Pubbl. Sab, 8 Feb 2020
Quando un pettine fa più danni di una pistola
Modifica paginaLa Cassazione ha deciso per un nuovo processo per definire la colpevolezza della famiglia Ciontoli
E' uno dei casi più agghiaccianti di omicidio che si siano visti in Italia negli ultimi anni. E dire che il nostro paese ha conosciuto la follia omicida nei suoi mille e più tremendi aspetti. Si pensi a casi di indubbia risonanza mediatica come quelli di Annamaria Franzoni, Alberto Stasi o, per restare in un futuro recente, a quello, dal clamore mai del tutto sopito, di Amanda Knox e Raffaele Sollecito.
Nulla, però, aveva preparato il popolo italiano a quanto sarebbe avvenuto nel maggio 2015, quando Marco Vannini fu ucciso con un colpo di pistola. Niente di più strano del consueto, se non fossero le modalità del gesto a destare scalpore.
Le telefonate effettuate al 118 dai familiari della fidanzata, di cui il giovane era ospite al momento dell'accaduto, parlano inizialmente di "ferita con un pettine a punta". Al di là dell'improbabilità della dinamica, quello che stupisce maggiormente è il fatto che gli stessi tornano a telefonare per annullare l'intervento dell'ambulanza, sostenendone l'inutilità dell'intervento.
Sta di fatto che Marco Vannini muore, quella notte, presumibilmente per un ritardo nei soccorsi.
Il giudice di prime cure ha condannato Antonio Ciontoli, padre della ragazza e presunto autore del reato, a 14 anni di reclusione.
In particolare, il giudicante ha ritenuto che non ci sia ancora una soluzione interpretativa concorde circa la differenza fra dolo eventuale e colpa cosciente e ha sconfessato l’importanza della prima formula di Frank per risolvere il caso.
La soluzione non è stata accettata dalla Corte di Assise d’Appello, la quale, pronunciatasi un anno fa, aveva ribadito che “ il thema decidendum è di natura squisitamente tecnico-giuridica: se, cioè, le condotte ascritte agli imputati nelle fasi successive al ferimento della vittima siano tali da configurare il dolo eventuale o la colpa, nelle gradazioni di colpa cosciente (per Antonio Ciontoli) e semplice per i coimputati appartenenti al suo nucleo familiare».
Per quanto concerne gli aspetti relativi ai rapporti fra dolo eventuale e colpa cosciente, i giudici avevano ribadito l’importanza del principio di diritto espresso dalla celeberrima sentenza Thyssenkrupp.
Secondo gli Ermellini, infatti, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’ “iter” e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank)
Per quanto concerne, appunto, la formula di Frank, la Corte d’Assise ha sostenuto che essa rientrerebbe a pieno titolo tra gli elementi che vanno valutati ai fini della distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Non è, quindi, più sufficiente la mera accettazione del rischio, occorrendo quel “quid pluris” reiteratamente individuato dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla Thyssen-Krupp, di cui la formula di Frank è parte essenziale. Non si può quindi sostenere né che questa sia una “formula obsoleta” né che, così ragionando, si svuoterebbe di senso la categoria del dolo eventuale.
Al fine di confermare il giudizio di colpevolezza nei termini di dolo eventuale operato dal primo giudice, è imprescindibile poter affermare che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cd. “prima formula di Frank”).
Nelle giornata di ieri, queste conclusioni sono state considerate illegittime dalla Corte di Cassazione che ha stabilito la necessità che il processo d’Appello riparta.
Non ci resta allora che seguire il processo in attesa di sviluppi.