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Pubbl. Ven, 16 Apr 2021

Concorso di circostanze: per la Consulta è illegittima la preclusione al bilanciamento per i recidivi reiterati riconosciuti seminfermi di mente

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Sonia Sasso



La Corte Costituzionale è recentemente tornata a censurare il divieto di prevalenza previsto all´art. 69, comma IV, c.p. in caso di recidiva reiterata. Dal 2012 il Giudice delle Leggi ha dichiarato l´incostituzionalità della norma già in 4 occasioni, restringendo l´ambito di applicazione di tale automatismo. La continua attenzione della Corte in tal senso sembrerebbe celare un certo disappunto rispetto a una norma che è in tensione con il principio di offensività e che dovrebbe essere, probabilmente, oggetto di riforma da parte del legislatore.


ENG The Constitutional Court has recently censured the prohibition of prevalence of art. 69, paragraph IV, c.p.,required in case of repeated relapse. Since 2012, the Judge of Laws has already declared the rule unconstitutional 4 times. The attention of the Court exhibit a certain disappointment with respect to presumption that is in tension with the principle of offensiveness.

Sommario: 1. Il principio di offensività e gli automatismi sanzionatori; 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 73 del 24 aprile 2020; 3. Le censure all'art. 69, comma IV, c.p.; 4. La recidiva e la funzione specialpreventiva della pena nell'attuale sistema costituzionale.

1. Il principio di offensività e gli automatismi sanzionatori

L'offesa rappresenta un elemento costitutivo e strutturale del fatto di reato, iscrivendosi nell'evento giuridico. La condotta punibile deve offendere un bene giuridico meritevole di tutela e produrre un evento, che può declinarsi, a seconda della rilevanza del bene, in un'offesa di danno o di pericolo. I reati di pericolo sono caratterizzati infatti da un'anticipazione della soglia di punibilità giustificata dalla particolare rilevanza dell'interesse tutelato. Si tratta di situazioni in cui la condotta assume rilievo penalistico già con la sola messa in pericolo del bene. Tipici in tal senso i reati di attentato.

Il principio di offensività non è previsto in via espressa dalla Carta Costituzionale ma, secondo la dottrina maggioritaria, deriva in via indiretta dagli artt.13, 25, 27 cost.

L'art.13 cost., in primis, prescrivendo l'inviolabilità della libertà personale osterebbe all'esistenza di sanzioni penali sproporzionate o del tutto slegate dall'offesa a un bene giuridico di pari rango. L'offesa, dunque, giustifica la compressione della libertà personale e la reazione dello Stato alla condotta criminosa, sia sotto il profilo dell'an che sotto quello del quantum1. Il legislatore nel definire la condotta perseguibile è vincolato a tale principio, non potendo punire un fatto di per sè inoffensivo. Si parla in tal caso di offensività in astratto. Da sottolineare come il principio riguardi anche la carica sanzionatoria che deve essere proporzionata al grado di offesa.

L'art. 25 cost. nel postulare il principio di legalità e irretroattività fa riferimento al fatto commesso, sottolineandone la sua necessaria materialità. Il reato, dunque, deve avere una sua concretezza materiale, non essendo punibile la nuda cogitatio o il modo di essere di un soggetto2

L'orientamento maggioritario in dottrina e giurisprudenza ritiene che il principio di offensività si ricavi anche da tale norma3. La mera intenzione di delinquere, dunque, non sarebbe punibile mancando un fatto materiale e offensivo. Il legislatore può prevedere forme di anticipazione della soglia di punibilità nei limiti però di tali principi. Si esclude, infatti, l'ammissibilità del tentativo nei reati di pericolo o di fattispecie di pericolo di pericolo.

Infine il riferimento all'art. 27 cost. riguarda nello specifico il comma III e la funzione rieducativa della pena. Presupposto di tale funzione è infatti proprio la percezione dell'antigiuridicità e dell'offensività della condotta tenuta. L'applicazione di una pena per mere violazioni inoffensive sarebbe un ostacolo al percorso riabilitativo e rieducativo del reo. La giurisprudenza costituzionale ha in più occasioni sottolineato la correlazione tra la funzione rieducativa della pena e la necessaria offensività del reato4.

La necessaria offensività della condotta punibile trovava e trova la sua legittimazione anche nella disciplina codicistica e in particolare all'art. 49 c.p. sul reato impossibile. Non si ritiene, infatti, punibile un'azione che ex ante sia inidonea a produrre l'evento offensivo.

Il principio in questione pone obblighi sia in capo al legislatore che al giudice, da cui la distinzione tra offensività in astratto e in concreto.

Sul piano astratto, infatti, la condotta oggetto della norma penale deve avere una sua idoneità offensiva, coerente e proporzionata con la risposta sanzionatoria. L'aggravante di clandestinità, per esempio, è stata oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale proprio perchè collegava l'aumento di pena a un modo di essere del soggetto, senza che lo stesso incidesse sulla singola condotta in termini di maggiore offensività. Nello stesso senso si pongono le varie censure in materia di recidiva, prima tra tutte quella del 2015 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 99, comma V, c.p. sull'obbligo di recidiva per determinate fattispecie. In tal caso è stato rilevato come l'obbligatorietà non fosse giustificata dalla presenza di una particolare offesa, che secondo l'id quod plerumque accidit non era sempre presente per i reati previsti.

L'automatismo o la presunzione possono aver cittadinanza nel nostro ordinamento, in conformità con il principio di offensività, purché gli stessi si basino su evidenze effettive e su un giudizio di normalità causale5. Nel caso della recidiva obbligatoria mancava tale fondamento, in quanto il catalogo delle fattispecie per cui era obbligatoria l'applicazione dell'aggravante appariva eterogeneo e svincolato dalla presenza di una maggiore offesa. La presunzione, legata all'elenco ex art. 407, comma II, c.p.p., riguardava ipotesi in cui il termine di conclusione delle indagini preliminari è più lungo a fronte di necessità investigative e non di un maggiore disvalore del fatto. 

L'accertamento dell'offesa in astratto appartiene al sindacato della Corte Costituzionale, nei limiti del principio di separazione dei poteri per cui le scelte di politica criminale appartengono al legislatore e possono essere censurate solo rispetto alla loro ragionevolezza, mai per l'opportunità6.

L'offensività in concreto riguarda invece la sfera dell'accertamento del fatto da parte del singolo giudice che deve valutare l'effettiva offensività della condotta posta in essere. Si tratta di una valutazione legata al caso concreto e non alla fattispecie astratta. Il reato definito inoffensivo non sarebbe punibile dunque perché il fatto non sussiste, mancando un elemento oggettivo. 

In materia di stupefacenti, il diritto vivente ha in più occasioni valorizzato tale accezione dell'offesa; se da un lato l'incriminazione della coltivazione di stupefacenti, anche se ad uso personale, non contrasta con l'offensività in astratto, dall'altro è possibile escludere la punibilità della singola coltivazione quando questa avvenga in modo non idoneo a determinare in concreto l'offesa.  Si pensi al caso in cui, per esempio, l'entità della coltivazione sia minima e sia impossibile la diffusione di sostanza producibile7.

Illustrati brevemente i fondamenti del principio è interessante analizzare la recente sentenza in materia di bilanciamento di circostanze.

2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 73 del 24 aprile 2020

La Corte Costituzionale ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.”.

La norma inserisce una presunzione sulla prevalenza della recidiva reiterata rispetto alle circostanze attenuanti. Il principio di separazione dei poteri osta a che sia censurato il ricorso ad un automatismo in sé, rientrando tra le legittime scelte di opportunità del legislatore. La presunzione ex art.69 c.p. deve quindi considerarsi legittima e in linea con i principi costituzionali, purché si fondi su elementi concreti e che rendano la scelta ragionevole o non irragionevole. La Corte, infatti, ha censurato la norma solo rispetto a determinate circostanze attenuanti per cui, secondo l'id quod plerumque accidit, non era ragionevole presumere la prevalenza della recidiva reiterata.

Il Giudice delle Leggi afferma che la questione concerne “una circostanza attenuante espressiva non già – sul piano oggettivo – di una minore offensività del fatto rispetto agli interessi protetti dalla norma penale, né di una finalità premiale rispetto a condotte post delictum, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore; ridotta rimproverabilità che deriva, qui, dal suo minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla sua minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono (e che devono essere tali, per espressa indicazione legislativa, da «scemare grandemente» la sua capacità di intendere e di volere: art. 89 cod. pen.).

L'attenuante di cui all'art. 89 c.p. appare strettamente legata alla ridotta rimproverabilità del soggetto che al momento della commissione del fatto, risulti affetto da un'infermità tale da scemare la propria capacità di intendere e volere, senza però escluderla. Il vizio totale di mente, al contrario, incide sull'imputabilità del soggetto, escludendola.

Ritenuta insindacabile la scelta del legislatore di ricorrere a un automatismo, occorre valutare in astratto se, alla luce dell'id quod plerumque accidit, la circostanza attenuante del vizio parziale di mente soccomba rispetto alla recidiva reiterata.

Da rilevare come la presenza di un vizio parziale di mente, seppur non escluda l'imputabilità del reo, incide necessariamente sul grado di responsabilità dello stesso. Da un lato il reo, che già recidivo commette un nuovo delitto doloso, mostra una maggiore predisposizione al crimine, ma dall'altro il disvalore della sua condotta appare attenuato a causa di un vizio di mente. 

L'automatismo previsto all'art. 69 c.p. impediva al giudice di valutare in concreto gli effetti del vizio di mente e il suo rapporto con la recidiva reiterata, con effetti dannosi e contrastanti con il principio di offensività.

Secondo la Corte la disposizione deve essere censurata in quanto impedisce al giudice di determinare una pena proporzionata e adeguata al grado di responsabilità personale del suo autore, “non consentendo di tenere adeguatamente conto – attraverso il riconoscimento della prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente rispetto all’aggravante della recidiva reiterata – della minore possibilità di essere motivato dalle norme di divieto da parte di chi risulti affetto da patologie o disturbi della personalità che, seppur non escludendola del tutto, diminuiscano grandemente la sua capacità di intendere e di volere”.

Il delitto commesso da un soggetto recidivo è senza dubbio espressivo di una maggiore pericolosità e di una più accentuata colpevolezza, che giustifica la presenza di un aumento di pena, anche incisivo8 . Il problema qui riguarda però la ragionevolezza di un automatismo con cui si preclude la valutazione sulla minore rimproverabilità del reo, affetto da un vizio parziale di mente.

La Corte nel dichiarare l'incostituzionalità della norma rispetto all'attenuante del vizio parziale di mente afferma che “Tale divieto non consente al giudice di stabilire, nei confronti del semi-infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravità oggettiva, ma commesso da una persona che abbia agito in condizioni di normalità psichica, e pertanto pienamente capace – al momento del fatto – di rispondere all’ammonimento lanciato dall’ordinamento, rinunciando alla commissione del reato. E ciò anche laddove il giudice – come nel caso del giudizio a quo – ritenga che le patologie o i disturbi riscontrati nel reo abbiano inciso a tal punto sulla sua personalità, da rendergli assai più difficile la decisione di astenersi dalla commissione di nuovi reati, nonostante l’ammonimento lanciatogli con le precedenti condanne”.

È evidente come la Corte basi la propria censura sulle possibili conseguenze che potrebbero derivare dalla presunzione e sull'irragionevolezza dell'automatismo, senza incidere sulla sua opportunità. Da sottolineare come sia proprio la separazione dei poteri dello Stato a limitare il sindacato del giudice costituzionale che non può sostituirsi al legislatore effettuando una valutazione circa l'opportunità delle scelte di politica criminale. 

3. Le censure all'art. 69, comma IV, c.p

L'art. 69,comma IV, c.p. è stato dichiarato incostituzionale rispetto a 4 ipotesi di attenuanti.

Il sistema di accertamento incidentale della legittimità costituzionale tramite l'ordinanza di rimessione del giudice a quo, infatti, di fatto preclude una valutazione generale dell'automatismo, irrilevante rispetto al singolo caso. Una censura totalizzante della norma, inoltre, potrebbe inscriversi in un'invasione del giudice costituzionale nella sfera di competenza del legislatore.

Nelle varie pronunce, seppur con alcune peculiarità, la logica della Corte appare sempre la medesima e si basa sulla valutazione del rapporto tra il disvalore derivante dalla recidiva reiterata e la singola attenuante. Da rilevare come l'automatismo, previsto anche per altre aggravanti, è stato censurato solo per i casi di recidiva reiterata.

La Corte si è pronunciata per la prima volta nel 2012 in relazione all'attenuante della lieve entità di sostanze stupefacenti9. L'irragionevolezza dell'automatismo veniva ravvisata nella sproporzione della pena che si sarebbe dovuta infliggere. In sentenza si legge espressamente infatti che “il divieto legislativo di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all’attenuante dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990 impedisce il necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire attraverso l’applicazione della pena stabilita dal legislatore per il fatto di lieve entità”.

La presunzione inibiva la corretta personalizzazione della pena a scapito della stessa funzione rieducativa ex art. 27 cost. e del principio di uguaglianza venendo così assimilati casi sostanzialmente diversi. La Corte ha fatto riferimento alla sproporzione dell'eventuale risposta punitiva anche riguardo all'attenuante della particolare tenuità del fatto di ricettazione. Diversamente dalla suindicata pronuncia il tal caso, il Giudice delle Leggi si è soffermato a valutare le conseguenze sul minimo edittale. La necessaria e presunta soccombenza dell'attenuante aveva conseguenze sproporzionate rispetto al minimo di pena irrogabile10

Dal principio di offensività discende, dunque, un obbligo di proporzione della risposta sanzionatoria, oggi particolarmente richiesto alla luce del principio di colpevolezza e, in particolare, di proporzionalità della pena. L'attuazione dell'art.27 Cost., secondo il quale è necessario che la risposta sanzionatoria sia proporzionata, non è infatti avvenuta immediatamente con l'avvento della Costituzione. Si parla di una "parabola ascendente" che attribuisce oggi alla proporzionalità un ruolo di "baricentro essenziale dell’adeguatezza del trattamento sanzionatorio legislativamente previsto"11

Da rilevare come la corretta valutazione dell'offesa contribuisca, talvolta, anche alla coerenza del sistema punitivo. Emblematica in tal senso la sentenza n.106/2014 con cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 69, comma IV, c.p. nella parte in cui precludeva la valutazione dell'attenuante dei fatti di minore gravità di violenza sessuale. L'atto sessuale di cui all'art.609bis c.p., infatti, comprende condotte eterogenee, rientrandovi sia gli atti di libidine sia le violenze carnali. Si tratta di condotte molto diverse tra loro proprio rispetto all'offesa procurata alla libertà sessuale della vittima. Il legislatore nell'inserire l'attenuante della minore gravità ha reso possibile una migliore valutazione del quantum di pena in relazione alla diversa carica offensiva del singolo fatto. L'automatismo, in tal caso, violava il principio di uguaglianza parificando situazioni differenti e inibiva la coerenza del sistema punitivo. 

Da ultimo l'automatismo è stato invalidato in ordine all'attenuante della collaborazione in materia di stupefacenti. “Si attribuisce, infatti, una rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo – quale sintomo della sua maggiore capacità a delinquere – rispetto alla condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato, benché quest’ultima possa essere in concreto ugualmente, o addirittura prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità”. 12

4. La recidiva e la funzione specialpreventiva della pena nell'attuale sistema costituzionale

Appare a questo punto interessante riflettere sul ruolo ricoperto dalla recidiva nell'attuale sistema costituzionale. Non può essere un mero caso, infatti, che la sentenza annotata come le altre censure riguardino solo il caso di recidiva reiterata.

L'art. 99 c.p. disciplina l'istituto della recidiva, il quale persegue un'indubbia funzione specialpreventiva atta a ostacolare la commissione di ulteriori delitti non colposi. La collocazione sistematica della norma ne evidenzia la natura, essendo inserita nel capo relativo alla pericolosità del reo.

La disciplina sul delinquente abituale, professionale o per tendenza, attiene proprio al grado di pericolosità del soggetto, che giustifica - accanto alla pena - la previsione di misure di sicurezza (art.109 c.p.) e di ulteriori effetti rispetto al trattamento penitenziario.

L'automatismo sanzionatorio previsto per la recidiva reiterata deve essere valutato, dunque, a fronte dell'intero sistema. La maggiore pericolosità del recidivo reiterato, eventualmente non considerata dalla prevalenza dell'attenuante del vizio parziale di mente, rileverebbe anche nella determinazione della misura di sicurezza. La sentenza 73/2020 sottolinea il legame tra pena e misura di sicurezza, in quanto “se infatti è indubbio che il quantum della pena debba adeguatamente riflettere il grado di rimproverabilità soggettiva dell’agente, cionondimeno il diritto vigente consente, nei confronti di chi sia stato condannato a una pena diminuita in ragione della sua infermità psichica, l’applicazione di una misura di sicurezza”. Tale argomento avvalora la tesi della Corte, svuotando di senso l'automatismo nel caso di vizio parziale di mente. L'infermità del reo deve essere oggetto di un accertamento puntuale atto a valutarne l'incidenza anche rispetto alla maggiore propensione al crimine, evincibile dall'essere un recidivo.

La misura di sicurezza in tal caso dovrebbe auspicabilmente essere conformata alla pena, in modo da assicurare un efficace contenimento della pericolosità sociale del condannato, nonché adeguati trattamenti delle patologie o disturbi di cui è affetto il reo. L'automatismo è stato censurato anche rispetto all'art. 32 Cost., in quanto precludeva una corretta valutazione dell'infermità del reo e, dunque, un trattamento sanitario adeguato e personalizzato.

L'art. 99 c.p. prevede varie circostanze aggravanti legate alla maggiore pericolosità del reo e alla propensione al crimine dello stesso. La figura è figlia della concezione soggettiva del reato, per cui oggetto della fattispecie criminosa sono i fatti che mettono in pericolo l'ordinamento.

La pericolosità del recidivo è quindi legata all'allarme sociale che ne deriva e il nostro sistema misto, che di fatto unisce le istanze delle teorie di legalità formale con quelle sostanziali, attribuisce un ruolo di rilievo alla recidiva. Da un lato l'art. 99 c.p. descrive le varie ipotesi di recidiva, ordinandole secondo la crescente idoneità offensiva (recidiva semplice, aggravata e reiterata) e dall'altro l'art. 69, comma IV, c.p. impedisce che l'aggravante per la più grave forma di recidiva sia depotenziata da un'attenuante.

Alla luce degli insegnamenti della Corte Costituzionale le varie aggravanti previste dall'art. 99 c.p. risultano conformi con il principio di offensività, così come la presunzione di non soccombenza ex art.69 c.p. a determinate condizioni.

In primo luogo si richiede un accertamento sulla maggiore pericolosità del soggetto e la conseguente dichiarazione di recidiva, anche detta applicazione.

Rispetto alla presunzione, invece, si rintracciano alcuni aspetti problematici, in quanto la stessa è stata giudicata irragionevole rispetto a specifiche circostanze attenuanti. La Corte si è pronunciata in più occasioni sul punto, riscrivendo l'ambito di applicazione dell'art. 69, comma IV, c.p.. Rispetto a determinate attenuanti, dunque, l'aggravante della recidiva reiterata può risultare soccombente a seguito di bilanciamento con un attenuante. 

Ci si chiede allora se a fronte del principio di offensività e della personalizzazione del trattamento sanzionatorio, non sia auspicabile un intervento da parte del legislatore atto a rimuovere o ridefinire l'ambito della fattispecie, almeno rispetto alla recidiva reiterata. Nell'attesa di una simile azione la Corte Costituzionale non può che valutare le singole questioni sollevate alla luce della ragionevolezza, senza poter in alcun modo valutare le scelte di opportunità criminale, in ossequio al fondamentale principio di separazione dei poteri.


Note e riferimenti bibliografici

1Il principio di offensività richiede non solo la presenza di un'offesa ma anche la proporzione tra offesa e risposta sanazionatoria. L'offensività è, dunque, un elemento di coerenza del sistema penale.

2Tensioni con il principio in esame si rilevano in alcune fattispecie di pedopornografia, quale quella virtuale ex art. 600quater1 c.p. In tal caso le immagini virtuali sono realizzate utilizzando a loro volta immagini di minori, senza che vi sia un utilizzo o una partecipazione del minore come nelle ipotesi ex art. 600ter e 600quater c.p. Alla luce della rilevanza del bene giuridico, ivi tutelato, ossia la libertà sessuale e personale del minore, il legislatore opera un'importante anticipazione della punibilità che sul piano dell'offesa potrebbe porre alcuni dubbi. Sull’argomento A. DE LIA, “Ossi di seppia”? Appunti sul principio di offensività, in A. P., 2019, 1 ss; BERNARDI, Il costo “di sistema” delle opzioni europee sulle sanzioni punitive, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2018, 557 ss; PALIERO, Il diritto liquido. Pensieri post-delmasiani sulla dialettica tra le fonti penali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2014, 1099 ss. Da sottolineare,inoltre,  come la non punibilità del reato putativo, ex art.49 c.p. è un diretto precipitato del principio di materialità, secondo cui il reato esiste nella sua configurazione materiale e deve fondarsi su un fatto percepibile al di fuori del foro interno del soggetto. Sotto tale profilo, dunque, la putatività non ha alcun ruolo nella struttura del reato, peccando per difetto.

3Si veda GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969; MUSCO, Bene giuridico e tutela dell'onore, Milano, 1974; INSOLERA, Principio di eguaglianza e controllo di ragionevolezza sulle norme penali, in Introduzione al sistema penale, vol. I, a cura di Insolera, Mazzacuva, Pavarini, Zanotti, Torino, 2006, 313 ss; GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Molfetta, 2018, 562 ss..; MOCCIA, Sistema penale e principi costituzionali: un binomio inscindibile per lo Stato sociale di diritto, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2018, 1720 ss; BARTOLI, Offensività e ragionevolezza nel sindacato costituzionale sulle scelte di criminalizzazione, 2018, 1540 ss.

4Storica la C.Cost. 354/2002 che ha ravvisato nell'incriminazione della manifesta ubriachezza “la violazione dei principî costituzionali di legalità della pena e di orientamento della pena stessa all’emenda del condannato, ai quali, in base agli articoli 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, deve attenersi la legislazione penale. Si fa rifeminte a un reato d’autore, in violazione del principio di offensività del reato come rilevato gia dalla C.Cost. 263/2000 e C.Cost. 360/1995.

5C.Cost. 185/2015 ha sottolineato che “le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit». In particolare, «l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa. Nel caso di specie, la presunzione in questione, relativa alla colpevolezza e alla pericolosità del reo, sarebbe giustificata unicamente dall’appartenenza del nuovo episodio delittuoso al catalogo dei reati indicati dall’art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. Pen., ma non potrebbe trovare fondamento in un dato di esperienza generalizzato”. Sul punto anche C.Cost 139/2010; C.Cost. 265/2010; C.Cost.164/2011; C.Cost.182/2011; C.Cost.213/2013; C.Cost.232/2013.

6La Corte ritiene in via generale esperibile un sindacato negativo rispetto all'offesa, per cui è necessario che la scelta punitiva non sia manifestamente irragionevole. Solo a fronte di diritti fondamentali e di situazioni di particolare vulnerabilità il sindacato è positivo, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza. Si veda C.Cost.366/1991; C.Cost. 63/1994; C.Cost. 393/2006; C. Cost. 249/2010; C.Cost. 250/2010 C. Cost. 32/2014, C.Cost.40/2019.   

7Cass. Pen., Sez. VI, 26 febbraui 2016, n.8058. Interessante la recente sentenza della Cass.Pen., Sez. Un., 19 dicembre 2019, n.12348 che ha dichiarato la coltivazione domestica non punibile per atipicità del fatto. In particolare non sussisterebbe la condotta di coltivazione ex art. 73 TU Stup. in caso di coltivazioni di dimensione minima, effettuate con tecniche di produzione rudimentali, numero ridotto di piante, mancato inserimento nel mercato degli stupefacenti e destinazione personale. Espressamente la Corte afferma che “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

8C. Cost.192/2007; C.Cost.185/2015; C.Cass., Sez. Un., n. 35738, 5 ottobre 2010; C.Cass., Sez. VI, n. 34670, 5 agosto 2016.

9C.Cost. 251/2012 ha affermato che “la manifesta irragionevolezza delle conseguenze sul piano sanzionatorio del divieto di prevalenza dell’attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata è resa evidente dall’enorme divaricazione delle cornici edittali stabilite dal legislatore per il reato circostanziato e per la fattispecie base prevista dal primo comma della disposizione citata e dagli effetti determinati dal convergere della deroga al giudizio di bilanciamento sull’assetto delineato dallo stesso art. 73.In altre parole, ove si potessero applicare i criteri stabiliti dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. prima della modificazione operata dall’art. 6 del d.l. n. 99 del 1974, la pena da irrogare in un caso come quello in esame sarebbe, a seconda del tipo di recidiva, di un anno e sei mesi o di un anno e otto mesi, cioè di un anno per il reato attenuato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, aumentato, a seconda dei casi, di sei mesi o di otto mesi per la recidiva, mentre il giudizio di equivalenza, imposto dalla norma impugnata, determina un aumento di cinque anni”.

10“Le conseguenze del divieto di prevalenza dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648 cod. pen. Sulla recidiva risultano manifestamente irragionevoli, per l’annullamento delle differenze tra le due diverse cornici edittali delineate dal primo e dal secondo comma dell’art. 648 cod. pen. Nel caso in esame assume particolare rilievo non tanto la divaricazione tra i livelli massimi della pena detentiva prevista nei due commi, quanto, come ha rilevato la Corte rimettente, quella tra i livelli minimi, perché, per effetto della recidiva reiterata, il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di particolare tenuità (15 giorni di reclusione) viene moltiplicato per 48, determinando un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale recidiva dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi” .(C.Cost. 105/2014).

11GRIMALDI, Il principio di proporzionalità della pena nel disegno della Corte Costituzionale, in Giur. Pen., 2020, nel ricostruire in tal senso il principio sottolinea la sentenza della C. Cost. 179/2017 secondo cui “nella giurisprudenza costituzionale più recente gli interventi di questa Corte sulle disposizioni sanzionatorie sono divenuti più frequenti, con una serie di decisioni ispirate ad una sempre maggiore garanzia della libertà personale e dei principi costituzionali che delineano il volto costituzionale del sistema penale”.

12C.Cost.74/2016