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Pubbl. Lun, 9 Mar 2020

Il recente intervento della Suprema Corte sulla nullità dell´omessa valutazione di memoria

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Ilaria Romano



La Corte di Cassazione ha chiarito che l´omessa valutazione di memoria difensiva in atti non costituisce causa di nullità, in ossequio al principio di tassatività delle sanzioni processuali.


Sommario: 1. Premessa e fatto - 2. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione - 3. La decisione della Suprema Corte - 4. Conclusioni

1. Premessa e fatto

Il provvedimento in commento (Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2019, dep. 10 gennaio 2020, n. 696, Pres. Gallo) affronta gli aspetti relativi alla omessa valutazione di una memoria depositata dalla difesa e all’inquadramento di tale mancanza nella corretta categoria giuridica.

Appare anzitutto opportuno inquadrare la vicenda nel suo concerto manifestarsi.

Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria accoglieva l’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il provvedimento con il quale il GIP presso il medesimo Tribunale aveva disposto la revoca della misura custodiale inframuraria in precedenza applicata all’indagato.

Avverso tale pronuncia, quest'ultimo proponeva ricorso a mezzo del difensore, deducendo, con un unico motivo, la violazione di legge processuale e il vizio di motivazione. In particolare, lamentava che il Tribunale del Riesame avrebbe del tutto omesso di considerare nel merito la memoria ex art. 121 c.p.p., pur avendo dato atto a verbale del deposito della stessa in udienza. Il Tribunale adito, pertanto, non avrebbe valutato il contenuto dell’atto difensivo, né avrebbe esposto le ragioni per le quali gli argomenti in esso contenuti non erano condivisibili e, quindi, non avrebbe motivato sul punto.

Nel ricorso veniva richiamata l’attenzione sulla necessità di valutare la memoria in parola, in quanto a mezzo di essa si eccepiva l’inammissibilità del ricorso della Pubblica Accusa, del tutto generico in quanto estrinsecatosi nella mera ripetizione dell’originaria richiesta di applicazione della misura.

Inoltre, il difensore evidenziava la necessità di valutare il contegno tenuto dall’indagato durante il periodo trascorso agli arresti domiciliari, con la distanza temporale dalla commissione del reato.

2. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione

Prima di esaminare la decisione della Suprema Corte, appare appena il caso di soffermarsi sulle lett. c) ed e) del c. 1 art. 606 c.p.p., che disciplinano i motivi di ricorso in Cassazione scaturenti rispettivamente da violazione di legge processuale e da vizio di motivazione.

L’art. 606 c.p.p., al c. 1, nel dare attuazione alla previsione costituzionale dell’art. 111 c. 7, specifica la nozione di “violazione di legge”, elencando tassativamente le censure che possono essere fatte valere mediante ricorso in Cassazione.

La lett. c) si riferisce agli errores in procedendo cagionati dall’inosservanza delle disposizioni processuali previste, dal codice o da leggi speciali, a pena di invalidità (nullità, inammissibilità, decadenza o inutilizzabilità).

La lett. e) descrive, invece, il difetto di motivazione, distinguendone tre ipotesi: la mancanza di motivazione, consistente nella inesistenza totale o parziale di un percorso logico-giuridico giustificativo della decisione presa; la contraddittorietà processuale tra le informazioni poste alla base della motivazione e quelle desumibili dagli atti del processo; la manifesta illogicità della motivazione, desumibile o da grave contraddittorietà tra tra le premesse del ragionamento o tra le premesse e le conclusioni, o nel caso di vizi riguardanti la giustificazione esterna1.

Affinché sussistano i richiamati vizi, è dunque necessario che vi sia stata violazione di norme procedurali presidiate da almeno una delle forme di invalidità codicistiche, nonché l’assenza dei requisiti minimi di esistenza e logicità della motivazione2.

3. La decisione della Suprema Corte

La Cassazione, nel caso di specie, ha dichiarato il ricorso infondato e ha respinto l’unico motivo articolato.

Per la Suprema Corte, infatti, la violazione di legge non sussiste e la doglianza è da ritenersi infondata. A sostegno di tale statuizione, la Corte richiama alcuni precedenti, anche recentissimi3, nei quali costantemente si afferma che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità. Ciò, al più, può cagionare una carenza o imprecisione logico-motivazionale del provvedimento che definisce la fase o il grado in cui tale manifestazione difensiva sia stata esplicata.

La ragione per cui il mancato esame di una memoria difensiva non è causa di invalidità risiede nella mancanza di una specifica previsione di nullità.

La Corte, pertanto, fa espresso riferimento al noto principio di tassatività in materia di nullità, ricavabile dall’intero sistema delle invalidità4 ed esplicitato nell’art. 177 c.p.p., secondo il quale “l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi stabiliti dalla legge”.

Con la sentenza in commento, quindi, la Suprema Corte attesta la propria posizione sul rispetto rigoroso della lettera della legge, che può riassumersi nell’affermazione “l’atto non è nullo perché la norma di legge che lo contempla non lo prevede formalmente5.

4. Conclusioni

Confermando la scelta di attenersi al dato formale, la Suprema Corte ha dunque aderito apertamente al principio di legalità in materia processuale, distanziandosi dal pur recente filone giurisprudenziale6 che, invece, fa proprio il principio di effettività della lesione.

Secondo tale ultimo postulato, al fine di valutare la nullità di un atto, occorre verificare se vi sia stata effettiva lesione al diritto che la norma intende disciplinare: una sorta di principio di offensività trasposto sul piano processualistico7. Tale impostazione suppone quindi che, ad una violazione che generi nullità, prevista da una norma, non necessariamente segua la comminatoria della sanzione processuale dell’invalidità.

Viene posto in risalto, in tale esegesi, il potere del giudicante di decidere se una violazione formale possa aver anche causato una lesione effettiva del diritto tutelato dalla disposizione di volta in volta in esame.

Non è invece ammissibile, per evidente violazione del principio di legalità e dei poteri che spettano al giudice, il caso contrario: ossia che il giudicante possa far discendere una sanzione (nella specie, una nullità) da una norma che non prevede affatto tale conseguenza, sol perché, in concreto, sarebbe stato violato un diritto di difesa8.

A parere di chi scrive, la decisione della Seconda Sezione penale è coerente non solo con la lettera del codice, ma altresì con l’indirizzo interpretativo fornito dalla giurisprudenza sovranazionale, tutta a favore della certezza e della prevedibilità della sanzione non solo sostanziale ma anche processuale.

Merita chiarire brevemente quest'ultimo punto. L'art. 7 c. 1 CEDU cristallizza il principio di legalità in materia penale sostanziale, in ordine ai delitti e alle pene, e conseguentemente il divieto di analogia della legge penale a detrimento dell'imputato: se ne ricava che l'illecito e le sue conseguenze sanzionatorie devono essere definiti dalla legge in modo chiaro e, quindi, prevedibile da parte del soggetto agente9. Secondo autorevole dottrina10, analizzando le tendenze emerse nella giurisprudenza della Corte EDU, "è ormai acquisito che l'art. 7 ha sortito (...) un'estensione dell'ambito applicativo dei richiamati principi al di là degli illeciti e delle sanzioni". Ne deriva che il principio di legalità, pertanto, deve essere rispettato non solo in campo sostanziale ma anche processuale. A conferma, è stato affermato11 che "la riserva di legge processuale non è solo stabilita dall’art. 111, co. 1, Cost., ma assume un preciso rilievo anche in seno alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pur non essendo rintracciabile una precisa disposizione al riguardo. Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, il principio di legalità del diritto processuale penale è un principio generale del diritto, rappresenta il pendant della legalità del diritto penale ed è consacrato dall’adagio nullum judicium sine lege"12.

Ben si comprende come, pertanto, il rispetto della tassatività delle sanzioni processuali derivi non solo dal dettato normativo interno, ma altresì dai richiamati principi sovranazionali13.

Conseguentemente, si rende evidente che, nel caso concreto sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, una eventuale dichiarazione di nullità per omessa valutazione della memoria difensiva non avrebbe trovato alcuna giustificazione, né nella disciplina codicistica, né tantomeno nel principio di effettività della lesione. Secondo la Cassazione, infatti, non può ritenersi sussistente, nel caso di specie, una violazione del diritto di difesa per omessa valutazione di memoria difensiva, poiché l’art. 121 c.p.p., che disciplina le memorie e le richieste delle parti, non è presidiato da alcuna previsione di invalidità.

Note e riferimenti bibliografici

1  Cfr. H. Belluta, M. Gialuz, L. Lupària et al.,"Codice sistematico di procedura penale", Giappichelli, 2019, pag. 644

2 Cass., sent., 27 novembre 2012, n. 18307

3 Cass. Sez. V, n. 24437 del 17/01/2019, Armelli, Rv. 276511; Sez. III, n. 23097 del 08/05/2019, Capezzuto, Rv. 276199; Sez. II, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea e altri, Rv. 272542; Sez. V, n. 51117 del 21/09/2017, Mazzaferro, Rv. 271600; Sez. IV, n. 18385 del 09/01/2018, Mascaro Rv. 272739

4 Cfr. art. 111 c. 7 Cost., che stabilisce il principio di legalità in materia processuale; art. 173 c.p.p. in materia di decadenza; art. 606 c. 1 lett. c), che individua tassativamente le ipotesi di invalidità; art. 124 c.p.p., norma di chiusura secondo cui la mera irregolarità non comporta invalidità né inefficacia; criterio direttivo n. 7 della legge delega n. 81/1987, che ha imposto la "previsione espressa sia delle cause di invalidità degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali".

5 R. Angeletti, "Le invalidità nel processo penale", Giappichelli, 2017, pag. 8

6 R. Aprati, in "Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici", a cura di A. Marandola, UTET, 2015: "In dottrina qualche voce isolata comincia a non censurare più le pronunce della Cassazione, le quali - via via più frequentemente - impiegano l'effettivo pregiudizio al fine di selezionare ciò che può essere considerato nulo da ciò che non può esserlo".

7 E. N. La Rocca, "La tassatività delle nullità negli itinerari mutevoli della giurisprudenza", in Archivio Penale n. 1/2017, pag. 6: "Non è invero recente la linea volta a valorizzare, nelle decisioni sulle questioni di invalidità degli atti, il criterio del reale pregiudizio: per valutare se un error in procedendo si sia effettivamente consumato, si ricorre all’applicazione del principio di offensività processuale, secondo cui, perché sussista la nullità non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità è destinataa presidiare".

8 In proposito, afferma R. Angeletti, op. cit., pagg. 7-8, che "di interesse è certamente la verifica delle ipotesi in cui alla insussistenza di una espressa previsione di nullità, corrisponda una evidente lesione del diritto di parte. La Suprema Corte, in questi casi, non ha mai ritenuto di approfondire la disamina entrando nel merito delle valutazioni. La norma non prevede la nullità dell'atto e, conseguentemente, non si può parlare di invalidità". A conferma, si vedano Cass., sez. II, 15 gennaio 2016, n. 4940; Cass., sez. IV, 17 settembre 2015, n. 17933; Cass., sez. IV, 14 luglio 2014, n. 9669. Continua l'Autore: "Nella specie, la Corte ha semplicemente rilevato che aldilà dell'effettività della lesione, l'ipotesi richiamata non è contemplata espressamente da una norma che ne sancisca la nullità".

9 cfr. Sent. 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, Serie A, n. 260-A, par. 52

10 R. Garofoli, "Manuale di Diritto Penale", VI, Nel Diritto, 2018, pag. 20

11 E. N. La Rocca, op. cit., pag. 5

12 Cfr. Sent. Corte EDU, 22 giugno 2000, Coëme e altri c. Belgio. La Corte europea ha evidenziato che la regolamentazione della procedura penale ha come scopo la protezione della persona inquisita contro i rischi degli abusi del potere ed è dunque la difesa maggiormente esposta a subire un pregiudizio dalle lacune e dalle imprecisioni di tale regolamentazione.

13 Afferma P. Spagnolo, in "Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici", a cura di A. Marandola, UTET, 2015: "la tutela dei diritti fondamentali, sempre implicata quando si discute di processo penale, non è più soltanto una "questione nazionale", da affrontare con le tradizionali categorie giuridiche interne; essa di articola su una pluralità di livelli che, in Europa, coinvolge l'ambito internazionale (la Convenzione europea dei diritti dell'uomo - Cedu), quello comunitario (la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e la giurisprudenza sui diritti della Corte di Giustizia) e quello nazionale (il dettato costituzionale di ciascun Paese).