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Pubbl. Gio, 25 Mar 2021

Maltrattamenti in famiglia: applicabilità della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale

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Francesco Bellocchio
Avvocato



La pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 34 del codice penale, può essere irrogata anche nell’ipotesi di condotte violente “indirettamente” rivolte contro i figli minori. Cass. Pen. Sez. V, n. 34504/2020


Sommario: 1. Premessa; 2. Il delitto di maltrattamenti in famiglia; 3. Le pene accessorie: la sospensione della responsabilità genitoriale; 4. Violenza assistita e sospensione della responsabilità genitoriale; 5. Conclusioni.

1. Premessa.

Il delicato argomento proposto nel presente articolo analizza il recentissimo orientamento giurisprudenziale in merito al rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e l’irrogazione della pena accessoria di cui all’art. 34 del Codice penale, nel particolare caso in cui il minore non sia stato direttamente colpito dalla condotta violenta, ma abbia assistito ad atti di violenza e sopraffazione nei riguardi dell’altro genitore.

In via del tutto preliminare, occorre argomentare in merito al delitto di maltrattamenti in famiglia, cercando di cogliere gli elementi strutturali del reato, analizzando altresì l’applicabilità della sospensione della responsabilità genitoriale.

2. Il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia, previsto e punito dall’art. 572 c.p., è inserito all’interno del Titolo XI del Libro II, il quale si pone l’obbiettivo di apprestare una tutela alla famiglia.

Il concetto di “famiglia”, all’interno del Titolo XI, è utilizzato in accezioni diverse poiché a volte si riferisce alla famiglia c.d. nucleare, composta cioè dai coniugi ed eventualmente dai figli di questi, in altri casi, invece, si riferisce ad una “comunità” più estesa, ricomprendente i parenti, gli affini ed i conviventi.

Queste considerazioni derivano da un’attenta lettura del Codice penale, il quale non fornisce mai una nozione di “famiglia penalisticamente orientata”, lasciando all’interprete il ruolo di definire, di volta in volta, la portata del termine.

Sotto questo punto di vista, la rubrica del delitto di maltrattamenti in famiglia ci suggerisce di aderire ad un concetto di “famiglia” piuttosto esteso, ricomprendente non soltanto i coniugi ed i figli, ma includendo altresì i conviventi.

Infatti, giurisprudenza ormai consolidata ammette la configurabilità del delitto in parola ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma anche a qualunque relazione sentimentale che, caratterizzata dalla consuetudine dei rapporti creati, abbia fatto insorgere vincoli affettivi e aspettative di assistenza [1].

Il bene giuridico tutelato dalla norma consiste sia nell’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche alla difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma incriminatrice [2].

Sul punto, particolare arresto giurisprudenziale ha evidenziato la sussistenza del delitto di maltrattamenti anche in presenza di atteggiamenti c.d. iperprotettivi, qualora questi si traducano in eccesso di protezione e di accudienza, tali da ledere l'integrità fisica, l’integrità morale, la libertà o il decoro della vittima [3].

Il delitto di maltrattamenti in famiglia è un reato proprio [4], poiché tra l’agente e la vittima deve sussistere una situazione giuridica, derivante da un vincolo matrimoniale, o una relazione di fatto, caratterizzata da una convivenza o da una stabile relazione affettiva [5].

La particolare estensione del termine “famiglia”, permette di apprestare tutela non solo ai componenti della famiglia “legale”, ma anche ai membri delle unioni di fatto fondate sulla convivenza e connotata da un rapporto tendenzialmente stabile, fondato su legami di reciproca assistenza e protezione [6].

Secondo consolidata giurisprudenza, l’elemento psicologico richiesto in capo all’agente è il dolo generico, ossia la volontà e la consapevolezza del compimento di una pluralità di atti di maltrattamento [7].

Compreso l’elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti, occorre soffermarsi su un ulteriore aspetto: la condotta delittuosa.

La condotta tipica ed abituale [8] del reato in parola consiste nel maltrattare, ponendo in essere atti lesivi dell’integrità fisica o morale, della libertà o del decoro, rendendo dolorose e mortificanti le relazioni tra l’agente e la vittima [9].

Sul punto, sia autorevole dottrina [10] che consolidata giurisprudenza [11], ritengono che le sofferenze fisiche e morali, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire reato, in quanto la ratio dell’antigiuridicità risiede nella reiterazione protrattasi in un arco di tempo.  

Orbene, è importante considerare che lo stato di sofferenza e di umiliazione patito dalla vittima può, secondo autorevole giurisprudenza [12], derivare anche da un clima generalmente instaurato all’interno di una comunità, quale può essere ad esempio la condotta di operatrici di un istituto pubblico di assistenza nei confronti di persone anziane ricoverate in lunga degenza.

3. Le pene accessorie: la sospensione della responsabilità genitoriale.

La dottrina penalistica concepisce due differenti nozioni di reato, una di queste è la nozione formale.

Come noto, la nozione formale concepisce il reato come un fatto umano al quale viene ricollegata una sanzione: la pena, principale o accessoria.

Esigenze di sintesi impongono, in questa sede, di non approfondire nel dettaglio tutti gli aspetti che coinvolgono le pene (principali e accessorie), ma di concentrare l’attenzione sulla pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale.

L’istituto della sospensione della responsabilità genitoriale, disciplinato dall’art. 34 c.p., ha subito nel tempo varie modifiche, attraverso le quali si è cercato di adeguare il dettato normativo di matrice penale alla riforma del diritto di famiglia [13], ispirata al principio di parità tra i coniugi.

Ed invero, è stato sostituito il riferimento alla patria potestà attraverso l’accoglimento della c.d. potestà genitoriale, eliminando altresì ogni riferimento all’autorità maritale [14].

Sul punto, autorevole dottrina [15], rileva che il contenuto della sanzione non è tuttavia mutato, in quanto la modifica ha natura esclusivamente formale.

Ultima novella apportata all’istituto è rappresentata dall'art. 93, del D. Lgs. n. 154/2013, che ha riformato la disciplina civilistica della filiazione, sostituendo, in tutte le disposizioni del Codice penale e di procedura penale, l'espressione “potestà dei genitori” con “responsabilità genitoriale”, la cui definizione è contenuta nel novellato art. 316 del Codice civile.

Fatta questa breve, ma doverosa premessa, possiamo rilevare che l’art. 34 co. 2 e 4 c.p. dispone che “la condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale importa la sospensione dall'esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta”, ma comporta anche “l'incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del Codice civile[16].

Dalla lettura attenta del disposto normativo citato, è palese l’automatismo con cui la suddetta pena accessoria venga inflitta al genitore qualora ne ricorrano i presupposti.

Detto automatismo permette, altresì, di considerare che la sospensione della responsabilità genitoriale venga comminata anche senza un’espressa dichiarazione del giudice [17], occorrendo, invece, un’espressa statuizione giudiziale motivata, in punto di pena accessoria, solo per derogare all'automatismo [18].

La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, affermato che “in conseguenza dell'automatismo, la sospensione possa essere inflitta anche in fase di esecuzione, se non applicata dal giudice del merito” [19].

Inoltre, in luce dell'art. 330 c.c., la sospensione della responsabilità genitoriale ricorre anche quando vi sia stata violazione o trascuratezza dei doveri relativi alla responsabilità genitoriale con grave pregiudizio, materiale o morale, per l'interesse del figlio [20].

Un’ultima considerazione riguarda la possibilità della sussistenza dei doveri da parte del genitore che abbia subito la pena accessoria in argomento.

Sul punto, dottrina dominante [21] considera che debbano permanere i doveri verso i figli, relativi alla responsabilità, per esempio quelli di mantenere, istruire e educare la prole, previsti dall'art. 147 del Codice civile.

4. Violenza assistita e sospensione della responsabilità genitoriale.

La Quinta Sezione, pronunciandosi in tema di maltrattamenti in famiglia, ha affermato che è applicabile la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 34, comma secondo, cod. pen., anche quando le condotte di reato, colpendo l’altro genitore, siano indirettamente rivolte contro i figli minori, costringendoli ad assistere, secondo i parametri normativi di cui all’art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, cod. pen., ad atti di violenza e sopraffazione destinati ad avere inevitabili conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica.

Il caso di specie riguardava la condanna dell'imputato per i reati di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, lesioni personali, aggravati dalla circostanza di essere stati commessi in presenza dei figli minori, ex art. 61 c.p. co. 1 n. 11-quinquies del Codice penale.

Contro la sentenza di condanna, interponeva appello l’imputato, il quale lamentava, tra i vari motivi, l’erronea applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 34 c.p., per essere la condanna intervenuta in relazione a un reato, quello di maltrattamenti in famiglia, perpetrato unicamente nei confronti della convivente e madre dei figli del ricorrente, ma non nei confronti di questi ultimi, benché in loro presenza.

Sul punto, il principio espresso dal Supremo consesso si fonda sulla diversa struttura semantica del secondo comma rispetto al primo comma di cui all’art. 34 del Codice penale.

Ed invero, mentre la pena accessoria indicata nel primo comma, riguardante la decadenza dalla responsabilità genitoriale, si fonda sull’esistenza di un'espressa previsione di legge dettata per ciascun caso, la sospensione della responsabilità genitoriale, disciplinata nel secondo comma, è ricollegata alla più generale clausola normativa “dell’aver riportato condanna per un reato commesso con abuso della responsabilità genitoriale”.

Il secondo passo argomentativo della Suprema Corte riguarda il nodo interpretativo relativo a quali reati possano rientrare nel novero di quelli commessi abusando di tale responsabilità, considerando, altresì, che la disciplina privatistica, all’art. 316 c.c., impone al genitore (attraverso la responsabilità genitoriale) il dovere di crescere i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni.

Conseguentemente, al venir meno del genitore a tali doveri consegue la decadenza da tale responsabilità; mentre, ai sensi dell’art. 330 c.c., quando la condotta non sia tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza, ben può il giudice adottare provvedimenti finalizzati ad interrompere “il mal agire” del genitore nei confronti del figlio.

Il terzo punto analizzato dagli ermellini, si fonda sull’analisi del concetto di abuso della responsabilità genitoriale, il quale consiste nell'uso abnorme dei poteri, nella violazione o inosservanza dei doveri inerenti alla responsabilità.

Ed invero, il Supremo consesso ritiene che nella categoria dei reati commessi con abuso della responsabilità genitoriale, ai sensi del secondo comma dell'art. 34 c.p., possano essere inserite anche le fattispecie aggravate ai sensi dell'art. 61, comma 11-quinquies, del Codice penale.

Pertanto, configurano un canone comportamentale abusivo della responsabilità genitoriale, non soltanto le condotte di reato direttamente rivolte contro i figli minori ma anche quelle indirettamente rivolte contro di loro, le quali, colpendo, come nel caso di specie, pervicacemente e brutalmente l'altro genitore, li costringono ad assistere, secondo i parametri normativi dettati dall'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies c.p., ad una violenza e sopraffazione destinate ad avere inevitabilmente conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica, segnandone il carattere e la memoria [22].

In conclusione, sussiste l’abuso della responsabilità genitoriale non solo nel caso in cui la violenza assistita sia stata idonea a configurare di per sé una condotta di maltrattamenti ai danni dei minori, spettatori della violenza o della vessazione di un altro familiare, ma anche quando la violenza assistita sia configurata come aggravante di un reato commesso nei confronti di costui.

5. Conclusioni.

In luce al principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione ed in relazione al combinato disposto degli artt. 24 co. 3 - della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - e 9 co. 1 - della Convenzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989 – si può agevolmente ritenere che tutte le decisioni che riguardano il minore debbano ispirarsi al principio di salvaguardia dell’interesse di quest’ultimo.

Detto principio, è palesemente rappresentato dalla lettura dell’art. 34 c.p., il quale, infatti, delega alla legge il delicato compito di definire i casi nei quali alla condanna debba seguire la decadenza della responsabilità genitoriale, mentre per la sospensione si effettua un semplice richiamo ad una categoria giuridica “elastica”, il c.d. abuso della responsabilità genitoriale.

Questa disparità di applicazione tra la sospensione e la decadenza si fonda sulla diversa incidenza dei due istituti sulla vita del minore, permettendo così l’applicazione della decadenza solo come extrema ratio.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen. Sez. VI, n. 31121/2014;

[2] M. RIVERDITI, Manuale Tecnico-Pratico di diritto penale. Parte generale e speciale, ed. 2018, pag. 1004;

[3] Cass. Pen. Sez. VI, n. 36503/2011;

[4] G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale. Parte Speciale, I, p. 378;

[5] Cass. Pen. Sez. VI, n. 23830/2013;

[6] Cass. Pen. Sez. VI, n. 22915/2013;

[7] Cass. Pen. Sez. VI, n. 9933/2020, Cass. Pen. Sez. VI, n. 47444/2019, Cass. Pen. Sez. VI, n. 10901/2017;

[8] F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, p. 270; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto Penale. Parte Generale, p. 200 ss.; FORNASARI, Reato Abituale (voce), in Enc. Giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991; M. RIVERDITI, Manuale Tecnico-Pratico di diritto penale. Parte generale e speciale, ed. 2018, pag. 1020; Cass. Pen. Sez. VI, n. 8510/1996; Cass. Pen. Sez. VI, n. 37019/2003;

[9] Cass. Pen. Sez. VI, n. 9595/1989;

[10] F. COPPI, Maltrattamenti in famiglia, in ED, p. 248; F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale. Parte Speciale, I, p. 536;

[11] Cass. Pen. Sez. VI, n. 9923/2012;

[12] Cass. Pen. Sez. VI, n. 8592/2010;

[13] L. 19 maggio 1975, n. 151;

[14] ; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto Penale. Parte Generale, p. 741 ss.;

[15] VINCIGUERRA, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981, n. 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, p. 410; ZAMBUSI, Le pene accessorie, in Comm. Ronco, III, p. 363; ROMANO, Comm. Romano, Parte Generale, I, p. 283; PISA, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984; LARIZZA, Le pene accessorie, Padova 1986, p. 110 ss.;

[16] Art. 34 co. 2 e 4 codice penale;

[17] M. RIVERDITI, Manuale Tecnico-Pratico di diritto penale. Parte generale e speciale, ed. 2018, pag. 253 ss.;

[18] VINCIGUERRA, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981, n. 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, p. 417;

[19] Cass. Pen. Sez. I, 3 ottobre 1997;

[20] LARIZZA, Le pene accessorie, Padova 1986, p. 116 ss.; ZAMBUSI, Le pene accessorie, in Comm. Ronco, III, p. 364 ss.;

[21] NASTRO, Le pene accessorie e le altre misure, in BERTONI, LATTANZI, LUPO, VIOLANTE, Modifiche al sistema penale, II, Milano, 1982, p. 209; ZAMBUSI, Le pene accessorie, in Comm. Ronco, III, p. 365; ROMANO, Comm. Romano. Parte Generale, I, p. 284; contra VINCIGUERRA, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981, n. 689. Infrazione amministrativa e reato, Padova, 1983, p. 411;

[22] Cass. Pen. Sez. V, n. 34504/2020;