Pubbl. Dom, 28 Nov 2021
La Cassazione sui permessi premio per reati ostativi
Modifica paginaEditoriale a cura di Andrea De Lia
La Cassazione con la sentenza n. 33743 del 10 settembre 2021 è intervenuta a seguito della sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale sugli oneri incombenti sul detenuto per reati ostativi in difetto di collaborazione con la giustizia ai fini della concessione dei permessi premio.
Con la sentenza n. 33743 del 2021 (udienza 14 luglio 2021 - deposito 10 settembre 2021) la Prima Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Iasillo - Rel. Magi) è intervenuta sul tema della concessione dei permessi premio in favore dei detenuti per reati ostativi (art. 4 bis ord. pen.) non collaboranti con la giustizia (art. 58-ter ord. pen.), a seguito della nota sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019.
In particolare, l'interessato aveva visto rigettata la propria istanza di concessione dal Magistrato di Sorveglianza, con decisione poi confermata in sede di reclamo dal Tribunale.
Il detenuto, condannato all'ergastolo per omicidio e associazione a delinquere di cui all'art. 416-bis c.p., aveva visto rigettate le proprie richieste in quanto - ad avviso dei giudici di merito - non aveva fornito elementi idonei a dimostrare l'assenza di pericolo di ripristino dei propri collegamenti con la consorteria criminale di riferimento.
Talchè, sul presupposto di tale omissione, non era stata attivata neppure la procedura prevista dalla legge, con il coinvoglimento degli organi deputati alla verifica delle condizioni per la concessione del permesso premio. Il tutto sebbene il detenuto avesse rappresentato la regolarità della propria condotta caceraria, del percorso trattamentale seguito, il lungo presofferto, l'assenza di carichi pendenti, l'avvenuta concessione della liberazione anticipata.
Avverso la pronuncia di rigetto, il detenuto, dunque, aveva proposto ricorso per Cassazione, affidato a plurimi motivi.
La Cassazione, allora, nell'accogliere il ricorso ha ripercorso le statuizioni della Consulta, giungendo a statuire, tra l'altro, che sull'interessato grava un mero onere di allegazione, e non di prova, che si estrinseca nella prospettazione di circostanze di massima che possono consentire al giudice di approfondire la questione della carenza di collegamenti attuali o potenziali tra il detenuto e associazioni criminali, evidenziando come un onere più pregnante si tradurrebbe in una inammissibile "prova negativa".