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Pubbl. Ven, 24 Apr 2020

Il processo penale telematico ai tempi del coronavirus

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Ivano Ragnacci



Come noto la decretazione d´urgenza occasionata dall´emergenza sanitaria, per limitare la diffusione del virus Covid 19 ha tra le varie misure introdotto, in deroga alla normativa vigente e limitatamente nel tempo, una particolare modalità di svolgimento dei processi con detenuti, tuttavia senza specificare sufficientemente limiti e contenuti, prestandosi ad alcune critiche ed altrettanti auspici evidenziati nel presente scritto.


As is know, the urgency decre occasioned by the healt the spread of covid19, has introduced, among the varius measures, in derogation from current legislation and limited in time, a particular method of carying out processes with detainees, however without specifying sufficiently limited and contained, lending itself to some criticism and as many wishes highlighted in this paper.

Sommario: 1. Introduzione. 2. Il quadro normativo. 3. Criticità d’interpretazione. 4. Conclusioni.

1. Introduzione.

Come noto, in seguito alla grave emergenza sanitaria che, tra le molteplici conseguenze, ha di fatto determinato per la prima volta nella storia repubblicana e post unitaria la restrizione delle principali ed irrinunciabili fondamentali libertà di tutti ed ognuno, è stato disturbato, di fatto, quell’art. 16 della Costituzione che mai sino al 9 marzo 2020, data di entrata in vigore del D.L. n. 11 del 2020 contenente le Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, veniva evocato a livello nazionale per ragioni di sanità. Così sono state introdotte misure eccezionali e straordinarie per la celebrazione dei processi penali, in particolare con detenuti.

2. Il quadro normativo.

Innanzitutto, nell’analisi del tema trattato, occorre prendere le mosse dall’art. art. 83 co. 12 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale che, ferma l’applicazione dell’articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale, che come noto non solo legittima, ma rende necessario già prima della decretazione di urgenza dell’ultimo mese di procedere a porte chiuse “.. quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene ..”. Dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

Ora, da quanto poc’anzi accennato, si comprende come, per ragioni di sicurezza sanitaria nazionale, a tutti gli imputati detenuti per qualsiasi tipo di reato, intanto, per un verso, è stato esteso un regime tipico degli internati per quei gravi delitti di cui all’art. 53 bis c.p.p. tra cui l’associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p., mentre per altro è stato, senza dubbio alcuno, limitato il proprio diritto di difesa.

Su tale ultimo aspetto, neppure l’Autorità Giudiziaria procedente può nutrire il minimo dubbio, documentandolo addirittura nei verbali processuali di questi giorni, in cui viene fatto dichiarare da taluni Tribunali, al difensore dell’imputato detenuto, di rinunciare a qualsiasi eccezione o questione in merito alla modalità operativa da remoto adottata per la trattazione del processo partecipato.   

Pertanto, a quel difensore che a norma del D.L. del 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 3, lett. b), n. 2[1], chieda si proceda alla celebrazione del processo, toccherà fare proprie ed accettare incondizionatamente le disposizioni di cui all’Art. 146 - bis (Partecipazione al dibattimento a distanza) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271[2], che in buona sostanza attraverso l’utilizzo di sistemi informatici e/o telematici per la conversazione videoregistrata, quali Teams o Skype[3] tra i più utilizzati, consentono di procedere da remoto, lasciando che il ristretto partecipi al processo con il sistema della videoconferenza, secondo le modalità operative adottate per protocollo dai Tribunali nazionali.

3. Criticità ed interpretazioni.

Secondo una prima linea d’interpretazione resa ad oggi dal Consiglio Nazionale Forense (Vd. Collegamento sub. 4), attraverso l’attuazione del co. 4 bis dell’art. 146 bis delle norme di attuazione sopra trascritte, che testualmente riferisce come “in tutti i processi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo ai sensi dei commi precedenti, il giudice, su istanza, può consentire alle altre parti e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l’onere dei costi del collegamento”, sarebbe addirittura compatibile nel nostro ordinamento giuridico, anche se limitatamente all’attuale periodo storico d’emergenza. Nei procedimenti di convalida d’arresto ex art. 390 e ss. cpp. e successivo giudizio per direttissima, ex artt. 449 e ss. c.p.p.,  si dispone che tutti protagonisti del procedimento, dall’attore principale, quindi l’imputato, al proprio difensore, all’accusa pubblica e quindi all’autorità giudiziaria procedente, formando un quadrilatero digitale,  possano interagire, quindi interloquire, ma soprattutto e nell’ordine cronografico del codice di rito, accusare, difendersi e giudicare, da remoto, quindi ognuno in un luogo diverso.

Intanto, un primo dubbio è dato dalla semantica, ove alla lettera della norma sopra indicata, non si fa testualmente affatto riferimento a siffatta facoltà d’intervento da remoto per la parte pubblica, giudicante e requirente, quando dice solo “ .. può consentire alle parti ed ai propri difensori ..”, ma non a se stesso (Giudice) evidentemente e per le ragioni di qui a breve rassegnate.

Inoltre, come ben già rilevato dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali, in un documento pubblicato sul sito web istituzionale nelle ultime ore[4], oltre all’evidente elisione del principio dell’immediatezza nel giudizio penale, cristallizzato nell’art. 525 c.p.p., alle pratiche difficoltà di procedere, ad esempio, all’escussione della fonte dichiarativa attraverso la c.d. “cross-esamination” ciò che davvero pare insuperabile, da un punto di vista dommatico e nel solco dell’art. 111 della Costituzione e di cui, altresì, all’art. 6 C.E.D.U., è il dovere di necessaria segretezza della deliberazione penale di cui all’art. 527 c.p.p.[5], che di certo non potrà mai essere garantita da un giudice, che per quanto terzo e imparziale, si trovi in un luogo per così dire contaminato, non solo da soggetti terzi presenti fisicamente, ma anche eventualmente in forma virtuale e/o digitale.

4. Conclusioni.

Certamente nella drammaticità del momento storico contemporaneo, se per un verso si deve contare sulla determinazione resiliente di tutti i cittadini, proprio in quanto uguali di fronte alla legge, per altro non si può far pagare un prezzo troppo alto a chi, recluso tra tutti i ristretti o viceversa, imputato o indagato, deve potersi difendere ed essere giudicato con uguaglianza, quindi seppur eccezionalmente attraverso l’ausilio della tecnologia, mai sacrificando i propri irrinunciabili diritti, tra cui quello di difesa innanzitutto.

Certamente però, non può dubitarsi, da altro profilo visuale, che l’emergenza sanitaria in atto, è una impareggiabile occasione per concretizzare la telematizzazione del procedimento penale nel rispetto dei principi costituzionali, partendo però dalle fasi preliminari al giudizio, quindi consentendo alle parti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, di accedere telematicamente a tutte le carte processuali, di depositare memorie ed atti d’impugnazione, di presentare istanze istruttorie e de libertate, quindi, in sintesi, di limitare al massimo la necessità di accesso presso le cancellerie, sempre non solo oggi, consentendo così, di riflesso, pare banale dire, un alleggerimento indubitabile del carico di lavoro degli operatori di cancelleria.  

Non tutto, pertanto, dovrà essere disperso dell’innovazione tecnologica di cui lapalissianamente il processo penale abbisogna, tuttavia sempre ed irrinunciabilmente nel rigoroso rispetto dei diritti e delle libertà della persona sottoposta a giudizio penale.

[1] “… 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: … detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedono che si proceda, altresì i seguenti:

1) procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative, ai sensi dell’articolo 51-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354;

2) procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza;

3) procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di Prevenzione …”

[2] Comma 1. La persona che si trova in stato di detenzione per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonché nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4), del codice, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà. Allo stesso modo partecipa alle udienze penali e alle udienze civili nelle quali deve essere esaminata quale testimone. 1-bis. La persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio, partecipa a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata. 1-ter. Ad esclusione del caso in cui sono state applicate le misure di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, il giudice può disporre con decreto motivato, anche su istanza di parte, la presenza alle udienze delle persone indicate nei commi 1 e 1-bis del presente articolo qualora lo ritenga necessario. 1-quater. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 1-bis, il giudice può disporre con decreto motivato la partecipazione a distanza anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario.

[5] Cass. pen. n. 4974/1999

“Nel giudizio di Corte d'Assise l'eventuale presenza in camera di consiglio dei giudici supplenti nelle fasi precedenti la chiusura del dibattimento è giustificata dalla necessità che essi, in ragione della decisione interlocutoria da adottare, si rendano permanentemente disponibili a sostituire, all'occorrenza, il giudice popolare effettivo assente o impedito, con piena e partecipata consapevolezza dell'oggetto del giudizio, sicché va esclusa la nullità della decisione per violazione della segretezza della deliberazione, segnando solo la chiusura del dibattimento l'invalicabile limite al di là del quale è inibita la presenza partecipata alla camera di consiglio dei giudici aggiunti”.


Note e riferimenti bibliografici

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