”Contaminatio” dei modelli di giustizia costituzionale: Italia e Francia a confronto
Modifica paginaIl presente elaborato ha l´ambizione di realizzare la cd. funzione pratica della comparazione, che si sostanzia, nel caso di specie, nel trapianto di regole giuridiche provenienti da un ordinamento giuridico straniero all´interno dell´ordinamento giuridico italiano al fine di offrire al legislatore e ai giudici un condensato normativo nuovo e in potenza, di cui si verificherà la concreta applicabilità nel sistema giuridico di arrivo, nonché le eventuali conseguenze. La trattazione che segue lancia, dunque, una sfida culturale dai risvolti eminentemente pragmatici: quali effetti giuridici deriverebbero dall´accoglimento nel nostro sistema di giustizia costituzionale delle specialità del ”controle de constitutionnalité feançais”?
Sommario: 1. L’ipotesi di una “manutenzione” della giustizia costituzionale italiana alla luce dell’esperienza francese: 2. Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali: una riforma possibile?; 2.1 La legittimazione all’impugnazione; 2.2 L’oggetto del giudizio preventivo; 2.3. Il parametro di costituzionalità nell’ambito del controllo sulle leggi elettorali; 2.4 I termini del giudizio; 2.5 Le tipologie decisorie.; 2.6. Il prevedibile rapporto fra il sindacato di costituzionalità in via preventiva e quello in via incidentale; 2.7 Pro e contra dell’introduzione della via preventiva in materia elettorale; 2.8 Quale scenario dopo il fallimento della proposta di revisione costituzionale?; 3. La possibile introduzione della priorità della questione di costituzionalità rispetto ai problemi di compatibilità con le norme del sistema CEDU e dell’ordinamento dell’UE.; 4. L’auspicabilità della positivizzazione del potere in capo alla Corte costituzionale di modulare nel tempo gli effetti delle proprie decisioni di accoglimento; 5. L’inserimento di eccezioni alla sospensione del giudizio a quo: un superamento dei problemi legati alla violazione del principio di ragionevole durata del processo?; 6. Prospettive di applicazione della tecnica del doppio filtro: un inutile appesantimento o un utile strumento deflattivo del sovraccarico del sistema di giustizia costituzionale; 7. Esiti dell’indagine comparativa
1. L’ipotesi di una “manutenzione” della giustizia costituzionale italiana alla luce dell’esperienza francese
Non a un narcistico autoriflettersi in un percorso che va dall’autoesaltazione all’autodistruzione, ma a uno sguardo critico della propria realtà istituzionale alla luce dell’esperienza altrui, mira la presente comparazione, in perfetta sintonia con le parole di Aharon Barak: “il diritto comparato mi serve come uno specchio, mi consente di osservarmi e comprendermi meglio”.[1]
Se la Francia, con la revisione costituzionale del 2008, si è ispirata all’exemplum di giustizia costituzionale italiano per arricchirsi del suo caratteristico tratto dell’incidentalità, seppur declinato secondo moduli conformi al proprio sistema giurisdizionale costituzionale, pare legittimo chiedersi, alla luce della comparazione fin qui condotta, quali sarebbero le conseguenze discendenti da una “reverse cross-fertilization”, cioè dall’ibridazione del modello di giustizia costituzionale italiano con quello à la française.
Perché contaminare l’accesso incidentale quasi puro che connota il nostro modello se, addirittura, lo stesso è oggetto di emulazione in Europa?
Si potrebbe cominciare col dire che la reciproca importazione di tratti salienti di alcuni modelli di giurisdizione costituzionale, come è quella verificatasi in Francia circa dieci anni fa, conferma l’irreversibile tendenza alla circolazione dei sistemi, in particolare, per ciò che riguarda le modalità d’accesso e non si vede perché da tale fenomeno debba restare esclusa l’Italia[2].
Una spinta alla “manutenzione” della nostra giustizia costituzionale alla luce del caso francese proviene, altresì, dalla necessità eliminare le cosiddette “zone franche”, derivanti dalla strettezza dell’imbuto dell’incidentalità[3], che, come vedremo nel prosieguo dell’analisi, la giurisprudenza costituzionale ha tentato a più riprese di allargare.
L’eco francese è stata avvertita anche dal nostro Legislatore, che ha provato a introdurre un controllo di costituzionalità preventivo per le leggi elettorali di Camera e Senato[4], ma il tentativo non è andato a buon fine per la bocciatura popolare della proposta di revisione costituzionale - in cui tale novità era contenuta – in occasione della consultazione referendaria del 4 dicembre 2016[5].
Non poche pronunce della nostra Corte costituzionale, inoltre, producono modifiche de facto di alcuni tratti del nostro sistema di giustizia costituzionale, che, come si avrà successivamente modo di notare, trascendono dal mero dato normativo e, al contempo, necessiterebbero di essere legittimate dallo stesso. Sono, dunque, molteplici i fattori che militerebbero per una ‹‹ristrutturazione›› della giustizia costituzionale italiana, pur nella consapevolezza dell’indispensabilità di un’attenta ponderazione dei pro e dei contra che la riforma di un determinato istituto può generare sugli altri istituti già esistenti.
2. Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali: una riforma possibile?
La materia elettorale si presenta come il terreno più fecondo all’innesto nel tronco del sindacato di costituzionalità per incidens di una ramificazione ex ante per il concorso delle seguenti circostanze:
A) Per il fatto che essa costituiva un ambito originariamente precluso al controllo della nostra Corte costituzionale sulla base dell’esegesi giurisprudenziale dell’art. 66 della Costituzione che riserva in via esclusiva a ciascuna Camera il giudizio ‹‹sui titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità››, con la conseguenza che difficilmente potrebbe ritenersi compatibile con tale previsione un intervento concorrente o successivo del Giudice delle Leggi[6].
B) Avuto riguardo al fatto che la giurisprudenza costituzionale, nella sentenza n. 1/2014, per riportare nell’alveo della costituzionalità la legge elettorale 270/2005(cd. Porcellum), ha dichiarato ammissibile – ritenendo pertanto plausibile la valutazione della rilevanza effettuata dal giudice a quo – la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione[7], affermando che, diversamente, ‹‹finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per ciò stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato››[8].
Nel caso di specie, il Giudice delle Leggi sembra perlomeno forzare la porta dell’incidentalità, allorché asseconda la fictio litis dell’autorità giurisdizionale rimettente, che individua artificiosamente la distinzione tra oggetto del giudizio a quo e oggetto del giudizio costituzionale nel fatto che la sentenza del giudizio di merito non solo accerta l’avvenuta lesione del diritto azionato, ma al contempo ‹‹lo ripristina nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale››[9]. A ben vedere, infatti, le parole della Consulta nascondono una realtà ben diversa: la questione di costituzionalità dinanzi alla stessa sollevata avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto originata da un giudizio che non aveva altro oggetto se non la costituzionalità della legge elettorale[10].
Se è vero che l’incidentalità implica che i due giudizi siano caratterizzati da una diversità di oggetto e dalla possibilità di un autonomo svolgimento del giudizio a quo[11], al di là della questione di legittimità costituzionale che è solo un incidente processuale, qui la stessa non si configura effettivamente, giacché l’azione di accertamento del diritto politico a partecipare alle elezioni secondo il disposto di cui all’art. 48 c.2 Cost. era di fatto sorretta dalla sola volontà di eliminazione della legge incostituzionale, non potendosi ravvisare una specificazione della lesione in un provvedimento concreto di un’autorità o nell’atto di un privato che si giustifichino come fondati su quella legge[12].
Come ricordato in un’icastica pronuncia dei giudici di legittimità, infatti, attraverso il congegno incidentale di accesso alla giustizia costituzionale “il Costituente ha voluto impedire che il singolo, quale semplice portatore di un interesse diffuso, si faccia vindice della costituzionalità a scopo di mera iattanza, senza che la sua azione sia sorretta da un interesse personale e senza che egli abbia esperimentato, si direbbe, sofferto, l’incostituzionalità come un dramma o, comunque, un avvenimento increscioso della propria esistenza”.[13] Il giudizio a quo appare, invece, nel caso sopra riportato, come un espediente per ottenere un accesso alla Consulta che altrimenti sarebbe negato[14] e, di conseguenza, ‹‹tappare una pericolosa falla nel nostro sistema di garanzie››[15].
L’imbuto dell’incidentalità è stato poi artificialmente dilatato anche nella successiva sentenza 35/2017, facente riferimento alla questione di costituzionalità della legge elettorale n. 52/2015 presentata dai Tribunali ordinari di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova e in cui è stata ritenuto sussistente il nesso di pregiudizialità fra la suddetta questione e la definizione del giudizio principale sulla base di quattro argomenti: ‹‹ la presenza nell’ordinanza di rimessione di una motivazione sufficiente, e non implausibile, in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti nel giudizio principale; il positivo riscontro della pregiudizialità, poiché il giudizio spettante al giudice a quo e il controllo demandato alla Corte non risultavano sovrapponibili, essendo possibile individuare una differenza tra oggetto del primo (l’accertamento della «pienezza» del diritto di voto) e oggetto del secondo (la legge elettorale politica, la cui conformità a Costituzione è posta in dubbio), residuando un margine di autonoma decisione in capo al giudice a quo, dopo l’eventuale sentenza di accoglimento della Corte; la peculiarità e il rilievo costituzionale del diritto oggetto di accertamento nel giudizio a quo, cioè il diritto fondamentale di voto, che svolge una funzione decisiva nell’ordinamento costituzionale, con riferimento alle conseguenze che dal suo non corretto esercizio potrebbero derivare nella costituzione degli organi supremi ai quali è affidato uno dei poteri essenziali dello Stato, quello legislativo; infine, «l’esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato» (così, appunto, la sentenza n. 1 del 2014).
Ciò per evitare la creazione di una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale, in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico dell’ordinamento››[16]. In quest’ultima pronuncia la Corte, a dimostrazione della sua volontà di sottoporre allo scrutinio di costituzionalità un atto che altrimenti ne andrebbe esente, afferma la ricorribilità contro le leggi elettorali di Camera e Senato non solo, come sancito nella sentenza 1/2014, dopo la loro entrata in vigore e applicazione ma anche prima dell’applicazione stessa, una volta approvate, rendendo nei fatti il suo controllo “anticipato”, in quanto interviene su leggi efficaci ma non ancora applicate[17].
C) Con riguardo all’efficacia delle pronunce costituzionali sulle leggi elettorali, in considerazione del fatto che in linea teorica una sentenza di accoglimento della questione di costituzionalità in tale materia sarebbe idonea a travolgere la legittimità dell’operato delle Assemblee composte secondo la legge censurata[18]. La Corte, tuttavia, nella pronuncia del 2014, per evitare un siffatto scenario, ha considerato come “rapporto esaurito” le elezioni tenutesi in applicazione delle norme censurate[19], ‹‹posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti››[20].
D) Lo sconfinamento del potere giurisdizionale nell’ambito delle prerogative riconosciute in via esclusiva al Legislatore, generato da una decisione manipolativa, qual è apparsa la sentenza 1/2014 a molti commentatori, che è in grado di invadere la discrezionalità legislativa attraverso una sostanziale riscrittura della legge elettorale[21].
E) Il rischio di “paralisi del sistema”, generato da pronunce costituzionali che, mutilando leggi elettorali già in vigore, possono dar luogo a normative di risulta che non sono in grado di assicurare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee in entrambe le Camere[22]. Infatti, se non fosse stata approvata la legge Rosato o Rosatellum che è stata applicata per la prima volta in occasione delle elezioni politiche del 4 marzo 2018[23], si sarebbe generata la bizzarra situazione per cui per l’elezione del Senato sarebbe stato applicato il cd. “Consultellum” (i.e., ciò che è rimasto in vigore della legge 270/2005 dopo le censure intervenute con la sentenza 1/2014: nessun premio di maggioranza, diverse soglie di sbarramento che incentivano le coalizioni, un unico voto di preferenza senza capilista bloccati) e alla Camera l’Italicum, privato del ballottaggio e della scelta arbitraria dei capilista circa il collegio in cui essere eletti (e quindi: premio di maggioranza, soglia unica di sbarramento, capilista bloccati, possibilità di scegliere due candidati purché di sesso diverso), con il conseguente pericolo di determinazione di maggioranze addirittura opposte tra le due Camere[24].
È opportuno sottolineare, inoltre, che la produzione di maggioranze diverse nelle due Camere non deriva necessariamente ed esclusivamente dall’intervento in via successiva della Consulta sulla legge elettorale, ma anche dalla legislazione elettorale autonomamente considerata: infatti, l’applicazione della L. 270/2005, nella sua interezza, ha generato effetti simili[25].
F) Il Legislatore, per reagire alla “storica” sentenza 1/2014 e precludere la possibilità di un sindacato di costituzionalità sulla legge elettorale in corso d’opera, cioè durante la sua vigenza e applicazione, aveva già introdotto nel disegno di legge costituzionale n.1429, rubricato “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”, un controllo preventivo per le leggi elettorali di Camera e Senato[26], rimasto lettera morta a causa dell’esito infausto del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. In particolare, l’art. 13 c.1, che modificava l’art. 73 c.2 della Costituzione, prevedeva che ‹‹Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata››[27].
Il richiamo al modello di giustizia costituzionale francese emerge apertis verbis dal riferimento al controllo di costituzionalità a priori, anche su ricorso delle minoranze parlamentari, ma, come si avrà modo di osservare nel prosieguo della trattazione, non poche sono le differenze rispetto ad esso[28]. Al fine di configurare l’istituto del sindacato di legittimità costituzionale ex ante limitatamente alla materia elettorale e verificarne poi l’impatto sul sistema di giustizia costituzionale italiano, sembra opportuno prendere le mosse dal progetto di riforma avviato dal Legislatore, seppur rimasto incompiuto. Il dettato del menzionato art. 13 impone di prendere in considerazione i principali profili dell’instituendo controllo preventivo, rispetto a cui si ipotizzeranno delle soluzioni normative per superare eventuali criticità.
2.1 La legittimazione all’impugnazione
Questa è riconosciuta a 1/4 dei deputati o a 1/3 dei senatori, cioè ad una frazione dei membri di ciascuna Assemblea ben superiore ad una semplice “minoranza qualificata”, come quella richiesta ex art. 94 Cost. per la presentazione della mozione di sfiducia, con l’ovvia conseguenza che la possibilità di ricorso sembra sostanzialmente ascritta al partito di opposizione piuttosto che a generiche minoranze[29]. Sotto questo profilo la discontinuità rispetto all’esperienza costituzionale francese è notevole, visto che la saisine parlamentaire può essere attivata da una percentuale più bassa di parlamentari, pari a sessanta, secondo il disposto di cui all’art. 61 al 2. Const[30].
La scelta del legislatore italiano di limitare in tal modo il novero dei soggetti legittimati a promuovere l’intervento in via preventiva della Corte costituzionale non è ben vista da chi ritiene che la necessità di censurare a monte l’esistenza di vizi di incostituzionalità delle leggi elettorali avrebbe dovuto implicare il riconoscimento del potere di impugnativa anche ai gruppi parlamentari di minori dimensioni[31].
A tale problema si potrebbe ovviare importando dal prototipo francese il carattere obbligatorio del sindacato preventivo, in questo caso circoscrivendolo alle leggi elettorali di Camera e Senato. La praticabilità di una simile ipotesi, peraltro, era stata già auspicata in sede di Audizioni parlamentari da Massimo Luciani, a cui si è in seguito associata la senatrice Finocchiaro, relatrice del provvedimento in Senato – che ha proposto di sostituire al sindacato preventivo facoltativo un giudizio preventivo “automatico”, cioè attivato a prescindere da una richiesta, allo scopo di scongiurare il rischio di pressioni politiche sulla Corte e con esso il suo coinvolgimento nello scontro politico[32].
Tuttavia, parte della dottrina non condivide la prospettata soluzione, affermando che, anche se il sindacato preventivo fosse obbligatorio, ciò non escluderebbe che, durante e dopo il giudizio della Corte, si possa realizzare una tensione o un contrasto politico, in quanto la natura politica del giudizio costituzionale è qui legata alla natura della legge esaminanda e alla sua collocazione temporale (esame preventivo all’entrata in vigore della legge stessa) piuttosto che alla natura dei ricorrenti[33]. Viene altresì obiettato che l’automatismo del prefigurato controllo della Corte rischia di condurla ad uno snaturamento della propria funzione giurisdizionale, costituendo una rilevante deroga al principio processuale enucleato nel brocardo “ne procedat iudex ex officio”[34].
Altra parte della dottrina, peraltro, ritiene opportuno il modo in cui è congegnata la legittimazione all’impugnazione nel ddl di revisione costituzionale, facendo notare che è possibile che gli alti quorum richiesti per il ricorso preventivo avverso le leggi elettorali di Camera e Senato vengano raggiunti attraverso la contingente aggregazione di parlamentari, coalizzati al solo fine di ottenere una declaratoria d’incostituzionalità della legge[35].
Lungi dall’effettuare un esame delle probabilità di una siffatta ipotesi, si può condividere la proposta di Luciani, che comporterebbe un ‘trapianto’ del sindacato preventivo in Italia maggiormente coerente con il modello di giustizia costituzionale francese, seppure non per le ragioni ventilate dal parlamentare relativamente alla pretesa di allontanare la Corte dal circuito politico, quanto per la ragione, giustamente sottolineata da G. D’Amico, che, anche se il ricorso preventivo fosse affidato alle minoranze (e non solo al partito d’opposizione), esso si atteggerebbe come un rimedio insufficiente, id est non idoneo “ad assicurare una garanzia piena ed effettiva del diritto di voto”, in quanto rimettere l’iniziativa al gioco della dialettica politica in Parlamento può portare all’aberrante scenario in cui le minoranze rinuncino ad impugnare una legge costituzionalmente illegittima per trarne un beneficio nelle successive elezioni[36].
Non si può, infine, non tenere conto del rischio che le minoranze parlamentari, se dotate della possibilità di attivare il rimedio preventivo, costringano sistematicamente la Consulta ad invischiarsi in questione politiche[37] più di quanto non lo sia allo stato attuale, come peraltro dimostrano i più recenti accadimenti istituzionali. In particolare, otto Regioni guidate dal centrodestra(Veneto, Sardegna, Lombardia, Friuli, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata), con la spinta decisiva della Lega, hanno chiesto una consultazione referendaria per l’abolizione della parte proporzionale dell’attuale legge elettorale, il Rosatellum, che prevede che 5/8 dei parlamentari siano eletti con sistema proporzionale[38].
L’eventuale rimozione di questa parte del Rosatellum avrebbe comportato, in caso di vittoria dei sì, l’introduzione di un sistema maggioritario a turno unico, simile a quello in vigore nel Regno Unito, con conseguente vittoria nei collegi di chi prende un voto in più degli altri candidati[39]. Tale scenario è stato scongiurato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile il quesito referendario perché “eccessivamente manipolativo”, in particolare per quel che riguarda “la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della ‘normativa di risulta’”[40].
2.2 L’oggetto del giudizio preventivo
Il testo di revisione costituzionale è ambiguo quanto alla definizione dell’oggetto del sindacato preventivo, in quanto fa riferimento alle “leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, senza chiarire se in tale formula possa essere compresa o meno anche la cd. “legislazione di contorno”[41].
Precisando che sarebbe auspicabile una maggiore chiarezza dal Legislatore qualora dovesse in futuro provare ad introdurre questa forma di controllo a priori, sull’interpretazione della formula suddetta la dottrina è divisa.
Una parte di essa, facendo valere ragioni di opportunità, ritiene che un’interpretazione restrittiva dell’oggetto, che sarebbe dunque coincidente solo con le norme che esprimono la cd. “formula elettorale” quale meccanismo di traduzione dei voti in seggi, sia più coerente con il precedente della sentenza 1/2014 e con la scelta lessicale operata dal Costituente in relazione a quello che avrebbe dovuto essere il nuovo c.4 dell’art. 77 Cost., che esentava il Governo dal divieto di adottare decreti-legge in materia di disciplina dell’”organizzazione del procedimento elettorale” e di “svolgimento delle elezioni”[42]. Ne deriva che, se il legislatore avesse voluto includere nella nozione di oggetto anche questi aspetti di contorno, avrebbe utilizzato la stessa più ampia formulazione[43].
Altra dottrina, invece, reputa che dall’entrata in vigore della riforma costituzionale sarebbe derivata la sindacabilità in via preventiva della disciplina di tutti i profili direttamente o indirettamente connessi con l’elezione (tra cui l’incompatibilità, l’ineleggibilità, la par condicio, l’equilibrio di genere) da un’interpretazione del tutto opposta dei medesimi profili presi prima in considerazione: da un lato, infatti, l’abortito art. 77 c.4 Cost. restituirebbe la massima estensione alla formula “materia elettorale”, consentendo che alcuni profili specifici (organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni) vengano normati con decreto legge; dall’altro, la sentenza n. 1/2014, pur traendo origine da una quaestio legitimitatis attinente alla materia elettorale in senso stretto, tuttavia sottolinea l’esigenza sostanziale di garanzia della democraticità del sistema, che non può essere disattesa rispetto alla legislazione elettorale di contorno[44].
De iure condendo, la scelta che in futuro potrebbe essere fatta fra le due opposte – e pur valide – interpretazioni proposte della medesima formula dipenderà dalla preminenza di una delle seguenti esigenze: se si propenderà per una salvaguardia a tutti i costi della “purezza dell’anima giurisdizionale” della nostra Corte costituzionale[45], allora probabilmente si opterà per una restrizione dell’oggetto del sindacato preventivo; se, invece, prevarrà l’opposta esigenza di “costituzionalizzazione dell’ordinamento nel suo complesso”, passerà sotto la lente della Consulta la legislazione elettorale in senso ampio[46].
Con tali fattori concorrerebbe il modo di concepire un’eventuale francesizzazione del nostro modello di giustizia costituzionale: essa potrebbe rappresentare una deroga solo eccezionale alla via incidentale come al più ammetterebbero gli strenui difensori del sindacato di costituzionalità ex post[47] o potrebbe dar luogo ad un’ibridazione completa e pacifica, seppur limitatamente a una peculiare categoria di leggi, così come è avvenuto con la revisione costituzionale francese del 2008[48]?
2.3 Il parametro di costituzionalità nell’ambito del controllo sulle leggi elettorali
Alla luce del confronto con il sistema di giustizia costituzionale d’oltralpe, il sindacato preventivo sulle leggi elettorali di Camera e Senato dovrebbe svolgersi “a tutto tondo”, cioè con riferimento a qualunque parametro costituzionale, ferma restando la necessità che sia motivato, anche per singoli profili.
Infatti, se si limitasse il vaglio della Corte costituzionale ai soli vizi di illegittimità messi in rilievo dai ricorrenti, si rischierebbe l’entrata in vigore di una norma patentemente incostituzionale per la mancata segnalazione dei profili di legittimità[49].
I vizi che opportunamente potrebbero essere fatti valere dai ricorrenti si possono articolare in due categorie[50]:
1) Vizi materiali, soprattutto di ragionevolezza con particolare riferimento ai principi di libertà ed eguaglianza del voto;
2) Vizi formali, ad esempio con riguardo all’art. 72 ult. c. Costituzione che prescrive il ricorso al procedimento “normale” per l’approvazione di leggi in materia elettorale.
Tuttavia, la sopra operata ricostruzione del controllo a priori, quale verifica di conformità della legge con riguardo a tutto il testo della Costituzione, si scontra con la circostanza che il ddl di revisione costituzionale, pur non richiedendo l’indicazione degli specifici profili di incostituzionalità, impone che il ricorso preventivo sia “motivato”. Ciò induce a ritenere l’insufficienza di una censura generica, cioè priva dell’indicazione dei vizi censurati e dei parametri di riferimento[51]. Infatti, come opportunamente rilevato da F. Dal Canto, la possibilità di presentare un ricorso privo di motivazioni non è coerente col nostro sistema processuale costituzionale, per due ordini di motivi: a) sia nel sindacato incidentale che in quello principale, l’atto di promozione del giudizio deve contenere, a pena d’inammissibilità, puntuali indicazioni circa le disposizioni di legge oggetto della questione e le disposizioni della Costituzione che si assumono violate; b) la soluzione è disarmonica con riguardo ai principi processuali della domanda e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 27 della legge n. 87/1953 - che senza dubbio si applicano tanto al giudizio incidentale che a quello principale e più in generale dovrebbero applicarsi, in assenza di diversa espressa disposizione normativa, a tutte le “questioni di legittimità costituzionale” - ai sensi del quale “la Corte costituzionale, quando accoglie un’istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime”[52].
Dai summenzionati dati normativi deriva, probabilmente, la propensione del legislatore a mantenersi nell’alveo delle regole processuali applicate al sindacato in via incidentale e un atteggiamento restio all’accoglimento integrale del modello francese, che si caratterizza invece per il fatto che il Conseil ha ammesso la possibilità di presentare saisines blanches, considerata la sua facoltà di rilevare anche d’ufficio i vizi e allargare il thema decidendum anche dal punto di vista del parametro invocato nel ricorso[53].
Dunque, potrebbe risultare perlomeno difficile che, nell’eventuale introduzione di un giudizio a priori sulle leggi elettorali, il legislatore “si lasciasse andare alle suggestioni francesi”[54], in quanto consentire un controllo costituzionale a priori e a tutto tondo sulla materia elettorale rischia di deprimere la funzione garantista del Giudice costituzionale, nonché di accentuarne l’esposizione politica, mettendone a repentaglio l’assoluta imparzialità[55]. Ogni istituto, infatti, va valutato non solo all’interno del contesto costituzionale-ordinamentale, ma anche politico ed il nostro Paese, sotto questo profilo, è caratterizzato da un’elevatissima conflittualità.
2.4 I termini del giudizio
I termini che il legislatore italiano avrebbe voluto imprimere al giudizio preventivo di costituzionalità sono di due tipi: il primo, di dieci giorni dall’approvazione della legge entro cui i ricorrenti devono presentare l’impugnativa e il secondo, di trenta giorni, entro cui la Corte è chiamata a decidere[56].
Quanto al primo termine, che è sconosciuto alla saisine francese, ad esso è da riconoscersi natura perentoria sicché, nel caso in cui spirasse invano, il Capo dello Stato potrebbe promulgare o rinviare la legge[57]. Nel progetto di riforma manca, però, una previsione relativa al rapporto fra il ricorso, non ancora presentato o in attesa di essere deciso dalla Corte costituzionale entro trenta giorni, e il potere del Presidente della Repubblica di rinvio della delibera legislativa con messaggio motivato alle Camere, il cui avvalimento non viene espressamente impedito o sospeso[58].
Questo nodo potrebbe essere in futuro sciolto dal legislatore secondo due diverse modalità[59]:
1) Se si decidesse di seguire l’insegnamento d’oltralpe, si potrebbe stabilire la sospensione del rinvio nei dieci giorni previsti per l’esperimento dell’impugnativa e, una volta adita la Corte, fino alla scadenza del termine per l’emissione della sua pronuncia, in analogia al fatto che l’art. 61 c. 4 della Costituzione francese statuisce che, tanto nel caso di attivazione del sindacato preventivo facoltativo quanto di quello obbligatorio, ‹‹il deferimento al Consiglio costituzionale sospende il termine della promulgazione››[60].
Tale operazione ermeneutica può essere considerata ammissibile solo se si considera il potere di rinvio assorbito nel suo alter ego, cioè il potere di promulgazione, il che troverebbe conferma nel fatto che l’art. 10 della Costituzione francese prevede che ‹‹Il Presidente della Repubblica promulga le leggi entro quindici giorni dalla trasmissione al Governo della legge definitivamente approvata.
Prima della scadenza del termine, può chiedere al Parlamento una nuova deliberazione della legge o di alcuni suoi articoli. La nuova deliberazione non può essere respinta››[61].
Assumendo l’esattezza della tesi dell’assorbimento del potere di rinvio in quello di promulgazione, il ragionamento si sposa col disposto dell’art. 13 del ddl di revisione costituzionale, a mente del quale ‹‹in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata››. Per pervenire a una simile soluzione sarebbe in ogni caso necessaria una specifica disposizione costituzionale sulla modifica del dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio del potere di rinvio. Tuttavia, questo approdo interpretativo non può essere condiviso da chi, invece, considera il potere di rinvio e quello di promulgazione come due prerogative non suscettibili di assimilazione, in quanto il primo – antecedente all’esercizio del potere di promulgazione - consente al Presidente della Repubblica di “partecipare” alla funzione legislativa, nel senso di concorrere all’eventuale riforma di una volontà già formata attraverso la prospettazione delle proprie opinioni, potendo soltanto condizionare e ritardare la validità dell’atto, mentre il secondo appartiene indiscutibilmente alla fase integrativa dell’efficacia, che è funzionale ad attribuire alla legge i requisiti necessari perché essa si trasformi in precetto in grado di essere applicato[62].
2)Rebus sic stantibus, cioè se in futuro venisse introdotta la suddetta normativa senza modifiche, si potrebbe immaginare il contemporaneo avvio del giudizio costituzionale e del rinvio presidenziale. Il Presidente potrebbe rinviare subito ovvero attendere il decorso del termine di dieci giorni per l’esperimento del ricorso preventivo: nel primo caso, alla Consulta converrebbe sospendere il giudizio in attesa dell’ulteriore approvazione della delibera legislativa, a meno di voler giudicare un testo di legge che verrà comunque modificato, sicché sembrerebbe più economica la seconda delle due eventualità prospettate.
Quanto al secondo termine, relativo al tempus entro cui il Giudice delle Leggi è chiamato a decidere, si presenta sostanzialmente analogo a quello di un mese previsto dall’art. 61 c.3 della Costituzione francese, se non fosse che quest’ultima contempla la riduzione eccezionale del termine a otto giorni ‹‹a richiesta del Governo, in caso d’urgenza››[63]. Premesso che non sarebbe da escludere la bontà dell’inserimento di tale secondo termine in via eccezionale, occorre interrogarsi circa la natura, perentoria o ordinatoria, che si dovrebbe ascrivere a siffatto termine nel nostro ordinamento. In vero non è possibile offrire una soluzione univoca, anche perché si sta parlando di una normativa solo in potenza e non anche in atto, ma si può provare a ragionare sui motivi per cui sarebbe opportuno scegliere la perentorietà a svantaggio dell’ordinarietà o viceversa.
Secondo Rauti, il termine di trenta giorni dovrebbe considerarsi perentorio per due ordini di ragioni: da un lato, se si consentisse alla Consulta di tergiversare sull’esito del suo vaglio con conseguente prolungata sospensione del termine di promulgazione, si rischierebbe di vanificare l’applicabilità delle leggi elettorali approvate dalle Camere ad eventuali imminenti elezioni, poiché di solito la normativa elettorale è approvata pochi mesi prima dell’inizio della campagna elettorale; dall’altro lato, se dopo lo spirare invano del suddetto termine, non si ritenesse precluso il giudizio costituzionale, si rischierebbe di snaturare la ratio della riforma, visto che non sarebbe improbabile il pericolo di elezioni svolte sulla base di una legge in seguito annullata attraverso un sindacato – divenuto di fatto successivo - della Corte costituzionale[64].
Contesta la validità di tale impostazione Dal Canto, che invece propende per l’ascrizione di un carattere ordinatorio al predetto termine, adducendo ragioni di tipo organizzativo, in quanto nell’opposta ipotesi la Corte potrebbe avere qualche difficoltà a svolgere un esame completo della legge elettorale, con riguardo ad ogni possibile vizio[65].
L’obiezione di Dal Canto, a modesto avviso dello scrivente, si rivela infondata allorché si ipotizzi – come lui stesso fa – che la Corte non eserciti il suo sindacato entro il termine di trenta giorni. In tal caso, infatti, l’autore ritiene risolutivo che, spirato invano tale termine, il potere del Giudice costituzionale debba considerarsi esaurito, con conseguente ripresa del decorso del termine di un mese per la promulgazione della legge[66]. E’, dunque, proprio la necessità di scongiurare “il rischio di una paralisi sine die del procedimento legislativo”[67], pur opportunamente presa in considerazione da Dal Canto, che fa emergere la fallacia della tesi dell’ordinatorietà del termine - che appunto non ammetterebbe la preclusione al Giudice costituzionale di decidere tardivamente e sospenderebbe indefinitamente il potere presidenziale di promulgazione- entro cui la Corte costituzionale deve esprimersi e rafforza quella sopra esposta di Rauti.
2.5 Le tipologie decisorie
L’art. 13 del progetto di riforma prevede che il giudizio preventivo di legittimità costituzionale in materia elettorale possa concludersi genericamente con una dichiarazione di illegittimità costituzionale, senza distinguere fra illegittimità parziale o totale, che impedisce la promulgazione della legge.
A tale proposito pare utile operare un confronto comparatistico con il modello francese di controllo preventivo, che può risolversi tanto con una pronuncia di incostituzionalità totale quanto parziale[68]. In particolare, l’art. 23 della legge organica sul giudizio di costituzionalità dispone che qualora il Consiglio costituzionale dichiari l’illegittimità parziale di una legge, senza constatare nel contempo che essa è inseparabile dall’insieme della legge stessa, il Presidente della Repubblica possa promulgare la legge emendata della disposizione incostituzionale o chiedere al Parlamento una nuova lettura[69]. Bisogna, dunque, verificare se un trapianto pieno di tale regola in Italia sia coerente con il nostro sistema di giustizia costituzionale complessivamente considerato.
La previsione in Francia di una declaratoria d’illegittimità parziale anche in sede di giudizio a priori, infatti, appare sensata in virtù dell’ampiezza dell’oggetto del sindacato del Consiglio costituzionale, che, invece, per ciò che in tale sede si sta auspicando e in forza del naufragato precedente di revisione costituzionale, sarebbe limitato in Italia alla sola materia elettorale. Come giustamente rileva la dottrina più avveduta, una decisione di incostituzionalità parziale cui segua una promulgazione di una legge elettorale “mutilata” potrebbe stravolgere completamente la ratio del sistema elettorale disegnato dal Parlamento: ad esempio, la legge n.270/2005 darebbe luogo a un sistema elettorale completamente diverso, se privata del premio di maggioranza[70]. Affinché, dunque, la francesizzazione del nostro modello di giustizia costituzionale non sia determinata in modo acritico (come rischiava di accadere se il ddl di revisione costituzionale fosse andato in porto nel testo dell’art. 13 qui presentato), sarebbe necessario che il legislatore disciplinasse appositamente il tema del seguito delle decisioni di incostituzionalità parziali rese in via preventiva e riguardanti la materia elettorale[71].
Una soluzione normativa efficace potrebbe essere quella di prevedere un procedimento ad hoc, finalizzato a consentire la celere approvazione del testo risultante da una pronuncia manipolativa della Corte costituzionale: restituire il testo al Parlamento, anziché consentire al Presidente della repubblica di optare per la promulgazione parziale, sarebbe una scelta più coerente sia con la nostra forma di governo in cui il Capo dello Stato italiano ha poteri molto diversi da quello francese sia con la necessità di non alimentare una bagarre politica fra Presidente e Corte Costituzionale su una materia intrinsecamente politica come quella elettorale[72].
Nulla quaestio se l’esito del sindacato preventivo è una pronuncia di “conformità” totale della legge alla Costituzione, cui dovrebbe seguire l’esercizio del potere presidenziale di promulgazione della legge elettorale entro trenta giorni, salvo rinvio alle Camere entro lo stesso termine per i vizi sui quali la Corte non si è espressa[73]. Il caso del rinvio si può configurare, ovviamente, solo se venga normativamente prevista la sospensione del rinvio presidenziale nel termine del ricorso e durante tutto il suo svolgimento e l’impossibilità della Corte di estendere il thema decidendum, come invece è consentito al Conseil constitutionnel[74].
2.6 Il prevedibile rapporto fra il sindacato di costituzionalità in via preventiva e quello in via incidentale
Nell’ipotesi dell’inserimento del sindacato di costituzionalità preventivo nel nostro ordinamento, seppur circoscritto alle leggi elettorali di Camera e Senato, bisognerebbe interrogarsi su quale possa essere il rapporto con il sindacato per incidens, che sta alla base del nostro modello di giustizia costituzionale.
Preliminarmente, per inquadrare siffatto rapporto, occorre soffermarsi sui suggerimenti provenienti dalla giurisprudenza costituzionale, che però sembra offrire due soluzioni alternative: da un lato, la sentenza 1/2014, nel proclamare l’esistenza di un principio di completezza della giurisdizione e di effettività della tutela, non escluderebbe la proponibilità di un giudizio in via incidentale anche dopo il positivo superamento del vaglio preventivo sulla legge elettorale; dall’altro l’affermazione contenuta nella sentenza 110/2015, secondo cui l’ammissibilità di una quaestio legitimitatis sollevata nel corso di un giudizio di accertamento del diritto di voto dipende dall’esistenza di una zona d’ombra della giustizia costituzionale, militerebbe per l’inammissibilità della riproponibilità ex post di una questione di costituzionalità su cui la Corte si è già pronunciata ex ante, essendo a monte bonificata la zona immune dal controllo di costituzionalità[75].
In mancanza di riferimenti normativi nel progetto di riforma costituzionale, una cosciente importazione del giudizio a priori à la française reclamerebbe l’inserimento di una disposizione di raccordo fra controllo in via preventiva e controllo successivo simile all’art. 23-2, c.1, n.2 dell’Ordonnance n. 58-1067 del 7 novembre 1958[76], che stabilisce che una questione di costituzionalità in via incidentale non può essere sollevata se la disposizione contestata è già stata dichiarata conforme alla Costituzione nei motivi e nel dispositivo di una decisione del Consiglio costituzionale, salvo cambiamento di circostanze[77].
Il trapianto di questo istituto nel sistema di giustizia costituzionale italiano determinerebbe, pertanto, che nell’ipotesi in cui la Corte costituzionale avesse già esercitato il suo controllo sulle leggi elettorali in via preventiva, non sarebbe ammissibile la riproposizione della stessa questione in via incidentale, purché il dispositivo della prima decisione non si limiti a una dichiarazione generica di infondatezza, ma sia opportunamente motivato[78].
Del resto, come rileva parte della dottrina, se non si prevedesse alcun meccanismo di coordinamento fra i due accessi alla Giustizia costituzionale, è vero che la legge elettorale ritenuta costituzionalmente legittima nel giudizio a priori e regolarmente entrata in vigore potrebbe essere oggetto di un’eccezione di incostituzionalità, ma è altrettanto vero che il secondo giudizio – ammesso che il controllo preventivo venga concepito in modo ampio ed esteso a tutti i possibili vizi della legge, come accade in Francia – si concluderà prevedibilmente con una decisione di infondatezza, presumibilmente manifesta, in relazione al precedente costituzionale dato dalla prima pronuncia[79]. I soli spazi che potrebbero effettivamente residuare sarebbero quelli non ipotizzabili in astratto e divenuti visibili solo alla luce della prassi applicativa concreta, circostanza che potrà verificarsi solo con l’avvicendarsi delle legislature originatesi sulla base di quella legge elettorale[80].
Anche alla luce di queste ultime considerazioni, consentire alla Corte costituzionale di esercitare il controllo sulle leggi elettorali esclusivamente anteriormente alla loro promulgazione rappresenterebbe una scelta più coerente con l’introduzione del sindacato di legittimità costituzionale preventivo nel nostro ordinamento giuridico[81].
2.7 Pro e contra dell’introduzione della via preventiva in materia elettorale
Una volta delineati i caratteri che potenzialmente potrebbero essere impressi all’istituto del controllo di costituzionalità ex ante sulle leggi elettorali in Italia, anche alla luce dell’imploso progetto di revisione costituzionale, e auspicati dei correttivi allo stesso guardando al modello di giustizia costituzionale francese, bisogna valutare costi e benefici di una riforma simile.
La contaminatio dell’incidentalità tipicamente italiana con l’apertura di un varco al vaglio preventivo del Giudice costituzionale avrebbe il beneficio di rendere il sindacato sulla legge elettorale maggiormente effettivo, nonché di non compromettere l’immagine dell’Assemblea legislativa dinanzi al corpo elettorale[82]. Infatti, la serratura dell’incidentalità, pur essendo stata forzata per effettuare il controllo di costituzionalità con la sentenza 1/2014, comporta lo svantaggio di intervenire sulle leggi elettorali “a cose fatte”, cioè quando la legge è già entrata in vigore e sulla base di essa è stato eletto il Parlamento[83]. Proprio per evitare una delegittimazione di quest’ultimo, la Corte si è trovata costretta ad offrire una valutazione del concetto di “rapporti esauriti” tale che la sua pronuncia di illegittimità non travolgesse la legittimità delle attività già poste in essere dalle Camere[84].
Infatti, se si possono considerare esauriti gli effetti degli atti compiuti dal Parlamento prima della declaratoria d’incostituzionalità, può essere riscontrata qualche perplessità nell’applicazione di tale concetto in relazione allo status dei deputati e agli atti parlamentari che verranno posti in essere dopo la pronuncia costituzionale.[85]
L’affermazione della Corte costituzionale, secondo cui l’istituto della proclamazione comporta l’esaurimento dei rapporti sorti con il procedimento elettorale[86], pone almeno due ordini di dubbi. Il primo è quello relativo al disposto dell'art. 66 Cost. in materia di giudizio sui titoli di ammissione e sul procedimento elettorale e, in particolare, alla funzione del giudizio di convalida: se, infatti, il procedimento elettorale e i relativi rapporti si ritenessero "esauriti" ai sensi dell'art. 136 Cost. e 30 della legge n. 87 del 1953, sarebbe da ritenere inammissibile la possibilità di rimettere in questione quei rapporti in base ad un intervento di un successivo organo, quale la giunta per le elezioni[87].
Il secondo sta, invece, nella difficoltà di sostenere che la proclamazione, operata da organi pur sempre amministrativi, nel caso delle elezioni per il Parlamento, abbia degli effetti preclusivi definitivi, che invece sono in re ipsa negati alla proclamazione per altre categorie di elezioni (europee, regionali, provinciali, comunali)[88]. Secondo G. Guzzetta, inoltre, queste problematiche non possono essere validamente risolte invocando l’argomento della continuità dello Stato, citando le norme in materia di prorogatio delle Camere: queste ultime, infatti, non sarebbero prova della persistenza della piena legittimità giuridica e politica del Parlamento, ma del fatto che al Parlamento si possa consentire, nonostante il travolgimento degli esiti elettorali derivanti dalla pronuncia, ‹‹di operare, seppure in condizioni depotenziate, per compiere gli atti strettamente necessari a ripristinare quanto prima la legalità costituzionale violata››[89].
A tali considerazioni di carattere giuridico va aggiunta una considerazione di tipo politico: sarebbe, difatti, politicamente molto debole la posizione di un’Assemblea legislativa che continua ad esercitare le sue funzioni, pur essendo formata da membri eletti sulla base di una disciplina successivamente dichiarata incostituzionale[90].
L’istituzione del controllo di legittimità costituzionale preventivo, inoltre, potrebbe avere un impatto positivo sulla genesi della disciplina elettorale: se il Parlamento fosse conscio del fatto che la legge elettorale potrà essere valutata dalla Consulta prima della sua promulgazione, potrebbe optare per un maggiore coinvolgimento di tutte le forze politiche nell’elaborazione della legge, nella misura in cui è presumibile che la maggioranza di governo, per evitare un ricorso preventivo, favorisca una reale attività di negoziazione sui contenuti della disciplina emananda[91]. Ciò garantirebbe una maggiore democraticità in merito ad una legge, come quella elettorale, dal contenuto necessariamente costituzionale e potrebbe determinare la rottura dell’infelice tradizione della legislazione elettorale italiana, contrassegnata da un avvicendarsi di normative che, dopo quella del 1993, sono state approvate con i voti della sola maggioranza politica[92].
Inoltre, l’ingresso del sindacato di costituzionalità preventivo sarebbe in linea con i rilievi di quella dottrina che spinge per l’introduzione di un giudizio di tipo astratto, attivato dalle minoranze parlamentari, volto a riportare nell’alveo della costituzionalità le materie rientranti nel cosiddetto “cono d’ombra”, fra cui – oltre alle leggi elettorali – devono menzionarsi le leggi tributarie e di spesa, nonché i regolamenti parlamentari[93].
Esso, peraltro, darebbe ulteriore linfa a quel trend che tende a valorizzare il ruolo della Corte costituzionale italiana come garante della legalità costituzionale attraverso il suo intervento anche in astratto, cioè indipendentemente dalla lesione di una situazione giuridica subiettiva individuale generata dalla violazione in concreto di una disposizione costituzionale ad opera di un atto normativo di rango subcostituzionale[94].
Si potrebbe obiettare che, se non pochi sono i vantaggi che deriverebbero da una riforma del genere, altrettanti sarebbero gli effetti negativi da tenere in considerazione. Infatti, parte della dottrina rileva che la previsione di un ricorso diretto collocato nella fase integrativa dell’efficacia del procedimento legislativo rischierebbe di snaturare l’anima giurisdizionale della Corte costituzionale, coinvolgendola inevitabilmente nell’arena politica[95]. Quest’ultimo è uno degli aspetti di maggior allarme di una riforma di tal fatta: introdurre una via di accesso preventiva su una legge ad alto tasso di politicità qual è quella elettorale significa, infatti, introdurre una trasformazione del ruolo della Corte e delle sue caratteristiche fondamentali[96].
Non si può, dunque, sottacere che un eventuale inserimento del giudizio costituzionale all’interno della decisione politica del contenuto della materia elettorale determinirebbe un’accentuazione dell’interferenza della Consulta con il potere politico, se non addirittura uno snaturamento del metodo giurisdizionale di cui la stessa si è fregiata in questi anni[97].
Per di più, se si dovesse riproporre un’ibridazione del nostro sistema identica a quella del menzionato progetto di riforma costituzionale, il rischio di politicizzazione della Corte sarebbe più forte, sia per il fatto che il termine di attivazione del suo sindacato è ridottissimo(dieci giorni dall’approvazione) e scorre quando l’eco del dibattito politico non è ancora sufficientemente lontana, sia perché il termine entro cui essa è chiamata a decidere è parimenti ristretto e si potrà presumere che il clima politico sia ancora bollente[98]. Sono, dunque, fondati i timori di chi pensa che la Corte possa trovarsi costretta scegliere tra le ragioni di una maggioranza che ha appena approvato la legge e di una minoranza che, pur sconfitta, invoca l’”aiuto” della Corte a mezzo di un ricorso preventivo[99]?
In vero, e per ragioni che si possono condividere, altra dottrina mette in luce l’ingenuità di tali preoccupazioni, in quanto, anche quando la Corte costituzionale si è espressa ex post sulla legge elettorale, ha inevitabilmente emesso una pronuncia dal forte impatto politico, al pari di quella che avrebbe potuto emettere ex ante[100]. La sovraesposizione politica del Giudice costituzionale sarebbe, altresì, scongiurata dalla circostanza che lo stesso sarebbe chiamato a pronunciarsi sulla costituzionalità della legge elettorale tenendo conto di ciascuna disposizione della Costituzione, senza doversi limitare alle argomentazioni formulate dal giudice a quo di turno sulla base delle allegazioni dei ricorrenti[101]. Tale vantaggio, ovviamente, è concretamente configurabile solo ove si permettesse alla Corte in sede di controllo preventivo l’esame di tutta la legge elettorale rispetto ad ogni parametro costituzionale[102].
E’ possibile, inoltre, ritenere eccessiva la riserva relativa alla corruzione dell’anima giurisdizionale della Corte costituzionale sulla base di una considerazione puramente giuridica: se è vero, infatti, che il nostro modello di giustizia costituzionale è prevalentemente imperniato su un giudizio in via incidentale e successivo, salva l’eccezione relativa al controllo preventivo sugli Statuti regionali e sulle leggi statutarie, è altrettanto vero che ciò scaturisce da una scelta reversibile del legislatore costituzionale e che non risulta esplicitamente dal testo costituzionale, dato che l’art. 137 c.1 fa rinvio a una successiva legge costituzionale per la disciplina delle vie d’accesso alla giustizia costituzionale[103].
Se è vero che la Costituzione non esclude esplicitamente l’istituzione di una via di accesso preventiva, tuttavia va rammentato che la possibilità di un ricorso di una minoranza parlamentare dinanzi al Giudice costituzionale era stata respinta dall’Assemblea Costituente nell’ambito del più generale rifiuto del ricorso diretto alla Corte[104]. Carlo Mezzanotte sosteneva che tale rifiuto discendesse dalla necessità di inserire un filtro tra cittadini e Consulta, nonché di evitare una troppa facile impugnazione delle leggi esistenti[105]. Si è successivamente ipotizzata un’introduzione del ricorso in oggetto nella Commissione Bicamerale D’Alema del 1997[106]: nel progetto di quest’ultima vi era sia un ricorso individuale per la tutela dei diritti fondamentali sia un ricorso da parte di un quinto dei componenti di ciascuna Camera che però operava non ex ante, ma ex post[107].
L’ipotesi di un ricorso di costituzionalità preventivo avverso le leggi elettorali è stata, dunque, sconosciuta al nostro ordinamento fino alla proposta di revisione costituzionale del 2016: sarà appannaggio del Parlamento provare eventualmente a re-introdurlo, sempre che lo ritenga compatibile con la già vasta gamma di competenze eterogenee di cui la Corte costituzionale è dotata.
Addirittura, parte della dottrina si stupisce del fatto che non si cerchi di allargare ulteriormente l’oggetto del vaglio preventivo del Giudice Costituzionale[108], ma la sua limitazione alle sola legge elettorale si può spiegare col fatto che quest’ultima è qualificabile come disciplina “costituzionalmente necessaria”, in riferimento alla quale, per la Corte costituzionale, il controllo di legittimità ex post risulta comunque condizionato dalla necessità che la normativa di risulta sia autosufficiente e applicabile, in virtù del preminente rilievo ascritto al principio di continuità delle istituzioni parlamentari[109].
Ultima critica da menzionare è quella relativa al rischio di sovrapposizione del sindacato successivo di legittimità costituzionale al controllo preventivo[110]. Se questa si presenta come legittima per il modo in cui era stato proposto l’istituto del controllo a priori nel progetto di riforma costituzionale e cioè senza la previsione di uno strumento di raccordo con il sindacato in via incidentale, la stessa può essere aggirata solo ipotizzando in futuro un superamento del vecchio testo di revisione costituzionale, con l’introduzione di una previsione simile al sopra menzionato art. 23-2 della legge organica sul giudizio costituzionale francese che consenta una riduzione effettiva dei giudizi successivi sulla legge elettorale[111]. D’altronde, se proprio l’ibridazione deve avvenire, non deve palesarsi nelle mentite spoglie del cavallo di Troia: il nuovo vaglio preventivo, cioè, non deve nascondere la successiva riapertura di un contenzioso successivo sulla medesima legge elettorale, a meno di non voler rinunciare al principale punto di forza di una riforma del genere, privandola di senso.
2.8 Quale scenario dopo il fallimento della proposta di revisione costituzionale?
La negazione della possibilità di dotare la nostra Corte costituzionale di uno strumento di controllo a priori sulla materia elettorale, sancita dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, non deve far desistere dall’intento di una sua successiva introduzione secondo gli strumenti a tal fine predisposti dall’ordinamento giuridico, ‹‹sull’onda del modello francese di controllo preventivo di costituzionalità››[112].
Nel caso in cui dovesse essere ridisegnata la fisionomia del suddetto controllo ex ante, l’auspicio che qui può farsi è che stavolta il legislatore costituzionale recepisca in modo più completo i caratteri dell’omologo istituto francese, istituendo un controllo preventivo obbligatorio e a tutto tondo sulla legge elettorale, cioè esercitato automaticamente una volta ricevuto dal Parlamento il testo definitivo della legge stessa[113]. Tale soluzione avrebbe probabilmente mitigato il timore legato alla potenziale coloritura politica della pronuncia costituzionale, in tal modo non più associabile alla fazione politica ricorrente, e avrebbe altresì incardinato in modo più pervasivo il giudizio preventivo nel nostro sistema di giustizia costituzionale, costituendo altresì uno strumento a presidio delle minoranze politiche che non dispongono dei numeri sufficienti per attivarlo[114].
In ogni caso, spetterà in futuro al Legislatore costituzionale valutare se sia opportuno attribuire alla Corte un “sindacato a geometria variabile”, astratto-concreto[115], nella prospettiva di una circolazione dei modelli di giustizia costituzionale che risponda a specifiche esigenze e non prescinda dalle caratteristiche del nostro ordinamento giuridico.
3. La possibile introduzione della priorità della questione di costituzionalità rispetto ai problemi di compatibilità con le norme del sistema CEDU e dell’ordinamento dell’UE
Per disquisire dell’utilità di introdurre una priorità di esame della questione di legittimità costituzionale rispetto a quella di compatibilità con le norme di diritto europeo e di diritto internazionale, è opportuno fare un breve riferimento al diverso modo di approcciarsi a tale tematica in Italia e Francia.
Infatti, nel nostro ordinamento la questione di compatibilità della normativa interna con quella sovranazionale viene trattata diversamente a seconda che quest’ultima sia rappresentata da una norma europea o da una norma di diritto internazionale pattizio[116]: nel primo caso, se la disposizione comunitaria è dotata di effetto diretto, il giudice comune dovrà disapplicare la normativa interna incompatibile; se invece la disposizione europea è priva di efficacia diretta, egli dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale per contrasto della legge con gli artt. 11 e 117 della Costituzione; nel secondo caso, invece, il giudice dovrà sollevare eccezione di illegittimità costituzionale della normativa interna per contrasto con l’art. 117 c.1 della Costituzione.
Nei casi di doppia pregiudizialità, però, tendenzialmente è prioritaria la valutazione della compatibilità comunitaria della norma nazionale ad opera del giudice comune [117]. Diversamente, in Francia, come si è già visto nel terzo capitolo, nell’ipotesi in cui dinanzi ad un giudice siano sollevate un’exception di incompatibilità di una legge con un accordo internazionale e un’altra di non conformità alla Carta costituzionale, questi dovrà prioritariamente trattare la question de constitutionnalité[118], fermo restando il rispetto delle regole comunitarie puntualizzate nel caso Melki[119]. Si vuole qui analizzare se sia ammissibile l’importazione nell’ordinamento giuridico italiano del meccanismo francese della priorité della questione di costituzionalità ed eventualmente quali vantaggi ne deriverebbero.
Con riguardo all’antinomia fra norme europee direttamente efficaci e norme interne, l’introduzione della priorità della questione di legittimità costituzionale è ammissibile solo se si supera il pregresso orientamento della giurisprudenza costituzionale che, dall’irrilevanza della norma interna in un settore di competenza dell’Unione europea, fa discendere l’irrilevanza dell’eccezione di incostituzionalità[120].
Secondo autorevole dottrina, un cambiamento di approccio è possibile, purché venga garantito il rispetto del diritto dell’Unione europea[121], sicché – dinanzi allo scenario sopra descritto – il giudice comune potrebbe sollevare questione di costituzionalità, reputandola rilevante, avendo parimenti la facoltà di effettuare il rinvio pregiudiziale, adottare misure cautelari per assicurare l’applicazione del diritto comunitario nelle more del processo costituzionale; disapplicare le disposizioni interne incompatibili con quelle comunitarie, ove il giudizio di costituzionalità non si sia concluso con l’annullamento della norma italiana[122].
A tale soluzione si può accedere solo accogliendo una peculiare lettura dell’art. 117 c.1 della Costituzione, cioè come disposizione che introduce un nuovo e specifico parametro di costituzionalità in quanto pone un limite costituzionale all’esercizio della potestà legislativa di Stato e Regioni[123] e sarebbe, dunque, tale da riportare anche i giudizi relativi al contrasto con norme europee direttamente applicabili all’attenzione della Corte costituzionale[124].
Milita a favore di tale impostazione non solo l’ormai celebre ordinanza n. 207/2013, in cui la Corte Costituzionale ha effettuato essa stessa rinvio pregiudiziale alla CGUE, ponendo le basi per una revisione del tradizionale ordine di esame delle questioni[125], ma anche la recente sentenza costituzionale 269/2017, menzionata in precedenza, in cui è stato affermato che, se una legge è sospettata di non conformità ai diritti fondamentali, garantiti tanto dalla Carta di Nizza – che fa parte integrante del diritto dell’UE – quanto dalla nostra Costituzione, deve essere primariamente sollevata la questione di legittimità costituzionale, ‹‹fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale, per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE››[126].
Anche se in tale ultimo caso l’inserimento in via pretoria della priorità della quaestio legitimitatis è circoscritto al caso di lesione da parte di una legge dei diritti fondamentali, ciò costituisce senz’altro un varco per considerare ammissibile la soluzione qui suggerita, che certo potrebbe meglio concretizzarsi a mezzo di una norma di diritto positivo.
I benefici che da essa si potrebbero trarre consistono, in primis, nel recupero da parte del Giudice costituzionale di un ruolo centrale nell’ambito dei rapporti fra l’ordinamento giuridico italiano e quello comunitario, troppo stesso rintuzzato dalla portata delle pronunce della CGUE[127] e, in secundis, dal rafforzamento della garanzia della certezza del diritto che solo l’efficacia erga omnes di una pronuncia di annullamento della Corte costituzionale può dare(e non anche l’esercizio del potere di non applicazione del giudice comune), in accordo a quella giurisprudenza comunitaria che esige l’espulsione delle norme nazionali difformi rispetto al diritto europeo[128].
A ciò si aggiunga che si perverrebbe in tal modo ad un’omogeneità di trattamento non più solo in relazione alle antinomie fra norme interne e norme europee prive di efficacia diretta e a quelle fra norme interne e norme di diritto internazionale pattizio, ma anche con riguardo ai contrasti - allo stato degli atti ancora diversi - fra norme nazionali e norme comunitarie dotate di effetto diretto.
4. L’auspicabilità della positivizzazione del potere in capo alla Corte costituzionale di modulare nel tempo gli effetti delle proprie decisioni di accoglimento
Le pronunce costituzionali di accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata per incidens hanno un notevole impatto normativo tanto nell’ordinamento giuridico italiano quanto in quello francese[129]. Per rendere tale impatto meno traumatico, mentre il Giudice costituzionale italiano, muovendosi entro i limiti legalmente stabiliti, può fare ricorso a sentenze manipolative di vario tipo, quello francese è dotato, oltre a tale strumento, del potere di modulare nel tempo gli effetti delle proprie decisioni rese in via incidentale espressamente riconosciutogli dall’art. 62 della Costituzione[130].
Quest’ultimo meccanismo si presta maggiormente a garantire un duplice ordine di esigenze: da un lato quello di evitare che una declaratoria di illegittimità produca situazioni di maggiore incostituzionalità di quelle che si sarebbero verificate in sua assenza[131], dall’altro quella di impedire la formazione di lacune e di consentire al legislatore di colmarle prima che le stesse vengano effettivamente ad esistenza[132].
Si vuole qui discorrere dell’eventualità di assegnare una prerogativa analoga alla Corte costituzionale italiana, in considerazione del fatto che la stessa ne ha fatto già uso, pur in assenza di un dato normativo in materia, dal momento che le sue decisioni di accoglimento producono generalmente effetti retroattivi, con il limite dei rapporti esauriti, come si ricava dal combinato disposto degli articoli 136 c.1 Cost. e 30 c.3 della legge 87/1953[133].
Il leading case in materia è senz’altro costituito dalla nota sentenza 10/2015, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 81, commi 16, 17 e 18 del d.l. 112/2008, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., «sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, per incongruità dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, in sé e per sé legittimo, perseguito», aggiungendo infine – ed è questo il dato ai nostri fini più saliente - che gli effetti della suddetta declaratoria di illegittimità costituzionale devono «decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica»[134], così autoriconoscendosi la facoltà di modulare nel tempo gli effetti delle proprie decisioni[135]. Prima di esaminare nel dettaglio le modalità con cui la Corte costituzionale è pervenuta a siffatta conclusione, è opportuno descrivere sinteticamente l’oggetto del giudizio costituzionale considerato.
Nel caso di specie, il Giudice delle Leggi ha affermato l’incostituzionalità della cd. robin tax, cioè un prelievo aggiuntivo, qualificato “addizionale” ma in realtà consistente in una maggiorazione (a decorrere dal periodo d‟imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007) dell’imposta sul reddito delle società (IRES) di cui all’art. 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, applicata alle imprese operanti in determinati settori, tra cui la commercializzazione di benzine, petroli, gas e oli lubrificanti, che abbiano conseguito ricavi superiori ad un certo ammontare nel periodo di imposta precedente, con il divieto per i soggetti passivi di traslare l’onere fiscale sui consumatori[136]. Come si evince dal dispositivo della sentenza 10/2015, la Corte costituzionale ha accolto solo le censure formulate con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nell’assunto che l’addizionale non risulta ancorata ad alcun indice di capacità contributiva e, essendo in realtà una maggiorazione dell’IRES, determina una ingiustificata disparità di trattamento tra imprese operanti nei settori soggetti all’addizionale e altre imprese, nonché, nell’ambito delle prime, tra quelle aventi un volume di ricavi superiore o inferiore ad un certo volume di reddito[137].
Omettendosi, in quanto non rilevante agli scopi della presente trattazione, gli argomenti addotti dalla Corte per dichiarare l’illegittimità dell’addizionale impugnata, ci si soffermerà, invece, sulle modalità attraverso le quali il Giudice costituzionale ha cercato di portare nell’alveo della legalità la deroga dallo stesso operata al carattere retroattivo della declaratoria di incostituzionalità[138].
Si può affermare che, similmente a quanto la Corte ha fatto con la sentenza 1/2014, anche nella pronuncia in esame essa abbia forzato ‹‹la porta della rilevanza››, con la differenza che se precedentemente ciò costituiva presupposto affinché essa stessa potesse esprimersi, nel caso in esame rappresenta l’extrema ratio per garantire la compatibilità fra il differimento degli effetti dell’annullamento e l’impalcatura normativa dell’incidentalità. L’inedita regolazione degli effetti temporali determinata dal Giudice delle Leggi, che comporta l’impossibilità per il giudice a quo di disapplicare la norma dichiarata incostituzionale nel giudizio pendente dinanzi allo stesso, viene ritenuta ‹‹non inconciliabile con il rispetto del requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale››, in quanto ‹‹tale requisito opera soltanto nei confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità della questione, ma non anche nei confronti della Corte ad quem al fine della decisione sulla medesima›› e altresì per il fatto che ‹‹in virtù della declaratoria di illegittimità costituzionale, gli interessi della parte ricorrente trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, sia pure solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima››[139].
Per quanto lo sforzo creativo del Giudice costituzionale trovi un rispecchiamento in quanto sostenuto da una parte della dottrina[140], non si può non rilevare che l’affermazione secondo cui è ammissibile che il giudice rimettente applichi la norma dichiarata incostituzionale nel giudizio a quo dà un’indegna sepoltura alla pregiudizialità costituzionale[141], su cui si regge il nostro sistema di giustizia costituzionale in virtù della previsione di cui all’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1[142].
Si noti, peraltro, che su una constatazione simile poggiano le parole di Hans Kelsen, che pur ragionando all’interno del sistema austriaco - caratterizzato da decisioni di accoglimento con efficacia (generalmente) ex nunc o pro futuro – metteva in evidenza che un effetto retroattivo nei confronti del giudizio a quo «est une nécessité technique parce que, sans lui, les autorités chargées de l’application du droit n’auraient pas d’intérêt immédiat et par suite suffisamment puissant à provoquer l’intervention du tribunal constitutionnel»[143]. Come ha sottolineato illustre dottrina, inoltre, “l’aspetto paradossale, e non tollerabile in un sistema incidentale”, che deriverebbe dall’accoglimento della tesi dell’ammissibilità dell’irretroattività degli effetti, è che il giudice rimettente dovrà utilizzare una norma illegittima, che, ‹‹alla luce della decisione costituzionale, non dovrebbe applicare››[144]. Il giudice rimettente, in altre parole, si troverebbe nell’assurda situazione di ricevere un’attestazione di fondatezza del proprio dubbio di costituzionalità, accompagnata dalla sorprendente necessità di ‹‹dover sopportare l’applicazione di una legge dichiarata incostituzionale››[145].
Il dato normativo sopra citato, dunque, consente di concludere che escludere la retroattività delle pronunce costituzionali, quale tratto che permea il nostro sistema incidentale, significa disconoscere la ratio del sistema stesso, con conseguente stravolgimento delle sue finalità[146]. Non è un caso che quei sistemi di giustizia costituzionale che prevedono la efficacia ex nunc delle decisioni di incostituzionalità - come quello francese che si è di recente dotato di un accesso incidentale al Giudice costituzionale – hanno poi in via giurisprudenziale fornito una interpretazione tale da garantire l’ “effetto utile” della della declaratoria di incostituzionalità, consentendole di produrre i suoi effetti perlomeno nel giudizio a quo, allo scopo di evitare una palese contraddizione del sistema[147].
A tali considerazioni si deve aggiungere che precludere ad una parte di godere degli effetti di una sentenza di annullamento emessa in conseguenza di una quaestio legitimitatis sorta nel suo giudizio costituisce una violazione del fondamentale diritto di agire in giudizio contemplato dall’art. 24 della Costituzione[148]: l’individuo, infatti, può eccepire l’incostituzionalità di una norma di legge solo transitando dal giudizio principale[149]. Si potrebbe obiettare alla presente critica – seguendo il ragionamento del Giudice costituzionale nella sentenza 10/2015 - che la Corte si è trovata costretta a non offrire la massima garanzia dell’anzidetto principio costituzionale per poter effettuare un’operazione di bilanciamento di due diverse esigenze costituzionali, che nel caso di specie sarebbero le conseguenze derivanti dall’annullamento della disposizione impugnata(la restituzione dei versamenti tributari) e la situazione di maggiore incostituzionalità derivante dall’eliminazione della norma illegittima(lo squilibrio del bilancio dello Stato con annessa inottemperanza agli obblighi comunitari e internazionali), che motiverebbe la limitazione degli effetti temporali[150].
Sembra che in ogni caso una conclusione del genere non possa ritenersi fondata per l’evidente rilievo che gli effetti delle sentenze costituzionali non sono nella piena disponibilità della Corte, ma sono definitivamente stabiliti dalle fonti che li disciplinano sicché non è possibile mettere sullo stesso piatto della bilancia principi costituzionali e regole processuali, a meno di non voler ricevere accuse di ‹‹ipergiurisdizionalismo costituzionale››[151].
Bisogna a questo punto chiedersi se esiste una modalità attraverso cui alla Corte costituzionale possa essere riconosciuto il potere di bloccare la portata retroattiva delle sue pronunce, senza per questo snaturare l’incidentalità su cui si regge il nostro sistema di giustizia costituzionale. Pare che possa giungere opportunamente in soccorso del Giudice delle Leggi l’argomento, dallo stesso messo in evidenza, della comparazione[152], nella misura in cui afferma che l’exemplum proveniente da altre Corti costituzionali europee, come quelle austriaca, tedesca, spagnola e portoghese, dimostra che ‹‹il contenimento degli effetti retroattivi delle decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche nei giudizi in via incidentale, indipendentemente dal fatto che la Costituzione o il legislatore abbiano esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle leggi››[153]. In vero, nel panorama comparato, il riferimento più opportuno ma forse più sconveniente per il Giudice costituzionale (se non altro perché in Francia il potere di limitare la retroattività è sancito dal diritto positivo) sarebbe stato quello al Conseil constitutionnel[154].
L’attribuzione alla Corte costituzionale del potere di modulare gli effetti delle proprie pronunce nel tempo – che dovrebbe avvenire tramite una legge di revisione costituzionale, se si volesse emulare in modo pieno il modello francese – avrebbe alla stessa consentito, in relazione alla vicenda sulla robin tax, di far decorrere gli effetti della propria decisione dal giorno successivo alla sua pubblicazione, senza la necessità di ricorrere ad espedienti che rischiano di stravolgere la natura stessa del giudizio per incidens[155]. Per riconoscere alla Corte il suddetto potere, di cui la stessa si è auto-investita anche facendo riferimento alla prassi esistente in altri organi di giustizia costituzionale europei, sarebbe, però, opportuna un’iniziativa normativa[156].
Su tale punto è intervenuto, ad esempio, C. Panzera, che ha proposto una revisione costituzionale dell’art. 136 Cost., con l’espresso deferimento alla Corte costituzionale – al pari di quanto previsto dalla Costituzione francese per il Conseil constitutionnel- del potere di ritardare gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, prevedendo però l’assegnazione al Parlamento di un termine per intervenire e che il giudizio principale rimanga sospeso fino alla scadenza del termine, con la possibilità di riconoscere alle parti del giudizio a quo una tutela indennitaria[157].
Se non si volesse modificare l’art. 136 della Costituzione, non sarebbe da escludere una modifica, data la sua formulazione lettterale e l’impossibilità di disapplicarlo in via pretoria, almeno dell’art. 30 c.3 della legge n. 87 del 1953[158].
E se proprio il Legislatore restasse inerte di fronte a tale problematica, la Corte costituzionale, anziché agire caso per caso, avrebbe la facoltà – da considerarsi come ultima e residuale via da percorrere – di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui non consente alla Corte medesima di limitare, in ipotesi eccezionali e fatti sempre salvi i giudizi a quibus, la retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento[159].
La necessità del sopra richiamato intervento normativo – stante l’attuale mancanza di un sindacato di legittimità costituzionale preventivo sulle leggi elettorali – è peraltro confermata dalla sentenza 1/2014, in cui a ben vedere la Corte non si è limitata ad escludere l’efficacia retroattiva della propria decisione, affermando - secondo alcuni impropriamente [160] - che le elezioni fossero un fatto concluso, ma ne ha altresì differito la produzione di effetti ad un momento successivo rispetto alla data di pubblicazione della sentenza, nella misura in cui ha stabilito che «la decisione che si assume […] produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale»[161].
5. L’inserimento di eccezioni alla sospensione del giudizio a quo: un superamento dei problemi legati alla violazione del principio di ragionevole durata del processo?
Nella querelle relativa alla discrezionalità della Corte costituzionale nell’applicazione delle proprie regole processuali, s’inserisce il tema dei tempi del giudizio costituzionale[162]. Infatti, la Costituzione italiana, a differenza di quella francese, non contiene disposizioni volte a regolare puntualmente le tempistiche del processo costituzionale né contempla le già esaminate eccezioni alla sospensione del giudizio a quo in attesa della definizione del giudizio innanzi al Conseil di cui all’ art. 23-3 al. 2,3,4 dell’ Ordonnance n° 58-1067[163].
Una volta chiariti i suddetti profili di comparazione, si vuole qui comprendere se il superamento del paradigma della sospensione necessaria “all’italiana” del giudizio principale, a mezzo dell’innesto nel nostro sistema di giustizia costituzionale delle eccezioni francesi di cui al menzionato art. 23-3, possa meglio garantire il diritto delle parti alla ragionevole durata del processo, consacrato nell’art. 6.1 della CEDU[164].
La stretta connessione fra le due tematiche si evince dal mutato approccio della giurisprudenza della Corte EDU con riguardo alla circostanza che il termine di durata di un processo – in relazione alla configurabilità della responsabilità dello Stato ex art. 6 CEDU, debba essere considerato al “netto” oppure al “lordo” del tempo impiegato per l’ottenimento di una sentenza costituzionale[165].
Se inizialmente la Corte EDU aveva ritenuto che il tempo necessario al giudizio costituzionale non dovesse essere tenuto in considerazione per la valutazione dell’osservanza della “ragionevole durata del processo”[166], la stessa compie una radicale inversione di rotta cinque anni più tardi, in occasione del caso Deumeland c. Germania del 29 Maggio 1986, in cui viene affermata la necessaria computazione della durata del processo costituzionale ai fini della valutazione del rispetto dell’art. 6 della CEDU da parte di uno Stato aderente, che nel caso di specie era rappresentato dalla Germania.
Questo nuovo indirizzo interpretativo trova il proprio definitivo riconoscimento nella successiva giurisprudenza della Corte EDU, principalmente in relazione ai ricorsi promossi contro la Repubblica federale tedesca[167] ed è stato recepito puntualmente dalla giurisprudenza di legittimità italiana.
Nella sentenza 16882/2002, la Suprema Corte ha, infatti, affermato che ‹‹ai fini del diritto all'equa riparazione, l'apprezzamento in ordine alla ragionevolezza della durata di un singolo processo non può essere semplicemente correlato alla "normale" durata dei processi dello stesso tipo, dovendosi computare anche i tempi ricollegabili a vicende "tipiche", ipotizzabili anche rispetto ad altri processi analoghi, e, tra questi, il tempo impiegato per la risoluzione dell'incidente di costituzionalità››[168].
La stessa ha confermato il suo allineamento alla giurisprudenza di Strasburgo nella pronuncia n. 789/2006, in cui peraltro è stato ribadito il carattere improprio della sospensione generata dall’incidente di costituzionalità, tant’è che il giudizio costituzionale per la Cassazione ‹‹più che costituire un nuovo e distinto processo, rappresenta la prosecuzione in una nuova sede del procedimento originario››[169].
Accanto a tali pronunce, dev’essere segnalata la più recente sentenza costituzionale 88/2018, in cui è stata dichiarata ‹‹l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 – nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto››[170].
L’indicazione della giurisprudenza costituzionale volta a consentire la proponibilità della domanda di equa riparazione all’interno del processo che ha violato i tempi ragionevoli, unitamente ai criteri di computabilità della “ragionevole durata” adottati dalla Corte di Cassazione, in adesione alle direttive della giurisprudenza di Strasburgo, non può che indurre a qualche riflessione circa l’utilità di prevedere anche per il nostro modello di giustizia costituzionale delle eccezioni alla sospensione del giudizio principale ovvero dei termini più ristretti per la pronuncia della sentenza costituzionale.
Il primo dei due suggerimenti normativi avrebbe il merito di assicurare la ragionevole durata del processo principale, che si vedrebbe sganciato dalla necessaria risoluzione di un incidente di costituzionalità per la quale potrebbe essere necessario un certo numero di mesi, ma si scontrerebbe con la regola cardine del modello incidentale italiano, quella della rilevanza, che esalta la dipendenza del giudizio a quo da quello costituzionale[171]. Il rischio della prosecuzione del giudizio principale, infatti, è quello che il giudice a quo possa emettere una decisione prima che il Giudice costituzionale si sia pronunciato sulla questione di costituzionalità, così mettendosi in crisi il carattere pregiudiziale della stessa.
La seconda possibile proposta, relativa all’inserimento nel nostro sistema giurisdizionale costituzionale di un termine entro cui il Giudice delle Leggi dovrebbe essere chiamato a decidere, in analogia ad esempio a quello di tre mesi dal deferimento della question de constitutionnalité previsto per il Conseil constitutionnel[172], rischia di scontrarsi con la tesi dottrinale secondo cui l’assenza di tempi processuali rigidi del processo costituzionale è funzionale non solo alla ricerca dell’unanimità all’interno del collegio, ma anche alla garanzia di un maggiore distacco dal dibattito politico e ad agevolare la possibilità di un intervento correttivo del Legislatore[173].
Spetterà eventualmente al Parlamento italiano individuare in futuro, anche alla luce delle citate criticità, nuove possibilità di “coordinamento temporale” fra il giudizio costituzionale e il giudizio a quo tali da garantire una piena osservanza del monito della giurisprudenza di Strasburgo, che ha più volte sottolineato, ad esempio nella sentenza Scordino c. Italia[174], che l’art. 6.1 CEDU obbliga gli Stati membri ‹‹a organizzare il loro sistema giudiziario in modo che le giurisdizioni possano assolvere all’esigenza di celebrare i processi in termini ragionevoli››[175].
6. Prospettive di applicazione della tecnica del doppio filtro: un inutile appesantimento o un utile strumento deflattivo del sovraccarico del sistema di giustizia costituzionale?
Segno di strenua resistenza del modello di giustizia costituzionale francese ad un accoglimento totalizzante dell’incidentalità europea è la permanenza del meccanismo del doppio filtro, il cui positivo superamento è condizione necessaria per adire il Giudice costituzionale. Posto che i caratteri dell’istituto in questione sono stati in precedenza analizzati[176], si vuole qui verificare se questo tratto speciale della via francese alla giustizia costituzionale sia degno di emulazione anche in Italia, in virtù della finalità per cui esso è stato previsto. L’intento principale che il legislatore costituzionale francese ha voluto perseguire con l’introduzione del “double filtrage” è deflattivo, cioè quello di evitare che giungano al Conseil constitutionnel questioni puramente dilatorie o manifestamente infondate[177].
In Italia questo compito viene assolto dal giudice comune in sede di valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, senza un coinvolgimento delle supreme magistrature ordinaria e amministrativa[178].
La valutazione circa la sufficienza o meno nel nostro ordinamento dell’unico filtro rimesso al giudice a quo non può che essere condotta alla luce della considerazione del dato numerico relativo al carico annuale di questioni di costituzionalità giunti alla nostra Corte. Se si guarda soltanto al numero totale delle decisioni rese dal Giudice delle Leggi all’esito del giudizio in via incidentale, il dato numerico appare complessivamente in linea con la centralità dell’accesso incidentale nel nostro ordinamento: 158 decisioni nel 2017, 158 nel 2016, 145 nel 2015, 171 nel 2014, 145 nel 2013[179]. Ma lo stesso dato può suscitare qualche perplessità circa la sufficienza del controllo preliminare di rilevanza e non manifesta infondatezza espletato dal giudice a quo se si considera che sul totale sopra considerato si sono avute ben 92 dichiarazioni di inammissibilità nel 2017, 91 nel 2016, 74 nel 2015, 89 nel 2014, 76 nel 2013[180].
Pur non essendo di fronte a una situazione di sovraccarico di lavoro della Corte costituzionale[181], potrebbe essere opportuno ragionare dei pro e dei contra che deriverebbero dal trapianto del double filtrage nel nostro sistema di giustizia costituzionale.
Quest’operazione eviterebbe senz’altro che la Corte costituzionale sia investita di un gran numero di giudizi, molti dei quali finiscono per concludersi con una declaratoria di inammissibilità (ad esempio per un deficit di rilevanza) e garantirebbe un maggiore coinvolgimento delle supreme magistrature ordinaria e amministrativa nel controllo di costituzionalità, evitando sia che il Giudice costituzionale resti in balia della magistratura ordinaria sia l’insorgenza di possibili “guerre tra Corti”, alimentata dalla resistenze dei giudici comuni a dare seguito ad alcune pronunce costituzionali[182].
Se questi costituirebbero degli indubbi vantaggi, non si possono sottacere gli altrettanti svantaggi che deriverebbero dall’importazione della tecnica del doppio filtro in Italia: in primo luogo, si produrrebbe un aggravio procedurale che rischierebbe di allungare i tempi di decisione della Corte, attualmente pari in media ad un anno, a meno che non si introduca una regolamentazione maggiormente pervasiva dei tempi processuali costituzionali, simile a quella francese; in secondo luogo, il secondo vaglio compiuto dalle Corti supreme, poiché verrebbe svolto da un giudice diverso da quello che deciderà il giudizio principale, rischia di snaturare il carattere concreto tipico del controllo di costituzionalità in via incidentale; infine, bisogna tenere conto del rischio che le supreme magistrature ordinaria e amministrativa trasformino il meccanismo del doppio filtro in un bouchon dangereux, così rendendo più difficile l’accesso al Giudice costituzionale[183].
Alla luce di tale analisi, un’eventuale scelta legislativa in ordine al trapianto o meno del doppio filtro à la française nel nostro ordinamento dovrebbe essere il frutto dell’assegnazione di preminenza ad una delle seguenti esigenze: quella di evitare pronunce inutili o meramente dilatorie ovvero quella di non ostacolare, ma favorire la possibilità di adire la Corte costituzionale. Probabilmente, in considerazione della flessione registratasi negli ultimi anni quanto al ricorso al giudice delle leggi, si dovrebbe continuare a privilegiare la seconda delle esigenze suddette[184], lasciando che il doppio filtro continui a sopravvivere solo entro i confini francesi, anche in virtù del diverso ruolo storicamente riconosciuto al Conseil d’État e alla Cour de Cassation in materia di tutela dei diritti[185].
7. Esiti dell’indagine comparativa
La comparazione svolta all’interno del presente elaborato consente di individuare, fra i due sistemi di giustizia costituzionale esaminati, sia un punto di intersezione, rappresentato dall’incidentalità - seppur declinata secondo moduli in parte diversi dovuti alle peculiarità di ciascuna realtà istituzionale – sia un punto di rottura, costituito dal sindacato preventivo di costituzionalità, che, se in Francia gode ancora di un ruolo centrale, in Italia rappresenta un’eccezione riguardante gli Statuti delle Regioni ordinarie e le leggi statutarie.
L’accesso ex post al Giudice delle Leggi, che al di là delle Alpi dal 2010 si affianca al controllo preventivo di costituzionalità, ha determinato una piena ibridazione dell’originario modello politico di giustizia costituzionale francese, non più circoscritta alla sua natura di Giano bifronte (politico-giurisdizionale), ma estesa ai profili della duplice via d’accesso alla giustizia costituzionale (in via d’eccezione e in via d’azione), dell’alternativa modalità di svolgimento del controllo (preventivo e successivo, astratto e concreto) e del doppio livello di estrinsecazione della giustizia costituzionale dato dalla combinazione dell’elemento di diffusione in sede di verifica dei presupposti per la rimessione della quaestio legitimitatis e di quello dell’accentramento relativo al deferimento esclusivo della decisione costituzionale al Conseil constitutionnel.
La riforma costituzionale francese, dunque, è testimone dell’irresistibile tendenza alla convergenza dei modelli e di una speciale attrazione verso il modello incidentale italiano al punto che essa è stata salutata da parte della dottrina come un’‹‹italianisation››[186] della giustizia costituzionale francese.
Come un Catullo post litteram, non propenso alla passiva imitazione del modello ma al suo superamento, il Legislatore costituzionale francese non importa acriticamente il sistema per incidens italiano nel proprio ordinamento, ma lo emula, adeguandolo agli istituti già esistenti. Analogamente alle operazioni di trapianto nella scienza medica, così anche quelle della scienza giuridica si scontrano con un rischio inevitabile: la compatibilità con il resto degli organi facenti parte del sistema.
Pur nella coscienza di siffatti pericoli, si è voluto in queste pagine proporre un’operazione chirurgica inversa a quella già realizzatasi oltralpe sul piano del diritto positivo: guardare all’esperienza della question prioritaire de constitutionnalité per ipotizzare una cross-fertilizzation del sistema incidentale italiano con alcune specialità dell’incidentalità à la française: il potere del Conseil constitutionnel di modulare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze, la priorità della questione di costituzionalità sulla questione di convenzionalità, l’inserimento di eccezioni alla sospensione del giudizio a quo in attesa della definizione del processo costituzionale, l’introduzione di un doppio filtro per l’accesso al Giudice delle Leggi. Si tratta senz’altro di un’operazione creativa, che solo un Legislatore costituzionale attento può fare in modo che avvenga senza sconvolgere gli equilibri con gli altri istituti giuridici già in vigore nel nostro ordinamento.
L’elemento di maggiore sovversività della prospettata contaminazione non risiede, però, nell’auspicato accoglimento di alcuni tratti caratterizzanti della QPC che comunque non sono in grado di alterare la connotazione prevalentemente giurisdizionale e successiva del nostro sindacato di legittimità costituzionale, ma nell’aver ipotizzato – con il sostegno di un disegno di legge costituzionale a tal proposito – l’introduzione di un controllo a priori alla francese, seppur limitato alla sola materia elettorale.
Come si diceva poc’anzi, infatti, un trapianto deve sempre tener conto delle specificità del corpo su cui lo stesso incide: sarebbe anacronistico, cioè, pensare – anche in considerazione della riforma costituzionale italiana del 2001 - che il nostro sistema di giustizia costituzionale possa dotarsi di una via preventiva larga quanto quella francese, anche se ciò non sarebbe astrattamente inconciliabile con il carattere misto del medesimo.
Peraltro, non si potrebbe prospettare un “innesto” completo dell’accesso preventivo à la française nel nostro ordinamento anche alla luce delle diverse origini storiche degli organi di giustizia costituzionale italiano e francese: se al primo è stato impresso fin dai tempi della Costituente un carattere marcatamente giurisdizionale ed è dunque più naturale che eserciti le proprie funzioni in via successiva, il secondo ha un’origine politica e la sua attività è stata fin da subito collocata all’interno del procedimento di formazione della legge[187]. E’pur vero, però, che se il Conseil constitutionnel ha conosciuto un processo di progressiva giurisdizionalizzazione, culminato nell’ approvazione della revisione costituzionale del 2008, la Corte costituzionale italiana sembra aver aumentato in maniera considerevole, negli ultimi anni, la sua vocazione “politica” e, dunque, il suo dialogo con il legislatore, ad esempio attraverso le pronunce costituzionali, in precedenza analizzate, relative alla materia elettorale.
De iure condendo, nell’eventualità che in futuro il Legislatore costituzionale reputasse opportuno – anche prendendo atto dei rilevati deficit dell’accesso incidentale e della progressiva emersione dell’anima “politica” della Corte costituzionale nei fatti - introdurre nel nostro ordinamento il sindacato di legittimità costituzionale in via preventiva sulle leggi elettorali di Camera e Senato, si potrebbe auspicare che intervenga senza stravolgere il nostro modello di giustizia costituzionale a carattere prevalentemente giurisdizionale, evitandone pericolose torsioni politiche[188].
A tal fine, almeno due saranno i limiti con cui dovrà misurarsi e che non potrà fare a meno di tenere in considerazione: l’art. 28 della L. 11 marzo 1953, n. 87, che esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento nell’esercizio del controllo di costituzionalità della Consulta e l’art. 111 della Costituzione, che consacra il requisito di imparzialità quale tratto distintivo di ogni giurisdizione, compresa quella costituzionale.
[1] Sul requisito di imparzialità si veda R. Bin, Sull’imparzialità dei giudici costituzionali, in Giurisprudenza costituzionale, 2009, pp. 1-8.
[1] A. Barak, Comparative Law, Originalism and the Role of a Judge in a Democracy: a Reply to Justice Scalia, Fulbright Convention del 29 Gennaio 2006.
[2] In tal senso v. M. Troisi, L’accesso alla giustizia costituzionale in Italia e Francia dopo la riforma del 2008, in www.gruppodipisa.it, pp. 27-28.
[3] T.Groppi, Riformare la giustizia costituzionale: dal caso francese indicazioni per l’Italia?, in Rassegna parlamentare, n.1, 2013, pp. 50-53, reperibile sul sito www.astrid-online.it.
[4] F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, in Quaderni costituzionali, Fascicolo 1, Marzo 2016, p. 39.
[5] M. G. Rodomonte, L’Italia dopo il referendum del 4 dicembre 2016: tra rischi di ritorno al passato, delegittimazione politica e prospettive future, n. 2/2017, in www.federalismi.it., p. 1 ss.
[6] V. Messerini, La materia elettorale, in Aa. Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale. Carattere, limiti, prospettive di un modello (a cura di R. Romboli), ESi, 2006, pp. 553-556.
[7] Sul punto v. L. Bartolucci, Il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, n. 185-186, pp. 78-81. Si vedano altresì B. Caravita, La riforma elettorale alla luce della sentenza 1/2014, n. 02/2014, in www.federalismi.it, p. 1 ss. e A. D’Aloia, Finale di partita. Incostituzionale la legge elettorale, in Forum di Quaderni Costituzionali, p. 1 ss.
[8] Corte cost., sentenza n. 1 del 2014, punto 2 del Considerato in diritto.
[9] Sentenze 1/2014 punto 1.5 ritenuto in fatto e 35/2017 punto 1.3 ritenuto in fatto. Sul punto si vedano Renzo Dickmann, La Corte dichiara incostituzionale il premio di maggioranza e il voto di lista e introduce un sistema elettorale proporzionale puro fondato su una preferenza, per g.c. di Federalismi.it, pp. 1-5; Beniamino Caravita, La riforma elettorale alla luce della sent. 1/2014, per g.c. di Federalismi.it, pp. 1-2; Francesco Dal Canto, Corte costituzionale, diritto di voto e legge elettorale: non ci sono zone franche, sul Blog di cultura costituzionale Confronti costituzionali, p. 1 ss. ; Lorenzo Spadacini, I limiti alla discrezionalità del legislatore in materia elettorale desumibili dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali, pp. 3-5; Sara Lieto e Pasquale Pasquino, La Corte costituzionale e la legge elettorale: la sentenza n.1 del 2014, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali, pp. 1-3 ; Roberto Bin, “Zone franche” e legittimazione della Corte, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali, pp. 2-3.
[10] G. Comazzetto, Fictio litis e azioni di accertamento del diritto costituzionale di voto dopo la sentenza 35/2017, 21 giugno 2017, in Forum di Quaderni Costituzionali, par. 1-2-3.
[12] G. Comazzetto, Fictio litis e azioni di accertamento del diritto costituzionale di voto dopo la sentenza 35/2017, cit., par. 1-2-3.
[13] Cass., Sez. un., ord. 23 giugno 1956, n. 354.
[14] E. Olivito, Fictio litis e sindacato di costituzionalità della legge elettorale. Può una finzione processuale aprire un varco nelle zone d’ombra della giustizia costituzionale?, fasc. 2/2013, 16 settembre 2013, in www.costituzionalismo.it
[15] L’espressione è di R. Bin, Chi è responsabile delle “zone franche”? Note sulle leggi elettorali davanti alla Corte, 9 Giugno 2017, in Forum di Quaderni Costituzionali. L’autore, tuttavia, auspica una bonifica delle zone d’ombra della giustizia costituzionale non attraverso l’introduzione di un sindacato di costituzionalità preventivo, come qui invece si sta ipotizzando, né attraverso un’estensione della possibilità di investire la Corte costituzionale di questioni di legittimità che non supererebbero il normale filtro della rilevanza, come ha fatto la stessa giurisprudenza costituzionale, ma mediante un ampliamento della possibilità di far valere i propri diritti dinanzi al giudice di merito, riservando a quest’ultimo la valutazione di eccepire l’incostituzionalità della legge da applicare. La Corte, nella prospettiva di Bin, avrebbe dovuto cioè impedire il formarsi stesso della zona franca, sollevando dinanzi a se stessa la questione di legittimità dell’art. 87 del d.P.R. 361/1957(“Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati”), nella parte in cui, riservando alla Camera dei deputati ‹‹il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente›› pare escludere ogni intervento della giurisdizione ordinaria e amministrativa. Una sentenza interpretativa di accoglimento che avesse rimosso i fondamenti legislativi che si oppongono alla normale impugnazione incidentale – prosegue l’autore – avrebbe consentito la presentazione al giudice anche degli aspetti riguardanti l’eguaglianza del voto “in uscita” (cioè l’attribuzione dei seggi in ragione della loro significazione politica).
[16] Corte cost., sentenza n. 35 del 2017, punto 3.2 del Considerato in diritto.
[17] A tal proposito v. M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, fasc. 3/2017, 28 Settembre 2017, reperibile sul sito www.giurcost.org , pp. 419-421. L’autrice giunge a tale conclusione dall’analisi del punto 3.3 cons. in dir. della sentenza 35/2017: ‹‹ Non rileva la circostanza che, come avviene in questo caso, le disposizioni della legge siano ad efficacia differita, poiché il legislatore – stabilendo che le nuove regole elettorali siano efficaci a partire dal 1° luglio 2016 – non ha previsto una condizione sospensiva dell’operatività di tali regole, legata al verificarsi di un evento di incerto accadimento futuro, ma ha indicato un termine certo nell’an e nel quando per la loro applicazione. Il fatto costitutivo che giustifica l’interesse ad agire è dunque ragionevolmente individuabile nella disciplina legislativa già entrata in vigore, sebbene non ancora applicabile al momento della rimessione della questione, oppure al momento dell’esperimento dell’azione di accertamento: le norme elettorali regolano il diritto di voto e l’incertezza riguarda la portata di quest’ultimo, con il corollario di potenzialità lesiva, già attuale, sebbene destinata a manifestarsi in futuro, in coincidenza con la sua sicura applicabilità (a decorrere dal 1° luglio 2016)››.
[18] A tal proposito v. A. Ruggeri, La riscrittura, in un paio di punti di cruciale rilievo, della disciplina elettorale da parte dei giudici costituzionali e il suo probabile “seguito” (a margine del comunicato emesso dalla Consulta a riguardo della dichiarazione d’incostituzionalità della legge n. 270/2005), in Consulta Online, 9 dicembre 2013, pp. 5 ss.
[19] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, Focus Riforma costituzionale n. 19/2016, pp. 6-7.
[20] Corte cost., sentenza n. 1 del 2014, punto 7 del Considerato in diritto.
[21] G. Zagrelbesky, La sentenza n. 1 del 2014 e i suoi commentatori, inGiur. Cost., 2014, n. 3, 2979.
[22] Cfr. Corte cost., sent. n. 35 del 2017, punto 15.2 del Considerato in diritto. Sul punto, cfr. R. Dickmann, La Corte costituzionale trasforma l’Italicum in sistema elettorale maggioritario “eventuale” ma lascia al legislatore l’onere di definire una legislazione elettorale omogenea per le due Camere, in Federalismi.it, 15 febbraio 2017; A. Morrone, Dopo la decisione sull’Italicum: il maggioritario è salvo, e la proporzionale non un obbligo costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 13 febbraio 2017; C. Rossano, Note sul premio di maggioranza ed esigenze di omogeneità delle leggi elettorali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nella sentenza della Corte costituzionale n. 35/2017, in Rivista AIC, 1/2017, 27 febbraio 2017.
[23] F. Sgrò, Prime considerazioni sulla legge n. 165 del 2017: questioni nodali e specificità del nuovo sistema elettorale italiano, Fasc. 3/2017, 6 dicembre 2017, in www.osservatorioaic.it .
[24] M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, cit., pp. 426-428.
[25] Sul punto si veda R.Bin, G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., pp. 171-172. In particolare, viene sottolineato che la diversità di regole per l’elezione della Camera dei deputati e per l’elezione del Senato della Repubblica discendeva in primis dal fatto che, dovendo il Senato essere eletto a base regionale ex art. 57 c.1 Cost., i seggi assegnati a ciascuna Regione erano attribuiti, con formula proporzionale, esclusivamente sulla base dei voti espressi nella Regione stessa; in secundis, dalla differente disciplina del premio di maggioranza: mentre alla Camera dei deputati era previsto che doveva essere attribuita una quota aggiuntiva di seggi fino al raggiungimento di 340 seggi alla coalizione di lista o alle liste che avessero ottenuto più voti validi a livello nazionale, al Senato, procedendo l’attribuzione dei seggi su base regionale, si prevedeva che alla coalizione di liste o alla lista che avesse riscosso nella Regione il maggior numero di voti fossero attribuiti dei seggi aggiuntivi perché tale coalizione acquisisse il cinquantacinque per cento dei seggi assegnati alla Regione. In quest’ultimo caso, il rischio di formazione di maggioranze opposte nei due rami del Parlamento va ravvisato nel fatto che, se il premio di maggioranza viene riconosciuto alla coalizione vincente in ciascuna Regione, ciò non garantisce alla coalizione risultante vincente alla Camera dei deputati di avere la maggioranza anche al Senato.
[26] A.Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, 23 Marzo 2016, in www.federalismi.it, pp. 2-3.
[27] Il testo della norma è reperibile sul sito https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/0/930268/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione14-h2_h219&spart=si
[28] A.Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., pp. 2-3.
[29] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, Focus Riforma costituzionale n. 19/2016, pp. 16-18.
[30] Art. 61 al. 2 Const. :‹‹Agli stessi effetti, le leggi possono essere deferite al Consiglio costituzionale, prima della loro promulgazione, dal Presidente della Repubblica, dal Primo ministro, dal Presidente dell’Assemblea nazionale, dal Presidente del Senato, da sessanta deputati o da sessanta senatori››.
[31] A.Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, , p. 5.
[32] F.Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, in Quaderni costituzionali, Fascicolo 1, marzo 2016, p. 47.
[33] Ibidem, p. 47.
[34] Ibidem, p. 47.
[35] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., pp. 16-18.
[36]G. D’Amico, Adelante, Pedro, … si puedes» L’Italicum all’esame della Corte costituzionale, 28 aprile 2016, in Forum di Quaderni costituzionali, p. 1 ss. Contra v. A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., pp. 16-23, che rileva come sia difficile pensare sia che la maggioranza si accordi per varare una legge elettorale suscettibile di ritorcersi contro se stessa sin dalla sua entrata in vigore sia che venga promulgata una legge palesemente incostituzionale in assenza del ricorso preventivo alla Consulta, ammesso il corretto funzionamento della garanzia costituzionale del rinvio presidenziale di cui all’art. 74 Cost..
[37] Lo sottolinea A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., p. 23.
[38] Sul punto si vedano E. Patta, Raggiunte le firme con l’aiuto leghista – Il rebus dell’incrocio dei due referendum. Parola alla Consulta, 1-01-2020, in IlSole24ore;
[39] Legge elettorale, Calderoli ammesso all'udienza della Consulta sul referendum. La Lega in pressing sul Mattarellum, 14 gennaio 2020, in www.larepubblica.it
[40] La Consulta boccia il referendum della Lega. Salvini rilancia: "Ora firme per elezione diretta del Capo dello Stato", 16/01/2020, in https://www.huffingtonpost.it/ .
[41] A tal proposito v. G. Tarli Barbieri, Testo dell’audizione sul Disegno di legge costituzionale n. 1429-B presso la 1^ Commissione Affari costituzionali del Senato (28 luglio 2015), in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2015, pp. 16-18.
[42] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., pp. 16-18.
[43] Ibidem.
[44] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., pp. 6-7.
[45] Questa motivazione può essere ritenuta ingenua da chi, come Pasquino, ritiene che ‹‹tutte le decisioni della Corte costituzionale sono politiche poiché tutte incidono sulla vita della polis›› e, a maggior ragione, quelle relative alle leggi elettorali per gli effetti concreti esplicati sulla vita e la realtà politica del paese. Sul punto v. P. Pasquino, La Corte decide di decidere ma non coglie la natura del ballottaggio, in Forum di Quaderni Costituzionali, 6 Aprile 2017., p. 1 ss.
[46] Sottolinea questo punto T.Groppi, La Corte e ‘la gente’: uno sguardo ‘dal basso’ all’accesso incidentale alla giustizia costituzionale, Rivista N°: 2/2019, 03/06/2019, in www.rivistaaic.it , p. 413. L’autrice, in particolare, afferma che le principali critiche rivolte al modello italiano di giustizia costituzionale attengono all’‹‹ l’esistenza di ‘strettoie’ ovvero di ‘zone d’ombra’, cioè la difficoltà di rendere giustiziabili fonti primarie che, per ragioni diverse, possono sfuggire al sindacato promosso in via incidentale: le leggi di spesa, le leggi di organizzazione, le leggi-provvedimento, i decreti-legge, le norme penali di favore, le leggi di azione, le leggi autoapplicative nonché le leggi elettorali, sulle quali negli anni più recenti si è specialmente focalizzata l’attenzione››.
[48] Auspicavano l’introduzione di un’accesso preventivo alla giustizia costituzionale più coerente con il modello francese F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, cit., p. 57 e S. Catalano (2014), Prime riflessioni sul controllo preventivo sulle leggi elettorali inserito nella proposta di revisione costituzionale all’esame del Parlamento, 23 Maggio 2015, in www. forumcostituzionale.it, pp. 1-6. Contra si veda A. Lucarelli, F. Zammartino, La riforma costituzionale Renzi-Boschi. Quali scenari?, Giappichelli, 2016, p. 183. Il testo riporta, in nota, le perplessità manifestate dall’allora Presidente della Corte costituzionale, Alessandro Criscuolo, in occasione della conferenza annuale sulla giurisprudenza costituzionale del 2014, circa l’instituendo sindacato preventivo, che a suo giudizio attribuirebbe alla Corte “un compito che non le spetta”.
[49] Ibidem.
[50] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., pp. 6-7.
[51] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 8
[52] F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali (23 Ottobre 2015), in www.gruppodipisa.it, pp. 9-10.
[53] P. Costanzo, La “nuova” Costituzione della Francia, Torino, 2009, p. 466.
[54] L’espressione è di A.Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 8.
[55] M. R. Magnotta, Il ricorso diretto delle minoranze parlamentari alla Corte costituzionale sulla legge elettorale, in www.academia.edu, pp. 194-195. Contra si veda A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 8. L’autore sottolinea, invece, che si dovrebbe consentire alla Consulta di svolgere un controllo a tutto tondo per evitare ‹‹il rischio che l’incompletezza o la reticenza nella formulazione del ricorso possano mandare indenni leggi elettorali comunque incostituzionali, sia pure per profili diversi da quelli eventualmente censurati nei ricorsi››.
[56] Si veda il sopra richiamato art. 13 c.1 del ddl. di revisione costituzionale n. 1429.
[57] A.Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 9.
[58] Ibidem, p.9.
[59] Ibidem, p.9.
[60] Art. 61 al. 4 Const.: ‹‹Dans ces mêmes cas, la saisine du Conseil constitutionnel suspend le délai de
promulgation››.
[61] Art. 10 Const.: ‹‹Le Président de la République promulgue les lois dans les quinze jours qui
suivent la transmission au Gouvernement de la loi définitivement adoptée.
Il peut, avant l’expiration de ce délai, demander au Parlement une nouvelle
délibération de la loi ou de certains de ses articles. Cette nouvelle délibération ne
peut être refusée››.
[62] D. Assenza, Il rinvio presidenziale delle leggi, 2 Ottobre 2004, in www.diritto.it , pp. 10-11.
[63] Art. 61 al. Const.: ‹‹Dans les cas prévus aux deux alinéas précédents, le Conseil constitutionnel doit
statuer dans le délai d’un mois. Toutefois, à la demande du Gouvernement, s’il y a
urgence, ce délai est ramené à huit jours››.
[64] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 11.
[65] F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, cit., p. 52.
[66] Ibidem, p. 52.
[67] Ibidem, p. 52.
[68] R. Dickmann, A. Rinella, Il processo legislativo negli ordinamenti costituzionali contemporanei, cit., p. 91.
[69] Art. 23 Ordonnance n° 58-1067 du 7 novembre 1958 ‹‹Dans le cas où le Conseil constitutionnel déclare que la loi dont il est saisi contient une disposition contraire à la Constitution sans constater en même temps qu'elle est inséparable de l'ensemble de cette loi, le Président de la République peut soit promulguer la loi à l'exception de cette disposition, soit demander aux chambres une nouvelle lecture››.
[70] L.Bartolucci, Il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, n. 185-186, p. 96.
[71] S. Catalano, Prime riflessioni sul controllo preventivo sulle leggi elettorali inserito nella proposta di revisione costituzionale all’esame del Parlamento, in www.forumcostituzionale.it, pp. 1-6.
[72] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 13.
[73] Ibidem, p.13.
[74] Ibidem, p. 13.
[75] L.Bartolucci, Il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato, cit., pp. 93-94.
[76] Questa è la soluzione auspicata da S. Catalano, Prime riflessioni sul controllo preventivo sulle leggi elettorali inserito nella proposta di revisione costituzionale all’esame del Parlamento, cit.
[77] Art. 23-2 c.1 n.2 Ordonnance n° 58-1067 du 7 novembre 1958: ‹‹Elle n'a pas déjà été déclarée conforme à la Constitution dans les motifs et le dispositif d'une décision du Conseil constitutionnel, sauf changement des circonstances››.
[78] A tal proposito v. S. Catalano, Prime riflessioni sul controllo preventivo sulle leggi elettorali inserito nella proposta di revisione costituzionale all’esame del Parlamento, cit.
[79] F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, cit., p. 53-54.
[80] Ibidem.
[81] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, Fasc. 2/2015, in Consulta Online, p. 461.
[82] Cfr. M. Croce, Sull’opportunità dell’introduzione di un ricorso diretto e preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale, in A. Cardone (a cura di), Le proposte di riforma della Costituzione, Napoli, 2014, 289 ss.
[83] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, cit., p. 461.
[84] Ibidem, p. 461.
[85] G. Guzzetta, La sentenza n.1 del 2014 a una prima lettura, 14 Gennaio 2014, in Forum di Quaderni Costituzionali, pp. 3-4.
[86] Corte cost. sent. 1/2014 punto 7 del cons. in dir.: ‹‹le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti››.
[87] G. Guzzetta, La sentenza n.1 del 2014 a una prima lettura, cit., pp. 3-4.
[88] Ibidem, pp. 3-4.
[89] Ibidem, pp. 3-4.
[90] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, cit., p. 461.
[91] A tal proposito v. M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, fasc. 3/2017, in www.giurcost.org, p. 422 e F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, cit., p. 43.
[92] M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, cit., p. 422.
[93] T. Groppi, Riformare la giustizia costituzionale: dal caso francese indicazioni per l’Italia?, in Rassegna parlamentare 1/2013, pp. 50-53.
[94] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., pp. 10-11.
[95] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, cit., p. 461.
[96] E. Catelani, Pregi e difetti di questa fase di revisione costituzionale: proposte possibili, fasc. 1/2015, in www.osservatoriosullefonti.it, p. 4.
[97] Ibidem, p. 4.
[98] A. Ciancio, Il controllo preventivo di legittimità sulle leggi elettorali ed il prevedibile impatto sul sistema italiano di giustizia costituzionale, cit., pp. 13-14.
[99] Ibidem, pp. 13-14.
[100] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., p. 19.
[101] M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, cit., p. 422.
[102] Ibidem, p. 422.
[103] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, cit., p. 462.
[104] L.Bartolucci, Il giudizio preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali di Camera e Senato, cit., p. 87-88.
[105] Cfr. R. Borrello, La dottrina italiana ed il conseil constitutionel come modello in positivo, in F.
Lanchester, V. Lippolis (a cura di), La V Repubblica francese nel dibattito e nella prassi in Italia, Napoli, jovene, 2009, p. 150.
[106] Cfr. R. Romboli, La giustizia costituzionale nel progetto della Bicamerale, in Diritto pubblico, n. 3, 1997; E. Catelani, La Corte costituzionale, in P. Caretti (a cura di), La riforma della Costituzione nel progetto della Bicamerale, Padova, cedam, 1998; G. Brunelli, Una riforma non necessaria: l’accesso diretto delle minoranze parlamentari al giudizio sulle leggi, in A. Anzon, P. Caretti, S. Grassi (a cura di), Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, atti del seminario di Firenze svoltosi il 28-29 maggio 1999, torino, giappichelli, 2000, p. 148 ss.
[107] R. Borrello, La dottrina italiana ed il conseil constitutionel come modello in positivo, cit., p. 151.
[108] A tal proposito v R. Romboli (2015), Le riforme e la funzione legislativa, in www.associazionedeicostituzionali.it, p. 12. L’autore si chiede se non sia opportuno dotare la Corte di strumenti più efficaci per l’accertamento dei vizi formali della legge, in particolare in relazione ai differenti procedimenti legislativi che sarebbero derivati dall’approvazione del progetto di revisione costituzionale.
[109] F. Dal Canto, Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali, cit., pp. 45-46.
[110] F. Dal Canto, Qualche osservazione sulla proposta di introduzione del ricorso preventivo di costituzionalità avverso le leggi elettorali, cit., pp. 462-463.
[111] Ibidem, pp. 462-463.
[112] M. M. Minincleri, Il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali, tra ruolo “legislativo” della Consulta, “moniti” al Parlamento ed ipotesi di introduzione del controllo preventivo, cit., p. 422.
[113] A. Rauti, Il giudizio preventivo di costituzionalità sulle leggi elettorali di Camera e Senato, Focus riforma costituzionale, cit., pp. 18-19.
[114] Ibidem, pp. 18-19.
[115] L’espressione è di A. Rauti, La corte costituzionale e il legislatore. Il caso emblatico del controllo sulle leggi elettorali, Rassegna parlamentare n.2/2017, disponibile in Consulta Online, p. 249.
[116] A tal proposito si veda, fra gli altri, R. Bin, G, Pitruzzella, Le fonti del diritto, cit., pp. 70-140.
[117] Ibidem, pp. 70-140. Nel prosieguo della trattazione, si comprenderà l’uso dell’avverbio “tendenzialmente”.
[118] M. Cavino, L’eccezione di incostituzionalità delle leggi, in M. Cavino, A. Di Giovine, E. Grosso (a cura di), La Quinta Repubblica francese dopo la riforma costituzionale del 2008, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 134-135.
[119] A tal proposito v. N. Lazzerini, Sentenza della Corte di giustizia del 22 giugno 2010 nelle cause riunite Aziz Melki e Sélim Abdeli, Fascicolo 3/2010, in www.osservatoriosullefonti.it . La CGUE afferma, in particolare, che ‹‹la priorità non può rimettere in discussione le caratteristiche essenziali del sistema di cooperazione tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, instaurato dall’art. 267 TFUE››, nonché la possibilità per il giudice di ‹‹adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione›› e di ‹‹disapplicare, al termine di siffatto procedimento incidentale, la disposizione legislativa nazionale di cui trattasi se egli la ritenga contraria al diritto dell’Unione››.
[120] Cfr. sent. Corte cost. 170/1984.
[121] Lo sottolinea V. Onida, Nuove prospettive per la giurisprudenza costituzionale in tema di applicazione del diritto comunitario, in Diritto comunitario e diritto interno. Atti del seminario svoltosi in Roma, palazzo della Consulta, 20 Aprile 2007, Milano, 2008, p. 47.
[122] S. Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2016, pp. 266-282.
[123] A tal proposito v. L. Torchia, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2001, p. 1206 e A. Pajno, Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario come limite alla potestà legislativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le istituzioni del federalismo, 2003, p. 831.
[124] S. Catalano, L’incidenza del nuovo articolo 117, comma 1, Cost. sui rapporti fra norme interne e norme comunitarie, in N. Zanon (a cura di), Le corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, Napoli, 2006, p. 129 ss.
[125] S.Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, cit., pp. 266-282
[127] Infatti la Corte costituzionale si è a lungo auto-eclusa da un dialogo diretto con la CGUE, ad esempio, a mezzo di declaratorie di inammissibilità di questioni di costituzionalità sollevate contemporaneamente o in pendenza di un rinvio pregiudiziale (ordinanza 85/2002) ovvero, nell’ipotesi di doppia pregiudizialità, chiedendo ai giudici comuni di sollevare rinvio pregiudiziale, rifiutandosi di farlo essa stessa. A proposito di emarginazione della Corte costituzionale si vedano S.P. Panunzio, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in S.P. Panunzio (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, p. 3 e ss.; T. Giovannetti, P. Passaglia, La Corte e i rapporti tra diritto interno e diritto sovranazionale, in R. Romboli (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2011-2013), Torino, 2014, p. 402 ss.
[128] S. Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, cit., pp. 266-282; v. anche A. Tizzano, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: vent’anni dopo…, in Foro italiano, 1984, p. 2068.
[131] F. Modugno, Considerazioni sul tema, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere. Atti del seminario di studi tenutosi al palazzo della Consulta il 23 e il 24 novembre 1988, Milano, 1989, p. 14; nello stesso senso S. P. Panunzio, Incostituzionalità ‹‹sopravvenuta››, incostituzionalità ‹‹progressiva›› ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, ivi, p. 274; M. Luciani, La modulazione degli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento: primi spunti per una discussione sulla Corte costituzionale degli anni novanta, ivi, p. 114.
[132] Sul punto si veda A. Pace, Effetti temporali delle decisioni di accoglimento e tutela costituzionale del diritto di agire nei rapporti pendenti, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere. Atti del seminario di studi tenutosi al palazzo della Consulta il 23 e il 24 novembre 1988, Milano, 1989, p. 55 ss.
[133] S. M. Cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 75-78.
[134] Corte cost. sentenza 10/2015 pqm., in www.giurcost.org
[135] Sul punto v. F. Gallarati, La Robin Tax e l’«incostituzionalità d’ora in poi»: spunti di riflessione a margine della sentenza n. 10/2015, Riv. di diritto pubblico italiano, comparato ed europeo n. 19/2015, in www.federalismi.it, p. 1 ss. ; P.Veronesi, La corte “sceglie i tempi”: sulla modulazione delle pronunce di accoglimento dopo la sentenza n.10/2015, 3 Aprile 2015, in www.forumcostituzionale.it , p.1 ss .
[136] R. Dickmann, La Corte costituzionale torna a derogare al principio di retroattività delle proprie pronunce di accoglimento per evitare “effetti ancor più incompatibili con la Costituzione”, Nota a Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 10, Riv. di diritto pubblico italiano, comparato ed europeo n. 4/2015, in www.federalismi.it, p. 1 ss.
[137] Ibidem, p. 1 ss.
[138] V. Onida, Una pronuncia costituzionale problematica: limitazione degli effetti nel tempo o incostituzionalità sopravvenuta?, Rivista N°: 1/2016, 15 Marzo 2016, in www.rivistaaic.it, pp. 1-10.
[139] Corte cost. sentenza 10/2015 cons. in dir. punto 7, in www.giurcost.org .
[140] M.R. Morelli, Incostituzionalità “sopravvenuta” (anche “a proposito di precedenti pronunce monitorie, per successiva inerzia del legislatore) e declaratorie di illegittimità “dal momento in cui” (ovvero anche “ex nunc”). Alla ricerca di nuove tipologie di decisioni costituzionali di accoglimento al di là del dogma della retroattività dell’effetto, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere. Atti del seminario di studi tenutosi al palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989, p. 184.
[141] A. Pugiotto, Un inedito epitaffio per la pregiudizialità costituzionale, 3 Aprile 2015, in Forum di quaderni costituzionali, p. 1 ss.
[142] Sul punto si vedano A. Ruggeri, Sliding doors per la incidentalità nel processo costituzionale (a margine di Corte cost. n. 10 del 2015), in Quaderni costituzionali, 2015, p. 638; A. Morelli,
Tutela nel sistema o tutela del sistema? Il “caso” come occasione della “tutela sistemica” della legalità costituzionale e la “forza politica” del Giudice delle leggi. (notazioni a margine di Corte cost. n. 10/2015), in www.forumcostituzionale.it, p. 1; M. Bignami, Cenni sugli effetti temporali della dichiarazione di incostituzionalità in un’innovativa pronuncia della Corte costituzionale, in www.questionegiustizia.it, p. 1 ss.; R. Pinardi, La modulazione degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività, in Consulta online, 2015, p.229
[143] Così H. Kelsen, Rapport sur la garantie juridictionnelle de la Constitution, in Annuaire de l’Institut International de Droit Public, Paris, 1929, 127. Non a caso, pertanto, quando nel 1929 venne introdotta, in Austria, la possibilità per due organi giudiziari (l’Oberster Gerichtshof ed il Verwaltungsgerichtshof) di adire la Corte costituzionale, all’interno del 7° comma dell’art. 140 della Costituzione austriaca venne prevista un’eccezione alla normale efficacia ex nunc delle sentenze caducatorie del Verfassungsgerichtshof relativa, per l’appunto, al procedimento da cui aveva preso occasione la sentenza stessa.
[144] M.E. D’Amico, La Corte e l’applicazione (nel giudizio a quo) della legge dichiarata incostituzionale, 3 Aprile 2015, in www.forumcostituzionale.it, pp. 1-4; Idem, Riuscirà la Corte a trovare una strada coerente per conoscere i costi delle sue decisioni e modularne gli effetti anche nel tempo?, in Quaderni costituzionali, 2015, p. 690.
[145] R. Romboli, L’“obbligo” per il giudice di applicare nel processo a quo la norma dichiarata incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti, 6 Aprile 2015, in Forum di Quaderni costituzionali, p. 1 ss.
[146] G. D’Orazio, Il legislatore e l’efficacia temporale delle sentenze costituzionali (nuovi orizzonti o falsi miraggi?), in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, cit., p. 392 e s. e in Giurisprudenza costituzionale, 1988, p. 885 e ss.
[147] Lo sottolinea R. Romboli, L’“obbligo” per il giudice di applicare nel processo a quo la norma dichiarata incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti , in forum di quaderni costituzionali, 2015, p. 7.
[148] R. Pinardi, La modulazione degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività, cit., p. 230; Idem, La corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d'incostituzionalità, Giuffrè, 1993, p.115; P. Veronesi, La coerenza che non c'è: sugli effetti temporali delle pronunce d'accoglimento (e sulla sorte dell'«equilibrio di bilancio») dopo le sentenze nn. 10 e 70 del 2015, Riv. Quaderni costituzionali 3/2015, p. 693.
[149] R. Pinardi, La corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d'incostituzionalità, cit., p. 115 ss.
[150] Sul tema, si vedano M. Ruotolo, La dimensione temporale dell’invalidità della legge, Padova, 2000, p. 122 ss.; S.P. Panunzio, Incostituzionalità “sopravvenuta”, incostituzionalità “progressiva” ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, cit., p. 274; C. Mezzanotte, Il contenimento della retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento come questione di diritto costituzionale sostanziale, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento
alle esperienze straniere. Atti del seminario di studi tenutosi al palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989, p. 44; P. Carnevale, La declaratoria di illegittimità costituzionale ‘differita’ fra l’esigenza di salvaguardia del modello incidentale e problema dell’autoattribuzione
di potere da parte del Giudice delle leggi, in Diritto pubblico, 2015, p. 414.
[151] L’efficace espressione è di I. Massa Pinto, La sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2015 tra irragionevolezza come conflitto logico interno alla legge e irragionevolezza come eccessivo sacrificio di un principio costituzionale: ancora un caso di ipergiurisdizionalismo costituzionale, Fasc. 1/2015, in Costituzionalismo.it, p. 1 ss.; sul tema si vedano altresì A. Pugiotto, Un inedito epitaffio per la pregiudizialità costituzionale, cit.; R. Bin, Quando i precedenti degradano a citazioni e le regole evaporano in principi, 27 Aprile 2015, in Forum di Quaderni costituzionali, p. 4.
[152] Sul punto v. S. Panizza, L’argomentazione della Corte costituzionale in ordine al fondamento e alla disciplina del potere di modulare il profilo temporale delle proprie decisioni, 30 Aprile 2015, in Forum di Quaderni costituzionali, p. 1 ss.
[153] Corte cost. sent. 10/2015 punto n.7 cons. in dir.
[154] Sul potere di modulazione degli effetti nel tempo delle decisioni del Conseil constitutionnel si vedano G. Delledonne, Il tempo ritrovato. La modulazione degli effetti temporali delle decisioni del Conseil constitutionnel, prima e dopo l’avvento della QPC, in D. Butturini, M. Nicolini (a cura di), Tipologie ed effetti temporali delle decisioni di incostituzionalità, Napoli, 2014, p. 221 e ss. e S. Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, cit., p. 240.
e ss.
[155] S. Catalano, Valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità ed effetto della decisione della Corte sul giudizio a quo, 10 luglio 2017, in gruppodipisa.it, pp. 23-33.
[156] Ibidem, pp. 23-33.
[157] R. Romboli, La Corte costituzionale di fronte alle sfide del futuro. Un convegno per ricordare Alessandro Pizzorusso, Fasc. 3/2018, 26 Novembre 2018, in Consulta Online, pp. 583-586.
[158] S. Catalano, Valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità ed effetto della decisione della Corte sul giudizio a quo, cit., pp. 23-33.
[159] L’ipotesi è sviluppata in R. Romboli, L’“obbligo” per il giudice di applicare nel processo a quo la norma dichiarata incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti, cit., pp. 21-22. L’autore, in particolare, ricorda che nel corso del seminario dedicato dalla Corte costituzionale nel 1988 al problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità, Franco Modugno aveva avanzato la possibilità che la Corte dichiarasse la incostituzionalità dell’art. 30 l. 87/1953, “in quanto esclude, indiscriminatamente, che le leggi dichiarate illegittime possano applicarsi in tutti i giudizi che abbiano per oggetto fatti che cadono in ordine temporale sotto il vigore delle leggi stesse”. Sarebbe possibile allora – prosegue Romboli – che il Giudice costituzionale sollevasse dinanzi a sé una questione di costituzionalità dell’art. 30, richiamandosi al principio di stretta proporzionalità e nella parte in cui non prevede che il principio di non applicazione non sia suscettibile di deroga neppure in presenza di una “impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento”, anche quando “la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco”(punto 7 cons. in dir. sent. Corte cost. 10/2015).
[160] Cfr., ex multis, R. Dickmann, La Corte dichiara incostituzionale il premio di maggioranza e il voto di lista e introduce un sistema elettorale proporzionale puro fondato su una preferenza, in federalismi.it, n. 2/2014, pp. 1-13.
[161] F. Gallarati, La Robin Tax e l’«incostituzionalità d’ora in poi»: spunti di riflessione a margine della sentenza n. 10/2015, cit., p. 27.
[162] A tal proposito v. A. Pizzorusso, Prefazione a R. Romboli (cur.), La giustizia costituzionale a una svolta (cur.), Torino, Giappichelli, 1991, 5 ss. e spec. 6.; S. Panunzio, Qualche riflessione sulla “elasticità” delle regole procedurali nel processo costituzionale, inn AA.VV., Giudizio “a quo” e promovimento del processo costituzionale. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta nei giorni 13 e 14 novembre 1989, Milano, 1990, p. 259 ss.
[163] Cfr. p. 124.
[164] Art. 6 c.1 CEDU: ‹‹Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia››.
[165] R. Ibrido, Intorno all’”equo processo costituzionale”: il problema dell’operatività dell’art. 6 CEDU nei giudizi dinanzi ai tribunali costituzionali, Riv. 1/2016, 18/03/2016, pp. 13-16, in Rivista AIC.
[166] Sent. Bucholz c. Germania, 6 Maggio 1981, serie A, n. 42.
[167] Cfr. Martins Moreira c. Portogallo, 26 ottobre 1988, B. c. Austria, 28 marzo 1990, Bock. c. Germania, 29 marzo 1989, Ruiz-Mateos c. Spagna, 2 giugno 1993, Pammel c. Germania, 1° luglio 1997, Antonakopoulos c. Grecia, 14 dicembre 1999, Gast and Popp c. Germania, 25 febbraio 2000, Georgiadis c. Grecia, 28 marzo 2000, Metzger c. Germania, 31 maggio 2001, Kirsten c. Germania, 15 febbraio 2007.
[168] Cassazione italiana. sezione prima civile - sentenza 28 novembre 2002, n. 16882. Volpe C. Min. giustizia Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata del processo penale.
[169] G. Cassano, La responsabilità civile. Con ampio formulario e giurisprudenza sul nuovo danno non patrimoniale, Giuffrè, 2012, p. 491.
[170] Corte cost. sent. 88/2018 PQM.
[171] A tal proposito v. S. Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, cit., pp. 134-135.
[172] Cfr. p. 123.
[173] G. Zagrelbesky, La Corte in-politica, in Quad. cost., 2, 2005, p. 277.
[174] C. Edu Gr. Camera, 29.3.2006, Scordino c. Italia.
[175] B. Lavarini, Il diritto alla ragionevole durata del processo. Relazione al Convegno dell’Associazione fra gli studiosi del processo penale, Salerno, 25-27 ottobre 2018, in www.studiosiprocessopenale.it, pp. 10-11.
[177] P.-Y. Gahdoun, Argumenter la question prioritaire de constitutionnalité, cit., p. 90.
[179] G. Verrengia, Giurisprudenza costituzionale dell’anno 2017. Dati quantitativi e di analisi, 2018, in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_annuali/grossi2018/dati_2018.pdf, pp. 5-11.
[180] Ibidem, pp. 5-11.
[181] M. Siclari, Osservazioni minime in tema di “manutenzione” della giustizia costituzionale in Italia, in C. Decaro, N. Lupo, G. Rivosecchi, La “manutenzione” della giustizia costituzionale. Il giudizio sulle leggi in Italia, Spagna e Francia, Giappichelli, Torino, 2012, p. 127.
[182] M. Cartabia, La fortuna del giudizio di costituzionalità in via incidentale, in Annuario di Diritto comparato e studi legislativi, 2014, p. 41
[183] Per tali considerazioni si vedano S. Catalano, La question prioritaire de constitutionnalité in Francia: analisi di una riforma attesa e dei suoi significati per la giustizia costituzionale italiana, cit., pp. 67-68; S.Benvenuti, La via francese alla giustizia costituzionale[ideologia, politica e <> tra Corti], cit., 203-205.
[184] M. Siclari, Osservazioni minime in tema di “manutenzione” della giustizia costituzionale in Italia, cit., p. 127.
[185] M. Cartabia, La fortuna del giudizio di costituzionalità in via incidentale, cit., pp. 40-43.
[186] L’espressione ricorre in S. Benvenuti, La via francese alla giustizia costituzionale[ideologia, politica e <> tra Corti], EDSI, Napoli, 2016, p. XV.
[188] R. Romboli, La riforma costituzionale e la sua incidenza sulla oscillazione del pendolo verso l’”anima politica” della Corte costituzionale, Fasc. 2/2016, in www.questionegiustizia.it, pp. 10-15.