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Pubbl. Mar, 27 Apr 2021

La Cassazione conferma l´autonomia del danno morale nella liquidazione del pregiudizio non patrimoniale

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Mauro Giuseppe Cilardi
AvvocatoUniversità degli Studi di Bari



Con il presente contributo è analizzata brevemente la sentenza 10 novembre 2020 n. 25164, con cui la Terza Sezione della Cassazione, ribadendo i principi fissati dalle precedenti pronunce n. 7513/2018 e n. 2461/2020, afferma che la liquidazione del danno non patrimoniale postula una valutazione atomistica e separata del danno alla salute e del danno morale.


ENG The paper analyzes the judgment of 10 November 2020 n. 25164, with which the Third Section of the Cassation, reaffirming the principles established by the previous rulings no. 7513/2018 and n. 2461/2020, states that the liquidation of non-pecuniary damage requires an atomistic and separate assessment of damage to health and non-pecuniary damage.

La Cassazione muove nel solco dell’orientamento recentemente espresso da Cass. Sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513 e ribadito in Cass. Sez. III, 4 febbraio 2020, n. 2461, ponendosi in linea di netta discontinuità con i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle celebri sentenze di “San Martino” dell’11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 in materia di danno non patrimoniale.

Al fine di meglio comprendere la pronuncia in parola, va ricordato che per danno non patrimoniale si intende la globalità delle conseguenze pregiudizievoli che incidono sulla sfera non patrimoniale e, quindi, personale del soggetto leso.

La Corte è, in particolare, chiamata a pronunciarsi sulle regole da seguire in merito alla liquidazione del danno in questione, aspetto a cui è preliminare la precisazione delle caratteristiche morfologiche e strutturali dell'istituto.

Sul punto, la tesi elaborata dalle richiamate Sezioni Unite del 2008 si impernia sull’affermazione che il danno non patrimoniale rappresenta una categoria unitaria, al cui interno le voci di danno biologico e di danno morale assumono una valenza meramente descrittiva, sicché in presenza di un danno alla salute la posta risarcitoria afferente al danno morale deve ritenersi già compresa nel danno biologico.

Per contro, allineandosi alle richiamate pronunce del 2018 e del 2020, la sentenza in commento ribadisce con chiarezza che il danno morale si atteggia come voce dotata di autonomia giuridica, che non deve considerarsi inclusa nel danno biologico. Invero, il danno biologico si connota come pregiudizio alla salute, incidente sulle vicende dinamico-relazionali della vita e, pertanto, accertabile mediante supporto medico-legale; il danno morale si qualifica, invece, come sofferenza che intinge esclusivamente la sfera interiore del danneggiato e non è misurabile mediante ausili di carattere tecnico, posto che difetta di base organica.

Le considerazioni da ultimo svolte trovano conforto nel dato letterale.

In particolare, gli artt. 138 e 139 del d. leg. n. 209 del 2005 (codice delle assicurazioni private), come riformati dalla l. n. 124 del 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), nel delineare il sistema di calcolo tabellare a cui il giudice deve attenersi per la liquidazione del danno non patrimoniale, per un verso, definiscono il danno biologico, facendo espresso riferimento all’incidenza del danno sugli aspetti dinamico-relazionali; per altro verso, isolano la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica.

Orbene, va evidenziato che il meccanismo di calcolo scolpito nelle predette norme costituisce l'esito di una valutazione legislativa basata sulla massima esperienziale compendiata nella nota locuzione "id quod plerumque accidit", posto che tale sistema tabellare tiene conto delle conseguenze ordinarie del danno alla salute, da intendersi come i pregiudizi che, secondo una regola di probabilità statistica, qualunque vittima che abbia sofferto le medesime lesioni è costretta a sopportare.

Le ridette norme consentono, peraltro, di operare una variazione in aumento del risarcimento del danno, ossia di tenere in considerazione circostanze di ordine eccezionale o specifico, ulteriori rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dalla menomazione, in guisa da effettuare una personalizzazione del danno rispetto al valore standard del risarcimento.

A tal proposito, la sentenza in esame ha cura di precisare che tale personalizzazione rappresenta un’operazione distinta dalla liquidazione del danno morale, posto che i due momenti di calcolo attengono a voci e fasi aventi natura e funzione differenti.

Se, infatti, con la c.d. personalizzazione del risarcimento il legislatore mira a stabilire, in concreto, un ristoro il più aderente possibile al pregiudizio concretamente patito sul piano del danno biologico, il danno morale deve essere risarcito in quanto dolore dell’animo, come tale meritevole di un compenso aggiuntivo a prescindere dalla personalizzazione.

Nel procedere alla determinazione del danno alla salute, pertanto, il giudice di merito deve non solo accertare la sussistenza di un eventuale concorso del danno relazionale alla salute e del danno interiore morale, ma anche valutare se esistono i presupposti concreti e specifici per personalizzare il danno biologico, attenendosi al sistema tabellare per le relative operazioni quantificatorie.

Infine, la sentenza precisa che, inerendo il danno morale ad un bene immateriale, ai fini probatori le massime di esperienza acquistano particolare risalto. Difatti il meccanismo tabellare sopra richiamato, previsto dalla legge per la liquidazione del danno alla salute, si fonda su un ragionamento presuntivo ancorato a regole esperienziali, alla stregua delle quali ad ogni tipo di lesione corrisponde, in via ordinaria e sulla base dell’id quod plerumque accidit, una specifica menomazione di carattere dinamico-relazionale.

Il ricorso alla prova presuntiva non deve, tuttavia, sostituire l’onere probatorio gravante sul danneggiato ex art. 2697 c.c. di allegazione di tutte le circostanze concretamente idonee a ricomporre la serie causale dei fatti noti, mediante la quale risalire al fatto ignoto. In tal modo, la Corte dà mostra di negare cittadinanza giuridica alla figura del danno in re ipsa, in forza della quale il danno integrerebbe una conseguenza necessaria e inevitabile della lesione, di talché la prova di quest’ultima renderebbe superflua la dimostrazione del pregiudizio sofferto.

La ratio di tale approccio ermeneutico è duplice.

Vengono, infatti, in rilievo non solo il rispetto del dato normativo, ma altresì l’esigenza di evitare automatismi risarcitori, contrastanti con la funzione prevalentemente riparatoria assolta, nel nostro ordinamento giuridico, dal sistema della responsabilità civile, in omaggio alla quale il risarcimento del danno non può essere concesso se non come conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno ai sensi del combinato di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c.


Note e riferimenti bibliografici

F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, Dike Giuridica, Roma, 2020;

F. DI CIOMMO, Tanto tuonò che piovve. La Cassazione abbandona le tabelle milanesi ritenendole inadeguate a considerare il danno morale (nota a Cass. 4 febbraio 2020, n. 2461), in Foro it., 2020, I, 2014;

R. GIOVAGNOLI, Manuale di Diritto Civile, Itaedizioni, Torino, 2019;

R. PARDOLESI, R. SIMONE, Il danno morale e la Torre di Babele (nota a Cass. 10 novembre 2020, n. 25164 e 4 novembre 2020, n. 24473), in Foro it., 2021, I, 533.