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Pubbl. Mar, 21 Apr 2020

Stato emergenziale e informazione emergenziale

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autori Antonio Allocca , Carlo Conte



Quando l’emergenza insinua il diritto all’informazione.


Sommario: 1. Quanto incide la comunicazione politica sulla diffusione di una corretta informazione; 2. Analizzare la comunicazione politica moderna, partendo dalla visione Schmittiana; 3. Il diritto di  informazione in uno stato emergenziale; 4. La visione anglo-americana e italiana a confronto sul diritto di informazione e le possibili conseguenze.

1. Quanto incide la comunicazione politica sulla diffusione di una corretta informazione

In questo periodo stiamo vivendo uno dei momenti più critici della Repubblica Italiana, a causa della pandemia in corso da Covid-19. Tale situazione ci permette di porre in essere delle riflessioni dal punto di vista della tenuta dello Stato di diritto costituzionale a seguito della compressione del funzionamento democratico, del sistema informativo e l’emergere delle figure decisioniste, di cui abbiamo un chiaro esempio al centro dell’Europa, e precisamente in Ungheria.

Lo stato di salute del nostro sistema politico era già enormemente in difficoltà, dal momento che si è ridotta fortemente l’intermediazione partitica nel nostro Paese con la caduta dei partiti di massa, che avevano un doppio ruolo nella società[1], ovvero veicolare i principi costituzionali nella società in modo da renderli effettivi nella comunità, e allo stesso tempo realizzare quel collegamento fatto di scambio di idee e progettualità tra i consociati e le istituzioni del nostro Paese.

Ed invero, negli ultimi decenni tale sistema di intermediazione è stato completamente sostituito dalla personalizzazione dei leaders dei soggetti politici e dalla mera comunicazione politica, che ha determinato un collegamento diretto tra i cittadini e i rappresentanti, mediante l’utilizzo della rete digitale.

Si è creata, di conseguenza, una distorsione del sistema informativo nei confronti dei cittadini, da diversi punti di vista:

1) comunicazione politica sia dei governanti che delle minoranze con l’unico scopo di concretizzare consensi sulla propria persona anche mediante una distorsione della notizia, piuttosto che attenersi ad una mera informazione istituzionale;

2) una diffusione sui social network, che sono diventati i luoghi di discussioni della società, già prima delle restrizioni del governo, atteso che si è passati dalle piazze fisiche a quelle virtuali, in cui vengono veicolate tutte le notizie principali sia  veritiere che distorte o addirittura false da blog e testate giornalistiche online satellite dell’informazione politica dei vari leaders politici.

Inizialmente si pensava che l’avvento di internet fosse uno strumento che aiutasse, notevolmente, la democrazia dal momento che poteva dar voce anche alle fasce più deboli della società, tanto è vero che inizialmente sembrava che desse una mano alle folle nella piazza Tahrir del Cairo o nel Maidan di Kiev a rovesciare i governi assolutistici in quei territori, arginando la censura sulla carta stampata.

Oppure si è teorizzato, in particolar modo in Italia, di poter realizzare un legame diretto tra rappresentante e rappresentato, tramite l’utilizzo di piattaforme digitali, al fine di eliminare quella distanza che si è concretizzata in questi anni, a causa della crisi dei partiti e della loro funzione.

Tuttavia, oggi ci si sta rendendo conto che la realtà virtuale e digitale è una materia più complessa e delicata, di quanto si pensasse. Difatti, l’idea che vi sia un rafforzamento della democrazia sic et simpliciter con gli strumenti digitali, è stata messa fortemente in discussione, dal momento che la realtà digitale senza una regolamentazione legislativa coerente e puntuale con la carta costituzionale, rischia di avere una duplice conseguenza, da un lato istituzionale-politico perché andrebbe ad incidere notevolmente sulla disintermediazione, già presente, nel nostro Paese, dal momento che i rappresentati e rappresentanti si confronterebbero su delle piattaforme digitali in maniera diretta, senza che vi sia una forma-partito, sensu latu.

Dall’altra parte si avrebbe, invece, una distorsione del dibattito politico perché sia i governanti che le minoranze politiche, si dedicano alla mera comunicazione politica propagandistica, mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti digitali e cartacei dell’informazione. 

Ed invero, se si analizza la comunicazione e l’informazione di queste settimane, si può notare come essa sia stata alquanto aggressiva, da intendersi come accentramento ed esaltazione dell’operato del rappresentante, piuttosto che l’utilizzo dei vari mezzi di comunicazione come mero veicolo di notizie e di disposizioni legislative, al fine di mettere a conoscenza i consociati.

Ci si pone, quindi, un interrogativo, per nulla scontato, ossia come e quale fine abbiano i rappresentanti nella gestione dell’informazione.

2. Analizzare la comunicazione politica moderna, partendo dalla visione Schmittiana

In questo contesto non può che essere una guida l’idea di Schmitt, il quale richiama il concetto della pubblicità dell’opinione[2], caratteristica che nel parlamentarismo viene, difatti, fortemente influenzata dai partiti politici di maggioranza o lobby di interessi, affinché possano più facilmente perseguire i propri interessi e tutelare le rendite di posizione. 

Schmitt criticava i partiti e i gruppi di interesse che sostenevano i rappresentanti per  la distorsione e la manipolazione dei mezzi di informazione, ma come si può facilmente constatare, oggi tale alterazione dell’informazione è una vera propria strategia comunicativa dei partiti ed esponenti che sono all’opposizione dei rappresentanti, perché, al fine di indebolire l’operato del governo, veicolano in particolar modo mediante l’informazione online un numero consistente di fake-news o per meglio precisare di news che sono commentate e veicolate dagli interessati con messaggi espliciti o subliminali, che pongono in essere una distorsione della notizia.

In conclusione, si può affermare che non siamo più di fronte al sistema analizzato da Schmitt perché pur vivendo un paradosso sull’informazione e sulla sua circolazione nella società, non solo non vi sono più i partiti di massa, ma va detto anche che non sono solo i governanti a manipolare l’opinione pubblica della società, ma tutte le forze politiche e i gruppi di potere distorcono l’informazione.

Ne deriva inevitabilmente che oggi chi investe di più dal punto di vista economico sulla comunicazione politica può influenzare notevolmente l’opinione pubblica, anche mediante un’informazione parziale o del tutto distorta.

In uno stato emergenziale, come quello in cui siamo in queste settimane, l’informazione e la comunicazione politica diventa dirimente anche per la salvaguardia dell’intero sistema democratico, dal momento che si determinano due condizioni estremamente delicate.

Da un lato vi è una compressione del funzionamento democratico, seppur formalmente legittimo, che potrebbe mettere in discussione la democrazia di un Paese, come è accaduto in Ungheria. Dunque, sarebbe opportuna e doverosa una comunicazione politica ed un’informazione più istituzionale possibile, dal momento che venendo meno l’agone politico è più facile far veicolare il messaggio e le proposte delle istituzioni, a maggior ragione se vi è paura nella popolazione e se emergono figure decisioniste rassicuranti.

Dall’altro lato, invece, le opposizioni qualora cavalcassero comunicativamente le difficoltà economiche e sociali già presenti nei territori, potrebbero far nascere delle tensioni sociali, che porterebbero a delle conseguenze imprevedibili, sebbene nel nostro Paese sono presenti i cc.dd. anticorpi democratici e non vi sono forti e condivise velleità rivoluzionarie nel tessuto sociale, ma dato lo stato di necessità e di emergenza, in cui viviamo, sarebbe opportuno non sottovalutare scenari radicali.

Lo status quo, quindi, mette in evidenza il ruolo fondamentale della corretta informazione e comunicazione politica all’interno di uno Stato, prendendo in considerazione sicuramente sia l’informazione digitale che la carta stampata, purché non siano informazioni distorte e manipolate, per mero accrescimento dei consensi sociali da parte dei rappresentanti.

Oggi, con il fenomeno della pandemia Covid-19 mette in evidenza il ruolo dei colossi di internet, i quali veicolano e influenzano l’informazione istituzionale e politica. Tanto è vero che i social network e i motori di ricerca hanno provato a porre in essere una repressione delle notizie false, che circolano sulle loro piattaforme digitali, ma con risultati fortemente modesti, dal momento che molto spesso non si hanno semplici fake news, bensì una distorsione attraverso interpretazioni di giornalisti e politici delle notizie, che determinano la veicolazione di un messaggio tra i consociati alquanto stravolta.

3. Il diritto di  informazione in uno stato emergenziale

Come si declina questa sensazione, alla luce dei princìpi costituzionali che sorreggono il nostro ordinamento giuridico, e perché sorgono dubbi, relativamente alla totale aderenza delle scelte politiche e comunicative, in questo momento storico?

Il ricorso alla copertura normativa offerta dall’art. 21 della Costituzione è un passaggio necessario se, come è sensazione di chi scrive, la necessità di veicolare messaggi finalizzati al contenimento dell’epidemia da Covid-19 rischia di comprimere i diritti ivi costituzionalmente garantiti. Il comma 1 del già richiamato articolo fissa, al contempo, sia il principio secondo cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”, sia anche l’attuazione del diritto indipendentemente dal mezzo di diffusione adoperato. Relativamente ai mezzi di comunicazione adottabili per la diffusione del proprio pensiero, i Costituenti hanno inteso estendere tale libertà a tutti i mezzi (anche quelli non ancora conosciuti o diffusi), cosicché la norma potesse garantire la più ampia tutela, anche senza limitazioni tecnologiche.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, all’art.18 stabilisce che “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero” e, nel successivo articolo “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere[3].

Inoltre, l’art. 19 della medesima Dichiarazione riconosce il diritto di “ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere” offrendoci ulteriori elementi di riflessione, non in relazione a ciò che il singolo consociato ha il diritto di dire, ma in relazione a ciò che sono le informazioni veicolate verso questi. I riferimenti in materia e gli esempi di frattura tra quanto normativamente previsto e l’applicazione pratica di tali princìpi sono innumerevoli, tuttavia ciò che rileva è il caso opposto, ovvero ogniqualvolta manchi il rispetto di tali disposizioni.

Come si tutelano i consociati, nel caso di utilizzo aggressivo delle informazioni?

È possibile parlare di propaganda, oppure si sta assistendo ad una dilatazione lecita dell’utilizzo dei mezzi d’informazione e delle notizie veicolate per suo tramite?

4. La visione anglo-americana e italiana a confronto sul diritto di informazione e le possibili conseguenze

Edmund Burke, nel 1787, rivolgendosi verso la tribuna stampa del Parlamento inglese disse loro “voi siete il quarto potere” e, a oltre duecento anni di distanza, pare avesse ragione.

Nel tentativo di offrire risposte alle domande poc’anzi formulate, potrebbe essere utile sottolineare che, nel Regno Unito, John Locke (già alla fine del diciassettesimo secolo) aveva fortemente ispirato e incanalato la società verso la consacrazione di un diritto di stampa, quale diritto naturale e, pertanto, rientrante nella categoria dei diritti universalmente garantiti. Le altre realtà europee, nei decenni successivi, giunsero alle medesime conclusioni, soprattutto perché esponenziale divenne l’incremento delle attività legate alla stampa. Il primo emendamento della Costituzione americana stabilisce che “Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca […] o che limiti la libertà di parola o di stampa[…]”.

Ancora, in tempi più recenti, si è discusso circa le divergenze tra le modalità di finanziamento dei giornali, nonché circa la trasparenza di tali operazioni economiche.

Tentando di non scadere in polemiche considerazioni e di esaltare il mero dato fattuale, una summa divisio va necessariamente effettuata tra le realtà editoriali nostrane e quelle americane, anche in relazione all’attività di finanziamento delle testate giornalistiche effettuate dai partiti.

A tal proposito è necessario ricordare che, a differenza di quanto accaduto durante la Prima Repubblica, non può più parlarsi di “giornale di partito”, essendo fortemente scemato il sentimento partitistico in favore di quello di “gruppo politico”; al contrario, negli States, il sistema di finanziamento è senz’altro più trasparente o, comunque, appare esserlo. La crisi che ha colpito il settore dell’editoria nei primi anni del 2000 ha generato un aumento della sensibilità verso la stampa, anche supportata dallo sforzo di quest’ultima nel tentativo di incontrare i più recenti gusti del pubblico.

Tuttavia, a differenza di quanto è sempre stato in Europa, gli editori americani sono sempre stati poco avvezzi a ricorrere a strumenti pubblici di finanziamento e foraggiamento delle risorse economiche. Quando, nel 2009, il New York Times annunciò il taglio di 100 giornalisti su 1300[4], al pari di molte altre testate appartenenti a gruppi editoriali e delle comunicazioni tra i più influenti al mondo, fu chiaro che l’intervento pubblico non fosse più superfluo, ma necessario.

In Italia, al contrario, è molto più difficile riscontrare realtà editoriali nazionalmente riconosciute e, al contempo, indipendenti. Da una parte, perché il nostro Stato, pro capite, investe meno di un terzo degli States (per non parlare degli altri Stati europei, rispetto ai quali siamo penultimi per investimenti ed erogazione di contributi all’editoria); dall’altra, coesistere alle altre realtà editoriali senza percepire tali finanziamenti, determina una difficoltà ancora maggiore di sopravvivenza.

È per tali ragioni che, sempre più spesso, si assiste alla propensione degli editori, di adottare piani di abbonamento alla testata (anche in modalità telematica) al fine di generare ricavi maggiori e raggiungere anche il pubblico che preferisce non acquistare il cartaceo.

Non resta sciolto, tuttavia, il dubbio circa l’indipendenza degli organi di stampa rispetto ai giochi partitici, rectus di gruppi politici, alla luce delle esperienze editoriali italiane. È indubbio che si sia assistito, in questo momento caratterizzato dall’elemento emergenziale quale preminente rispetto ad altri che, tanto la stampa quanto l’informazione promulgata dai gruppi politici, abbia determinato dubbi e preoccupazioni (si pensi all’aggressività delle notizie e dei comunicati circolati nell’ultimo mese).

La risposta a questo dato fattuale è senz’altro la necessità di creare uno “schock emotivo” nei consociati e convincerli più agevolmente e repentinamente affinché assecondino le direttive impartite dal Governo (in particolar modo dal Presidente del Consiglio dei Ministri) e dalle ulteriori Autorità preposte alla direzione degli apparati statuali. Circa la liceità della linea attuativa utilizzata per veicolare tali messaggi, essa non è posta in dubbio nella sua totalità, tuttavia, è apparso degno di nota il discrimine con le usuali modalità comunicative.

A tratti le comunicazioni degli Organi di Stato sono apparse particolarmente presenti e aggressive, tanto che qualcuno le ha paragonate alle sirene che annunciavano o interrompevano il coprifuoco in tempi di guerra. Chi scrive è certo che l’aggressività dell’informazione, nonché delle modalità utilizzate, sia giustificabile solo ed esclusivamente dallo stato emergenziale e non può rappresentare un precedente.

Non può farlo, perché la particolarità dello stato emergenziale è la sua limitatezza temporale e non può esserlo, perché solo quell’elemento di eccezionalità giustifica una compressione del diritto di informazione, nei suoi molteplici aspetti.

La “propaganda” emergenziale, tuttavia è inaccettabile quando, a differenza delle finalità di prevenzione e contenimento della diffusione del contagio da Covid-19, veicoli messaggi politici, politicizzanti o polemici. L’accentuata mediaticità del momento e l’esponenziale aumento dell’attenzione dei cittadini, dovuta alla fragilità emotiva dell’emergenza che tutti stiamo affrontando, non possono in alcun modo compromettere il diritto dei consociati affinchè ricevano notizie fondate e certe, piuttosto che informazioni distorte, manipolate o interpretate per fini strettamente di consenso.

 
 

[1] Mortati, Costantino. Appunti sul problema della fonte del potere costituente, in Rass. dir. pubbl., 1946

[2] Schmitt, Carl,  La condizione storico-spirituale dell'odierno parlamentarismo, Giappichelli, Torino, Collana Jus publicum europaeum, 2013.


Note e riferimenti bibliografici