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Pubbl. Mer, 9 Ott 2019

La Corte EDU rigetta il ricorso dell´Italia in materia di ergastolo ostativo

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Olga Paola Greco
Funzionario della P.A.Ministero della Giustizia


La Grande Camera della Corte Europea ha respinto il ricorso del governo italiano contro la sentenza della Corte Edu sul caso Viola vs Italia


Sommario: 1. Nozione e caratteristiche dell’ergastolo ostativo; 2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale; 3. La Corte Edu sull’ergastolo ostativo; 4. La pronuncia della Grande Camera della Corte Europea; 5. Riflessioni e conclusioni.

1. Nozione e caratteristiche dell’ergastolo ostativo

Il c.d. ergastolo ostativo è previsto dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario[1]. Si tratta di un istituto introdotto negli anni ’90 a seguito delle stragi che hanno portato alla morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La norma, infatti, si inserisce nell’ambito di un filone teso a combattere le grandi organizzazioni criminali. L’art. 4 bis prevede che le persone condannate per alcuni reati particolarmente gravi , come quelli di stampo mafioso e terroristico, non possano essere ammesse ai cosiddetti “benefici penitenziari” e alle misure alternative alla detenzione quali la liberazione condizionale, il lavoro all’esterno, i permessi premio e la semilibertà. Si tratta di una pena fortemente criticata da molti in quanto non ha durata (coincide con l’intera vita del condannato) a meno che – ed è questa l’unica eccezione- il reo non decida di cooperare con la giustizia. Proprio per queste sue caratteristiche esso è visto da tanti come una misura incostituzionale contraria all’art 27 co 3 della Costituzione[2] in virtù del quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, nonchè ai principi Edu e, in particolare, a quello dettato dall’art 3 Cedu[3] . L’ergastolo finisce, infatti, con l’avere «tutti i connotati di una vera e propria pena perpetua»[4].Per tale motivo la questione è stata sottoposta all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, per vagliarne la compatibilità con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. La giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, aveva sempre ritenuto coerente la norma con il sistema interno.

2. La giurisprudenza della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale, nel corso degli anni, è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla compatibilità costituzionale dell’ergastolo ostativo, con particolare riferimento al principio di rieducazione della pena di cui all’art. 27, co. 3, Cost. Tuttavia, a partire dal 1993[5], il Giudice delle leggi ha sempre respinto ogni censura rilevando che l’ammissione alla liberazione condizionale e agli altri benefici è subordinata alla collaborazione con la giustizia, che è rimessa alla scelta del condannato, per cui la disciplina non preclude in modo assoluto e definitivo l’accesso al beneficio, e non si pone in contrasto con il principio rieducativo enunciato dall’art. 27, terzo comma. La Corte ha infatti chiarito che la norma non preclude in modo assoluto l’accesso al beneficio ma lascia alla libera scelta del condannato la possibilità della non applicazione della disciplina nel caso in cui questi decida di collaborare. Dato che la decisione circa la mancata collaborazione è una scelta del condannato, la norma è stata dunque ritenuta costituzionalmente legittima. Questa soluzione, però, è stata criticata da chi rileva che i soggetti possono “pentirsi senza pentirsi realmente” per ottenere benefici , e da chi rileva che molti non collaborano per paura di ritorsioni nei propri confronti e delle proprie famiglie e che altri non lo fanno per motivi di onore ma che ciò non significa che non possano essere rieducati. L’art 4 bis presuppone, infatti, che la mancata collaborazione con la giustizia non possa comportare passi in avanti nell’ambito della rieducazione mentre molti rilevano che non è necessariamente così.

Proprio in virtù di queste critiche sentenze più recenti della Corte Costituzionale hanno cercato di ammorbidire l’orientamento espresso nel 1993 e nel 2003[6] e nel 2014 si è tentato di riformare la disciplina dell’ergastolo ostativo attraverso una commissione ministeriale. La disciplina, però, fino ad ora non è mai stata modificata e la questione è arrivata alla Corte Edu.

3. La Corte Edu sull’ergastolo ostativo

La Corte Edu a giugno 2019[7] ha ritenuto l’ergastolo ostativo contrario all’art. 3 Cedu che vieta i trattamenti inumani e degradanti . In particolare, la vicenda originava dal caso di Marcello Viola, condannato all’ergastolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona, omicidio e possesso illegale di armi. Questi , che di professava innocente, dopo 6 anni di carcere duro ex art. 41 bis[8] aveva chiesto la possibilità di accedere alla liberazione condizionale, possibilità negatagli in virtù dell’art 4 bis.  La Corte Edu, che si è pronunciata,  ha sottolineato la contrarietà ai principi europei dell’art 4 bis soprattutto nella parte in cui limita la possibilità di accedere alla liberazione condizionale alla sola ipotesi in cui il soggetto decida di collaborare con la giustizia. Secondo la Corte Edu, infatti, il principio della dignità umana, di cui all’art 3 Cedu, comporta che le persone non possano essere private della libertà senza che gli sia garantita la possibilità di riacquistare la libertà. Nella pronuncia, poi, si sottolinea come  subordinare l’accesso alla libertà condizionale alla scelta di collaborare con la giustizia non implichi necessariamente una volontà libera e come la scelta di non collaborare possa derivare da motivi personali quali la preoccupazione di ritorsioni. Infine la Corte pone l’accento sul fatto che vi sono dubbi sulla “presunzione assoluta di pericolosità del condannato” ancorata al momento della commissione del fatto, in quanto non si tiene conto di eventuali progressi dello stesso.  Successivamente a tale sentenza il Governo italiano aveva presentato ricorso alla Grande Camera della Corte ponendo in risalto il grado di pericolosità sociale di fenomeni quale quello mafioso, che costituiscono la principale minaccia alla sicurezza nazionale, europea e internazionale. Rilevando, inoltre, come la norma che prevede l’ergastolo ostativo sia ritenuta conforme ai principi costituzionali.

4. La pronuncia della Grande Camera della Corte Europea

La Grande camera che si pronunciata ha rigettato il ricorso dell’Italia invitandola a rivedere la legge che prevede l’ergastolo ostativo in quanto si tratta di una pena senza fine che non può essere abbreviata né convertita in pene alternative a meno che la persona condannata non decida di collaborare con la giustizia.

5. Riflessioni e conclusioni

All’indomani della pronuncia della Corte Edu accanto a chi accoglie favorevolmente tale approdo vi è chi si mostra preoccupato per gli esiti che potrebbe comportare l’abrogazione dell’ergastolo ostativo nella lotta a fenomeni quali quello mafioso e terroristico[9].  Chi è favorevole a tale pronuncia fa leva sulla dignità umana e sulla necessità che la compressione della libertà non possa essere sine die in virtù di una presunzione assoluta. Chi è contrario, invece, sottolinea come il rischio sia che i capimafia continuino a comandare accedendo a benefici e come, in tal modo, possa venir meno la spinta a collaborare. Secondo molti, inoltre, l’Europa dimostra con tali pronunce di non avere chiaro il fenomeno mafioso e le sue caratteristiche.

Molti escludono che tale pronuncia rappresenti un “precedente consolidato”[10] dinanzi al quale l’Italia ha l’obbligo di conformarsi, tuttavia il monito della Corte Edu impone al legislatore sicuramente di rivedere la relativa disciplina anche perché tale sentenza può fungere da apripista per successivi ricorsi sul punto.

Meritano di essere citate in proposito le parole di Gian Luigi Gatta secondo cui “senza una battaglia civile, di tipo culturale, nella direzione dell’umanizzazione della pena, i discorsi dei giuristi sul superamento dell’ergastolo, ‘ostativo’ e/o comune, sono destinati a restare nel circolo ristretto di studiosi illuminati”[11] .

Come rilevato, infatti, da un noto autore[12] e chiarito da autorevole dottrina[13] il rischio è che la sostituzione dell’ergastolo con una pena detentiva a tempo possa essere percepita dall’opinione pubblica come una sorta di cedimento dello Stato nei confronti delle forme più gravi di criminalità e che la fiducia dei consociati nelle istituzioni potrebbe risultare incrinata.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Art. 4 bis legge 354/75 (Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti) : 1. Fermo quanto stabilito dall’articolo 13-ter del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della legge 26 luglio 1975, n. 354, fatta eccezione per la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo nonché per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice penale, 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborano con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei predetti delitti, ai quali sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dagli articoli 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, o 114 del codice penale, ovvero la disposizione dell’articolo 116, secondo comma, dello stesso codice, i benefici suddetti possono essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Quando si tratta di detenuti o internati per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale ovvero di detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma del codice penale, 291-ter del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 416 realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I e dagli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies del codice penale e all’articolo 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80 comma 2, del predetto testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.

2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

2bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1, terzo periodo, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.

3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.

3bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.
[2] Art 27 co 3 Cost: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
[3] Art. 3 Cedu (Divieto di tortura): “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamento inumani o degradanti”.
[4] G. Marinucci, E. Dolcini, G. L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, VII ed., Giuffré, Milano, p. 658.
[5] Vengono in rilievo, in particolare, in particolare, alle sentenze Corte cost., 11 giugno 1993, n. 306; Corte cost., 5 luglio 2001, n. 273; Corte cost., 24 aprile 2003, n. 135.
[6] Tra le altre C. Cost., sent. 21 giugno 2018
[7] C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 13 giugno 2019, Marcello Viola c. Italia (n. 2)
[8] Art 41 bis (situazioni di emergenza) 1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.
2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l'associazione di cui al periodo precedente. In caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nell’ articolo 4-bis.
2-bis. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sè, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa.
[2-ter. Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l'istanza presentata dal detenuto, dall'internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione.] (1)
2-quater.   I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 prevede:
a) l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate; 
b) la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11. I colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell'articolo 11; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari(2);
c) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;
d) l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia; 
f) la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell'articolo 10. Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi. (3)
2-quinquies. Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento.
2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. All’udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell’ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il procuratore di cui al comma 2-bis, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.
[9] Tra questi Nino di Matteo, pubblico ministero della Direzione Antimafia e Antiterrorismo
[10] Vedi in particolare Corte costituzionale n. 49/2015
[11] GATTA, Gian Luigi (2017), “Superare l’ergastolo ostativo: tra nobili ragioni e sano realismo”, Riv. it. dir. proc. pen., p. 1498.
[12] Emilio Dolcini, "La pena detentiva perpetua nell’ordinamento italiano. Appunti e riflessioni", in Riv. dir. penale contemporaneo, 17 dicembre 2018, pag 36 e ss.
[13] Vedi tra gli altri Cfr. MANTOVANI F. (2017), p. 744, il quale segnala il rischio che abolire  l’ergastolo possa significare “lavorare a favore della pena di morte”. PULITANÒ (2018), p. 16, “abolire l’ergastolo è un messaggio di giustizia mite, che si presta a essere interpretato come lassismo”.