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Pubbl. Gio, 17 Set 2015

Concorso del privato in abuso d´ufficio.

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Francesco Apicella


Si ipotizza che una variante in sanatoria di un permesso di costruire sia stata rilasciata al di fuori delle condizioni di legge. È configurabile un abuso d´ufficio anche a titolo di concorso del beneficiario proprietario del terreno.


Il tema in esame impone delle doverose precisazioni preliminari, date le interazioni con la materia edilizia e le fonti normative di riferimento così complesse, se non addirittura farraginose. Posto che, in armonia con il paramentro costituzionale dell' art 117, gli enti locali nel recepimento e nell'attuazione delle normative nazionali, possono condizionare in diverso modo l'attività edilizia privata (soprattutto se si pensa a regioni a statuto speciale o alle provincie autonome di Trento e Bolzano), il quadro normativo di riferimento è il D.P.R. 380/2001, meglio conosciuto come t.u.e. 

Secondo l'art.10 t.u.e., sono sottoposti a permesso di costruire gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia che comportino rilevanti modifiche ed innovazioni tali da condurre ad un organismo edilizio ex novo o anche solo in parte diverso dal precedente. Può capitare che prima dell'inizio dei lavori o nel corso degli stessi si presenti la necessità o si ritenga opportuno modificare il progetto così come originariamente approvato.

Nel caso in cui si tratti di varianti che incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che modifichino la destinazione d'uso e la categoria edilizia, che alterino la sagoma dell'edificio e violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire, il testo unico prevede che non sia sufficiente procedere mediante SCIA, ma che occorra il rilascio da parte del dirigente di un nuovo permesso a costruire.

Chiarita la natura del provvedimento in esame e quello che è il contributo delle parti (l'incaricato di pubblico servizio che concede il titolo abilitativo e il privato), sarà più agevole ricostruire delle ipotesi sulle varie condotte poste in essere e se queste,eventualmente, assumono gli estremi di una fattispecie penalmente rilevante.

Nel caso di specie si affronta l'ipotesi di un delitto in cui può incorrerre il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio: l'abuso di ufficio ex art. 323c.p.. Autorevole dottrina individua nel fatto tipico una fattispecie oggettivo-materiale e una soggettiva o meglio ancora, nel nostro caso, evento e condotta dell'agente. Gli elementi costitutivi del reato di abuso d'ufficio sono: la realizzazione di un evento tipico e cioè che abbia procurato a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, che l'evento siffatto sia stato posto in essere violando leggi o regolamenti che disciplinano la funzione e infine, aspetto probabilmente più complesso, che l'evento sia stato cagionato dall'agente intenzionalmente. La locuzione con la quale esordisce la norma, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, pone in essere esplicitamente una c.d. “clausola di sussidiarietà”, la quale preclude il concorso formale tra l'abuso d'ufficio ed altri reati il cui fatto tipico includa quello dell'abuso, purchè siano puniti più gravemente (pena della reclusione da uno a quattro anni) .

Se ad es. il quadro criminoso risultasse dalla combinazione tra peculato ex 314 c.p. e abuso d'ufficio, questi risulterebbe assorbito nel peculato per il quale è prevista la pena della reclusione da quattro a dieci anni ( Cass. Pen. n 598 del 2007). Nel caso oggetto della nostra analisi, invece, il rapporto è con il reato di abuso edilizio, il quale trova il proprio riferimento normativo nell'art. 44 del t.u.e. e che deve ritenersi assorbito nel reato di abuso d'ufficio.

L'iter logico da seguire per rispondere al quesito attiene sostanzialmente alla possibilità di qualificare la condotta del dirigente come intenzionalmente finalizzata ad arrecare, in violazione di una norma o di un regolamento, un ingiusto vantaggio patrimoniale per sè o ad altri. Posto che il titolo abilitativo è stato rilasciato fuori dalle condizioni di legge, se si accerta che la variante in sanatoria rispetto al permesso inizialmente rilasciato si sostanzia in un vantaggio patrimoniale o in ogni caso volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva del richiedente, abbiamo già soddisfatto le condizioni oggettive per la configurabilità del reato ex 323c.p.

Il dolo intenzionale, quale elemento psicologico dell'agente, deve desumersi dai comportamenti tenuti prima, durante e dopo la condotta ed in particolare modo dall' evidenza delle violazioni, dalla competenza dell'agente, dalla reiterazione e gravità delle violazioni, dai rapporti tra agente e soggetto favorito o danneggiato e, in caso di compresenza di più fini, dalla comparazione dei rispettivi vantaggi o svantaggi. Sarebbe totalmente erroneo imputare l'abuso d'ufficio a titolo di dolo diretto( rappresentandosi quindi la certezza) o addirittura eventuale (l'eventualità) dato che il Legislatore è appositamente intervenuto, prima nel 90 e poi nel 97, con l'esigenza di connotare in forma più intensa l’elemento soggettivo del dolo attraverso l’utilizzo dell’avverbio “intenzionalmente”, costituente innovazione singolare rispetto a quanto previsto dall’ art. 43 c.p. per il dolo.

Lo scopo della progressiva riforma dei reati contro la pubblica amministrazione e, al contempo, del reato di abuso di ufficio, è stato quello di contenere la proliferazione delle incriminazioni non basate su un consistente tasso di tipicità del fatto. Come confermato da granitica giurisprudenza ( ex multis Cass Pen. III Sez. 12 Gennaio 2012 n. 649), nell'abuso d' ufficio connesso al rilascio di un permesso edilizio ritenuto illegittimo, uno degli elementi dai quali desumere l'intenzionalità del dolo si ricava dall'analisi del contrasto del permesso di costruire con la norma urbanistica, nel senso che quanto più palese o macroscopico risulti tale contrasto, tanto più evidente sarà la ricorrenza dell'elemento psicologico del reato. 

Inoltre il testo del 323 c.p. non richiede che la condotta abusiva venga realizzata “al solo scopo” di conseguire “questo o quell'evento tipico”, ma trattandosi di un delitto che viene commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, verrà sempre esternata una finalità pubblica. Occorrerà tener conto se tale finalità sia stata prevalente ed essenziale rispetto all'interesse privato, sì da escludere il reato, oppure se rappresenti una mera occasione o pretesto per coprire la condotta illecita . In senso sostanzialmente adesivo è intervenuta la Cass. Pen. III Sez. 22 Marzo 2013 n. 13735.

Orbene, la capacità selettiva del dolo intenzionale, può venire meno nel caso di realizzazione plurisoggettiva del reato in esame. Infatti, la giurisprudenza afferma che si possa concorrere, ex art. 110 c.p., in un reato a dolo specifico anche per chi agisca con dolo diretto o eventuale, purché almeno uno dei rei operi con il dolo intenzionale tipizzato e gli altri ne siano consapevoli.

Come già accennato, il 323c.p. è un reato proprio e tuttavia è possibile che al reato concorra anche il privato beneficiario. Il concorso nel reato presuppone, però, una compartecipazione efficiente del privato; l'esistenza di una corrispondenza tra la richiesta del privato e il provvedimento adottato dal pubblico ufficiale non dimostra l'esistenza di una collusione.

È necessario un quid pluris ovvero la richiesta deve essere stata preceduta, accompagnata o seguita da un'intesa con il privato per l'ottenimento del provvedimento favorevole come ha ribadito una Cass. Pen. sez. V n. 5277 lo scorso 3 Febbraio. Nella condotta del beneficiario,che non deve quindi avere un ruolo meramente passivo, bisogna riscontrare la coesistenza di contributi materiali e psicologici.

In tal senso potranno essere tenuti in considerazione elementi di valutazione quali, ad es., il legame personale e/o familiare tra privato e pubblico ufficiale, il regime patrimoniale dei soggetti, l'eventuale presenza in loco del proprietario, lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, che il privato sia il destinatario finale dell'opera. Anche la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria può essere un elemento sul quale supporre la presenza di accordi e intese illecite tra pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e il privato beneficiario della concessione. La Cass. nel 2003 sostenne che la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa ex 323c.p., non richiede necessariamente l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che s'intende favorire, potendo essere desunta anche da ulteriori elementi, quali ad es. la macroscopica illegittimità dell'atto e i tempi di emanazione dello stesso o ancora il possesso, da parte del privato, delle competenze professionali per valutare esaustivamente sotto il profilo tecnico-giuridico la materia de qua.

Tuttavia quando non è possibile dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la collusione tra organi pubblici e privati, questo non può che comportare l'assoluzione dei privati coimputati perchè il fatto non costituisce reato, per mancanza del dolo intenzionale diretto ad arrecare un vantaggio al privato, così come confermato dalla Cass. Pen. Sez. VI 20 Novembre 2007 n 1573.

Alla luce della ricostruzione operata in relazione tanto alla normativa, quanto ai principali riferimenti del panorama giurisprudenziale, si deve concludere nel senso della possibilità per il beneficiario di concorrere nel reato proprio di abuso d'ufficio, ma solamente e nella misura in cui si verta nelle predette condizioni, con particolare attenzione al coefficiente psicologico del dolo intenzionale.

In caso contrario, il privato soggiacerà comunque alle sanzioni previste all'art.44 t.u.e. e, nel caso in cui l'abuso edilizio sia stato realizzato in una zona paesaggisticamente vincolata, al reato previsto dal d.lgs 42/04 art.181, che al comma 1-bis prevede, dal 2007, l'ipotesi più grave in cui l'abuso venga realizzato in una zona di notevole interesse pubblico.