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Pubbl. Gio, 18 Giu 2015

Il pagamento al pubblico ufficiale per il timore di un pericolo ”immaginario” configura un’ipotesi di induzione indebita o truffa aggravata?

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Alessandro Schillaci


Nota a Cass. pen. Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 17655. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il delicato tema del discrimen tra concussione, induzione indebita e truffa aggravata dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario proveniente da terzi, con abuso di funzioni e doveri inerenti la carica di pubblico ufficiale.


Nella specie, due soggetti (tra cui un carabiniere) si recavano presso l’abitazione della persona offesa, sottoponendole la visione di un filmato che riprendeva attività illecite in danno di altri,  ma esibito come se rivolte alla stessa, ingenerando il timore di un pericolo immaginario per la propria incolumità proveniente da terzi.

I due sedicenti riuscivano così ad ottenere un accordo con il quale gli stessi si adoperavano per impedire tali eventi in cambio di denaro.  E si instaurava un rapporto di lavoro che prevedeva la presenza del falso carabiniere (su indicazione di quello effettivo) presso il cantiere della persona offesa, con funzione di intervento nel caso il pericolo prospettato si fosse verificato.  

Secondo la Suprema Corte, la creazione di falso pericolo, all’interno della quale si iscriveva l’esibizione dei predetti filmati, non è in sé idonea a determinare la metus publicae che caratterizza il reato di concussione.

Non si ravvisa neppure quella condizione di assoggettamento alla potestà altrui che è  tipica anche della diversa fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. e si sostanzia nella persuasione, suggestione o inganno della persona offesa, indotta a prestare acquiescenza alla richiesta di denaro, pur nella consapevolezza del carattere non dovuto della stessa, al fine di conseguire un tornaconto personale.

Diversamente, nel caso di specie, l’istruttoria ha fatto emergere che l’azione congiunta dei due autori aveva indotto la parte lesa, con l’inganno e la specifica simulazione di situazioni di pericolo, a fidarsi di loro e ad offrire denaro in cambio delle attenzioni ricevute, sebbene fittizie.

L’attività ingannatoria posta in essere dal pubblico ufficiale in concorso con l’altro soggetto (art. 117 c.p.) ha avuto quindi una diretta incidenza sulla doverosità della dazione o della promessa, non avendo infatti il privato la consapevolezza del carattere indebito delle stesse.

Da qui l’inquadramento giuridico della fattispecie nel meno grave delitto di truffa aggravata dal timore di un pericolo immaginario ingenerato nella persona offesa (art. 640 co. 2 n. 2 c.p.), realizzato in concorso da un pubblico ufficiale mediante abuso della funzione e dei doveri inerenti la propria carica (art. 61 n. 9 c.p.).

La pronuncia in oggetto si inserisce in quell’orientamento tradizionale che distingueva la truffa aggravata dalla concussione previgente, a seconda che lo stato di timore del soggetto passivo fosse ingenerato al fine di trarlo in inganno, ovvero di sottometterlo all’arbitrio del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico ufficiale. Si affermava icasticamente che nella concussione l’agente opera sulla volontà della vittima, nella truffa sull’intelletto.

In tale prospettiva, si precisava inoltre che nella truffa aggravata la qualità di pubblico ufficiale concorreva solo in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, il quale veniva convinto ad offrire una prestazione che riteneva dovuta.  

La questione si è riproposta di recente, alla luce delle modifiche intervenute al codice penale (L. 6 novembre 2012, n. 190), che hanno prodotto la modifica della fattispecie di cui all’art. 318 c.p., che fino a quel momento poneva sullo stesso piano (sia come titolo di reato sia come trattamento sanzionatorio) la condotta costrittiva e induttiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio a danno di altro soggetto.

L’induzione indebita di dare o promettere ha trovato specifica regolazione nell’art. 319 quater c.p., con l’ulteriore e innovativa previsione della punibilità della parte offesa che ha dato denaro o promesso altra utilità per trarne, a sua volta, un indebito vantaggio.

Nell’ottica di una più attenta graduazione della pena, in misura proporzionale rispetto al disvalore del fatto, la scorporo delle condotte induttive del pubblico agente dall’originario reato unitario  ha sollevato non pochi problemi in sede di determinazione dei tratti distintivi rispetto alla concussione.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 24 ottobre 2013 – dep. 14 marzo 2014 – n. 12228) ha ribadito che sia la concussione sia l’induzione indebita si caratterizzano per l’abuso della qualità e l’abuso dei poteri da parte del pubblico ufficiale per il perseguimento del fine immediatamente illecito.

Ciò che distingue i reati è dunque il predicato: “costringere” e “indurre”.

Si ha costrizione in presenza di violenza fisica o minaccia. Il che presuppone un evento contrario all’ordinamento giuridico che può assumere diverse forme: dalla privazione di un bene, alla mancata acquisizione di un’utilità, al non compimento di un atto o anche alla lesione di un mero interesse legittimo.

In questo caso, il pubblico agente prospetta il compimento di un atto antigiuridico laddove il privato non si impegni nella prestazione richiesta. La minaccia del pubblico ufficiale deve essere idonea ad incutere timore, paura in chi la percepisce, sì da pregiudicarne l’integrità del benessere psichico e la libertà di autodeterminazione. La persona offesa è posta quindi di fronte all’alternativa secca di subìre il pregiudizio o di evitarlo con la dazione o promessa di utilità.

Si ha induzione quando il pubblico agente, nell’ambito di un rapporto non paritario e in grado di alterare il processo volitivo del privato, pur non determinando una grave limitazione della sua sfera di autodeterminazione, pone in essere una condotta di persuasione, suggestione, allusione, silenzio e inganno.

Quest’ultimo non deve però ricadere sul carattere non dovuto della prestazione richiesta, altrimenti si configura il delitto di truffa aggravata.

Una conferma in tal senso giunge da Cass. Sez. VI, 24 settembre 2014, n. 39089 che, muovendo dalle sopra esposte coordinate ermeneutiche, ha osservato che le persone offese erano state, nella specie, indotte a pagare la somma di denaro dietro la falsa rappresentazione della doverosità del versamento, segnatamente dietro la prospettazione di difficoltà operative e dunque di un maggiore impegno dell'intervento di espianto tale da giustificare la remunerazione. Era stata dunque rappresentata una situazione non rispondente al vero, tesa ad indurre in errore specificatamente sulla debenza della prestazione economica.

Pertanto, non risultando provata al di là di ogni ragionevole dubbio la consapevolezza dei privati in ordine alla non doverosità della dazione e facendo comunque difetto un indebito vantaggio di questi, il fatto è stato qualificato come truffa aggravata.

Sia consentito, infine, svolgere alcune considerazioni in tema di truffa aggravata ex art. 640 co. 2  n. 2 c.p.. Tale reato è punito con la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da Euro 309 a Euro 1.549 nei confronti di chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno … se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità.

La fattispecie in questione ruota intorno al concetto di pericolo immaginario, generalmente inteso come inesistente, talvolta riferito a forze sovrannaturali e occulte o a credenze superstiziose. Gli artifizi e raggiri, dunque, devono essere tali da trarre in errore la vittima mediante la falsa rappresentazione di un pericolo inesistente. La ratio dell’aggravante risiede infatti nella natura particolarmente insidiosa di chi fa percepire all’offeso il timore di un pericolo che non sussiste, soprattutto quando quest’ultimo versa in una situazione di debolezza psicologica.  

Per distinguerlo dal reato di estorsione, l’orientamento prevalente ha rilevato che nella truffa aggravata il pericolo non deve essere riconducibile alla volontà dell’agente, ma di un terzo; può anche trattarsi di un accadimento non controllabile dall’uomo. La vittima viene così indotta ad agire per l’ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi è avvertito come dipendente da fattori esterni, estranei all’agente. Al contrario, se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà del soggetto agente si configura il delitto di estorsione, a nulla rilevando che la minaccia, ove credibile, non fosse concretamente attuabile (Cass. Sez. II, 27 marzo 1996, n. 7889).

 

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Per un approfondimento:

P. PALLADINO, Sui rapporti tra concussione, truffa e peculato: nota a Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2000, n. 5538, in Cass. pen., 2001, 11, p. 3033.

G.L. GATTA, Dalle Sezioni Unite il criterio per distinguere concussione e "induzione indebita": minaccia di un danno ingiusto vs. prospettazione di un vantaggio indebito, in www.penalecontemporaneo.it, 17 marzo 2014.

M. GAMBARDELLA, La "massima provvisoria" delle Sezioni Unite Maldera: le possibili conseguenze intertemporali, in Arch. pen., 2013, n. 3.