Pubbl. Lun, 28 Giu 2021
Gli effetti del deposito dell´atto durante il periodo della sospensione dei termini: la prima fase della gestione della giustizia nel periodo Covid-19
Modifica paginaPartendo dalla normativa del primo periodo dell´emergenza covid nel 2020, si esamina la sentenza del Tribunale di Bologna del 6 maggio 2020 fino ad interrogarsi sull’istituto della sospensione dei termini, la sua ratio, le sue finalità e la possibilità che le parti vi possano rinunciare.
Sommario: 1. La normativa in tema di attività giudiziale durante il periodo della pandemia e le due fasi di gestione degli uffici giudiziari; 2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 6 maggio 2020; 3. La disciplina della sospensione dei termini; 4. Il tema di studio: natura, finalità e disponibilità dell’istituto; 5. L’ipotesi della rinnovazione o della integrazione dell’atto compiuto in costanza di sospensione; 6. Conclusioni.
1. La normativa in tema di attività giudiziale durante il periodo della pandemia e le due fasi di gestione degli uffici giudiziari
L’evento pandemico ha inevitabilmente avuto ripercussioni anche sul mondo giuridico e in particolare, e con effetto immediato, sulla attività dei tribunali.
I provvedimenti governativi, che si sono susseguiti a partire da marzo 2020, hanno inciso istantaneamente sugli atti e sui termini che regolano l’iter processuale.
Il rischio del contagio ha condizionato la vita di tutti i giorni e ha indotto le comunità a stabilire regole che impedissero il diffondersi della malattia: tali regole hanno limitato il generale diritto alla libera di circolazione delle persone.
Pertanto, le disposizioni non potevano che incidere anche sulla vita dei tribunali nelle cui aule e cancellerie si assembra un notevole numero di avvocati per svolgere le attività necessarie alla prosecuzione dei processi (udienze, depositi ecc.).
I primi interventi normativi hanno riguardato le udienze che si sarebbero svolte e i termini processuali che sarebbero decorsi durante il cosiddetto periodo di lockdown.
Il d.l. 8 marzo 2020, n. 11 «Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID 19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria», ha stabilito il differimento delle udienze e la sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari.
Infatti, l’art. 1, comma 1, ha previsto che «a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020, le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all’art. 2, comma 2, lettera g), sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020»; e poi al comma 2: «a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020 sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo».
Il successivo art. 2, poi, ha stabilito che
«1. […] a decorrere dal 23 marzo e fino al 31 maggio 2020 i capi degli uffici giudiziari, […] adottano le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della Salute anche d’intesa con le Regioni, […], al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone. […] 2. Per assicurare le finalità di cui al comma 1, i capi degli uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure:
a) la limitazione dell'accesso del pubblico agli uffici giudiziari, garantendo comunque l'accesso alle persone che debbono svolgervi attività urgenti;
b) la limitazione, sentito il dirigente amministrativo, dell'orario di apertura al pubblico degli uffici […], ovvero, in via residuale e solo per gli uffici che non erogano servizi urgenti, la chiusura al pubblico;
c) la regolamentazione dell'accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, […];
d) l'adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze;
e) la celebrazione a porte chiuse, […];
f) la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia […];
g) la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020 nei procedimenti civili e penali, […];
h) lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice.».
Da una attenta disamina della normativa in questione, emerge un chiaro intervento che mira a distinguere due fasi[1] di gestione dell’attività giudiziaria durante il periodo di emergenza sanitaria; inoltre c’è da aggiungere che, il quadro normativo disegnato ha rappresentato la base organizzativa su cui poi si sono innestati gli inevitabili e successivi interventi del legislatore che, in ragione dell’andamento epidemiologico, ha poi allungato la durata delle due fasi e ha nel dettaglio disciplinato il ruolo delle singole autorità giudiziarie e dei suoi capi ufficio.
Tali interventi sono rappresentati da:
- d.l. 17 marzo 2020, n. 18 «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19»;
- d.l. 8 aprile 2020, n. 23 «Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali» e
- d.l. 30 aprile 2020, n. 28 «Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l'introduzione del sistema di allerta Covid-19».
In base alla lettura coordinata delle disposizioni contenute nelle su citate normative, possiamo dunque individuare le due fasi in base alla loro durata e alle regole vigenti che le hanno caratterizzate:
- prima fase: detta anche fase “cuscinetto[2]”condizionata dall’emergenza pura, in cui si sono disposti ex lege i rinvii di udienze e la sospensione del decorrere dei termini, prevedendo un intervento diretto dei capi ufficio solo per i procedimenti esclusi indicati dall’art. 2, comma 2, lettera g), d.l. 18/2020; la durata è stata progressivamente così delineata: 9 marzo 2020-22 marzo 2020 (prorogata poi al 15 aprile 2020 in base all’art. 83, comma 2, d.l. 18/2020; prorogata ancora all’11 maggio 2020 in base all’art. 36, comma 1, d.l. 23/2020); in definitiva dal 9 marzo 2020 all’ 11 maggio 2020;
- seconda fase: di assestamento e controllo dell’evoluzione della pandemia in cui si è affidato ai capi ufficio l’intera organizzazione delle pendenze giudiziarie, nel rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie. La sua durata: 23 marzo 2020-31 maggio 2020 (modificata poi in 16 aprile 2020-30 giugno 2020 dall’art. 83, comma 6, d.l. 18/2020; modificata ancora in 12 maggio 2020-30 giugno 2020 dall’art. 36, comma 1, d.l. 23/2020); in definitiva dal 12 maggio 2020 al 30 giugno 2020.
2. La sentenza del Tribunale di Bologna del 6 maggio 2020
In questo contesto normativo si colloca la sentenza del Tribunale di Bologna, sez. II civ. 6 maggio 2020 in cui il giudice, nel decidere sull’appello alla sentenza (solo capo spese) del Giudice di pace in tema di sanzioni amministrative per violazione del Codice della strada, ha ritenuto - a seguito della normativa covid - di trattenere la causa in decisione e concedere un termine all’appellante (unica parte costituita) per formulare le sue conclusioni.
La vicenda, si incrocia con l’evoluzione normativa dettata dall’urgenza sanitaria e si potrebbe così descrivere:
- alla prima udienza del 10 ottobre 2019, è comparso solo l’appellante e, stante l’assenza del giudice titolare, il giudice onorario ha disposto il rinvio del processo alla data del 12 marzo 2020;
- in data 8 marzo 2020 è entrato in vigore il d.l. 11/2020 con le prime disposizione anti covid valide per tutto il territorio nazionale;
- conseguentemente, in data 11 marzo 2020 (un giorno prima dell’udienza di rinvio), il giudice titolare ha emanato una ordinanza, depositata telematicamente, in cui ha deciso - tenuto conto: del quadro epidemiologico, del caso di specie riguardate un appello sul solo capo delle spese, della circostanza per cui l’appellata è rimasta contumace, della ragione per cui la decisione spetta ad un organo giudiziario in composizione monocratica, che non ci sono attività processuali da svolgere e che pertanto la fattispecie rientrerebbe nella disciplina di cui all’art. 281 sexies c.p.c. - di trattenere la causa in decisione, sottraendola alla disciplina del d.l. 11/2020 per il quale, invece, sarebbe dovuta essere rinviata, alla stato della normativa, ad una data di udienza successiva al 22 marzo 2020. Conseguentemente, il giudice ha concesso un termine fino al 26 marzo 2020 affinché fossero depositate telematicamente le conclusioni ed egli potesse, successivamente, definire la sentenza;
- alla data dell’11 marzo 2020, a seguito della citata ordinanza, il caso di specie è traslato dall’alveo della disciplina dell’art. 1, comma 1, a quello dell’art. 1, comma 2, del d.l. 11/2020 rientrando, dunque, nella normativa dedicata ai termini decorrenti durante la prima fase del periodo di emergenza sanitaria. Pertanto, in ragione della disposizione di legge, i termini concessi dal giudice nel caso di specie erano sospesi fino al 22 marzo 2020;
- successivamente, però, intervenivano i d.l. suindicati che, come già ricordato, allungavano i termini di durata della prima fase e quindi comportavano la ulteriore sospensione dei termini processuali, incidendo anche sul termine del 26 marzo 2020 concesso nel caso de quo;
- nonostante tali disposizioni, l’appellante ha comunque rispettato il termine concesso in ordinanza dal giudice, depositando telematicamente le sue conclusioni entro la data del 26 marzo 2020;
- in ragione di tali circostanze, il giudice d’appello ha definito la causa con sentenza pubblicata il 6 maggio 2020 stabilendo che l’appellante, con il deposito delle sue conclusioni nel termine assegnato con ordinanza, «ha rinunciato alla sospensione dei termini stabilita, con ampia formula, dall’art. 83, 2° co., d.l. 17 marzo 2020, n. 18. […]. Laddove riferita agli atti di parte, tale sospensione […] mira a preservare le parti del processo civile […] da conseguenze sfavorevoli, sul piano processuale, derivanti dall’omesso compimento di atti durante un periodo di grave emergenza sanitaria, nel quale preminente è l’interesse (pubblico) a ridurre e rallentare la diffusione del contagio e vigono speciali ed inedite restrizioni allo svolgimento di numerose attività (così come all’accesso agli uffici giudiziari) e alla stessa libertà di circolazione delle persone fisiche. Sotto questo profilo, la sospensione dei termini relativa agli atti di parte nel processo civile, a differenza della coordinata ma distinta regola, peraltro non senza eccezioni, del rinvio d’ufficio delle udienze[…], riflette interessi disponibili e non preclude di per sé il valido ed efficace compimento dell’atto ad opera della parte, tramite il difensore, con modalità, quale il deposito telematico, rispettosa delle precauzioni indicate e delle specifiche misure di contenimento adottate a fronte dell’emergenza epidemiologica.».
Partendo da questo intervento giurisprudenziale, evidentemente condizionato dagli interventi legislativi anti covid che sono entrati in vigore parallelamente al districarsi del suo processo, tratteremo, dunque, l’istituto della sospensione dei termini processuali, la sua natura e, gli effetti giuridici che possono derivare ove vi fosse il compimento della attività processuale durante la sua vigenza.
3. La disciplina della sospensione dei termini
Orbene, prima di giungere a trattare il tema centrale di questo articolo però, è doveroso fare una precisazione sul computo dei termini che sono stati sospesi con la disciplina covid della prima fase di gestione dell’attività giudiziaria, contenuta nell’art. 1, comma 1 e 2, d.l. 8 marzo 2020 e seguenti modifiche.
Come sappiamo, i termini possono essere legali o giudiziari a seconda che vengano stabiliti dall’ordinamento o dal giudice; possono essere perentori od ordinatori in base all’effetto che si produce nel caso in cui non vengano rispettati, per cui i perentori comportano la decadenza della parte dal potere di compiere l’attività prevista, mentre gli ordinatori non prevedono alcuna sanzione; e poi possono essere effetto di un calcolo e quindi essere in avanti o a ritroso, oppure, come è successo nel caso di specie, possono essere a data fissa, cioè è il giudice a stabilire una data entro la quale le parti possono compiere l’atto previsto.
Dunque, occorre chiarire che nel caso di introduzione di una sospensione dei termini, se il termine è frutto di un calcolo e cade fuori dal periodo di sospensione, per rispettare la natura del termine, occorrerà aggiungere, alla scadenza dello stesso, un numero di giorni pari al numero dei giorni sospesi: questo vale nel caso in cui si tratti di termine in avanti, anche quando il termine scada all’interno del periodo sospeso. Nel caso in cui il termine fosse a ritroso, si dovrà spostare l’udienza ad una data tale da permettere che il calcolo a ritroso cada fuori dal periodo di sospensione.
Diversamente, nel caso di un termine fisso, ove la data sia fissata fuori dal periodo sospeso, o la scadenza rientri nel periodo sospeso, non sarà necessario andare ad aggiungere alla data stessa, o alla fine del periodo di sospensione, il numero di giorni che sono stati sospesi, perché altrimenti verrebbe meno la ratio del termine per cui le parti non hanno diritto a conservare una durata di tempo entro cui compiere una attività. Ciò perché l’attività da compiere è stata fissata entro una data certa e non entro un periodo[3].
E per cui, nel caso in cui il termine fisso cada all’interno del periodo sospeso, semplicemente esso verrà automaticamente spostato al primo giorno successivo alla fine del periodo di sospensione.
Questa sembra essere l’ipotesi più accreditata e in linea con la disciplina della sospensione feriale, ma non mancano orientamenti che ravvisano la necessaria riprogrammazione dei termini da parte del giudice, assicurando alle parti un lasso di tempo uguale a quello che gli era stato concesso prima della sospensione[4].
Bisogna però ricordare che rimane comunque la piena discrezionalità del giudice che ben potrebbe autonomamente prorogare il termine in ragione della sospensione.
4. Il tema di studio: natura, finalità e disponibilità dell’istituto
Al netto di questa piccola digressione, occorre ora riportare l’attenzione sull’argomento principale, oggetto del presente studio.
È corretto ciò che il giudice di Bologna ha esposto in termini di natura della sospensione dei termini processuali prevista dalla normativa covid?
Quale è la finalità perseguita da questa normativa attraverso la previsione di una sospensione dei termini processuali?
Si tratta di un istituto disponibile alle parti?
L’attività della parte appellante configura, come ritenuto in sentenza, una rinuncia alla sospensione dei termini?
Orbene, il dibattito, per ora, è esclusivamente dottrinale.
C’è chi[5] sostiene la visione giuridica prospettata dal giudice di Bologna, convenendo che la previsione di una sospensione di termini non impedisca alle parti di svolgere comunque l’attività processuale per cui è stata disposta, in quanto l'atto può essere compiutamente svolto attraverso gli strumenti del processo civile telematico.
Da tale premessa si desume che il compimento della attività durante il periodo di sospensione dei termini previsti per la stessa, rappresenti una rinuncia de facto alla sospensione dei termini stessi, e ciò basando tale interpretazione sulla considerazione per cui la finalità di tale istituto sarebbe quella, così come spiegato anche in sentenza, di “preservare le parti del processo civile dalle possibili conseguenze sfavorevoli che potrebbero derivare a loro carico nell’ipotesi dell’omesso compimento di atti del processo durante il periodo dell’emergenza sanitaria”.
Dunque, la sospensione si porrebbe a tutela degli interessi delle parti processuali che, quindi, ben potrebbero disporre della stessa rinunciandovi compiendo l’atto, senza incorrere in sanzioni quali l’invalidità o l’inefficacia.
Tutto ciò perché la previsione legislativa non avrebbe il solo scopo di sospendere le attività processuali per impedire assembramenti e diffusione del contagio, ma anche, e soprattutto, quello di “neutralizzare ogni effetto negativo che il massivo differimento delle attività processuali avrebbe potuto dispiegare sulla tutela dei diritti, per effetto del potenziale decorso dei termini processuali’’.
Quindi il suo primo obiettivo sarebbe quello di supportare e tutelare le corrette attività processuali delle parti.
Alla luce di tale orientamento, l’attività posta in essere nel caso di specie sembrerebbe correttamente attuabile e, dunque, l’appellante ben ha potuto depositare telematicamente le conclusioni previste, nonostante fosse in vigore la sospensione dei termini: si tratterebbe, secondo questa tesi, di una sospensione prevista a favore delle parti, a tutela dei loro interessi e, perciò, perfettamente disponibile e rinunciabile.
D’altro canto, però, altri[6] hanno mosso alcune critiche a questa sentenza, sottolineando alcune incongruenze nella ricostruzione dell’istituto della sospensione.
Infatti, se non ci sono dubbi sulla possibilità che un atto possa essere validamente posto anche nelle more della sospensione dei termini previsti per il suo stesso compimento (e quindi la cancelleria non potrà rifiutarne il deposito), le perplessità sorgono qualora si voglia far discendere da tale attività una chiara rinuncia, della parte agente, all’operatività dell’istituto sospensivo.
Compiere l’atto nel termine previsto, senza avvalersi della sospensione vigente, è infatti prima di tutto una facoltà della parte.
Da tale comportamento facoltativo però non sembra, per altra parte della dottrina, potersi dedurre anche la rinuncia alla sospensione: se si ammettesse tale ricostruzione, potrebbero sorgere dubbi operativi della sospensione che potrebbe, per esempio, cessare i suoi effetti per la parte depositante/implicitamente rinunciante e potrebbe, invece, continuare ad operare nei confronti delle altre parti.
Chiaramente questo sarebbe un problema logistico-giuridico di non poco conto.
Inoltre, pur ammettendo l’ipotesi di una rinuncia alla sospensione in ragione del compimento dell’atto, ci sarebbero ancora delle incongruenze.
Infatti, la volontà di rinuncia deve essere sempre esplicita[7] e deve necessariamente provenire da parte di tutte le parti in causa.
Questo ultimo aspetto è fondamentale nel caso di specie sottoposto alla attenzione del Tribunale di Bologna: il processo di appello vedeva costituita la sola parte appellante e si stava svolgendo in contumacia dell’appellata.
Ammettere che il compimento tempestivo dell’atto - nonostante l’operatività della sospensione - rappresenti una rinuncia alla stessa (che già di per sé non è stata esplicita), e ammettere conseguentemente che il giudice, poi, abbia regolarmente proseguito il processo con la stesura della sentenza, vorrebbe dire minare il principio di affidamento che le altre parti del processo ripongono nel rispetto del Codice di procedura civile e delle sue regole.
Ciò perché la parte appellata, per il momento contumace, ben avrebbe potuto costituirsi tardivamente fino al termine della fase di discussione ex art. 416 c.p.c., cioè fino al compimento del termine previsto dall’ordinanza per il deposito delle conclusioni, il 26 marzo 2020.
Termine che, ricordiamo, in ragione della normativa susseguitasi, era sospeso, però, fino all’11 maggio 2020 e che, seppur tale sospensione sia stata facoltativamente non rispettata dalla parte appellante, comunque stava ancora producendo i suoi effetti a favore della parte appellata contumace che, avrebbe potuto costituirsi tardivamente e che, ragionevolmente conosceva gli interventi normativi in materia giudiziaria che stavano caratterizzando il periodo pandemico tale da poter fare affidamento sulla operatività della sospensione dei termini indipendentemente dal deposito telematico delle conclusioni da parte della appellante.
È per tali motivi che si può, ragionevolmente, ritenere che l’atto depositato non possa produrre effetti di rinuncia alla sospensione e che perciò, la stessa sospensione sia da considerarsi nella indisponibilità delle parti.
Ma c’è ancora un altro motivo: la ratio dell’istituto.
Leggendo le motivazioni del legislatore della normativa in tema di emergenza sanitaria[8] e ricordando alcuni interventi simili nel tempo - per esempio quelli che prevedevano la sospensione dei processi nelle zone terremotate dell’agosto 2016, le cui ragioni sono state affermate in alcune recenti sentenze[9] - emerge evidente che si tratta di un provvedimento sospensivo ad ampio raggio, di natura generalizzata.
La sospensione non è stata prevista con il fine di tutelare un interesse di parte, ma ha avuto l’obbiettivo di proteggere la salute pubblica.
Da queste motivazioni, si può desumere in definitiva che la sospensione non fosse nella disponibilità delle parti, le quali, però, comunque potevano facoltativamente scegliere di porre l’atto nel termine previsto senza considerare l’operatività dell’istituto di urgenza e senza intaccare la corretta prosecuzione del procedimento giudiziario.
5. L’ipotesi della rinnovazione o della integrazione dell’atto compiuto in costanza di sospensione
In termini di curiosità, potrebbe essere utile trattare - sulla scia del rispetto del principio di affidamento che le parti ripongono nelle regole della procedura civile - l’ipotesi della rinnovazione o integrazione di un atto processuale posto dalla parte, nonostante stesse operando la sospensione.
In virtù del principio di consumazione dei poteri, sembra essersi d’accordo sulla circostanza per cui l’atto già depositato non possa essere poi sostituito od integrato, seppur il termine non sia ancora scaduto.
Ciò in quanto l’attività di deposito comporta la consumazione del potere di porre quell’atto, rendendo inammissibile la sua successiva, anche se tempestiva, integrazione o rinnovazione[10].
La base di tale orientamento dottrinale, ma anche giurisprudenziale[11], fonda le sue radici nella motivazione per cui tale attività è inammissibile non perché lederebbe il diritto di difesa dell’altra parte, ma perché impedirebbe l’ordinato svolgimento del processo, costringendo le altre parti ad attendere il compimento del termine previsto per assicurarsi che non vi siano modifiche, integrazioni o rinnovazioni dell’atto.
Anche se questo principio di consumazione del potere non è stato compiutamente elaborato dal legislatore, esso si può facilmente desumere da alcune scelte normative: gli artt. 358 e 387 c.p.c., che vietano di riproporre - pur nella perdurante pendenza del termine - l’impugnazione ormai dichiarata inammissibile ovvero improcedibile, ne sono un chiaro esempio.
6. Conclusioni
Dunque, alla luce dello studio qui prospettato e delle tesi dottrinali contrastanti che sono emerse in virtù dell’intervento giudiziario bolognese, si può ritenere, a mio modo di vedere, che ben sarebbero potuti sussistere i presupposti per valutare un ricorso in cassazione avverso tale sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per mancato rispetto delle norme processuali in tema di sospensione ex d.l. 8 marzo 2020, n. 11 e ss. in materia giudiziaria in periodo di pandemia e più ampliamente del principio di affidamento delle parti, in quanto la natura della sospensione così come ricostruita dal giudice di appello pone il dubbio sul corretto rispetto delle norme del codice di procedura civile.
La facoltà di porre in essere l’atto i cui termini sono sospesi, è una scelta della parte, inequivocabilmente ammessa dall’ordinamento, ma essa non giustifica e non può comportare la cessazione degli effetti sospensivi a favore di tutti gli altri soggetti del processo tanto da permettere l’emanazione della sentenza di appello prima della decorrenza del periodo di sospensione (periodo che sarebbe terminato l’11 maggio 2020 ricordiamo che la sentenza invece è stata pubblicata già il 6 maggio 2020).
Per la parte appellata, infatti - nonostante la contumacia - la sospensione dei termini decorrenti per il deposito delle conclusioni era ancora operante e avrebbe potuto rappresentare una extrema ratio di costituzione in giudizio; per il giudice, invece, il rispetto della vigenza della sospensione avrebbe rappresentato la concretizzazione del suo principale compito di arbitro e di attuatore delle regole del codice di procedura civile a lui affidato anche in favore delle parti non costituite o che, più generalmente, non abbiano ancora compiuto l’attività processuale in virtù della sospensione in atto.
[1] E. DALMOTTO, Sospensione dei termini processuali e rinvio delle udienze nel covid-19, in Giuris. It., 2020, fasc. 8-9, pagg. 2046 – 2053.
[2] F. VALERINI, Differimento delle udienze civili e penali e sospensione dei termini processuali nel periodo cuscinetto. E dopo? in ilProcessoCivile.it, il portale telematico, Giuffrè, 10 marzo 2020.
[3] Idem nota 1.
[4] R. NARDONE, La sospensione delle udienze e dei termini nel diritto processuale dell’emergenza, in ilProcessoCivile.it, portale telematico, Giuffrè, 24 febbraio 2021.
[5] V. AMENDOLAGINE, Deposito telematico dell’atto e rinuncia alla sospensione dei termini processuali (Nota a sent. Trib. Bologna sez. II 6 maggio 2020), in Giuris. It., 2020, fasc. 7, pagg. 1672 – 1673.
[6] Idem nota 1; F. VALERINI, Sulla natura (in)disponibile della sospensione dei termini processuali causa covid-19, in Diritto e giustizia, 15 giugno 2020.
[7] Cass. civ., sez. II, ord. 5 ottobre 2018, n. 24540.
[8] Cfr. la Relazione illustrativa all’art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18.
[9] Cass. pen., sez. II, sent. 28 marzo 2019, n. 15824 in cui si afferma che: “Il d.l. n. 189 del 2016, convertito con la l. n. 229/2016, ha disposto misure urgenti in relazione alle zone colpite dal sisma del 24 agosto 2016 ed ha previsto la sospensione d'ufficio fino al 31 maggio 2017 dei processi pendenti in ogni stato e grado alla data del sisma (art. 49, comma 6). A tale previsione generale si associa la sospensione ex lege dei termini perentori per lo svolgimento di attività processuali ed il rinvio d'ufficio dei processi ad una data successiva al 31 maggio 2017 delle udienze nelle quali risulti contumace l'imputato o assente una delle parti o dei lori difensori (art. 49, comma 7). Il testo della legge prevede altresì che l'imputato può rinunciare sia alla sospensione dei termini processuali, sia al rinvio d'ufficio delle udienze previsto nel caso di rilevazione di contumacia o assenza (art. 49, comma 8). La rinuncia è dunque prevista solo in relazione alla sospensione dei termini processuali e per il rinvio dell'udienza previsti dal comma 7; non è invece espressamente prevista in relazione alla sospensione generalizzata dei processi disposta nel comma 6. Dal sistema si ricava pertanto che nonostante l'imputato, come nel caso di specie, si presenti all'udienza, il processo è, comunque, sottoposto alla sospensione generale prevista dal comma 6, e che, benché la rinuncia al differimento sia riferita solo ai casi di assenza o contumacia, tale generale espressione di volontà possa essere manifestata anche nel caso in cui l'imputato ed il suo difensore decidano di presenziare all'udienza, ferma la automatica sospensione dei processi prevista dal comma dell'art. 49, del testo di legge.”.
[10] Idem note 1 e 4.
[11] Cass. civ., sez. II, sent. 30 novembre 2012, n. 21472 in cui si afferma che: “Deve ritenersi che la presenza in giudizio di più difensori della parte non autorizzi i medesimi a moltiplicare gli atti tipici previsti dalla legge per la difesa del proprio assistito, tra i quali rientra la redazione della comparsa conclusionale prevista dall'art. 190 cod. proc. civ.. Il potere di compiere l'atto difensivo va infatti riferito al diritto della parte di difendersi e di contraddire nel giudizio, che, esercitatile a mezzo della difensore, è e rimane unico a prescindere dalla circostanza che essa sia assistita da più avvocati. Ne deriva che l'avvenuto deposito della comparsa conclusionale da parte di uno dei difensori consuma il diritto della parte di compiere la relativa attività difensiva, che non può pertanto essere duplicata dall'altro avvocato. Ciò anche a tutela del diritto di difesa della controparte dal momento che, prevedendo la legge il deposito di una sola comparsa conclusionale per ciascuna parte costituita, potrebbe ben venire compromesso dalla legittima convinzione che l'avversario abbia compiutamente esercitato la propria difesa con la prima comparsa conclusionale e che ad essa sola si debba contraddire con la memoria di replica.”.
Bibliografia
G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. I, Bari, 2019.
A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014.