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Pubbl. Lun, 13 Set 2021

La cessazione della materia del contendere prima della notifica del ricorso e il regolamento delle spese di lite

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Matteo Bottino
AvvocatoUniversità degli Studi di Genova



Con ordinanza del 19 luglio 2021, il Tribunale di Genova in composizione collegiale si è pronunciato su un reclamo proposto in tema di valutazione del momento della pendenza del giudizio, con particolare riferimento all´applicazione dell´istituto della soccombenza virtuale e conseguente condanna alle spese di lite. Il presente contributo è volto ad offrire una sommaria panoramica e descrizione dei principi fondanti tale decisione.


ENG With the judgment of 19 July 2021, the Court of Genoa in collegiate composition ruled on a complaint proposed regarding the assessment of the moment of the pending judgment, with particular reference to the application of the virtual unsuccessfulness and consequent sentence to the costs of quarrel. This contribution is intended to offer a summary overview and description of the founding principles of this decision.

Sommario: 1. Il caso di specie; 2. La cessazione della materia del contendere e l’estinzione del giudizio; 3. La soccombenza virtuale; 4. L’individuazione del momento in cui il giudizio deve considerarsi pendente; 5. La pronuncia; 6. Conclusioni

1. Il caso di specie

La controversia trae origine dal ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dalla contribuente e concernente la illegittimità di un’ipoteca iscritta sulla quota di proprietà di un proprio immobile. In particolare – tralasciando le ragioni di urgenza non oggetto del presente contributo – si richiedeva la cancellazione del gravame, in quanto lo stesso era stato mantenuto dalla Agenzia delle Entrate Riscossione, nonostante il debito erariale residuo fosse inferiore ai minimi previsti dalla normativa di riferimento1.

A seguito di istanza di cancellazione inoltrata in via stragiudiziale, stante l’assenza di riscontro, il contribuente provvedeva ad adire il Tribunale di Genova depositando il ricorso in cancelleria con il quale richiedeva l’emissione di un provvedimento cautelare urgente. Il giorno successivo al deposito del ricorso, l'Agenzia delle Entrate Riscossione comunicava l’avvenuta cancellazione dell’ipoteca iscritta sul compendio immobiliare.

Successivamente alla suddetta comunicazione, il ricorrente notificava il ricorso e il decreto di fissazione udienza, richiedendo la cessazione della materia del contendere e la condanna alle spese di lite, posto che la cancellazione del gravame era avvenuta successivamente al deposito del ricorso e – quindi – quando la controversia era già pendente, con conseguente applicazione del principio della c.d. soccombenza virtuale.

Si costituiva in giudizio l'Agenzia delle Entrate Riscossione, rilevando come le spese di lite dovessero essere compensate tra le parti, in quanto la comunicazione di avvenuta cancellazione era stata inoltrata al contribuente prima della notificazione del decreto di fissazione udienza, non rilevando la circostanza per la quale il procedimento fosse già stato iscritto a ruolo.

Il Giudice unico cautelare, alla prima udienza di comparizione, provvedeva a dichiarare la cessazione della materia del contendere, statuiva la soccombenza virtuale dell'Agenzia delle Entrate e la condannava alla rifusione delle spese di lite in favore del contribuente.

La parte resistente, ritenendo errata la pronuncia del Giudice unico, depositava reclamo ai sensi dell’art. 699 c.p.c. La reclamante, in particolare, rilevava come non potesse essere dichiarata la propria soccombenza virtuale, sulla scorta del fatto che la notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza fosse intervenuta solo successivamente alla comunicazione di avvenuta cancellazione dell’ipoteca e – quindi – quando il giudizio non era ancora pendente.

2. La cessazione della materia del contendere e l’estinzione del giudizio

La cessazione della materia del contendere è una pronuncia attraverso la quale il Giudice originariamente adito da una delle parti estingue il procedimento, dando atto della avvenuta insorgenza di una o più circostanze che hanno fatto venire meno le ragioni del giudizio, in quanto la parte interessata ha già ottenuto quanto richiesto con l’azione giudiziale o comunque sia é venuto meno l’interesse a ottenere un determinato provvedimento.

In particolare, si rileva come la circostanza sia ricollegata direttamente ad una sopravvenuta carenza di interesse ad agire, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., posto che tale fattispecie si verifica quando interviene una situazione tale da eliminare la ragione di contrasto e, con ciò, viene meno l'interesse delle parti ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile2.

La cessazione della materia del contendere, dunque, può essere dichiarata quando su un determinato punto originariamente controverso, non vi siano più ragioni di contrasto tra le parti e conseguentemente le stesse non abbiano più alcun interesse alla prosecuzione del giudizio su tale aspetto, con evidente carenza di interesse ad agire. Tale circostanza si fonda sul presupposto secondo il quale l’interesse ad agire deve sussistere in ogni stato del procedimento e – dunque - non solo nel momento in cui è proposta l'azione, ma anche al momento della decisione, perché è su tale aspetto - e alla domanda originariamente formulata - che l'interesse va valutato3.

3. La soccombenza virtuale

Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene a questo punto opportuno un breve cenno sull’istituto della soccombenza virtuale. Attraverso tale strumento il giudice, nel dichiarare la cessata materia del contendere e l’estinzione del giudizio, provvede – al fine di pronunciarsi sulle spese di lite - ad una valutazione astratta e ipotetica di quello che sarebbe potuto essere l'esito del giudizio qualora fosse proseguito.

Infatti, in seguito alla declaratoria di cessazione della materia del contendere, che costituisce il riflesso processuale del venir meno della ragion d'essere sostanziale della lite, può residuare un contrasto solo sulle spese di lite. Di conseguenza, se la causa si chiude per qualsiasi ragione con un provvedimento di cessata materia del contendere, il giudice non potrà - salvo diverso accordo tra le parti - dichiarare la compensazione delle spese di giudizio, ma dovrà pronunciarsi su di esse secondo la regola della cosiddetta soccombenza virtuale, ossia in base alla normale probabilità di accoglimento della pretesa di parte su criteri di verosimiglianza o su indagine sommaria di delibazione del merito4.

Applicando i suesposti principi, va evidenziato che l’eventuale venir meno dell'oggetto della controversia o dell'intervenuto mutamento della situazione evocata in controversia, tale da eliminare totalmente ed in ogni suo aspetto la posizione di contrasto tra le parti, farebbe venir meno del tutto la necessità di una decisione sulle domande formulate dalle parti, residuando esclusivamente la necessità di una pronuncia sulle spese di lite.

Il giudice a questo punto potrebbe infatti disporre sia la condanna alle spese nei confronti della parte che - se la causa fosse proseguita - sarebbe stata soccombente, ovvero, in alternativa, disporre la compensazione delle spese, purché ne ricorrano i presupposti di legge, da individuarsi nella ipotetica soccombenza reciproca, nell’assoluta novità della questione o nel mutamento della giurisprudenza su una questione dirimente della causa5.

Resta quindi sempre possibile per il giudice che dichiari estinto il giudizio per cessata materia del contendere non pronunciare condanna alle spese e disporne, in tutto o in parte, la compensazione, ma ciò non può essere la conseguenza della stessa cessazione della materia del contendere, bensì esclusivamente dell’esito di una valutazione astratta della fondatezza delle domande originariamente proposte.

4. L’individuazione del momento in cui il giudizio deve considerarsi pendente

L’istituto della soccombenza virtuale – con conseguente possibilità della condanna alle spese di lite nei confronti di una parte - può essere ovviamente applicato solo nel caso in cui il giudizio sia pendente al momento del venire meno dell’interesse ad agire, rendendosi dunque essenziale valutare da quando la lite debba considerarsi pendente.

La risposta a tale questione è stata dibattuta in dottrina e giurisprudenza, soprattutto per quanto concerne – come nel caso di specie – le cause che devono essere introdotte con ricorso, in luogo dell’ordinario atto di citazione. Mentre in questo ultimo caso, infatti, la lite si considera pendente dal momento in cui si è perfezionata la notifica, nei procedimenti introdotti con ricorso vi sono stati alcuni contrasti concernenti l’individuazione del momento della litispendenza. Nello specifico si è dibattuto se dovesse considerarsi pendente il giudizio dal momento della notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza o, al contrario, dal momento del deposito del ricorso in cancelleria.

Le norme che regolano la pendenza del giudizio e, in via analogica, da quando deve considerarsi instaurato un procedimento giudiziale, individuano tale momento nell’istante in cui viene depositato il ricorso, posto l’art. 39 c.p.c. esplicitamente prevede – a seguito della modifica intervenuta con Legge n. 69 del 2009 - come “La prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso”, venendosi dunque ad individuare in via analogica il momento nel quale un procedimento debba considerarsi pendente.

Sul punto è dapprima intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione la quale ha rilevato come – sia pure con riferimento alla materia del lavoro, ma il principio è applicabile a tutte le controversie che iniziano con ricorso e non con citazione - che la pendenza della lite si determina con il deposito del ricorso introduttivo nella cancelleria del Giudice6.

Infatti è da tale momento che si instaura il rapporto tra due dei tre soggetti tra i quali si svolge il giudizio7.

Il principio enunciato ha trovato ulteriore conferma nelle successive pronunce, con le quali è stato evidenziato come la modifica dell’art. 39 c.p.c., u.c. ad opera della L. n. 69 del 2009 non fosse idonea, a rimettere in discussione il – condivisibile – principio giurisprudenziale secondo il quale la controversia dovesse ritenersi pendente dal momento del deposito del ricorso o ad incidere sulla validità delle valutazioni espresse, ma, anzi, viene esplicitamente a confermare le ragioni sistematiche poste dalle sezioni unite a sostegno del principio di diritto sopra riportato[8].

5. La pronuncia

Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Genova in composizione collegiale si è pronunciato sul reclamo proposto ex art. 669terdecies da Agenzia delle Entrate Riscossione e – in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale prevalente sopra richiamato – ha rilevato la correttezza della pronuncia del Giudice unico e confermato la soccombenza virtuale della reclamante e della condanna alla rifusione delle spese di lite.

In particolare, il Collegio ha sancito come “ritenuto che l’ordinanza debba essere confermata atteso che: la comunicazione via PEC in data 19.05.2021 delle ore 14:51, posta a fondamento del reclamo, è successiva al deposito del ricorso effettuato in data 18.5.201 alle 12.33 (come emerge dalle risultanze del fascicolo telematico), momento che segna la pendenza della causa e in riferimento a quale deve essere valutata la fondatezza della domanda […] la valutazione della soccombenza virtuale in capo a ADER è quindi condivisibile”.

6. Conclusioni 

Il Tribunale di Genova, a parere di chi scrive, ha correttamente individuato il momento in cui il procedimento doveva essere ritenuto pendente, applicando la ormai granitica giurisprudenza in tema di litispendenza, nonché il chiaro dettato normativo di cui all’art. 39 c.p.c. ultimo comma.

Una simile previsione si ritiene altresì coerente con i generali principi che regolano il processo civile, posto che se i procedimenti da introdurre con ricorso si considerassero pendenti solo al momento della notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza, la parte ricorrente si ritroverebbe a “subire passivamente” gli eventuali ritardi nell’emissione del suddetto decreto. Si rammenta infatti come la litispendenza sia altresì essenziale al fine di individuare il Giudice previamente adito in caso di contestazione sulla competenza o sulla eventuale continenza o connessione delle cause.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 77 co. I-bis D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 602, il quale nella formulazione vigente prevede che non sia possibile iscrivere – o mantenere – un’ipoteca per crediti che siano inferiori a € 20.000.

Anche la giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che “la modifica, affidata alle leggi nel tempo succedutesi, del limite entro il quale è fatto divieto al riscossore di procedere ad iscrizione ipotecaria nei confronti del privato debitore, deve trovare applicazione nei procedimenti che siano ancora pendenti alla data di entrata in vigore delle norme che hanno fissato i nuovi importi” (ex plurimis Cass. civ. Sez. I Ord., 20/01/2021, n. 993 (rv. 660210-01))

[2] In tal senso vedasi ex plurimis Corte di cassazione civile, sez. III, 15 giugno 2021 n. 16891 (RV 66163901), secondo la quale “La pronuncia di cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo che si verifica quando sopravviene una situazione tale da eliminare la ragione di contrasto e, con ciò, il venir meno dell'interesse delle parti ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice con riguardo all'azione proposta e alle difese svolte, sicché, qualora la predetta pronuncia derivi dalla volontà manifestata dalle stesse parti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, nessun rilievo assume la contrarietà del terzo intervenuto che pur essendo formalmente parte del rapporto processuale, è comunque estraneo a quello sostanziale e, come tale, privo di interesse alla definizione delle reciproche pretese spiegate dagli originari contendenti. (Nella specie, la S.C. ha escluso la sussistenza di un interesse processualmente rilevante, ostativo alla pronuncia di cessazione della materia del contendere, in capo ai terzi, inquilini di unità immobiliari di un edificio, interventori autonomi in una controversia riguardante il contratto preliminare di compravendita del fabbricato in cui l'attore aveva domandato l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre e il convenuto aveva chiesto l'accertamento di pretesi inadempimenti contrattuali della controparte).”

[3] Vedasi sul punto, in tema di impugnazione, Corte di cassazione civile, sez. III, 2 aprile 2021 n. 9201 RV: 66107701, secondo la quale “la revocazione della sentenza d'appello impugnata con ricorso per cassazione determina la cessazione della materia del contendere, che dà luogo all'inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto l'interesse ad agire, e quindi anche l'interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l'azione (o l'impugnazione), ma anche al momento della decisione, perché è in relazione quest'ultimo - e alla domanda originariamente formulata - che l'interesse va valutato

[4] Confronta sul punto Cass. n. 24234/16 del 29.11.2016

[5] Vedasi sul punto Tribunale Termini Imerese, Sent., 18-02-2021 in 2014 Wolters Kluwer Italia Srl

[6] Si veda inoltre Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza, 26/04/2012, n. 6511 (rv. 622319), secondo cui “Nel caso di continenza tra una causa introdotta col rito ordinario ed una introdotta col rito monitorio, ai fini dell’individuazione del giudice preventivamente adìto, il giudizio introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo deve ritenersi pendente alla data di deposito di quest’ultimo, trovando applicazione il criterio di cui all’ultimo comma dell’art. 39 cod. proc. Civ., come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, senza che rilevi la circostanza che l’emissione del decreto e la sua notifica siano avvenuti successivamente”

[7] Sul punto si veda Cass. Civ. Sez. Unite, 20-10-1995, n. 10935, in motivazione, secondo cui “La più recente giurisprudenza di queste S.U., che, nel comporre un contrasto di giurisprudenza verificatosi nell’ambito delle sezioni semplici, hanno affermato – sia pure con riferimento alla materia del lavoro, ma il principio è applicabile a tutte le controversie che, come quelle in esame, iniziano con ricorso e non con citazione che la pendenza  della  lite  si  determina  con il  deposito   del   ricorso   introduttivo  nella  cancelleria   del   giudice, instaurandosi in questo momento il rapporto tra due dei tre soggetti tra i quali si svolge il giudizio (Cass. 11 maggio 1992 n. 5597; Cass. 16 aprile 1992 n. 46769), con la conseguenza che il giudizio di separazione è da ritenere preventivamente introdotto rispetto a quello di divorzio

[8] In tal senso Cass. Civ., Sez. Unite, Ord., (data ud. 15/07/2014) 06/11/2014, n. 23675, secondo la quale “nell’ultima parte del motivo in esame la società ricorrente […] ha innanzitutto contestato la violazione e falsa applicazione dell’art. 638 c.p.c. (prevedente che nel procedimento monitorio la litispendenza si determina – non col deposito del ricorso bensì – con la notificazione alla controparte del ricorso suddetto e del conseguente decreto ingiuntivo) e del novellato art. 39 c.p.c. (prevedente, u.c., in seguito alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione e dal deposito del ricorso), per avere il giudice di Udine ritenuto che la prevenzione è determinata dal deposito del ricorso e non dalla sua notificazione. […] la modifica dell’art. 39 c.p.c., u.c. ad opera della L. n. 69 del 2009 non è, a parere di questo giudice, idonea a rimettere in discussione il – condivisibile – principio giurisprudenziale sopra richiamato o ad incidere sulla validità delle argomentate valutazioni espresse nel citato precedente, ma, anzi, viene esplicitamente a confermare le ragioni sistematiche poste dalle sezioni unite a sostegno del principio di diritto sopra riportato. E’ infine da rilevare che questa Corte, con sentenza n. 6511 del 2012, più recentemente, e comunque dopo l’intervento della citata modifica legislativa (anzi anche a cagione della medesima), ha ribadito il principio giurisprudenziale in questione” (Cass. Civ., Sez. Unite, Ord., (data ud. 15/07/2014) 06/11/2014, n. 23675)