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Pubbl. Gio, 17 Set 2020

Millantato credito e traffico di influenze illecite: la Cassazione esclude la continuità normativa

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Rosaria Maria Cavallaro



Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all´art. 346, comma 2, c.p., abrogato dall´art. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., in quanto in quest´ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all´art. 640, comma 1, c.p.. (Nota a Cass. pen. sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 5221)


ENG There is no regulatory continuity between the boasted credit offense pursuant to art. 346, paragraph 2, c.p., repealed by art. 1, paragraph 1, lett. s), law 9 January 2019, n. 3, and that of trafficking in illicit influences referred to in the revised art. 346-bis c.p., as the latter case does not include the conduct of those who, by means of deception or artifice, receive or have money or other benefits given or promised, under the pretext of having to buy the public official or employee or in any case having to remunerate, conduct which instead integrates the crime referred to in art. 640, paragraph 1, c.p.. (Note to Cass. pen., section VI, 7 February 2020, n. 5221)

Sommario: 1. Preambolo; 2. L’abrogata fattispecie di millantato credito; 3. L’introduzione del traffico di influenze illecite ad opera della l. 6 novembre 2012, n. 190; 4. L’unificazione delle fattispecie ad opera della l.  9 gennaio 2019, n. 3. L’innovato traffico di influenze illecite; 5. La sentenza della Cassazione: l’assenza di continuità normativa tra l’art. 346, primo e secondo comma, e la fattispecie di cui all’art. 346-bis, per come modificata dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, c.d. “spazzacorrotti”; 6. Conclusioni.

1. Preambolo

La sentenza in commento (Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 5221) affronta il tema della continuità normativa tra l’abrogato art. 346, secondo comma, c.p. e il traffico di influenze illecite ex art. 346-bis c.p., così come riformulato dalla legge n. 3/2019.

Nell’escludere tale rapporto di continuità, la Cassazione, discostandosi dalla voluntas legis tesa ad inglobare il millantato credito nell’art. 346-bis c.p., offre il destro – ancora una volta – per una doviziosa disamina:

  1. del delitto di traffico di influenze illecite, il cui disvalore sembra fondarsi, più che sulla mera relazione tra mediatore e funzionario pubblico, sullo sfruttamento illecito di una capacità di influenza e sul potenziale danno arrecato ai terzi che non abbiano pari accesso ai meccanismi decisionali della pubblica amministrazione;
  2. della riespansione, giusta abrogazione della fattispecie di cui all’art. 346, comma 2, c.p., del delitto di truffa ex art. 640 c.p. per quelle condotte decettive nei confronti di un soggetto che, indotto da una falsa rappresentazione della realtà, perviene ad un accordo che lo impegna ad una prestazione di pagamento.

La superiore disamina prende le mosse da una tipica ipotesi di venditio fumi: il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dovere comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare.

Segnatamente, un soggetto, vantando aderenze e conoscenze inesistenti, si propone ai cc.dd. “compratori di fumo” per assicurare un posto di lavoro, per far revocare un provvedimento di sospensione della patente, sbloccare il sequestro di una autovettura, contattando pubblici funzionari dietro pagamento dell’opera di mediazione oppure attraverso una dazione di denaro che, nella prospettazione data dal millantatore, sarebbe stata destinata ai soggetti pubblici, asseritamente disposti, dietro pagamento, ad agire in favore degli interessati.

Premessa tale cornice fattuale, la Corte, investigata la vicenda giudiziaria nel prisma dei nomoi rilevanti nel caso concreto, statuisce la discontinuità normativa tra l'abrogata ipotesi di millantato credito e quella prevista nell'art. 346-bis c.p. nella parte in cui punisce il faccendiere che, sfruttando o vantando relazioni asserite con l'agente pubblico, si fa dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità per remunerare l'agente pubblico in relazione all'esercizio delle sue funzioni.

Di talché, escludendo che le fattispecie precedentemente ascrivibili al capoverso dell’abrogato art. 346 c.p. possano essere riqualificate in traffico di influenze illecite, conclude per la sussistenza del delitto di truffa, giusta riespansione del suo perimetro applicativo.

In particolare, integra il delitto di truffa la condotta di chi, sfruttando o vantando relazioni asserite con un agente pubblico, mediante artifici e raggiri, induce in errore la vittima, che si determina a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità a colui che vanta rapporti con l’agente pubblico.

2. L’abrogata fattispecie di millantato credito

L’esame giuridico della pronuncia in commento impone, quale prius logico imprescindibile, una breve disamina dell’ondivago delitto di millantato credito, denominato, ab origine, con linguaggio comune, “vendita di fumo”, in quanto l’autore, fornendo una rappresentazione fallace della capacità di orientare le decisioni degli amministratori pubblici, persuade il suo interlocutore a dare o promettere denaro o altra utilità[1].

Siffatto delitto, nell’evoluzione dottrinaria e nei numerosi arresti giurisprudenziali, ha registrato, in ragione della sua natura, diverse e talora contrastanti posizioni interpretative d’ordine esegetico e sistematico.

Ed invero, sottolineata spesso dalla dottrina la sua nota saliente di ambiguità[2] per il continuo oscillare tra la figura delittuosa della truffa e quella prospiciente ed opposta della corruzione, la fattispecie multipla o dicotomica di cui all’art. 346 c.p., per la sua «poliedricità»[3], storicamente a metà strada fra i delitti contro la P.A. e quelli contro il patrimonio, esercitava un fascino particolare, assumendo specifici connotati maiestatici.

L’assonanza con le condotte truffaldine induceva, prima facie, a ritenere il delitto di millantato credito una particolare figura di truffa.

A fortiori, la più grave fattispecie di cui al 2° comma dell’art. 346 c.p., facendo perno sul “pretesto” che ingloba in sé un comportamento di falso e di fronde, accostava sinergicamente il millantato credito alla truffa.

In realtà, alla stregua di un solerte e scrupoloso esame, emergeva¸ inevitabilmente, l’evidente iato tra le due fattispecie incriminatrici. Il reato de quo rispondeva ad un’esigenza di tutela diversa e, per l’effetto, non colmabile dalla fattispecie di cui all’art. 640 c.p., atteso che esso mirava a colpire la lesione o messa in pericolo dell’interesse della pubblica amministrazione: la condotta ingannatoria nei confronti del privato, posta in essere adducendo influenze rispetto ad organi sensibili della P.A., finiva, inevitabilmente, per svelare la malleabilità degli stessi a fronte di interventi esterni e rispondenti a logiche privatistiche, ben distanti dal perseguimento del pubblico interesse[4].

Nondimeno, analizzando compiutamente i requisiti di tipicità del millantato credito, strutturato con modalità bifasica, balzava agli occhi la non necessaria ricorrenza, nella condotta di “millantamento”, di note di frode o inganno nonché la possibile assenza del danno patrimoniale in capo al soggetto privato.

Pertanto, il millantato credito, così come colorato dal legislatore del 1930, allontanandosi concettualmente sempre più dalla truffa, abbandonava l’argine della connotazione patrimoniale del danno del privato e traghettava verso le sponde della tutela della pubblica amministrazione.

Quanto supra, lungi dal costituire pleonasmo ovvero uno sterile tentativo preordinato a dare una decisa collazione, anche dogmatica, dell’illecito in parola, ha rappresentato l’abbrivio per il conio della propizia locuzione “traffico di influenze illecite”, tesa a rubricare le molteplici fattispecie riconducibili al superato millantato credito: ciò, in uno con l’intrinseca vaghezza del verbo millantare che, intanto, aveva indotto la giurisprudenza ad ampliare significativamente le maglie applicative dell’art. 346 c.p. fino a ricomprendervi le ipotesi in cui la relazione tra l’intraneus e il soggetto attivo fosse effettivamente sussistente.

3. L’introduzione del traffico di influenze illecite ad opera della l. 6 novembre 2012, n. 190

Con la L. 6.11.2012, n. 190, l'Italia ha dato seguito agli impegni internazionali assunti con la “Convenzione penale sulla corruzione” del 1999 e con la “Convenzione contro la corruzione”, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU nel 2003 con risoluzione n. 58/4 (Convenzione di Merida), ratificata con L. 3.8.2009, n. 116.

In ossequio a tali impegni internazionali, l'art. 1, 75° comma, lett. r), l. 6.11.2012, n. 190 (meglio nota come legge Severino) ha introdotto la nuova ipotesi delittuosa di traffico di influenze illecite, volta a punire il comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione.

Segnatamente, il primo comma dell’art. 346-bis c.p. incriminava il cd. faccendiere, un soggetto che, in forza della propria relazione con l’intraneus, otteneva dal privato la promessa o la dazione di una somma di denaro o di un altro vantaggio patrimoniale quale prezzo della sua opera di intermediazione illecita ovvero – nei casi di traffico di influenze “gratuito” – quale compenso da destinare al pubblico ufficiale.

Il secondo comma, invece, sanzionava (e, come si vedrà infra, sanziona tutt’ora) il compratore dell’influenza indebita: questi, a differenza che nel millantato credito, non era vittima delle condotte truffaldine dell’agente, ma controparte di un accordo illecito, potenzialmente idoneo a pregiudicare il buon funzionamento dalla pubblica amministrazione[5].

Nella prospettiva generale di un rafforzamento delle strategie di contrasto al fenomeno della corruzione, tale inedita fattispecie perseguiva, evidentemente, lo specifico obiettivo politico-criminale di anticipare l’intervento penale, di guisa da sanzionare anche condotte prodromiche rispetto agli accordi corruttivi in senso stretto.

Senonché, al favore dei primi commentatori[6] – che hanno condiviso l’opportunità politico-criminale di annettere rilevanza penale a condotte di mediazione illecita collocate nella zona d’ombra dell’attività di lobbying – si è affiancata la denuncia del rischio di un’estensione eccessiva dell’ambito di tipicità del nuovo reato, incriminante la vendita dell’intermediazione verso pubblici agenti finalizzata a far conseguire al terzo un indebito vantaggio, attraverso un atto contrario ai doveri d’ufficio o l’omissione di un atto di ufficio.

Ma le critiche più aspre si sono concentrate proprio sulla scelta di mantenere in vita la limitrofa – e più grave – incriminazione di millantato credito con conseguenti problemi di interferenza (diacronica e sincronica) fra i due reati.

Ed invero, già dalla mera lettura del testo normativo di cui all’art. 346-bis c.p., emergevano gli ampi tratti comuni del reato de quo al delitto di millantato credito, dal quale si discostava per l’effettiva esistenza delle relazioni tra il soggetto attivo e i pubblici ufficiali nonché per la punibilità anche del soggetto che aderisce alle richieste indebite, in quale non è vittima del reato, bensì complice del c.d. mediatore.

Orbene, è proprio in ragione delle vistose analogie con il reato di millantato credito di cui all’art. 346 c.p., che si sono registrati problemi teorici e applicativi di non poco momento, specie nelle ipotesi ibride: come nel caso – citato dalla manualistica – di relazioni superficiali con il pubblico funzionario che fossero, però, enfatizzate dal mediatore.

L’actio finium regundorum è stata curata, inevitabilmente, dalla giurisprudenza di legittimità[7].

Mentre per la dottrina la millantazione non coincideva necessariamente con la millanteria falsa[8], per la Corte regolatrice il delitto di millantato credito si differenziava da quello di traffico di influenze illecite in quanto presuppone l’inesistenza del credito, della relazione con il pubblico ufficiale e dell’influenza stessa. Di contro, il traffico di influenze illecite postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque di orientare la condotta del pubblico ufficiale (Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 2017, n. 37463).

Le infissioni testé rassegnate, volte a definire razionalmente il discrimen tra le due fattispecie incriminatrici in oggetto, erano, fino all’entrata in vigore della riforma del 2019, gravide di rilevanti conseguenze sotto il profilo intertemporale.

Ed invero, se in riferimento alla posizione di chi asseconda il trafficante di influenze si era indubbiamente dinanzi ad una nuova incriminazione, problemi di successioni di leggi nel tempo si sono posti in relazione alla posizione del c.d. mediatore, il cui comportamento – come si è visto – era già sussunto dalla giurisprudenza sub art. 346 c.p., nonostante il riferimento ivi operato alla millanteria suggerisse la punibilità delle sole condotte insistenti su relazioni inesistenti[9].

Da tale constatazione discendeva, quale logico corollario, l’applicabilità dell’art. 2, comma 4, c.p., volto ad assoggettare le condotte commesse prima dell’entrata in vigore dell’art. 346-bis c.p. alla più mite sanzione ivi prevista: profilo quest’ultimo che ha portato parte della dottrina a rilevare profili di irragionevolezza della previsione di una sanzione più mite a fronte di una condotta maggiormente offensiva, in quanto riferita ad influenze in grado di condizionare effettivamente il pubblico agire.

Sul punto, mirabile il dictum della giurisprudenza di legittimità allorché ha statuito che

«le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, riconducibili, prima della legge n. 190 del 2012, al reato di millantato credito, devono essere sussunte dopo l'entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., nella fattispecie di cui all'art. 346 bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità tra norma generale e quella speciale» (Cass. pen., sez. VI, 28 novembre 2014, n. 51688).

4. L’unificazione delle fattispecie ad opera della l.  9 gennaio 2019, n. 3. L’innovato traffico di influenze illecite

A fronte dell’evidente ambito di sovrapponibilità tra le due incriminazioni, della faticosa distinzione ermeneutico-giurisprudenziale che ne è derivata e, non ultimo, dei segnalati profili di irragionevolezza della disciplina, la l. 9 gennaio 2019, n. 3 ha disposto l’unificazione delle due figure di reato, disponendo l’abrogazione dell’art. 346 c.p. e modificando l’art. 346-bis c.p..

Segnatamente, con la l. 3/2019 e, per l’effetto, con l’attuata “fusione per incorporazione”, si è voluto "soddisfare appieno gli obblighi internazionali sottoscritti, che impongono la punibilità di entrambi i soggetti senza distinguere tra mediazione veritiera e mendace"[10] nonché riportare a ragionevolezza una situazione di paradossale mismatch sanzionatorio[11].

In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. s), della l. n. 3 del 2019 ha abrogato l’art. 346 c.p., mentre la lett. t) del medesimo articolo ha modificato l’art. 346-bis c.p., entro cui sono state riversate le condotte espunte dall’abrogatio (sine abolitione)[12].

I due interventi legislativi vanno quindi letti in combinato tra loro: è stato abrogato il millantato credito ma, contestualmente, il relativo fascio di condotte tipiche è stato ricompreso nei confini della nuova formulazione del traffico di influenze illecite, ora incentrata sullo sfruttamento o sulla vanteria (da parte dell’intermediario) di relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis c.p..

Di talché, si è realizzato una sorta di “sincretismo incriminatorio”[13]finalizzato a includere nel fuoco della rinnovata fattispecie ogni possibile forma di mercanteggiamento delle relazioni con il pubblico agente.

All’indomani della novella del 2019, in sede di legittimità, la prima sentenza che ha recepito il riscritto art. 346-bis c.p. in una vicenda imputativa di millantato credito, ha fissato il perimetro applicativo dell’innovato delitto di cui all’art. 346-bis c.p., statuendo, espressamente, che il riscritto traffico di influenze illecite punisce (anche) la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali, di natura economica o meno, rappresentandogli la possibilità di intercedere a suo vantaggio presso un pubblico funzionario, a prescindere dall’esistenza o meno di una relazione con quest’ultimo[14].

Pertanto,

"in relazione alla condotta di chi, vantando un'influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, si faccia dare denaro e/o altre utilità come prezzo della propria mediazione, sussiste piena continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 346 c.p., formalmente abrogata dalla L. 9 gennaio 2019 n. 3, e la fattispecie di cui all'art. 346 bis c.p., come novellato dalla stessa legge" (Cass. pen., sez. VI, 14 marzo 2019, n. 17980, N.A.).

Ciò a condizione – è bene rammentare – che l’agente non eserciti effettivamente un’influenza sul pubblico ufficiale e non vi sia mercimonio della pubblica funzione, dandosi luogo, a taluna delle ipotesi di corruzione, giusta clausola di riserva "fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’art. 322-bis".

Il superiore assunto, evidentemente, è frutto della completa equiparazione, sul piano penale, tra la mera vanteria di una relazione o di credito con un pubblico funzionario soltanto asserita e, in effetti, inesistente (dunque, solo millantata) e la rappresentazione di una relazione realmente esistente con il pubblico ufficiale da piegare a vantaggio del privato. Una parificazione che dovrà essere governata dal giudice (della cognizione), al cui prudente apprezzamento è rimessa la dosimetria sanzionatoria in funzione dell’effettiva gravità in concreto dei fatti.

Orbene, la continuità normativa fin qui esplicitata comporta, ex se, notevoli (ed inevitabili) risvolti applicativi: il privato committente viene ora punito anche quando non compri altro che il fumo, a nulla rilevando il fatto che costui sia vittima dell’inganno di controparte.

Ovvie a trarsi le tensioni con i fondamentali principi di materialità ed offensività.

Ed invero, la scelta di ricomprendere in un unico macro-reato modelli comportamentali espressivi di un differente disvalore consegna all’interprete una fattispecie “a tipicità ubiquitaria”[15], i cui margini applicativi si rivelano potenzialmente amplissimi e non agevolmente precisabili[16].

I profili di ragionevolezza testé indicati hanno indotto la giurisprudenza di legittimità, a pronunciarsi nuovamente sul punto (id est, sulla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 346-bis c.p., per come modificata dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, c.d. “spazzacorrotti”).

La Corte, ancora una volta interrogata sugli aspetti critici involgenti il rapporto tra i diversi episodi criminosi di cui all’art. 346-bis c.p., con un’interpretazione restrittiva e sistematica ha conferito al delitto de quo una chiave di lettura maggiormente conforme ai beni giuridici tutelati e alle fenomenologie coinvolte (v. infra).

5. La sentenza della Cassazione: l’assenza di continuità normativa tra l’art. 346, primo e secondo comma, e la fattispecie di cui all’art. 346-bis, per come modificata dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, c.d. “spazzacorrotti”

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, in contrasto con quella che era l’intenzione del legislatore del 2019, ha offerto un chiarimento concettuale importante in ordine alla distinzione tra le ipotesi che ricadono nel traffico di influenze illecite, così come riformato dalla l. 3/2019, e quelle che, invece, pur dopo il tentativo di inclusione del vecchio millantato credito nell’art. 346-bis c.p., ne rimangono fuori perché appartenenti a mondi diversi dal punto di vista criminologico.

In primo luogo, la Suprema Corte si sofferma sul rapporto tra il primo comma del vecchio art. 346 c.p. e l’innovato art. 346-bis c.p.. Sul punto, nel solco della sua precedente giurisprudenza[17], statuisce la continuità normativa tra il reato di millantato credito e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis c.p., atteso che in quest’ultima fattispecie risultano attualmente ricomprese (anche) le condotte di chi, vantando un’influenza, effettiva o meramente asserita, presso un pubblico funzionario, si faccia dare denaro ovvero altra utilità quale prezzo della propria mediazione.

In secondo luogo, la Suprema Corte ritiene, per converso, che vada esclusa la continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 346, secondo comma, c.p. e l’attuale art. 346-bis c.p..

Siffatta discontinuità normativa viene sostenuta dai giudici di legittimità sulla scorta di pregevoli assunti, posta la seguente (ed imprescindibile) premessa: il secondo comma dell’art. 346 c.p. è da intendersi come fattispecie autonoma rispetto a quella prevista dal primo comma, con elementi affini alla diversa fattispecie della truffa, poiché ciò che rileva "non è tanto l'ipotetico futuro rapporto, che si deve ritenere inesistente, tra il millantatore ed il pubblico funzionario, quanto l'eminente tutela patrimoniale accordata dalla norma al truffato"[18].

Orbene, posta la superiore premessa, la Corte motiva la discontinuità normativa tra le due fattispecie incriminatrici, articolando l’argomentazione su tre punti.

In primis, valorizza la direzione finalistica della fattispecie di traffico di influenze illecite[19]. Questa rappresenta, ab immemorabile, un’anticipazione della soglia di punibilità rispetto a condotte eminentemente tese ad arrecare un nocumento all’attività della pubblica amministrazione, sicché

"un reato che era rivolto in maniera preponderante alla tutela del patrimonio della vittima truffata dal venditore di fumo, difficilmente si presta a realizzare un vulnus alla pubblica funzione e a necessitare di una tutela rispetto a fatti che nessun collegamento, sia in astratto sia in concreto, potrebbero avere con gli interessi pubblici teleologicamente tutelati dalla norma penale in esame"[20].

In secundis, in ordine alla punibilità, ai sensi dell’art. 346-bis, anche di colui che dia o prometta denaro o altra utilità al soggetto che asserisca di possedere capacità di condizionamento della pubblica amministrazione, occorre rilevare (rectius: evidenziare) quanto segue: se il mediatore "pone in essere raggiri per indurre il soggetto passivo in errore sull'esistenza di un rapporto con un soggetto pubblico in realtà inesistente, non si comprende come possa ipotizzarsi da parte del truffato un'aggressione al bene giuridico che la norma intende preservare"[21].

In tertiis, la mancata riproposizione del termine “pretesto” nel testo dell’innovato art. 346-bis c.p., porta ragionevolmente a ritenere che non vi sia identità tra la norma abrogata e quella oggi prevista dall’art. 346-bis c.p. e, per l’effetto, induce ad espungere dalla nuova disposizione l’ipotesi di colui che si faccia consegnare o promettere qualche utilità senza alcuna possibilità di incidere sul pubblico funzionario.

Omissione che – afferma la Corte – "non può valutarsi indifferente neppure ove si assegni alla parte della norma che fa riferimento al vanto di relazioni asserite […] il significato di ritenere che tali relazioni siano meramente enunciate dall’agente"[22].

Altresì, il riferimento “al vanto a relazioni asserite” non può – prosegue la Corte –

"essere inteso come condotta sovrapponibile a quella posta in essere con l’inganno (resa palese con il termine “pretesto”), dovendosi ritenere che l’enunciazione da parte del mediatore-faccendiere al rapporto con i pubblici poteri non sia rivolto ad indurre in errore per mezzo di artifici e raggiri il cliente"[23].

Del resto, anche nell’odierno processo ermeneutico, l’interprete non può disattendere il disposto di cui all’art. 12 delle Preleggi, il quale, statuendo che "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole", definisce l’interpretazione letterale (c.d. vox iuris) delle locuzioni legislative, volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate.

Ed invero, benché Ulpiano ammonisca “quamvis sit manifestissimum edictum praetoris, attamen non est neglegenda interpretatio eius”[24], in claris non fit interpretatio: il vocabolo “pretesto”, dal chiaro collegamento con la matrice storica della truffa, presenta un substrato di inganno che mal si concilia con la locuzione “al vanto di relazione asserite”.

Imperante, adunque, l’interrogativo che segue: l’art. 346, comma secondo, c.p. può ragionevolmente considerarsi come una speciale ipotesi di truffa?

L’impiego del termine pretesto evoca, ex se, una marcata componente decettiva[25]:il colpevole, fingendosi lo strumento di corruzione di un funzionario pubblico, induce la controparte a corrispondergli un’utilità che diversamente non sarebbe ottenibile (c.d. millantato credito corruttivo)[26]:

L’affinità strutturale con la truffa appare, dunque, evidente: nel corso della contrattazione del prezzo della mediazione, invero, il millantatore artatamente simula l’intenzione e l’esigenza di dover corrompere il pubblico funzionario e, celando lo scopo di far proprio il denaro ricevuto[27]:, inganna il malcapitato che così accondiscende alla falsa promessa di corruzione.

Il tutto si risolve, in sostanza, in un particolare raggiro e in una volgare frode tesa al privato col pretesto di una corruzione che il soggetto non ha nessuna intenzione di intraprendere[28].

Di talché, ben si comprende la parte motiva della sentenza in commento relativa alla sussunzione delle condotte decettive nella fattispecie semplice di truffa ex art. 640 c.p..

In tal senso, la Suprema Corte statuisce, expressis verbis, che le condotte un tempo sussumibili nell’art. 346, cpv., c.p. integrino ora gli estremi del reato di cui all’art. 640 c.p. che, a seguito dell’abrogazione del millantato credito ad opera della l. 3/2019, ora si riespande.

6. Conclusioni

Se la sentenza in commento appare pregevole sotto il profilo di un recuperato rispetto del principio di materialità e offensività[29], essa, al contempo, presta il fianco ad inevitabili rilievi critici.

In primo luogo, essa si pone in aperto contrasto con la voluntas legis che emerge chiaramente dalla Relazione del Ministro della Giustizia Bonafede al d.d.l. A.C. 1189.

Appare chiaro, infatti, che il legislatore, accorpando il millantato credito al traffico di influenze, abbia inteso criminalizzare qualsiasi accordo "potenzialmente suscettibile di produrre influenze distorsive della funzione pubblica"[30], indipendentemente dal fatto che una delle parti contraenti sia stata vittima di un inganno o abbia subito un pregiudizio patrimoniale.

In secondo luogo, essa si basa su un presupposto non pacifico, ovvero la sussistenza di un rapporto di genus a specie tra l’art. 640 c.p. e il cpv. dell’art. 346, requisito, questo, indefettibile affinché possa parlarsi di abrogatio sine abolitione[31]. Sul punto, parte della giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto, non esente da critiche, il concorso materiale tra reati, ritenendo che "le due ipotesi delittuose si differenzino per il tipo di condotta incriminata, nonché per l’oggetto della tutela penale, che nella truffa è il patrimonio e nel millantato credito è esclusivamente il prestigio della pubblica amministrazione"[32].

In ultimo, riqualificando il fatto in truffa semplice, la Cassazione pretermette gli interessi di natura pubblicistica, attribuendo preminente rilievo alla lesione patita dal privato: ciò in evidente contrasto alla consolidata giurisprudenza di legittimità che, pur ritenendo la venditio fumi un delitto ricalcato sulla falsariga della truffa, continuava a individuare il bene giuridico protetto nel prestigio della pubblica amministrazione e solo secondariamente nel patrimonio del compratore di fumo[33]. Altresì, la possibile riespansione del perimetro applicativo della truffa ripropone la necessità di introdurre, all’interno dell’art. 640 c.p., un’apposita circostanza aggravante per il sedicente mediatore che abbia ottenuto il pagamento dalla vittima con il “pretesto” di corrompere un funzionario pubblico o di influire indebitamente sui processi decisionali[34].

Malgrado ciò, non ci si può esimere dal rilevare che la soluzione cui perviene la Suprema Corte, conferendo maggiore omogeneità alla novellata fattispecie di traffico di influenze illecite, costituisce un mirabile baluardo posto a tutela dei menzionati principi di offensività e di materialità, che risulterebbero palesemente violati se, come sembra imporre la riforma, le condotte descritte dal secondo comma dell’art. 346 c.p. dovessero essere inglobate nell’art. 346-bis c.p..


Note e riferimenti bibliografici

[1]ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, XIV ed., Milano, 2003, p. 398. Per un approfondimento dell’origine storica e dei precedenti legislativi, v. LUCIANETTI, I delitti di millantato credito e di usurpazione delle funzioni pubbliche, in AA.VV., Trattato di diritto penale. Parte speciale, II, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna e Papa, Milano, 2008, p. 692 ss

[2]TAGLIARINI, (voce) Millantato credito, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, p. 308.

[3]Ibidem

.[4]Cfr., SANTORO, Manuale di diritto penale, II, Torino, 1962, p. 365; RICCIO, I delitti contro la P.A., Torino, 1955, p. 580; RAMPIONI, (voce) Millantato credito, in Dig. d. pen., vol. VII, Utet, 1993, p. 688 ss.

.[5]MAIELLO, Il delitto di traffico di influenze indebite, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella - Pelissero, Torino, 2013, p. 430.

[6]Cfr., CONSULICH, Millantato credito e traffico di influenze illecite, in Reati contro la pubblica amministrazione, a cura di Grosso e Pelissero, Giuffrè, 2015, p. 622 ss.; CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. proc., 2019, fasc. 6, p. 753 ss..

[7]Per un approfondimento sugli interventi giurisprudenziali circa il rapporto tra il delitto di millantato credito e di traffico di influenze illecite, nella sua formulazione antecedente la riforma del 2019, v. NATALINI, Chiarito e risolto il discrimine tra le due fattispecie, Commento Cass. pen., sez. VI, sent. 14 marzo-30 aprile 2019, n. 17980, in Guida al Diritto, n. 30, 2019, p. 67.

[8]MAIELLO, Traffico di influenze illecite e misure di commissariamento dell’impresa: le ragioni di una relazione problematica, in Cassazione penale, 2018, p. 4424.

[9]GAROFOLI, in Manuale di diritto penale, Parte generale e speciale, Nel Diritto Editore, 5a ed., 2019, p. 538.

[10]Relazione di accompagnamento al Ddl n. 1189, p. 17. Tuttavia, è bene evidenziare che criminalizzazione del “compratore di fumo” – contrariamente a quanto affermato nella Relazione di accompagnamento al Ddl Bonafede – non costituisce l’attuazione di obblighi di matrice sovranazionale, ma un’autonoma (e discutibile) scelta del nostro legislatore. Ed invero, sia la Convenzione di Merida sia la Convenzione di Strasburgo, pur prevedendo l’incriminazione del privato, indipendentemente dalla natura “reale o supposta” del potere del mediatore, consentivano ai Paesi firmatari di formulare riserve, totali o parziali, rispetto alla tipizzazione del traffico di influenze. Sul punto, v. MONGILLO, La legge “Spazzacorrotti”: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell’anticorruzione, in Dir. pen. cont., 5/2019, p. 299.

[11]MAIELLO, L’abrogazione del millantato credito e la riformulazione del traffico di influenze illecite: barlumi di ragionevolezza nel buio della riforma, in Arch. Pen., 2019, n. 1.

[12]Stando ai dicta della Relazione di accompagnamento al Ddl Bonafede, dovrebbe trattarsi di un tipico caso di abrogatio sine abolitione, dal momento che l’espressione «sfruttando o vantando relazioni […] asserite» risulta sostanzialmente sovrapponibile all’ambiguo concetto di millanteria cui faceva riferimento l’art. 346 c.p. In tal senso, cfr. ROMANO, Legge anticorruzione, millantato credito e traffico di influenze, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 1409; DOLCINI, Appunti su corruzione e legge anti-corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 527 ss.; ID MERENDA, Traffico di influenze e millantato credito nel senso della continuità? Alcune osservazioni critiche, in Arch. Pen., 1/2015, p. 657.

[13]NATALINI, Chiarito e risolto il discrimine tra le due fattispecie, cit., p. 68.

[14]Cfr. Cass. pen., sez. VI, 14 marzo-30 aprile 2019, n. 17980, Nigro. Seguendo la linea esegetica tracciata dalla prima statuizione giurisprudenziale, la Suprema corte ha precisato che la fattispecie descritta dall’art. 346-bis ingloba la precedente formulazione, contemplata dall’art. 346 c.p., là dove era sanzionata la condotta di chi, millantando credito presso un funzionario pubblico, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione (comma primo) ovvero col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare (comma secondo) (Cfr. Cass. pen., sez. VI, 19 agosto 2019, n. 36222; Cass. pen., sez. VII, 15 maggio 2019, n. 21049; Cass. pen., sez. VI, 14 giugno 2019, n. 41726).

[15]Cfr., MANES, Corruzione senza tipicità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1133 ss.; CUCINOTTA, Il reato di traffico di influenze illecite, in AA.VV., Una nuova legge contro la corruzione, a cura di Orlandi e Seminara, Giappichelli, 2019, p. 175 ss..

[16]Per un approfondimento, v. ASTORINA MARINO, L'unificazione di traffico di influenze e millantato credito: una crasi mal riuscita, in Riv. Sist. Pen., 26 maggio 2020.

[17]Cass. pen., sez. VI, 14 marzo-30 aprile 2019, n. 17980.

[18]Cass. pen., sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 5221. In tal senso, la Suprema Corte itera l’assunto esplicitato, con dovizia d’argomenti, dalla Sezioni Unite: «in tema di millantato credito, ai fini dell'integrazione dell'ipotesi di cui all'art. 346, comma secondo, cod. pen. (che costituisce autonomo titolo di reato e non circostanza aggravante del reato previsto dal comma primo dello stesso articolo), è irrilevante che l'iniziativa parta dalla persona cui è richiesto di corrispondere il denaro o l'utilità, nè occorre che l'agente indichi nominativamente i funzionari o impiegati i cui favori devono essere comprati o remunerati» (Cass. pen., sez. Unite, 21 gennaio 2010, n. 12822).

[19]Per un approfondimento, v. RIVERDITI, Manuale di diritto penale, Parte Generale e Speciale, Padova, 2017, p. 508.

[20]Ibidem.

[21]Ibidem.

[22]Ibidem.

[23]Ibidem.

[24] "Anche se è chiara la lettera della legge, non deve essere trascurata la sua interpretazione".

[25]PASELLA, sub art. 346 c.p., in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, Milano, 2015, II, p. 859; Cfr. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Utet, 1982, p. 584 ss..

[26]Cfr., PONTEPRINO, L’incerta qualificazione giuridica della venditio fumi. Conseguenze (in)attese dell’abrogazione del millantato credito, in Sistema Penale, 6/2020, p. 239.

[27]PEDRAZZI, Millanto credito, trafic d’influence, influence pledding, in Riv. it. dir. proc., 1968, p. 922.

[28]LUCIANETTI, op. cit., p. 711.

[29]Sul punto, v. GAMBARDELLA, L'incorporazione del delitto di millantato credito in quello di traffico di influenze illecite (l. n. 3 del 2019) ha determinato una limitata discontinuità normativa, facendo riespandere il reato di truffa, in Cass. pen., fasc. 4, 2020, p. 1539 ss.: «il soggetto ingannato non può essere trasformato in correo. L'inganno del “cliente” sulla circostanza che il “faccendiere” (il mediatore) non ha alcuna capacità di influire sul pubblico agente in quanto con quest'ultimo non ha e non potrà mai avere una “relazione”, appare incompatibile con una sanzionabilità a livello penale. Si punirebbe altrimenti una mera intenzione malvagia del cliente, senza alcun pericolo per il corretto e imparziale funzionamento della P.A., perché è assente qualsivoglia capacità del “mediatore” di porsi in relazione con agenti pubblici nel caso specifico. E tale punizione violerebbe i principi costituzionali di ragionevolezza, offensività e proporzionalità».

[30]Cfr., Relazione di accompagnamento, cit., p. 17. In senso analogo, MAIELLO, op. cit., p. 13.

[31]PONTEPRINO, op. cit., p. 240.

[32]Cass. pen., sez. VI, 19 febbraio 2003, n. 17642.

[33]Cfr., Cass. pen., sez. VI, 7 giugno 2006, n. 30150; Cass. pen., sez. VI, 28 dicembre 2016-28 febbraio 2017, n. 9960: "I reati di millantato credito e di truffa possono concorrere - stante la diversità dell'oggetto della tutela penale, consistente, per il primo delitto, nel prestigio della P.A. e, per il secondo, nel patrimonio - qualora allo specifico raggiro considerato nella fattispecie di millantato credito, costituito dal ricorso a vanterie di ingerenze o pressioni presso pubblici ufficiali, si accompagni un'ulteriore attività diretta all'induzione in errore del soggetto passivo, al fine di conseguire un ingiusto profitto con altrui danno".

[34]Per la tipizzazione di un’apposita aggravante, v. TAGLIARINI, op. cit., p. 331.