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Pubbl. Lun, 10 Giu 2019

L´interesse all´impugnazione dell´interdizione societaria

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Tiziana Desantis


Le Sezioni Unite della Cassazione sull´impugnazione dell´ordinanza applicativa di misura interdittiva a carico di una società


Sommario: 1. Il d.lgs n.231/2001. Brevi cenni; 2. Le misure interdittive; 3. Sentenza SS.UU Cassazione n.51515/ 2018: sussistenza dell’interesse all’appello avverso l’ordinanza applicativa di una misura interdittiva disposta a carico di una persona giuridica, nonostante la sua revoca.

1. Il d.lgs n.231/2001. Brevi cenni

Il d. lgs. n. 231/2001 ha determinato l’evoluzione del principio racchiuso nel brocardo latino “societas delinquere non potest”, in cui si suggellava l’impossibilità di ipotizzare la responsabilità penale a carico delle persone giuridiche.

Nonostante non vi fosse un’espressa statuizione dalla quale dedurre tale circostanza, si riteneva che proprio l’art 27 Cost., consacrando il principio personalistico della responsabilità penale, escludesse quella delle società.

Questa impasse è stata superata dalla nozione di colpa collettiva dell’ente.

Giova sottolineare che la responsabilità della persona giuridica rinviene il suo fondamento nel verificarsi di un reato da cui si evince un fatto illecito amministrativo, consistente nella mancata predisposizione dei modelli organizzativi atti ad evitare la commissione dei reati da parte dei dirigenti e del personale dell’ente medesimo. 

Il suindicato decreto, inoltre, ha posto problemi circa il suo ambito di applicazione, in particolare con riguardo all’imprenditore individuale: la giurisprudenza più risalente ha ritenuto di non includere tale figura tra i soggetti cui applicare la disciplina de qua. Invero, una più recente posizione sposata dalla Cassazione ne ha previsto l’applicazione anche agli imprenditori individuali, al fine di evitare disparità di trattamento.

Tanto premesso, la dottrina si è a lungo scontrata anche sulla natura giuridica della responsabilità degli enti; vedendo, dunque, l’alternarsi di due orientamenti: l’uno propendente per la natura penalistica, l’altro per quella amministrativa.

Quanto al primo orientamento, si è evidenziato che questa responsabilità venga trattata in sede penale; stante, peraltro, la commissione di un reato presupposto.

Si aggiunga anche il richiamo all’art 185 c.p. che prevede espressamente l’obbligo di “restituzioni” e di “risarcimento del danno” derivanti da reato.

Al contrario, la tesi amministrativa muove dall’assunto letterale di tale decreto che appunto dispone la “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n.300”.1

2. Le misure interdittive

L’art 9 del d.lgs n. 231/2001 elenca tassativamente le sanzioni interdittive. Esse sono applicate soltanto quando sono previste nei relativi reati presupposto e, inoltre, anche congiuntamente a quelle pecuniarie.

La legittimazione a comminare tali sanzioni è dovuta alla reiterazione degli illeciti ovvero al conseguimento di un profitto di rilevante entità.

Il giudice, nel disporre la sanzione de qua, deve considerare la specifica attività cui inerisce l’illecito e l’idoneità della misura a prevenire la reiterazione criminosa.

Inoltre, è possibile il cumulo tra sanzioni interdittive qualora ciò sia necessario, posto che l’interdizione dall’esercizio dell’attività debba essere applicato in via residuale. Di fatto, dunque, il giudice bilancia gli interessi in gioco, al fine di irrogare la misura ritenuta migliore a non inficiare la prosecuzione dell’attività economica dell’ente.

Ai sensi dell’art 13 del suindicato decreto, si dispone che tali misure vengano applicate soltanto per i reati che le prevedono.

Va altresì sottolineato che è necessario il rispetto di requisiti oggettivi e soggettivi di applicazione.

Quanto ai primi, l’ente deve aver tratto dal reato “un profitto di rilevante entità”; al contrario, è esclusa l’applicazione nel caso in cui l’ente non abbia ricavato un vantaggio rilevante ovvero quando il danno patrimoniale cagionato è di lieve entità.

Altro elemento oggettivo da considerare è la reiterazione.

Per quanto concerne, invece, i requisiti soggettivi, le misure interdittive devono essere applicate ai soggetti “apicali” ovvero ai “sottoposti all’altrui direzione” nel caso in cui il reato è stato cagionato o agevolato da carenze organizzative ad essi imputabili.

Orbene, il legislatore se da un lato nell’art 9 si è limitato a elencare, in maniera tassativa, le sanzioni amministrative interdittive, all’art 13 co 2, ha specificato, tra gli altri, l’ambito di applicazione della misura del “divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”. Più precisamente, il secondo comma del suddetto articolo stabilisce che tale misura può essere limitata a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni.

Ciò posto, si rammenta che il giudice può applicare, in via definitiva, all’ente la sanzione, in caso di condanna alla medesima per tre volte nei precedenti sette anni.

3. Sentenza SS.UU Cassazione n.51515/ 20182: sussistenza dell’interesse all’appello avverso l’ordinanza applicativa di una misura interdittiva disposta a carico di una persona giuridica, nonostante la sua revoca

Il Tribunale del Riesame di Roma dichiarava l’inammissibilità, inaudita altera parte, dell’appello proposto da una società avverso l’ordinanza con cui era stata applicata nei confronti della stessa, la misura interdittiva del divieto di contrarre con la P.A.

Assumeva il Tribunale delle Libertà che non vi fosse l’interesse all’impugnazione poiché era intervenuta la revoca della misura interdittiva ex artt 17 e 49 d.lgs n. 231/2001.

Avverso tale ordinanza, la società ricorreva in Cassazione deducendo l’erronea applicazione dell’art 127 comma 9 c.p.p., rappresentando che la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di riesame di una misura cautelare reale deve essere pronunciata all’esito di udienza camerale partecipata, ai sensi dell’art 111 comma 2 Cost..

La società rimettente rappresentava inoltre che la revoca della misura faceva residuare al contrario il proprio interesse alla valutazione circa la legittimità della misura adottata e poi revocata.

La Cassazione ha subito evidenziato che il procedimento applicativo di misure cautelari nei confronti degli enti prevede un contraddittorio anticipato, rispetto all’adozione della misura.

Più precisamente, la Suprema Corte osserva che ai sensi dell’art 45 del d.lgs n.231/2001, quando sussistono gravi indizi per ritenere la responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi è rischio di recidiva, il p.m. può chiedere che all’ente venga applicata una misura interdittiva.

L’art 47 comma 2 del suindicato decreto, inoltre, sottolinea che la misura non è disposta con decisione de plano, tenuto conto che il provvedimento impositivo fa seguito alla celebrazione di un’udienza, in cui la persona giuridica, nel pieno rispetto del contraddittorio, può difendersi ovvero fornire indicazioni circa il modello organizzativo dell’ente ecc.

In generale, si osserva che ai sensi dell’art 49 comma 4, infine, è possibile la revoca della misura interdittiva precedentemente adottata, qualora l’ente predisponga misure riparatorie. In particolare, il giudice quantifica una somma di denaro a titolo di cauzione e dispone la sospensione della misura, indicando il termine per porre in essere le condotte riparatorie. Al contrario l’art 50 comma 1 stabilisce la revoca nel caso di verifica della mancanza originaria o sopravvenuta dei presupposti applicativi della misura interdittiva.

Tanto premesso, giova sottolineare come le misure interdittive siano paragonabili alle misure cautelari reali: non hanno la natura di atto a sorpresa come le misure cautelari personali; anzi,si potrebbe evincere la presenza di un sistema di tutela rafforzata dal contraddittorio (basti pensare che sin dall‘adozione della misura cautelare è consentito l’intervento dell’ente indagato).

Nel caso che ci riguarda, la declaratoria di inammissibilità dell’appello non può essere pronunciata de plano, tenuto conto delle conseguenze derivanti in capo all’ente dalla misura interdittiva, seppur revocata, per effetto delle condotte riparatorie adottate.

Ciò posto, occorre precisare che il codice prevede diversi schemi procedimentali non confliggenti con l’art.111 comma 2 Cost.. Essi sono: i procedimenti in cui si fa riferimento alle forme ex art 127 c.p.p.( procedimenti in camera di consiglio) come quelli afferenti le impugnazioni cautelari ; l’annullamento parziale della sentenza ex art 624 comma 3 c.p.p. – in cui, peraltro, si deroga alle formalità sancite dall’art 127 c.p.p.-;  i procedimenti relativi all’applicazione e all’estinzione delle misure cautelari personali ex artt 292 comma 1 , 299 comma 3 e 306 comma 11 c.p.p.; il procedimento camerale in Corte di cassazione ex art 611 c.p.p. e quelli in cui è richiesta la partecipazione delle parti principali  ex artt. 391,420,469, 666 comma 4 c.p.p. .

Orbene, nel caso di specie la declaratoria di inammissibilità del ricorso, avvenuta inaudita altera parte, non è lesiva dei canoni previsti dall’art 111 comma 2 Cost. altrimenti si precluderebbe l’attività dell’art 127 comma 9 c.p.p., che consente al giudice di dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione de plano.

A fortiori, si rammenta che la giurisprudenza della Corte EDU ritiene possibile che le limitazioni previste dal diritto interno con il diritto di accesso a un tribunale, ex art. 6, par. 1, della Convenzione EDU, dipenda dalle particolarità della procedura in causa e dalle peculiarità del processo delineato dall’ordinamento giuridico nazionale.

Nel caso de quo, la Suprema Corte ha ritenuto errato escludere la possibilità di declaratoria dell’appello cautelare pronunciata senza formalità, posto che l’intervenuta revoca pone comunque ulteriori problemi che possono essere elementi idonei a fondare un interesse a impugnare: difatti, l’ente, nel caso di condotte riparatorie effettuate, ha diritto alla restituzione della cauzione versata al momento della sospensione della misura cautelare poi revocata e proprio tale elemento può determinare la persistenza dell’interesse a impugnare.

Inoltre, la persona giuridica che è stata gravata da una misura interdittiva, poi revocata, potrebbe avere interesse a saggiare l’originaria legittimità del provvedimento.

Possono, dunque, evincersi molteplici situazioni di vantaggio rispetto alla mancanza originaria o sopravvenuta dei presupposti applicativi della misura, tali da determinare accertamenti discrezionali che richiedono la fissazione dell’udienza, con l’avviso delle parti, al fine di esercitare appieno il contraddittorio e di garantire interlocuzione tra istante e organo decidente.

Giova, inoltre, sottolineare che la dichiarazione di inammissibilità dell’appello avverso ordinanza applicativa di una misura interdittiva, revocata a seguito di condotte riparatorie, risulta estranea dal novero dei procedimenti che richiedono schemi semplificati. Conseguentemente, si ritiene opportuna la fissazione dell’udienza camerale e l’avviso alle parti, al fine di consentire alla società appellante di fornire indicazioni circa l’attualità dell’interesse a ottenere una decisione sulla legittimità del provvedimento inerdittivo, sebbene sia stato revocato ovvero sia caducato.

Tanto premesso, quindi, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviato al Tribunale di Roma la celebrazione del giudizio di appello, previo avviso delle parti, al fine di rispettare il contraddittorio ed evitare il succedersi di automatismi tali per cui la revoca di una misura, intervenuta nelle more dell’appello promosso da una società determinerebbe la carenza di interesse all’impugnazione.

Note e riferimenti bibliografici

1R.Garofoli, Manuale di diritto Penale, 2017/18, pag. 377 e ss.

2 Corte di Cassazione SS.UU. n. 51515/2018