo totale di assenza, al fine di permettere al prestatore di lavoro la verifica della legittimità della decisione datoriale e la conformità alla disciplina applicabile al caso di specie[4], rilevando però come non sia di contro necessario - nel caso di superamento del limite in un unico ed ininterrotto periodo di malattia – l’indicazione dei singoli giorni di assenza, posto che in tal caso i giorni di assenza sono facilmente calcolabili direttamente dal lavoratore.
Resta ovviamente inteso, che in caso di contestazione da parte del dipendente dei giorni indicati dal datore di lavoro, quest’ultimo avrà l’onere di dimostrare che effettivamente l’assenza sia stata perpetrata per tutto il periodo indicato nella comunicazione di licenziamento[5] e che la stessa sia dovuta a malattia, non potendo neppure correggere o modificare – in sede di giudizio – il periodo o le ragioni indicate, stante il principio dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, posto quale fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal datore[6].
Differente è invece il caso in cui il licenziamento sia stato intimato in seguito al superamento del periodo di comporto generalmente definito “per sommatoria”, che si concretizza quando il limite di assenza per malattia previsto dal contratto collettivo nazionale, sia stato superato dal lavoratore in plurime e frammentate assenze. In tale ipotesi, infatti, come anche confermato nella pronuncia in commento, occorre una indicazione specifica dei giorni di assenza computati, in modo da consentire la difesa al lavoratore[7].
In ogni caso, il datore di lavoro potrà conteggiare – ai fini della verifica del superamento o meno del periodo di comporto – solo i giorni di assenza direttamente dovuti a malattia, non potendo essere considerate utili al superamento del limite imposto le assenze dovute ad altre ragioni, come possono essere assenze ingiustificate, per ferie o permessi. Anche per tale ragione, la giurisprudenza ha rilevato come in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei princìpi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, la mancata comunicazione al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto, in quanto tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell'accertamento della sua inidoneità ad adempiere l'obbligazione[8].
4. La pronuncia
In ossequio ai principi sopra esposti, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha ribadito il proprio orientamento e, nel confermare quanto statuito dai giudici di merito, ha evidenziato come se nel computo del periodo di assenza venga altresì inserito un periodo estraneo all’assenza per malattia, questo non potrà essere incluso nel conteggio volto a verificare il superamento o meno del periodo di comporto.
Infatti, nel caso di specie, era stato indicato nella comunicazione di licenziamento un periodo di dodici giorni espressamente riferito ad assenze ingiustificate, con la conseguenza che queste non potessero né essere conteggiate nel periodo di comporto, né essere riqualificate in sede di giudizio, in ossequio al principio di immutabilità dei motivi di contestazione.
[1] Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 10/01/2018) 17/08/2018, n. 20761.
[2] Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 31/01/2012, n. 1404 (rv. 621251) , in CED Cassazione, 2012 secondo cui “Le regole dettate dall'art. 2110 cod. civ. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli articoli 1256 e 1463 e 1464 cod. civ., e si sostanziano nell'impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione), riversando sull'imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. Ne deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse”.
[3]Si veda sul punto Corte d'Appello Roma, Sez. lavoro, Sent., 27/01/2022, n. 302.
[4] Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 27/02/2019, n. 5752 (rv. 652923-01), in CED Cassazione, 2019 “In tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base del novellato art. 2 della l. n. 604 del 1966, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l'onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato; tale principio, tuttavia, trova applicazione nel comporto cd. "secco" (unico ininterrotto periodo di malattia), ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore, mentre, nel comporto cd. per sommatoria (plurime e frammentate assenze) occorrerà una indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che, in una ipotesi di comporto per sommatoria, aveva ritenuto irrilevante la mancata risposta del datore alla richiesta del lavoratore di specificazione del numero di assenze). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO, 18/05/2016)”.
[5] Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 23/08/2018, n. 21042 (rv. 650160-01), in CED Cassazione, 2018 “In tema di licenziamento per superamento del comporto, non assimilabile a quello disciplinare, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, tuttavia, anche sulla base del novellato art. 2 della l. n. 604 del 1966 che impone la comunicazione contestuale dei motivi, la motivazione deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, ritenendo priva di sufficiente specificazione la mera indicazione del termine finale di maturazione del comporto). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 24/05/2016)”.
[6] Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 12/03/2009, n. 6012, in CED Cassazione 2019 “Per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di lavoro, vale il principio dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, il quale opera come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal datore. Ne consegue che il datore di lavoro non può addurre a giustificazione del recesso fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento della intimazione del recesso medesimo, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti. (Rigetta, App. Torino ,13/07/2005)”.
[7] Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 27/02/2019, n. 5752 (rv. 652923-01).
[8] Corte d'Appello Torino, Sez. lavoro, Sentenza, 03/11/2021, n. 604, in Wolters Kluwer – UTET Giuridica, 2021.