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Pubbl. Mer, 5 Feb 2025
Sottoposto a PEER REVIEW

Udienza predibattimentale, valutazione prognostica e decisione allo stato degli atti: un´antinomia più apparente che reale

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Lucia Di Crescenzo
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Salerno



La sentenza in commento si riferisce al funzionamento dell’udienza predibattimentale, introdotta dalla c.d. “Riforma Cartabia”, ed è meritevole di rilievo in quanto affronta il profilo relativo all’acquisizione di una consulenza tecnica di parte allegata ad una memoria prodotta dalla difesa dell’imputato, non inserita nel fascicolo del pubblico ministero poiché redatta successivamente alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p. Al contrario di altre prassi adottate nell’ambito dello stesso Distretto di Corte d’appello – e, addirittura, del medesimo Tribunale –, per la pronuncia in esame l’ingresso di atti ulteriori rispetto a quelli già presenti nel fascicolo formato dalla pubblica accusa è possibile se giustifica un proscioglimento per irragionevole previsione di condanna.


Sommario: 1. Svolgimento del processo; 2. Motivi in fatto e in diritto; 3. Commento.

1. Svolgimento del processo

Con decreto di citazione del 7 marzo 2024, l’imputato – per il delitto previsto e punito dagli artt. 582, 585, co. 1 in relazione all’art. 577 co. 1, n. 1, 585, co. 2, n. 2, 94 co. 3 c.p. – veniva tratto a giudizio per la celebrazione dell’udienza di comparizione predibattimentale di cui all’art. 554-bis c.p.p.

Dopo un primo rinvio per rinnovo notifiche all’imputato, all’udienza del 10 ottobre 2024, accertata la regolarità del contradditorio, la difesa depositava memoria difensiva e consulenza psichiatrica di parte alla quale si riportava. Il giudice di ritirava in camera di consiglio, all’esito della quale pronunciava, mediante lettura del dispositivo, sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 554-ter c.p.p.

2. Motivi in fatto e in diritto

In data 12 marzo 2023 il padre dell’imputato sporgeva querela rappresentando che nell’ambito di un diverbio intercorso con il figlio, quest’ultimo si agitava e gli scagliava contro un coltello da tavolo con punta rotonda, attingendolo leggermente alla testa e provocandogli un’escoriazione al cuoio capelluto per la quale non reputava necessario il ricorso alle cure ospedaliere.

Il querelante precisava che da alcuni giorni il figlio teneva un atteggiamento aggressivo, probabilmente legato all’assunzione di sostanze stupefacenti, tanto da rendere necessario, in data 16 marzo 2023, il ricovero forzato al reparto di psichiatria presso il nosocomio territorialmente competente.

La diagnosi di dimissione – di cui si dava atto all’interno della memoria difensiva depositata all’udienza del 10 ottobre 2024 – si sostanziava in «disturbi psichici e comportamentali indotto da abuso di sostanze».

Nell’ambito della consulenza psichiatrica di parte, allegata alla memoria, si precisava che «gli stati maniacali si manifestano attraverso l’espansione dell’umore con possibilità di agitazione, la irascibilità ed impulsività con conseguente capacità di autocontrollo e possibilità di tenere reazioni, anche improvvise ed imprevedibili, occasionate da banali stimoli. Siffatta capacità di autocontrollo, occasionata dal concreto stato patologico, si traduceva nell’incapacità di volere al momento del fatto [...] va ammessa, in via secondaria e contestuale, anche una compromissione della capacità di intendere e di volere nel senso che il soggetto, accecato dalla tempesta emotiva in atto, non aveva in quel momento lucida e piena consapevolezza della portata e delle conseguenze dell’atto che poneva in essere».

Va tenuto, altresì, in debito conto che il genitore in data 4 dicembre 2023 rimetteva la querela; tale circostanza, pur non sortendo effetti in merito alla procedibilità del reato (per il quale si procedeva d’ufficio), è quantomeno sintomatica di un mutamento di contesto rispetto a quello che lo aveva indotto a sporgere querela, a riprova del cambiamento migliorativo mostrato dall’imputato, il quale intraprendeva un percorso di recupero e reinserimento sociale, non residuando una valutazione di pericolosità sociale.

In sostanza, quindi, gli elementi acquisiti deponevano per l’insostenibilità dell’accusa in giudizio in riferimento alla prova dell’imputabilità dell’imputato. Ne conseguiva che le evidenze probatorie non consentivano di poter formulare, in vista del giudizio, una ragionevole previsione di condanna dell’imputato in ordine ai fatti ascritti.

3. Commento  

Tra le misure elaborate nella l. n. 134 del 2021[1] e ispirate dal “mantra” dell’efficienza[2], si annovera l’istituto dell’udienza predibattimentale[3] definita come la «novità di maggiore rilievo [...] e, indubbiamente, una delle più significative dell’intera riforma»[4], voluta con il principale scopo di consentire – nella fase degli atti preliminari al dibattimento, nei casi di citazione diretta a giudizio[5] –, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere, anche alla luce della nuova regola di giudizio – contestualmente introdotta – della «ragionevole previsione di condanna».

Sul piano degli obiettivi, la nuova udienza è votata a svolgere una duplice funzione[6]: da un lato, obbliga il giudice ad un controllo giurisdizionale sull’imputazione – chiudendo immediatamente il processo laddove il compendio investigativo non abbia concrete possibilità di portare ad un positivo accertamento della responsabilità penale – e, permette di procedere, quando sia stata avanzata richiesta, con i procedimenti alternativi al dibattimento; dall’altro, consente una corretta instaurazione del contraddittorio.

Per certi versi simile all’istituto dell’udienza preliminare, tra i timori manifestati, fin da subito, vi era proprio quello di evitare che il nuovo istituto ereditasse i difetti di funzionamento del primo, con il rischio di vanificare la ratio della riforma, senza tener conto, inoltre, che trattasi di una «fase iniziale del dibattimento, e non di una fase diversa»[7].

A dimostrazione della fiducia riposta nel nuovo istituto, con la riforma il modello di procedimento per citazione diretta a giudizio – per definizione, semplificato e celere[8] – ha subìto un’espansione applicativa, facendovi rientrare alcuni «delitti da individuare tra quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, anche se congiunta alla pena della multa», a patto che essi «non presentino rilevanti difficoltà di accertamento»[9].

Trattasi di un’udienza predibattimentale – con le forme della camera di consiglio – con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato innanzi a un giudice diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il dibattimento[10]. La sua funzione principale si sostanzia nella valutazione del giudice – «sulla base degli atti trasmessi ai sensi dell’art. 553», norma che, nella versione vigente[11], richiama sia il fascicolo del dibattimento, formato dall’ufficio del pubblico ministero, che quello delle indagini – circa la sussistenza delle condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere dopo aver constatato che gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna[12].

La nuova regola di giudizio – valevole sic et simpliciter e in tutta la sua espansione anche per l’istituto in esame – imporrebbe al giudice del filtro non già di apprezzare l’utilità di un approfondimento dibattimentale, ma la prospettiva di una affermazione di penale responsabilità[13], aspetto che, a seconda del fine che si intende perseguire, rappresenta sia il punto di forza del nuovo istituto, così come anche la criticità più evidente in ambito operativo.

Ed infatti, depurato il campo di indagine da considerazioni teoretiche e scarsamente pragmatiche, ci si trova di fronte ad un controllo di merito in ordine all’esercizio dell’azione penale formulata dall’accusa, onerata a sua volta di svolgere «una prognosi di responsabilità in capo all’imputato in funzione dell’esito finale del processo e non della sua utilità»[14] sulla scorta degli elementi contenuti nel fascicolo delle indagini.

Come già anticipato, l’istituto manifesta «evidenti affinità con l’udienza preliminare»[15]: a partire dalla più incisiva regola di giudizio e continuando con la forma, il contenuto dell’epilogo decisorio, la disciplina della condanna del querelante alle spese e ai danni, nonché l’impugnazione e la revoca.

Ci si trova, in sostanza, al cospetto di una sorta di «diaframma» tra le indagini preliminari e il dibattimento o, per meglio dire, un «congegno normativo a vocazione selettiva che si propone di dar seguito esclusivamente a quei procedimenti che, se considerati allo stato degli atti, lasciano “presagire” l’emissione di una futura sentenza di condanna»[16].

L’istituto comporta, dunque, un controllo giurisdizionale sull’addebito elevato dall’organo della pubblica accusa da svolgersi nel contraddittorio tra le parti, che non si limita ad appurare il rispetto dello standard descrittivo di cui all’art. 552, comma 1, lett. c), c.p.p.[17], ma – una volta che la prima verifica abbia dato esito positivo – si spinge fino a testare successivamente l’aderenza al contenuto del fascicolo.

Il vaglio preliminare prefigurato assume, pertanto, una caratterizzazione «bifasica»[18] produttiva di effetti e rispondente a logiche efficientiste sempre che, una volta calato nella prassi, sia però effettivo e «penetrante»[19], soprattutto quando l’atto imputativo si presenta «approssimativo»[20]: al giudice è richiesto di proiettarsi mentalmente nel successivo segmento processuale anticipando – e quindi, in un certo senso, ideando con una certa perspicacia – quella che potrebbe essere la successiva istruttoria dibattimentale e la sua idoneità ad accogliere e confermare la prospettazione accusatoria.

Com’è agevole prevedere, tale momento valutativo si presta a condivisibili speculazioni.

Da un lato, vi è chi sostiene che «il giudizio prognostico ha senso nel passaggio da una fase all’altra del procedimento penale, come accade con la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto che dispone il giudizio (atti propulsivi del procedimento penale), mentre la sentenza di non doversi procedere ex art. 469 c.p.p.[21]. e quella di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. riposano su un giudizio diagnostico»[22]; dall’altro, chi insiste sulla natura prognostica del criterio della «ragionevole previsione di condanna»[23] e, quindi, a prescindere dal momento processuale in cui si impone la sua applicazione.

Nel solco di quest’ultimo indirizzo interpretativo – raccogliendo un sicuro apprezzamento positivo –si inserisce la scelta operata dal giudice della sentenza in commento di acquisire documentazione non contenuta nel fascicolo trasmesso dall’ufficio del pubblico ministero (nel caso di specie, una consulenza tecnica di parte, allegata alla memoria difensiva), in aderenza al canone dell’ in dubio pro reo – che è, e deve restare, l’angolo di visuale da privilegiare! –  a scapito di quello dell’in dubio pro actione[24].

Diversamente ragionando, si rischierebbe di plasmare la figura di un magistrato «costretto a vestire i panni di [un] moderno aruspice che dall’esame di una materia vile (gli elementi proposti dall’accusa, non ancora assurti a dignità di prova) dovrà ricavare presagi su quanto in seguito dovrebbe avvenire»[25].

Il pericolo da neutralizzare è quello di paralizzare l’attività di un giudice che è chiamato da un lato ad effettuare una prognosi di condanna, su materiale gnoseologico predeterminato, dall’altro ad avvalersi della nuova regula iuris che non gli consente di limitarsi a decidere su quanto contenuto nei due fascicoli che gli pervengono ai sensi dell’art. 553 c.p.p., ma gli impone di adottare la sua decisione anche sui possibili sviluppi che la regiudicanda potrà far emergere.

Appare incontestabile, quindi, la considerazione in base alla quale il vaglio preliminare richiesto dal sistema presenta una duplice natura: dopo una prima fase “diagnostica” finalizzata a determinare il valore degli elementi conoscitivi in quel momento disponibili, segue una fase “prognostica” volta a stabilire se sia necessario o no svolgere il giudizio, ampliando l’analisi fino a prevedere se, in un eventuale dibattimento, i risultati conoscitivi ottenuti rimarrebbero tali, o fossero destinati a mutare[26].

Le potenzialità insite nell’istituto trovano, però, un evidente limite nella formulazione letterale della disposizione che vuole una pronuncia elaborata «sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero», con la conseguente impossibilità per il giudice, nel frangente in discorso, di ordinare nuove indagini ovvero di procedere a una integrazione del compendio probatorio, al contrario di quanto avviene, ex artt. 421-bis e 422 c.p.p., in udienza preliminare[27], scelta, questa, probabilmente espressiva della volontà di garantire a tutti i costi la speditezza e la fluidità del rito[28].

Come acutamente osservato, l’esperienza quasi trentennale della udienza preliminare avrebbe dovuto suggerire ai conditores che, nei contesti di snodo – e tale è da considerarsi anche il momento dell’udienza predibattimentale – agire in senso restrittivo sul criterio di giudizio non impedisce certo la nascita e l’affermazione di orientamenti giurisprudenziali che lo trascendano anche per non tradire le aspettative di chi ha asserito che «[s]e l’udienza preliminare si è spesso rilevata “un luogo di passaggio delle carte”, altrettanto si confida che non si dirà dell’udienza filtro predibattimentale»[29].

Appare evidente che il presupposto indefettibile per la riuscita dell’effetto deflativo che accompagna la nuova regula iuris sia la completezza delle indagini[30]; tuttavia, pare altrettanto evidente che il legislatore abbia omesso di «forgiare una figura altrettanto attrezzata per l’udienza predibattimentale[31]» a differenza di quanto previsto, invece, in sede di richiesta di archiviazione o di udienza preliminare[32].

Abbandonata la strada di un esercizio dell’azione penale come conseguenza automatica alla ricezione della notizia di reato, la determinazione del pubblico ministero di instaurare il processo ha assunto connotati più spiccatamente valutativi[33], tanto da indurre a prediligere l’inazione tutte le volte in cui gli elementi raccolti dall’organo dell’accusa non consentano di assolvere l’onere probatorio in sede di giudizio.

La regola di giudizio della “ragionevole previsione di condanna” incombe già nella fase delle indagini preliminari e speculare a tale sistema emerge un pubblico ministero impegnato a sviluppare l’indagine in ogni direzione[34], ivi compresi gli accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato, in ossequio al cosiddetto principio di tendenziale completezza delle indagini.

Bisogna prendere atto che «oggi più che mai l’auspicata completezza delle indagini per una responsabile decisione sull’alternativa azione/inazione, dovrebbe giovarsi dell’eventuale contributo dell’accusato – mediante apporti gnoseologici personali o tramite l’attività del difensore – volto a individuare piste investigative ignote agli inquirenti» –, salvo che lo stesso non maturi un «interesse a riservare alla fase del giudizio il proprio apporto ricostruttivo alla vicenda»[35] –, e ciò anche al fine di restituire effettività al termine concesso all’indagato, dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, per contribuire alla formulazione delle determinazioni del pubblico ministero procedente.  

Condivisibile la posizione di chi ha sostenuto che «a tale udienza è demandata, oltre l’esercizio di poteri di controllo sulla legalità delle indagini e sulla chiarezza e precisione delle imputazioni, la funzione strategica di temperare l’incontrollato dispiegarsi dell’obbligatorietà dell’azione penale, precludendo l’accesso ai processi inutili e superflui secondo il più rigoroso criterio prognostico di condanna dell’imputato, così da sollecitarne il ricorso ai riti alternativi»[36].

Invero, di fronte ad un giudice privo di poteri istruttori e chiamato a decidere allo “stato degli atti”, diventa più arduo il compito della difesa – a seguito della discovery ex art. 415-bis c.p.p. – che si trova a dover decidere se far confluire nel fascicolo delle indagini, prima delle determinazioni della pubblica accusa in ordine all’esercizio dell’azione penale, i risultati delle investigazioni difensive, valutando le chances di successo[37].

Nel contesto di una difesa non solo più attiva ma anche proattiva, allo stato – ed è questa la prassi adottata da alcune corti territoriali, dietro lo schermo di un’interpretazione rigorosamente letterale della norma – è preclusa alla difesa dell’imputato, ed anche della persona offesa, la produzione documentale direttamente alla prima udienza predibattimentale[38] che, si ricorda, è svolta nel contraddittorio tra le parti; a questo si aggiunge l’aberrante incertezza relativa alla possibilità data alle parti di discutere[39] tanto da indurre a “consigliare” ai difensori,  in vista delle udienze celebrate avanti a giudice predibattimentale di cui non conoscono la prassi adottata in ordine alla discussione, di depositare una memoria – sempre possibile ai sensi dell’art. 121 c.p.p. – contenente la «piegatura speculare da offrire agli atti trasmessi ai sensi dell’art. 553 c.p.p. in ordine all’esercizio dell’azione penale»[40], con ulteriore aggravio nell’espletamento del diritto di difesa.

Inoltre – e da tutt’altra prospettiva –, il deficit cognitivo che affligge il giudice chiamato al vaglio preliminare dell’accusa favorirebbe il transito ad un dibattimento destinato a concludersi con un proscioglimento, con il pericolo di pregiudicare gli obiettivi efficientistici perseguiti dalla riforma[41].

Ebbene, una possibile soluzione si intravede nell’art. 554-bis, comma 1, c.p.p.: la norma, infatti, dispone che l’udienza di comparizione predibattimentale si svolga in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato e, quindi, con le forme di cui all’art. 127 c.p.p. che, al comma 2, prevede la possibilità di depositare fino a cinque giorni prima dell’udienza memorie in cancelleria.

Com’è noto, la giurisprudenza non esclude la possibilità di produrre nuovi documenti, in allegato alla memoria, a patto che venga correttamente instaurato ciò che è stato definito come un contraddittorio[42]scritto di carattere esterno[43].

Premesso che il termine per il deposito delle memorie deve intendersi libero ai sensi dell’art. 172, comma 5[44], la dottrina e la giurisprudenza prevalenti attribuiscono allo stesso natura perentoria, benché le norma non contempli espressamente la decadenza o l’inammissibilità nel caso di inosservanza e trovando rimedio, eventualmente, in una richiesta di breve termine a difesa per la corretta instaurazione del contraddittorio; inoltre, rispetto alla relazione tra l’art. 121 c.p.p. e l’art. 127 c.p.p., al fine di evitare un’interpretatio abrogans dell’art. 127, comma 2, si sostiene che tra quest’ultima disposizione e l’art. 121, comma 1, il rapporto sia di “specialità-esclusione”, sicché la memoria depositata oltre il termine deve considerarsi irricevibile[45].

Ad ogni buon conto – e per quanto qui d’interesse – se la giurisprudenza discute del rispetto del termine non solo con riferimento alle memorie ma anche ai documenti[46], eventualmente allegati, non dovrebbe trovare ostacolo l’ingresso, nel corso dell’udienza di comparizione predibattimentale, una produzione documentale altra rispetto a quella contenuta nel fascicolo trasmesso al giudice, ma idonea a supportare la valutazione prognostica a cui il giudicante è chiamato[47].

Ne consegue che l’abbandono di speculazioni in ordine alla natura prognostica o diagnostica della valutazione sottesa alla nuova regola di giudizio dovrebbe condurre – esattamente come accade nell’atto medico, dove la prognosi di una malattia è formulata dopo averla diagnosticata – all’accettazione che si è in presenza di un doppio giudizio, vale a dire di una prognosi emessa sulla base di una diagnosi: diagnosi perché il giudice formula il suo convincimento in base allo stato degli atti, ossia secondo l’evidenza probatoria in quel momento disponibile; prognosi perché oggetto del giudizio è la non prevedibilità della condanna, ossia un avvenimento futuro[48].

Come giustamente osservato[49], «il giudice potrebbe ragionevolmente prevedere la condanna quando le risultanze siano sì carenti, insufficienti o contraddittorie ma complessivamente il quadro probatorio sia aperto all’epilogo della colpevolezza mediante un dibattimento che plausibilmente correggerà i difetti delle indagini o farà luce sui punti d’ombra».

Un sistema così congegnato, se da un lato sembra tradire la ratio della riforma (che riposa, in realtà, su una pretesa responsabilizzazione[50] dei pubblici ministeri nell’espletamento delle indagini)[51], dall’altro tende ad assopire i condivisibili timori paventati nei confronti di una «figura necessariamente fortemente connotata da una logica di parte, istituzionalmente indotta a rinvenire forme di conferma di ipotesi unidirezionali»[52].

Dunque, se si propende verso il definitivo superamento del canone della sostenibilità dell’accusa in giudizio – interpretato come utilità del dibattimento, per cui il procedimento passa alla fase dibattimentale laddove questa fase sia in grado di completare o meglio specificare le risultanze disponibili[53] –, e si tende ad arrestare «la crescita di importanza di una fase nella quale la raccolta probatoria vede l’indagato, se non disarmato rispetto ai poteri del pubblico ministero, quantomeno in una posizione di netta inferiorità»[54]; al fine di restituire equilibrio al sistema, non resta che creare le condizioni – tra le quali, l’eventuale acquisizione degli atti prodotti dalle difese – affinchè il giudice dell’udienza predibattimentale possa efficacemente assolvere alla sua funzione con tutti gli elementi a sua disposizione.

Orbene, nel caso della pronuncia in commento, se il giudice non avesse consentito l’acquisizione della consulenza tecnica di parte avrebbe probabilmente disposto l’inizio di un dibattimento in cui si sarebbe certamente resa necessaria una perizia idonea a incanalare un proscioglimento nel merito per difetto di imputabilità al momento del fatto.

La lungimiranza del giudicante ha posto rimedio anche alla lacunosità del compendio probatorio fornito dall’accusa dal momento che la documentazione medica – esaminata dal CTP, ma sottovalutata dal pubblico ministero – era la stessa versata agli atti del procedimento a corredo di una memoria depositata dopo l’avviso di conclusione delle indagini e capace di ingenerare già in quel momento il dubbio, in capo all’accusa, dell’inidoneità degli elementi da porre a  fondamento di una ragionevole previsione di condanna a carico di un soggetto affetto da vizio di mente al momento del fatto, tale da azzerare completamente la capacità di intendere e di volere.

In sostanza, pur se meglio compendiati nell’ambito di una consulenza tecnica di parte prodotta all’udienza di comparizione predibattimentale, gli elementi idonei a determinarsi per l’inazione erano già tutti sussistenti al momento della trasmissione del fascicolo del dibattimento e del fascicolo delle indagini ai sensi dell’art. 553 c.p.p.

Dunque, delle due l’una: o si consente al giudice del filtro di integrare il quadro probatorio, d’ufficio o su iniziativa di parte, comprimendo in questa fase l’esigenza di celerità ma restituendo al dibattimento solo i processi meritevoli di tale vaglio; oppure bisogna pretendere dagli uffici di procura lo svolgimento di indagini maggiormente accurate e, soprattutto, ispirate al canone, per quanto possibile, della completezza investigativa in virtù di una valutazione prognostica da azionare già al momento delle determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale.

In entrambi i casi, è necessario accogliere con favore la possibilità per le parti processuali – necessarie ed eventuali – di incidere significativamente sul giudizio proiettivo di sostenibilità o meno dell’accusa attraverso contributi cognitivi ed argomentativi arrecati da ciascuna[55], e magari non prodotti in precedenza, non solo per strategia difensiva ma anche perché sopravvenuti alla formazione del fascicolo per il dibattimento.

La nuova decisione da prendere “allo stato degli atti”, se interpretata rigidamente, da un lato sembra discostarsi irragionevolmente da altre ipotesi previste nell’impianto codicistico[56], dall’altro creerebbe uno sterile conflitto con il giudizio prognostico necessariamente richiesto per pronunciare sentenza di non luogo a procedere.

Allo stato, però, non appare ipotizzabile altra soluzione – stante la diversità di vedute in punto di applicazione dell’istituto – se non quella di condividere quanto già osservato da attenta dottrina, secondo cui «in riferimento allo scopo dell’udienza predibattimentale, nessuno può dubitare che la volontà del legislatore sia stata quella di assegnargli una funzione pari a quella dell’udienza preliminare; di talché il ricorso alla ratio legis e alla ratio iuris di cui all’art. 12, co. 2, preleggi deve necessariamente consentire – come, peraltro, qualche giudice sta già facendo – di colmare i vuoti del legislatore con quegli incrementi necessari per permettere alla neo udienza di filtrare conformemente agli scopi del legislatore»[57].

Qualificare l’udienza predibattimentale come fase iniziale del dibattimento – e quindi non come fase “autonoma” – non giustifica la compressione dei poteri riconosciuti all’organo giurisdizionale per il sol fatto che gli stessi poteri raggiungeranno la massima espansione nella fase dibattimentale stricto sensu intesa anche perché «è nel processo e in vista del giudizio di un organo diverso dal dominus delle indagini che vanno raccolti – ad iniziativa del magistrato del pubblico ministero e del soggetto al quale questi imputa la responsabilità del fatto-reato – i dati aventi valore o consistenza di prova[58]».

Ebbene, con l’udienza predibattimentale, nell’ambito della quale si impone di applicare la regola della “ragionevole previsione di condanna”, siamo già nel vivo del “processo” con tutte le guarentigie che ne conseguono; pertanto, se si aderisce alla visione secondo cui «la fase è ogni singolo momento, produttivo di effetti autonomi, di ogni singolo grado del procedimento[59]» non si può non conferire autonomia alla fase dell’udienza predibattimentale – al pari dell’udienza preliminare – sia che la si intenda come “fase autonoma” – ma mai avulsa dall’intero sistema, in quanto le è stata assegnata la funzione di “filtro” – sia che la si intenda come “fase iniziale” del dibattimento.

La pronuncia in commento è la chiara dimostrazione di come il corretto funzionamento di un istituto – al di là della littera legis– è rimesso all’interpretazione sistematica degli operatori e alla maggiore o minore capacità di metabolizzarne la ratio[60]


Note e riferimenti bibliografici

[1] Legge 27 settembre 2021, n. 134, recante «delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari». Tra i primi commenti, v. A. Bassi-C. Parodi, La riforma del sistema penale. L. n. 134/2021: la delega e le norme immediatamente applicabili, Milano, 2021, p. 5 ss.; G. Canzio, Il modello “Cartabia”. Organizzazione giudiziaria, prescrizione del reato, improcedibilità, in www.sistemapenale.it, p. 1 ss.; E.N. La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”: ragioni e prospettive della Delega n. 134/2021, in Arch. pen., 2021, 3, p. 1 ss.; A. Marandola, L. n. 134 del 2021: dal diritto giurisprudenziale alla legge ordinaria, in www.penaledp.it.

[2] Leggendo il dato relativo al periodo 2015-2019 riportato nella Relazione finale e proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435 (24 maggio 2021), nel nostro Paese, circa il 60% delle azioni esercitate dall’organo della pubblica accusa mediante la citazione diretta “sfocia”, alla fine del giudizio di primo grado, in una sentenza di proscioglimento. Commentano i valori emersi dalle statistiche giudiziarie J. Della Torre, Esiti, impugnazioni, sovraffollamento ed errori giudiziari, in Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Gialuz-Della Torre, Torino, 2022, p. 142 ss.; F. Trapella, La citazione diretta a giudizio: una riflessone, in Cass. pen., 2020, p. 3032 ss.; C. Valentini, Riforme, statistiche e altri demoni, in Arch. pen., 2021, 3, p. 1 ss. Come è stato condivisibilmente sostenuto, è necessario non sovrapporre due concetti tra loro differenti, vale a dire quelli di efficienza e di efficacia, in quanto «[s]i tratta di una differenziazione idonea a siglare il rapporto tra mezzo impiegato e fine perseguito: solo un mezzo efficiente consente il raggiungimento del fine, sì da rendere efficace il processo»; sul punto si rinvia a F. Siracusano, Produttività, efficienza ed efficacia della giustizia penale: l’insidiosa logica economica della “Riforma Cartabia”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 161. Il rischio, infatti, è che, facendo prevalere la logica dell’efficienza, si ampli il divario dai principi fondamentali del processo mettendo a repentaglio la sua stessa efficacia. Un’impostazione “ragionieristica”, infatti, implica la compressione dell’esercizio dei diritti fondamentali che costituiscono gli essentialia di un processo giusto; in questi termini, v. D. Negri, Diritto costituzionale applicato: destinazione e destino del processo penale, in Nei limiti della Costituzione. Il codice repubblicano e il processo penale contemporaneo, Padova, 2019, p. 27 ss. Per un’attenta analisi degli aspetti citati, si rinvia a F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, in Arch. pen., 1/2024, p. 13. Inoltre, secondo, E. Marzaduri, La Riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflativi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in Alla ricerca di un processo penale efficiente, Giuffrè, 2024, p. 51 (relazione svolta al Convegno annuale dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “G.D. Pisapia”, “Alla ricerca di un processo penale efficiente”, Pisa, 20-21 gennaio 2022), «ne consegue che con l’organizzazione e la gestione del processo penale, “ricerca ordinata (...) di verità”, il legislatore deve assicurare un meccanismo capace di pervenire ad un accertamento dei fatti sottoposti alla disamina dell’autorità giudiziaria che sia rispettoso delle garanzie individuali ed al contempo in grado di fornire un risultato condivisibile da parte della comunità. Ed un apprezzabile ricerca dell’efficienza del rito penale, sviluppata sul piano della ragionevolezza della relativa tempistica, non potrà quindi aversi, se non tenendo nel debito conto le dette finalità».

[3] L’udienza c.d. filtro trova la sua disciplina negli artt. 554-bis e 554-ter c.p.p., introdotti dall’art. 32 del d. lgs.  10 ottobre 2022, n. 150, in attuazione dei criteri di delega di cui all’art. 1, comma 12, della ridetta legge n. 134 e successivamente integrati dal d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 recante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134», (cd. “correttivo Cartabia”). Sull’udienza predibattimentale, tra gli altri, E. Amodio, Filtro «intraneo» e filtro «estraneo» nella nuova disciplina del controllo per il rinvio a giudizio, in Cass. pen., 2022, p. 14; G. Barrocu, Le disposizioni in materia di udienza predibattimentale, in Proc. pen. giust., 2023, Fascicolo straordinario - La disciplina transitoria della c.d. riforma Cartabia, p. 49; F. Lombardi, L’udienza predibattimentale nella Riforma “Cartabia”: uno schema operativo con alcuni spunti di riflessione, in Giur. pen. (web), 16 dicembre 2022, p. 1.

[4] In questi termini, A. Bassi-C. Parodi, La riforma del sistema penale, cit., p. 37. Per E. Amodio, Filtro «intraneo» e filtro «estraneo» cit., p. 16, si tratterebbe di uno «snod[o] di grandissimo rilievo». Dell’istituto si sono, altresì, occupati M. Bontempelli, Udienza preliminare ed efficienza del sistema, in Dir. pen. proc., 2021, p. 1152-1153; M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in Cass. pen., 2021, p. 3070 ss.; M. Gialuz, La deflazione processuale e sostanziale, in Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Gialuz-Della Torre, Torino, 2022, p. 313 ss.; R. Ianniello, Osservazioni critiche in merito alla udienza filtro per i procedimenti a citazione diretta, in Quest. giust., 4/2021, p. 156 ss.; N. Triggiani, L’udienza predibattimentale monocratica, in Proc. pen. giust., 2022, p. 143 ss. In dottrina c’è chi ha sostenuto che «qualora l’udienza predibattimentale non riuscisse a centrare il bersaglio, l’intera riforma potrebbe risultarne compromessa», in questi termini, M. Daniele, L’udienza predibattimentale: una sfida per i tribunali, in Sistema penale, 2023, p. 2.

[5] Sul procedimento di cui agli artt. 550 ss. c.p.p., cfr., tra gli altri, M. F. Cortesi, Il procedimento, in Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a cura di Spangher, in Trattato di procedura penale, Torino, 2009, vol. IV, t. II, p. 713 ss.; G. Garuti, Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in Procedimenti speciali, a cura di Garuti, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da Spangher-Marandola-Garuti-Kalb, Torino, 2015, vol. III, p. 552 ss.

[6] «La prima deflattivo-anticipatoria [...] la seconda, organizzativa [...]», in questi termini C. Pansini, Il procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, in Manuale di diritto processuale penale, A. Scalfati-A. Bernasconi- A. De Caro- M. Menna- C. Pansini- A Pulvirenti- N. Triggiani- C. Valentini- D. Vigoni, IV ed., Giappichelli, Torino, 2023, p. 720 ss.

[7] In questi termini, M. Daniele, L’udienza predibattimentale: una sfida per i tribunali, cit., secondo cui «nelle intenzioni del legislatore, non si tratta di un semplice doppione dell’udienza preliminare, anch’essa rafforzata dalla riforma». V., altresì, F. Lombardi, L’udienza predibattimentale nella Riforma “Cartabia”, cit., p. 1 ss.

[8] Com’è noto, operante per le contravvenzioni ovvero per i delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva e per altre fattispecie di reato elencate nell’art. 550, comma 2, c.p.p. In dottrina non è mancato chi ha osservato che «diversamente dal passato, le richiamate esigenze di celerità e semplicità oggi si sostanziano solamente nella mancata previsione dell’udienza preliminare quale momento di controllo giurisdizionale sulla fondatezza dell’imputazione». In questi termini, G. Garuti, Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, cit., p. 47.

[9] Così, a norma dell’art. 1, comma IX, lett. l), L. 27 settembre 2021 cit.

[10] Una scelta di segno opposto non avrebbe del resto garantito la condizione, costituzionalmente imposta, di terzietà e imparzialità del (secondo) giudice, così C. Trabace, L’udienza predibattimentale che verrà, in Arch. pen. – Speciale Riforma Cartabia, 2022, n. 2, p. 8. Sul punto, Corte cost. sent. 15 ottobre 2024 (dep. 14 novembre 2024), n. 179, pres. Barbera, rel. Amoroso che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, c.p.p., «nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.».

[11] Prima dell’intervento legislativo ad opera dell’art. 32, co. 1, lett. c), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 non era prevista la trasmissione del fascicolo del P.M.

[12] Ai sensi dell’art. 554-ter c.p.p., comma 1, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche se, sulla base degli atti trasmessi ai sensi dell’articolo 553, sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa. 

[13] A parere di C. Naimoli, Considerazioni sulla “ragionevole previsione di condanna” per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere, in Dir. pen. proc., 2022, p. 834 ss., «il richiamo alla ragionevole previsione di condanna segna un livello minimo di concludenza del materiale raccolto a sostegno dell’ipotesi accusatoria, al di sotto del quale non si potrebbe semplicemente confidare in uno sviluppo dibattimentale».

[14] F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, cit., p. 3; G. Garuti, L’efficienza del processo tra riduzione dei tempi di indagine, rimedi giurisdizionali e “nuova” regola di giudizio, in Arch. pen., 2022, 1, p. 1032, il quale spiega come «il materiale investigativo raccolto nel corso delle indagini assume un valore fondamentale, in quanto destinato a raggiungere una soglia probatoria più solida rispetto al passato per potere addivenire al rinvio a giudizio, superandosi così le interpretazioni tradizionali che ricollegavano la nascita dell’obbligo di agire al criterio dell’in dubio pro actione».

[15] In questi termini, C. Trabace, L’udienza predibattimentale che verrà, cit., p. 6. In dottrina c’è chi ha definito il nuovo istituto una «mini udienza preliminare»: in questi termini, v. M. Gialuz-J. Della Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia penale approda alla Camera: per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo, in Sist. pen., 4/2020, p. 182. Dello stesso tenore, A. Marandola, Introduzione, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, a cura di Marandola, Milano, 2022, XVII.

[16] C. Trabace, L’udienza predibattimentale che verrà, cit., p. 10

[17] Adempimento fondamentale è costituito dalla verifica della corretta rispondenza dell’imputazione a quanto risulta dagli elementi di prova contenuti nel fascicolo, con la conseguenza che il giudice potrà invitare il P.M. ad apportarvi le necessarie modifiche, posto che, in difetto, il primo potrà emettere ordinanza con la quale restituisce gli atti al secondo. Si tratta del recepimento per tabulas degli insegnamenti di Cass., Sez. un., 20 dicembre 2007, Battistella, Rv 238240. L’udienza costituisce, altresì, la sede per richiedere la definizione del procedimento nelle forme del rito abbreviato, dell’applicazione della pena concordata, della sospensione del processo con messa alla prova o dell’oblazione.

[18] Per tale rilievo nonché per l’espressione testualmente riportata nel corpo testo G. Fiorelli, Il vaglio giurisdizionale sulla formulazione dell’imputazione in sede di udienza preliminare: tra tentativi di codificazione giurisprudenziale e resistenze dogmatiche, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, a cura di Marandola, Milano, 2022, p. 147.

[19] M. Bontempelli, Udienza preliminare ed efficienza del sistema, cit., p. 1152-1153.

[20] M. Gialuz, La deflazione processuale e sostanziale, in Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Gialuz-Della Torre, Torino, 2022, p. 315. Rimarca F. Trapella, La citazione diretta a giudizio, cit., p. 3043 come, nell’ambito del procedimento per citazione diretta a giudizio, le «imputazioni [vengano sovente] scritte frettolosamente, in modo generico o scorretto... in una sola battuta: le azioni [sono] esercitate in modo solo apparente».

[21] Sul rapporto tra sentenza predibattimentale e nuova udienza filtro, si rinvia a G. Dalia, Il proscioglimento predibattimentale tra evoluzioni normative e orientamenti giurisprudenziali, in Proc. pen. giust., n. 6, 2022, p. 1591 ss. in cui si legge «dal testo normativo, emerge l’introduzione di un’udienza predibattimentale in camera di consiglio, rispondente a diverse finalità, per nulla coordinate – per non esserci alcun riferimento – con l’istituto di cui all’art. 469 c.p.p.: in particolare, l’udienza viene vista come momento per consentire ad un giudice un vaglio preliminare circa la fondatezza e la completezza dell’azione penale e per risolvere anticipatamente tutte le attività prodromiche a quelle propriamente istruttorie e decisorie tipiche della fase dibattimentale [...] Tuttavia, così come delineata, l’udienza filtro monocratica verosimilmente comporterà aggravi processuali senza alcun tipo di beneficio, dimostrando ancora una volta la poca sensibilità del legislatore nel voler sfruttare l’esistenza di istituti già presenti, cui ricorrere per ottimizzare l’organizzazione dei carichi giudiziari: logiche di deflazione dovrebbero avere, come unico obiettivo, quello di arrestare il procedimento penale non appena sia sottoponibile alla garanzia della giurisdizione, dotata di regole di giudizio “diversificate”, a seconda, cioè, della competenza funzionale esercitata in una determinata fase procedimentale».

[22] M. Bontempelli, Udienza preliminare ed efficienza del sistema, cit., 1150.

[23] E. Amodio, Filtro «intraneo» e filtro «estraneo», cit., 21; M. Gialuz, La deflazione processuale e sostanziale, cit., 309; M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, cit., p. 3071; E. Marzaduri, La riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflattivi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in www.lalegislazionepenale.eu, p. 25; C. Naimoli, Considerazioni sulla “ragionevole previsione di condanna” per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere, cit., p. 833. Si leggano pure le considerazioni di M. Daniele, L’abolizione dell’udienza preliminare per rilanciare il sistema accusatorio, in Sist. pen., 1/2020, p. 135, per cui «la [...] componente prognostica [è] un ingrediente ineliminabile in ogni accertamento storico di tipo, per l’appunto, preliminare, come tale mirato ad anticipare una valutazione che potrebbe essere effettuata in modo più completo in una fase processuale successiva».

[24] Così M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, cit., 3071, che effettua anche un parallelismo con la valutazione ex art. 273 c.p.p.; C. Naimoli, Considerazioni sulla “ragionevole previsione di condanna”, cit., 834.

[25] Sotto questo aspetto, l’aggettivo “ragionevole” non ambisce a istituire un coefficiente di probabilità che qualifichi l’attività predittiva.  Il giudice in altri termini adotta una decisione applicando la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio (risvolto “diagnostico”), e tale decisione, laddove ossequiosa del fondamentale criterio, istituisce ex se una “ragionevole previsione” (risvolto “prognostico”), tenuto conto del momento prodromico in cui essa è svolta, caratterizzata dalla conoscenza dei soli atti cartolari unilateralmente acquisiti dall’organo inquirente: la ragionevolezza, insomma, ove si volesse accedere a questo tipo di lettura, costituirebbe un connotato della decisione alla luce della fase in cui essa è svolta.

È evidente, in sintesi, che l’ottica prognostica non può tenere in conto le imponderabili vicende dibattimentali. Il giudice della udienza dibattimentale, che non conosce gli atti di indagine, certamente celebrerà il processo consapevole della valutazione positiva svolta dal giudice che lo ha preceduto; tuttavia, sarà anche conscio delle infinite possibilità di sviluppo del processo - affatto compromesse dal rigido vaglio del giudice predibattimentale - che ben potrà presentare epiloghi divergenti dalla convinzione del collega, a seconda della reale trasposizione degli elementi di prova in dibattimento e dell’innesto, nella vicenda processuale, di elementi difensivi, in questi termini, F. Lombardi, L’udienza predibattimentale nella Riforma “Cartabia”, cit., p. 10 ss. V. anche, R. Ianniello, Osservazioni critiche in merito alla udienza filtro per i procedimenti a citazione diretta, cit., p. 158.

[26] Cfr. M. Bontempelli, Udienza preliminare ed efficienza giudiziaria, cit., p. 1151 ss. Il vaglio preliminare dell’accusa, anche nella versione ora rafforzata dal legislatore, rischia di mantenere un insopprimibile margine di discrezionalità: un fattore che potrebbe continuare a favorire i rinvii a giudizio anche in futuro, sul punto si rinvia a P. Ferrua, Brevi appunti in tema di udienza preliminare, appello e improcedibilità, in discrimen.it, 9 dicembre 2021, p. 2 ss.; A. Cabiale-S. Quattrocolo, Un filtro più potente precede un bivio più netto: nuove possibili prospettive di equilibrio tra udienza preliminare, riti speciali e giudizio nel quadro della riforma Cartabia, in giustiziainsieme.it., 9 gennaio 2023; R. Del Coco, La verifica preliminare dell’accusa, in A. Marandola (a cura di), “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, Wolters Kluwer, 2022, p. 178 ss.; E. Marzaduri, La riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflativi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in legislazionepenale.eu, 25 gennaio 2022, p. 27.

[27] Pongono l’accento sulla impossibilità per il giudice di avvalersi di mezzi istruttori integrativi N. Triggiani, L’udienza predibattimentale monocratica, cit., p. 148 e M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, cit., p. 3071. Cfr. la Relazione finale e le proposte di emendamenti al d.d.l. A.C. 2435 (24 maggio 2021), cit., 32, dove accenna all’«esclusione di qualsiasi spazio istruttorio». Secondo, P. Tonini-C. Conti, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2023, p. 920 ss. «per quanto simili, la disciplina dell’udienza di comparizione predibattimentale e quella dell’udienza preliminare sono solo in parte sovrapponibili».

Inoltre, in chiave comparata, occorre dare atto che nel sistema tedesco, il procedimento ordinario di primo grado prevede tre fasi: la fase preparatoria, la fase intermedia e la fase del giudizio. Con l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero si verifica la conclusione della fase delle indagini preliminari e contestualmente l’avvio della fase intermedia, deputata al controllo in via giurisdizionale sulla sussistenza di elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Anche in tale ordinamento è stato rilevato il fallimento di un’udienza di comparizione senza poteri istruttori in capo al giudice. Invero, l’attuale scarsa capacità del controllo giurisdizionale di setacciare i casi giudiziari è fotografata dalle statistiche, per le quali il 99% dei procedimenti intermedi si conclude con l’apertura del giudizio: quello che dovrebbe essere graficamente rappresentato come un imbuto, nella prassi assume la forma di una galleria [Le statistiche sono tratte da H. loritz, Kritische Betrachtungen zum Wert des strafprozessualen Zwichenverfahrens, Frankfurt a. M., Peter Lang, 1996, p. 163 ss.]. Nella vita giudiziaria, il procedimento intermedio risulta insignificante, perché raramente si svolgono istruzioni probatorie, riducendosi così ad uno stereotipato lavoro burocratico. L’espressione è contenuta in E. Schmidt, NJW, 1963, p.1081.

[28] C. Trabace, L’udienza predibattimentale che verrà, cit., p. 17, il quale rileva che a causa della disparità di trattamento che si verrà a creare tra gli imputati che transiteranno dall’udienza preliminare e quelli che transiteranno dall’udienza predibattimentale monocratica, non è affatto inverosimile che, in futuro, vengano sollevate questioni di legittimità costituzionale. L’A. segnala, altresì, che il legislatore avrebbe fatto meglio ad attendere di stimare i risultati delle modifiche apportate all’udienza preliminare (art. 1, comma 9, l. n. 134 del 2021), in modo da poter valutare con maggiore consapevolezza se introdurre o meno un congegno selettivo similare, nell’ambito dell’iter di cui agli artt. 550 ss. c.p.p.

[29] In questi termini, G. L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in www.sistemapenale.it, p. 13.

[30]  Sottolinea il circolo virtuoso fra un efficace vaglio preliminare dell’accusa e l’esigenza di completezza delle indagini A. Scalfati, Giustizia penale e sistema produttivo: non prevalga solo l’idea di accorciare i tempi del processo, in Proc. pen. giust., 2021, fasc. 3, p. 506.

[31] F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, cit. p. 4.

[32] Il riferimento è agli artt. 409, co. 4, c.p.p. per il procedimento di archiviazione, e gli artt. 421-bis e 422 c.p.p. per l’udienza preliminare. In dottrina F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, cit., p. 10, sottolinea che «l’udienza predibattimentale manca di un ulteriore elemento che costituisce un baluardo del diritto di difesa, vale a dire la possibilità per l’imputato di chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio – tipico mezzo di difesa per contribuire alla decisione –, e anche di rendere dichiarazioni spontanee». L’A. fa notare che l’incipit dell’art. 554-bis nel richiamare il modello della camera di consiglio, non può limitarlo alla sola assenza del pubblico, ma piuttosto allo schema delineato dall’art. 127 c.p.p. che, seppur variamente gradato nei differenti approcci offerti dalla dottrina consente di ritenere che all’apporto gnoseologico dell’accusato non si possa mai rinunciare in quelle situazioni in cui la domanda dell’antagonista si pone a suo discapito, tanto che è ammessa, pur nel silenzio del legislatore, nello stesso procedimento di opposizione alla richiesta di archiviazione.

[33] V. M. L. Di Bitonto, Il pubblico ministero nelle indagini preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cass. pen., 2000, p. 2844.

[34] «La qual cosa consente, da una parte, di neutralizzare il rischio di un’archiviazione motivata da un giudizio di infondatezza della notizia di reato determinato esclusivamente da lacune investigative; dall’altra, evita eventuali esercizi solo apparenti dell’azione penale, che si risolvono in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale [...] il canone della completezza investigativa di cui all’art. 358 c.p.p., inteso quale “accezione dinamica del principio di obbligatorietà dell’azione penale”, deve rappresentare il criterio guida (anche) delle indagini preliminari», per tali considerazioni si rinvia a G. Dalia, L’avocazione tra processo penale e ordinamento giudiziario, Cedam, 2024, p. 84 ss.

[35] Secondo F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, cit. p. 8, «il concetto di completezza è relativo in quanto risente della prospettiva dalla quale la si inquadra, spesso condizionata della strategia delle parti che potrebbero riservare ad una fase successiva la discovery di elementi di prova ritenuti decisivi».

[36] G. Canzio, Il modello "Cartabia": una riforma di sistema tra rito e organizzazione, GAD, 42/2022.

[37] Infatti, se queste verranno ritenute prevalenti, varrà la pena disvelare prove decisive per una sentenza di non luogo a procedere; al contrario, se queste non verranno valutate come tali, sarà bene non scoprirle in vista del giudizio dibattimentale, Per approfondimenti sul piano strategico si rinvia a F. Giunchedi, Strategia ed etica comportamentale delle parti nel processo penale riformato, in Arch. pen., fasc. 1, 2023, p. 40 ss. Insomma, il filtro a maglie più strette tende a valorizzare una difesa attiva, praticabile con l’avvertenza di vagliare attentamente la presentazione di elementi probatori per il nocumento che potrebbe derivarne da una conoscenza anticipata di P.M. e parte civile in vista del dibattimento. In questi termini, Il nuovo filtro dell’udienza predibattimentale nel rito monocratico a citazione diretta, in Il giusto processo penale dopo la Riforma Cartabia, a cura di Gaito, Pisa, 2023, p. 122 ss; F. Giunchedi, Figlia di un dio minore, cit., p. 10.

[38] L’interpretazione appare eccessivamente rigorosa, se si pone mente a quanto previsto dall’art. 391-octies commi 3, ultimo periodo, e 4 c.p.p. Vero è che la norma è più chiaramente identificabile nella logica del deposito degli atti difensivi subito dopo la chiusura delle indagini e prima dell’esercizio dell’azione penale, onde consentire al pubblico ministero di ragionare sulla opportunità dell’emissione dell’atto introduttivo; è anche vero, d’altra parte, che l’assenza di sanzioni previste per il mancato rispetto del termine virtuale pare consentire, in termini temporali, una facoltà ampia di produzione.

[39] Secondo, M. Daniele, L’udienza predibattimentale: una sfida per i tribunali, cit. p. 5 «Al di là della littera legis, si può però ritenere via interpretativa che non sarebbe vietata un’agile interlocuzione orale sulla necessità o no di rinviare a giudizio. Del resto, trattandosi di un’udienza con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato (art. 554 bis comma 1), sarebbe illogico che i presenti non potessero interloquire sui temi oggetto di decisione».

[40] F. Giunchedi, Figlia di un dio minore, cit., p. 12.

[41] M. Daniele, L’udienza predibattimentale: una sfida per i tribunali, cit., p. 8.

[42] Sul punto cfr. Cass. pen. sez. II – 01.03.2023, n. 15718. Nel caso di specie, in vista dell’udienza camerale del 29 giugno 2022, il 24 giugno 2022 il pubblico ministero depositò una memoria con allegate due annotazioni di polizia giudiziaria del 20 giugno 2022 e del 22 giugno 2022 relative, in particolare, agli esiti – anch’essi allegati - delle perquisizioni che erano state effettuate a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare. Come immediatamente eccepito dalla difesa, il deposito era da ritenersi tardivo in quanto effettuato oltre il termine finale "(f)ino a cinque giorni prima dell’udienza" stabilito dall'art. 127 c.p.p., comma 2, per la presentazione di memorie in cancelleria. La Corte ribadiva, in sostanza, il consolidato orientamento secondo cui, nel procedimento di appello cautelare, il deposito delle memorie difensive è regolato non già dalla norma generale dell’art. 121 c.p.p., bensì da quella speciale di cui all’art. 127 c.p.p. comma 2, espressamente richiamata dall’art. 310 c.p.p., con la conseguenza che deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza [Sez. 1, n. 33 del 20/11/2018, dep. 2019, Zagaria, Rv. 274662-01; Sez. 1, n. 4793 del 25/01/2012, Carta, Rv. 251864-01].

[43] F. Porcu, Sub. art. 127, in Codice di Procedura penale commentato, A. Giarda- G. Spangher, (a cura di), VI, Milano, 2023, p. 1734, ss.; G. Di Chiara, Il contraddittorio nei riti camerali, Milano, 1994, p. 170; G. Campese, I Procedimenti penali in camera di consiglio, Padova, 2010, p. 27.  

[44] In tal senso Cass. pen., sez. I, 25.2.2020, Maielli, CED 278079-01.

[45] G. Di Chiara, Il contraddittorio nei riti camerali, cit. p. 174 ss. Altra giurisprudenza, con riferimento al procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, ritiene che il termine di cui all’art. 127 (più correttamente, oggi, quello di cui all’art. 7, c. 3, d.lgs. n. 159/2011) sia meramente ordinatorio, non risultando precluso alle parti di procedere, oltre tale scadenza, al deposito di atti integrativi, memorie o documenti, sempre che venga rispettato il diritto della parte contro-interessata a contraddire rispetto al tenore di tali integrazioni [Cass. pen., sez. VI 31.10.2013, Qoshja ed altro, CED 257747, la quale, nel caso di specie, ha ritenuto che il diritto a contraddire fosse stato garantito dall’apposito rinvio concesso dalla Corte, a seguito dell'acquisizione in udienza di una relazione redatta dalla Questura; in dottrina un orientamento analogo è espresso da G. Biondi, Il procedimento penale in camera di consiglio, Milano, 2011, p. 120, il quale richiama, a sostegno della propria tesi, anche l’art. 391-octies.

[46] Parte della giurisprudenza ritiene che il termine di cinque giorni previsto dall’art. 127, c. 2, 3 sia valido non solo in relazione alla presentazione delle memorie, ma anche con riferimento alla produzione di documenti [Cass. pen., sez. I 19.6.2013, Tripodi ed altri, CED 256053 (fattispecie in tema di opposizione avverso il decreto di confisca ex art. 12-sexies, d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. dalla 1. 7.8.1992, n. 356); implicitamente in tal senso, Cass. pen., sez. III 11.11.2010, Martimucci, la quale fa riferimento al termine di cinque giorni prima dell’udienza "per depositare documenti e memorie", il quale costituirebbe il termine entro il quale va esercitata la strategia difensiva); contra, purché la produzione sia effettuata nel rispetto del contraddittorio, Cass. pen., sez. V 23.10.2013, Punturiero, CED 258661 (fattispecie relativa a procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione iniziato anteriormente alla data di entrata in vigore del d.lgs: 6.9.2011, n. 159); v. anche Cass. pen., sez.  III 22. 12.2015, Ciotti, CED 265935, secondo la quale il termine di quindici giorni, previsto per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611, applicabile non solo ai procedimenti in camera di consiglio ma anche a quelli in udienza pubblica, vale solo per le memorie difensive e non per i documenti, con la conseguenza che sono sempre ammissibili i documenti processualmente rilevanti eventualmente allegati alla memoria tardivamente presentata, Cass. pen., sez. I, 26.6.2000, Di Bella, CP 2001, 922, secondo cui è illegittimo il provvedimento con il quale il T. sorv non consente all’interessato la produzione di copia di un provvedimento giurisdizionale, assumendone l'intempestività sotto il profilo del mancato rispetto dei termini stabiliti nell'art. 666, c. 3, in quanto quest'ultima disposizione si riferisce solo alle memorie difensive e non ai documenti (nella specie si trattava di un'ordinanza del Tribunale che aveva respinto la proposta di applicazione di una misura di prevenzione a carico dell'interessato, potenzialmente rilevante ai fini della decisione del giudice di sorveglianza)]. Tale orientamento è stato ribadito in materia di ricorso per cassazione contro i provvedimenti de libertate: il comma 4 dell’art. 311 consente in via eccezionale la presentazione di motivi nuovi prima dell’inizio della discussione (motivi che devono riguardare capi o punti della decisione già investiti dall'originale atto di impugnazione), ma non attiene alla produzione di documenti, che resta disciplinata dalle regole generali concernenti il procedimento di legittimità. Ne consegue che, dovendosi per i ricorsi in materia cautelare personale osservare le forme previste dall'art. 127 (art. 311, c. 5), le produzioni documentali devono intervenire al più tardi con una memoria depositata nella cancelleria della Corte di Cassazione cinque giorni prima dell'udienza [Cass. pen., sez. III, 7.1.2021, Marotta, CED 281047-02; C. s.f. 20.8.2003, Jovanovic, CED 228393; in tal senso, con riferimento ai procedimenti aventi ad oggetto misure cautelari reali, Cass. pen., sez. III, 18.3.2013, Pisano, CED 255118, secondo cui tale conclusione si spiega logicamente con l’esigenza di consentire al collegio di disporre di un minimo di tempo ragionevole per l’esame della documentazione; i termini della questione, tuttavia, risultano indubbiamente mutati dopo che Cass. S.U. 30.12.2015, Maresca ed altro, cit. ha stabilito che in caso di ricorso per cassazione proposto a norma dell’art. 325 deve adottarsi la procedura di cui all’art. 611 e non la procedura partecipata prevista dall’art. 127]. Anche la dottrina esclude che i documenti possano essere prodotti in udienza, salvo che l’interessato dimostri l’incolpevole impossibilità di produrli tempestivamente: si osserva, infatti, che l’art. 127, c. 2, intende assicurare a ciascun partecipante all’udienza la possibilità di esporre le proprie conclusioni sulla base di una situazione procedimentale temporaneamente stabilizzata e con riferimento ad atti di cui abbia preso previamente visione. Inoltre, ove si consentisse ad un interessato di produrre documenti in udienza, si dovrebbe concedere agli altri soggetti che lo richiedessero un termine per l’esame di dette produzioni, in contrasto con la natura concentrata e semplificata del procedimento camerale, così G. Campese, I Procedimenti penali in camera di consiglio, cit. p. 28 ss. Discorso a parte merita l’udienza preliminare, nel corso della quale la produzione di nuovi documenti non soggiace al limite temporale di cui all’art. 127, c. 2, essendo la produzione ammissibile fino all’inizio della discussione, ai sensi dell’art. 421. c. 3, senza che ciò comporti lesione del contraddittorio, potendo la controparte chiedere al giudice, a fronte della nuova produzione, un’attività di integrazione probatoria ex art. 422, c 1 [Cass. pen., sez. III, 2.11.2015, p.m. in proc. Pesce ed altro, CED 265072].

[47] Con riferimento all’art. 121 e agli artt. 2, 3 e 24 Cost., la Corte Costituzionale ha respinto la questione di legittimità sollevata riguardo alla violazione del principio del contraddittorio tra le parti, laddove, prima dell’instaurazione dell’udienza preliminare, non è garantito il deposito in cancelleria della consulenza tecnica di parte. In particolare, oltre a negare il presupposto da cui muove il giudice a quo, secondo il quale l’inapplicabilità dell’art. 121 deriverebbe dall’impossibilità di ricomprendere nel termine procedimento ivi indicato anche la fase investigativa, la Corte ha chiarito come, ai sensi dell’art. 421, c. 2, la discussione dell’udienza preliminare possa svolgersi anche sulla base di atti e documenti ulteriori e diversi rispetto a quelli già contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell’art. 416, c. 2, tra i quali, quindi, ben possono collocarsi le memorie del consulente [C. Cost. n. 238/1991, GCost 1991, 2018].

[48] P. Ferrua, Regole di giudizio e udienza preliminare, in Processo penale e giustizia, n. 4/2023, p. 966 ss.

[49] M. Arcaro, Dalla sostenibilità dell'accusa in giudizio alla ragionevole previsione di condanna: cambia la regola di giudizio per l'archiviazione e il non luogo a procedere, in Penale diritto e procedura, 21 luglio 2022, p. 15.

[50] Come si legge nel parere C.S.M., 19/PP/2020 d.d.l. AC n. 2435, delibera 29 luglio 2021, allegato 4,3, in www.csm.it « Ne discenderebbe "una maggiore responsabilizzazione degli uffici di Procura" e l’esaltazione dell’ "appartenenza del pubblico ministero alla cultura della giurisdizione", un soggetto che assumerebbe "nel corso delle indagini preliminari un approccio terzo' rispetto alla notitia criminis, ponendo in essere tutte le attività necessarie ad accertare compiutamente lo svolgimento del fatto e ad individuare il responsabile, ricercando, quindi, anche elementi a favore dell'indagato", così da potersi individuare nel titolare dell'accusa pubblica "il primo giudice del materiale investigativo raccolto" che dovrà essere valutato "con obiettività e nell'ottica del futuro dibattimento" da chi non sarebbe "titolare di alcun interesse di parte, se non quello volto all'accertamento del fatto-reato e all'individuazione di chi l'ha commesso"»

[51] Cfr. F. Alvino, Il controllo giudiziale dell'azione penale: appunti a margine della "Riforma Cartabia", in Sistema penale, 2022, 3, p. 32, anche alla luce dei criteri di lettura valorizzati nella stessa Relazione della Commissione Lattanzi, ove si legge limpidamente «la Commissione ritiene che, alla luce dell’evoluzione della fase preliminare, vada superato il criterio dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale; a seguito di indagini che - in linea con quanto richiesto dalla Corte costituzionale - devono risultare tendenzialmente complete (e possono avere una durata significativa), il pubblico ministero sarà chiamato a esercitare l’azione penale solo quando gli elementi raccolti risultino - sulla base di una sorta di 'diagnosi prognostica' - tali da poter condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tanto in un eventuale giudizio abbreviato, quanto nel dibattimento. Al contrario, laddove il quadro cognitivo si connoti per la mancanza di elementi capaci di sorreggere una pronuncia di condanna, il pubblico ministero dovrà optare per l’inazione».

[52] In questi termini, E. Marzaduri, La Riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflativi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in Alla ricerca di un processo penale efficiente, cit., p. 75 che appare decisamente critico, tra l’altro, nei confronti delle considerazioni espresse nel parere del C.S.M. di cui alla nota n. 50.

[53] L. Forte, L’udienza predibattimentale: tra “nuova” regola di giudizio ed efficienza nel “sistema Cartabia”, in Diritto penale e processo, 3/2023, p. 466.

[54] Così, E. Marzaduri, La Riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflativi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in Alla ricerca di un processo penale efficiente, cit., p. 77.

[55] Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del massimario, Relazione su novità normativa la “Riforma Cartabia”, n. 2/2023, 5 gennaio, p. 162.

[56] E così, in sintesi, il giudice dell’udienza preliminare, qualora non sia in grado di decidere allo stato degli atti (per il rinvio a giudizio o per la sentenza di non luogo a procedere):

a) indica ulteriori indagini (sul presupposto della loro incompletezza) al pubblico ministero, fissando il termine per il loro compimento (art. 421 bis c.p.p.): trattasi, a tutti gli effetti, di un’integrazione probatoria contra reum;

b) se non provvede ai sensi del punto precedente, può disporre - anche d'ufficio – l’assunzione delle prove delle quali appaia evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere (art. 422, comma 1, c.p.p.): a differenza della precedente ipotesi, si è al cospetto di una iniziativa pro reo.

In sede di giudizio abbreviato, laddove non ritenga di poter decidere allo stato degli atti, il giudice assume –  anche d’ufficio –  gli elementi necessari ai fini della decisione sulla imputazione (art. 441, comma 5, c.p.p.).

Con riferimento alla prima ipotesi, si tratta di un’innovazione significativa nei poteri del giudice dell’udienza preliminare, chiaramente finalizzata a proteggere il canone di completezza delle indagini, in effetti, quando emette l’ordinanza di cui all'art. 421 bis c.p.p. il giudice dell’udienza preliminare segnala un’impossibilità di decidere allo stato degli atti causata dal fatto che il contenuto del fascicolo è incompleto rispetto alle obiettive risultanze delle indagini. L’impronta dell’istituto - volto a rimediare a questo tipo di inefficienze dell'ufficio del pubblico ministero - è ulteriormente accentuata dall’ultima parte dell'art. 421 bis, comma 1, c.p.p., come pure dal successivo comma 2 dell'articolo: l’ordinanza del giudice dev'essere comunicata al Procuratore generale della Corte d'appello, il quale è legittimato a disporre l’avocazione delle indagini per rimediare all’inerzia del pubblico ministero presso il Tribunale. Sul tema, v. Manuale di diritto processuale penale, A. Scalfati-A. Bernasconi- A. De caro- M. Menna- C. Pansini- A Pulvirenti- N. Triggiani- C. Valentini- D. Vigoni, IV ed., Giappichelli, Torino, 2023, passim; G. Dalia, L’avocazione tra processo penale e ordinamento giudiziario, cit., p. 37 ss.

[57] F. Giunchedi, Figlia di un dio minore. Gli ingiustificati deficit dell’udienza predibattimentale, cit. p. 15. Sono fin troppo note le discussioni e le controversie circa il problema della «completezza» o «incompletezza» dell’ordinamento, discussioni e controversie che sono in diretto rapporto con il problema delle lacune e quindi dei mezzi (analogia, equità, natura dei fatti e principi generali del diritto) di cui il giurista si può valere per completarle; cioè con il problema cosiddetto della integrazione del diritto (concetto anche questo estremamente dibattuto e controverso, in rapporto alla possibilità di distinguere l’integrazione della interpretazione del diritto). Per la tesi affermativa v. M. S. Giannini, L’analogia giuridica, in Jus, 1941, p. 525 ss, contra, N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1938, n. 7 ss., p. 132 ss.

[58] A.A. Dalia – M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, X ed., Milano, 2018, p. 21.

[59] A.A. Dalia – M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, cit., p. 57.

[60] «È proprio a questa inderogabile esigenza che sono ispirati i due motivi fondamentali in base ai quali deve operare il giurista in questo tipo di ordinamento: il motivo che potremmo dire operante in funzione «della continuità», ed il motivo che potremmo dire operante in funzione della «sistematicità» dell’ordinamento. Il primo, che appunto richiede da parte del giurista l’adozione di quella tecnica, se così si può dire, di riduzione del concreto all’astratto e del nuovo al previsto che lo stesso legislatore predispone e disciplina mediante quelle tipiche finzioni operative, come quella dell’analogia o del ricorso ai principi generali, che si può dire presiedono ad ogni attività di integrazione e applicazione del diritto. Il secondo, che, sempre in funzione di tale esigenza, è diretto in sostanza a ricavare dalla molteplicità anche frammentaria e incoerente delle norme che costituiscono l’ordinamento legislativo in senso stretto quei motivi o principi unitari superiori e logicamente coerenti che, appunto costituiti in sistema, consentono di considerare ogni nuova proposizione del suo discorso come dedotta e qui giustificata in base a una proposizione definita in precedenza», così L. Caiani – La Filosofia dei giuristi, G. Pino (a cura di), XI collana, La memoria del diritto, Roma, ottobre 2021, p. 26.