RCD


Attendere prego, caricamento pagina...
La Cassazione in tema di patteggiamento nel caso in cui si proceda per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 2 Lug 2025

La Cassazione in tema di patteggiamento nel caso in cui si proceda per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione

Modifica pagina

Stefano Morana
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo



La Sez. VI della Suprema Corte, con sentenza n. 12309 del 7 novembre 2024, torna a pronunciarsi in tema di patteggiamento nei reati contro la pubblica amministrazione. La decisione insiste, in particolare, sull’accordo subordinato all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’art. 317 bis, c.p. Il presente commento mira a offrire una panoramica delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che hanno interessato la materia.


ENG The Supreme Court, in judgment no. 12309 of November 7, 2024, has once again ruled on plea bargaining in offenses against the public administration, with particular emphasis on agreements contigent upon exemption from accessory penalties (interdiction from public office and prohibition on contracting with public bodies). This commentary seeks to outline the key legislative reforms and judicial interpretations that have progressively shaped the framework governing this special form of criminal proceeding.

Sommario: 1. Premessa; 2. Sviluppo normativo e orientamenti giurisprudenziali del patteggiamento nei reati contro la P.A.; 3. La sentenza n. 12309 del 7 novembre 2024; 4. Conclusioni.

1. Premessa

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, è tornata ad esprimersi sul trattamento speciale previsto per il rito di cui agli artt. 444-448, c.p.p., in relazione ai delitti contro la pubblica amministrazione. 

Il legislatore del codice dell’88 aveva riposto molte aspettative nell’istituto del c.d. patteggiamento e, più in generale, nei riti premiali[1], in ragione della loro funzione deflattiva. Successivi interventi normativi ne avevano pure ampliato progressivamente i margini applicativi al fine di incentivare la scelta del rito da parte degli attori processuali – in primis l’imputato al quale si rivolgono i vantaggi in termini di trattamento sanzionatorio. E purtuttavia riforme secondarie ne hanno gradualmente eroso l’aspetto premiale che lo contraddistingueva[2], allargando il novero di preclusioni all’accordo e accentuandone l’equiparazione alla sentenza di condanna. In conseguenza di tali modificazioni – e a seguito dell’introduzione di nuovi istituti deflattivi di maggiore attrattività, come il procedimento di cui agli artt. 464-bis ss., c.p.p., inserito nell’ordinamento dalla L. 28 aprile 2014, n. 67 – le percentuali di accesso al rito patteggiato sono diminuite in modo costante[3].

Malgrado tali sviluppi, il rito patteggiato conserva ancora una rilevante centralità nelle scelte di strategia difensiva, in special modo in materia di reati contro la pubblica amministrazione, sulla cui disciplina il legislatore è intervenuto a più riprese introducendone un regime differenziato.

2. Sviluppo normativo e orientamenti giurisprudenziali del patteggiamento nei reati contro la P.A.

A seguito delle modifiche di cui alla L. 27 maggio 2015, n. 69[4], è stato inserito il comma 1 ter all’art. 444, c.p.p., che prevede una specifica condizione di ammissibilità in caso di richiesta di applicazione della pena per taluni illeciti – segnatamente, i delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 bis, c.p.

L’imputato richiedente, difatti, dovrà operare un’integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato per accedere al rito, a prescindere dall’entità della pena applicata. Da un confronto sistematico del nuovo presupposto con l’istituto di cui all’art. 322 quater, c.p. – la «riparazione pecuniaria», contestualmente introdotta dalla stessa novella – e la confisca prevista dall’art. 322 ter, c.p., si è delineato un quadro normativo che impone l’applicazione di queste ultime per le sentenze di condanna, preclusa invece nei casi di pena patteggiata[5] (anche in forma allargata[6]), nei quali la funzione restitutoria è assolta dalla previsione di cui al comma 1 ter. A prima vista, il legislatore ha così inserito un ulteriore ostacolo all’accordo sulla pena per incentivare le già preesistenti passi riparative nei reati contro la pubblica amministrazione, con il probabile intento di disincentivare l’attivazione del rito premiale per quei particolari delitti[7].

Con la L. 9 gennaio 2019, n. 3 – legge «Spazzacorrotti», entrata in vigore il 31 gennaio 2019[8] – nell’ambito di un generale intervento di rafforzamento delle attività di contrasto ai reati contro la P.A., la disciplina di cui agli artt. 444 e 445, c.p.p., è stata interessata da nuove modifiche.

In primo luogo, il legislatore ha riformato l’art. 317 bis, c.p., ampliando il novero dei delitti alla cui condanna consegue obbligatoriamente l’applicazione delle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione. Contestualmente, modificando il secondo periodo della disposizione in parola, è stata ridotta la soglia – da 3 a 2 anni di reclusione – della pena principale entro la quale irrogare le predette pene in forma temporanea, «per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni».

Com’è noto, a norma dell’art. 445, c.p.p., la scelta del rito patteggiato nella forma c.d. ordinaria comporta – tra i diversi vantaggi a favore del reo – il beneficio della esenzione dalle pene accessorie. La novella de qua aggiunge tuttavia una clausola derogatoria che rinvia al nuovo comma 1 ter dello stesso articolo: essa prevede che il giudice possa applicare le pene accessorie di cui all’articolo 317 bis del codice penale in relazione ai reati previsti dagli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis, c.p.

La bulimia normativa del legislatore in tema di repressione della corruzione ha determinato anche un’ulteriore modifica dell’art. 444, c.p.p., nel quale è stato introdotto il comma 1 ter. La disposizione consente all’imputato di subordinare la richiesta di patteggiamento – quando si procede per i reati sopra indicati – alla non applicabilità delle predette sanzioni accessorie o all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene. Qualora il giudice esprima una valutazione negativa sulla concessione del beneficio, questi sarà tenuto a rigettare la richiesta. 

Le modifiche ora richiamate, sebbene abbiano interessato il codice di rito, spiegano effetti di palmare rilevanza sul piano sostanziale. Tra i nodi interpretativi più rilevanti emersi in giurisprudenza, invero, si è discusso della sussumibilità di tali norme nella sfera del principio di retroattività della lex mitior, riconoscendone la natura di «norme processuali ad effetti sostanziali»[9].

Ulteriori pronunce della Corte di legittimità – richiamate nella sentenza in esame – si sono concentrate sull’obbligo di motivazione in capo al giudice nel determinare le pene accessorie e sull’applicabilità della disciplina di cui all’art. 445, comma 1 ter, c.p.p., al patteggiamento allargato.

La sentenza n. 12309 del 7 novembre 2024, ripercorrendo l’indirizzo ermeneutico già sviluppato nei precedenti arresti giurisprudenziali sul tema, ricostruisce l’attuale quadro normativo alla luce dei mutamenti apportati dalla normativa sopra illustrata.

In ultimo, si segnala che il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 di attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134[10] ha inciso nuovamente sulla disciplina del rito negoziato, introducendo la possibilità per l’imputato e il pubblico ministero di concordare l’esclusione delle pene accessorie o della confisca facoltativa, ovvero di determinarle, rispettivamente, per una durata definita e in riferimento a specifici beni o a un importo precisato. Fermo restando il regime speciale di cui al comma 3 bis dell’art. 444, c.p.p., la novella ha dunque esteso la facoltà già prevista per i delitti contro la pubblica amministrazione alla generalità dei casi.

3. La sentenza n. 12309 del 7 novembre 2024

Con il ricorso a fondamento della sentenza sopra richiamata, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere su di un’impugnazione avverso una pena concordata tra le parti, emessa il 27.05.2024 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nola.

Il primo Decidente aveva inflitto la pena di 10 mesi e 6 giorni di reclusione nei confronti di Ca.Sa. per il reato di cui all’art. 314, c.p., e, altresì, applicato le sanzioni accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di 5 anni.

L’imputata presentava ricorso per violazione di legge, sul presupposto che l’Estensore non avrebbe considerato come la richiesta di patteggiamento fosse subordinata all’esenzione dalle pene di cui all’art. 317 bis, c.p. A detta del ricorrente, il Giudice avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile la disciplina sulla domanda condizionata in riferimento alle ipotesi di rito patteggiato ordinario, violando altresì il principio di correlazione tra richiesta e sentenza –  ex art. 448, comma 2 bis, c.p.p. –  e omettendo una motivazione a sostegno della decisione sulle pene accessorie.

La Corte adita, accogliendo il ricorso, offre una completa esegesi dell’attuale tessuto normativo, ricostruendo l’orientamento interpretativo fornito dalle più recenti pronunce di legittimità. Nel rammentare le recenti modifiche introdotte per effetto della L. 9 gennaio 2019, n. 3, la S.C. richiama il consolidato indirizzo ermeneutico che ritiene indubbiamente applicabile il precetto di cui all’art. 445, comma 1 ter, c.p.p., alle ipotesi di patteggiamento ordinario in forza del rinvio previsto al primo comma della medesima disposizione[11]. Si osserva, dunque, come la novella abbia inciso su una delle principali misure premiali che qualificano il rito, precludendo agli imputati per i delitti contro la pubblica amministrazione l’automatica concessione della esenzione dalle pene accessorie nei casi in cui la pena irrogata in concreto non superi i due anni di reclusione – soli o congiunti a pena pecuniaria –, precedentemente prevista per la totalità dei reati. Il nuovo regime normativo così delineatosi rimette la decisione sulle pene ex art. 317 bis, c.p., ad una valutazione discrezionale del giudice, il quale non appare più come mero esecutore della volontà legislativa, ma «assurge all’inedito ruolo di organo chiamato a decidere, su base discrezionale [...] sull’an di applicazione delle pene accessorie».

Sulla scorta di tale argomentazione, arguisce la Corte di legittimità, il Giudice di prime cure si è arrogato il potere di comminare le suddette pene accessorie, ritenendo non apposta la condizione cui l’accordo tra le parti era subordinato poiché non considerata tra le materie negoziabili. Il ragionamento adottato dal Tribunale di Nola risulterebbe viziato – secondo la ricostruzione operata dalla Cassazione – dal mancato rilievo che la discrezionalità del giudice è esercitabile solo nella misura in cui le parti nulla abbiano concordato in merito alle pene accessorie. Per converso, come nel caso di specie, il giudicante avrebbe dovuto negare integralmente la richiesta – descritta dalle S.U. Boccardo come ad «effetto vincolato»[12] –, essendogli preclusa la possibilità di un accoglimento parziale.

Muovendo dalle conclusioni in parola, la Sez. VI ha annullato la sentenza oggetto di impugnazione, disponendo il rinvio degli atti al Giudice per le indagini preliminari.

4. Conclusioni

In conclusione, la pronuncia in esame conferma l’indirizzo già cristallizzato nei precedenti arresti della Cassazione in tema di patteggiamento per i reati contro la pubblica amministrazione. Alla luce del costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il quadro normativo del rito è così delineato dopo le recenti riforme di contrasto alla corruzione: quando si procede per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis, c.p., se la pena irrogata è inferiore ai 2 anni di reclusione (da soli o congiunti a pena pecuniaria), l’imputato non potrà giovarsi in automatico del beneficio della esenzione dalle pene accessorie previsto dall’art. 445, c.p.p. – in riferimento a quelle obbligatoriamente prescritte dall’art. 317 bis, c.p. L’opzione punitiva sarà rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrà applicarle purché via sia un’adeguata motivazione «a supporto della relativa determinazione»[13]. Il margine di valutazione di cui sopra opererà, a fortiori – come correttamente rilevato nelle pronunce sopra richiamate – anche nelle ipotesi di patteggiamento allargato. In riferimento a quest’ultimi casi la norma configura un indiscutibile aspetto premiale per l’imputato, che non assoggetterà all’obbligatoria applicazione delle pene dell’interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Qualora la parte, diversamente, subordini la richiesta del rito alla esclusione delle predette pene, ovvero alla loro sospensione – in forza dell’art. 444, comma 1 ter, c.p.p. – il giudice sarà tenuto a pronunciarsi sull’accordo nella sua globalità e, se del caso, rigettarlo tout court, essendogli preclusa la possibilità di mantenere efficaci solo alcune condizioni e applicare ex officio le pene accessorie. La c.d. riforma Cartabia ha poi esteso tale possibilità anche ai procedimenti relativi alle altre tipologie di reato, con margini più ampi.

Si rammenta, infine, che per entrambe le configurazioni del rito negoziale, tradizionale o esteso, l’ammissibilità della richiesta sarà subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato quando si procede per i delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319 ter, 319 quater e 322 bis, c.p., indicati nel comma 1 ter dell’art. 444, c.p.p. – elenco non coincidente con quelli indicati nella disciplina introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. SPANGHER, I procedimenti speciali, in AA. VV., Procedura penale, Torino, 2023, 798 ss.

[2] Cfr. G. SPANGHER, Proposte per la riforma del processo penale, in www.quotidianogiuridico.it, 2015; rileva che «la sentenza di patteggiamento, dopo le ultime modifiche che ne condizionano l’accesso alle restituzioni integrali, ha accentuato ulteriormente la connotazione della sentenza di condanna»..

[3] Cfr. F. TRAPELLA, Quale futuro per i riti speciali, in Arch. Pen., 2022, 2, 7 ss.; l’autore presenta un’analisi dei dati statistici sul ricorso ai riti alternativi nell’ultimo decennio, evidenziando un trend decrescente del patteggiamento, dai 48.670 del 2012 ai 15.357 del 2020. In particolare, nella disamina si sottolinea come, a fronte di un numero pressoché costante di attivazione del giudizio abbreviato, l’istituto di cui agli artt. 444 ss., c.p.p., ha sofferto un’inflessione notevole. Il dato è messo a confronto con la contestuale introduzione della messa alla prova – del cui impiego si mette in risalto il graduale incremento –, della tenuità del fatto, dell’estinzione del reato di cui all’art. 162-ter e degli interventi di depenalizzazione.

[4] Recante «Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio».

[5] Cfr. Cass., Pen., Sez. VI, ud. 25.01.2017 – dep. 28.02.2017, n. 9990.

[6] Cfr. Cass., Pen., Sez. VI, ud. 14.03.2019 – dep. 20.03.2019, n. 12541.

[7] Cfr. F. VERGINE, Il patteggiamento: gli obblighi restitutori depotenziano le finalità deflattive, in Processo penale e giustizia, 2019, 2, 448 ss.

[8] Recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici».

[9] Cit. Cass., Pen., Sez. VI, ud. 18.10.2021 – dep. 09.11.2021, n. 40538; la Corte analizza il complesso tema dell’applicazione di un trattamento punitivo sfavorevole in forza di una norma di natura processuale. Ad avviso del Collegio «il principio di legalità della pena e il divieto di retroattività sanciti dall’art. 25 Cost., comma 2, precludono, a prescindere dal momento in cui la richiesta di definizione del procedimento è stata proposta al giudice, l’applicazione ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della L. n. 3 del 2019 delle disposizioni recate dall’ultima parte dell’art. 445 c.p.p., comma 1[...] e dall’art. 445 c.p.p., comma 1-ter», muovendo dalla ratio del principio di legalità, pacificamente individuato nella necessità di garantire al destinatario della norma una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale e di compiere, successivamente, scelte difensive basate su ragionevoli ipotesi circa i concreti scenari sanzionatori.

[10] Recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari».

[11] Cfr. Cass., Pen., Sez. VI, ud. 11.01.2023 – dep. 04.04.2023, n. 14238; nel precedente evocato, la Corte si è altresì pronunciata favorevolmente sull’estensione del potere discrezionale del giudice di applicare le pene accessorie previste dall’art. 317 bis c.p. al patteggiamento allargato. La decisione richiama la sentenza n. 231 del 2021 della Corte Costituzionale, che evidenzia lo iato tra la relazione illustrativa al disegno di legge (nella quale si intendeva limitare la disciplina in esame ai soli casi di applicazione di una pena inferiore ai due anni di reclusione) e il tenore letterale degli artt. 444, comma 3 bis e 445, comma 1 ter c.p.p., che non fanno esplicito riferimento a specifiche soglie di pena concordata. In conseguenza di tale discrepanza, si sarebbero «delineati per l’imputato vantaggi altrimenti non previsti».

[12] Cit. Cass., Pen., Sez. Un., ud. 27.01.2022 – dep. 15.06.2022, n. 23400; il precedente è richiamato nella sentenza in esame per motivare l’illegittimità di una ratifica dell’accordo nella sola parte residua.

[13] Cit. Cass., Pen., Sez. VI, ud. 19.11.2024 – dep. 03.12.2024, n. 44111.