ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Sab, 8 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Panoramica in tema di obbligo vaccinale: dalla inderogabile solidarietà alla tutela necessaria

Modifica pagina

Marco De Pascalis


La scelta di implementare, con il dl. 73/2017, un sistema impositivo in materia di obbligo vaccinale, destinato ad incidere sulla libera autodeterminazione, si accompagna inevitabilmente a forti tensioni, anche ideologiche. Occorre indagarne i motivi e i meccanismi, non mancando di considerare il centrale interesse del minore e le forme di tutela.


Sommario: 1. Premessa; 2. Il decreto Lorenzin; 3. La sent. n. 5/2018 della Corte cost. e il dovere inderogabile di solidarietà social; 4. Orientamento delle forme di tutela in una prospettiva storica e comparata: tra obbligo e raccomandazione; 5. La tutela del minore nell’irresponsabilità genitoriale; 6. Gestione del paradosso: il danno da vaccino e il rapporto di causalità;  6.1 La tutela indennitaria;  6.2 La tutela risarcitoria.

1. Premessa

Il mai sopito dibattito sviluppatosi attorno all’estensione dell’obbligo vaccinale si riaccende proprio in questi giorni attorno alla prospettiva di adottare una diversa strategia vaccinale, fondata sulla raccomandazione e l’informazione, per poi rispristinare l’obbligo solo nell’eventualità di una epidemia in atto. Le riflessioni che seguono costituiscono un tentativo di approfondimento della materia, partendo dalla considerazione che, se per epidemia intendiamo una manifestazione collettiva d'una malattia, che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone[1], l’obbligo vaccinale in quanto strumento intrinsecamente preventivo, introdotto a contagio in atto potrebbe rivelarsi tardivo e, banalmente, inutile.

Due anni, quasi, dall’entrata in vigore del d.l. 73/2017, c.d. decreto Lorenzin, costituiscono allora a parere di chi scrive un lasso di tempo sufficientemente lungo per poter sviluppare un’analisi dell’impatto che esso ha avuto sull’opinione pubblica e sugli operatori sanitari, nonché sui risvolti che ha evocato sul piano giuridico. Il decreto, recante misure urgenti in materia di prevenzione vaccinale, è stato la risposta ritenuta più adatta dal legislatore per far fronte al progressivo calo delle vaccinazioni che, portando il nostro paese al di sotto della soglia di copertura vaccinale di sicurezza[2], rischia da un lato di agevolare focolai di malattie ormai ritenute superate dalla storia e, dall’altro, di far crollare quel sistema della cd. herd immunity, l’immunità di gruppo: una rete di protezione indiretta che mira, attraverso la protezione vaccinale della stragrande maggioranza della popolazione, a fornire tutela anche a chi, magari per gravi problematiche di salute, non può sottoporsi in prima persona a vaccinazione.

Il tema che si affronta, per sua natura delicato stante i valori coinvolti, vive in questi anni momenti di estrema tensione dovendo lo Stato necessariamente farsi mediatore tra esigenze di salute pubblica e legittime perplessità del singolo, in un periodo storico caratterizzato da informazione senza cognizione e comunicazione selvaggia. Volendo individuare i punti chiave che caratterizzano queste brevi riflessioni, li si potrebbe ricercare nell’attrito tra: collettività ed individualità, obbligo e raccomandazione, conflittualità genitoriale e tutela del minore. Da ultimo si passeranno in breve rassegna i rimedi a disposizione dei soggetti eventualmente danneggiati a seguito di vaccinazione.

2. Il decreto Lorenzin

Il primo passo di questa trattazione non può non essere il, necessariamente stringato, esame della normativa in questione, così da individuarne i punti cardine, evidenziarne le scelte e sviluppare nei successivi paragrafi alcune delle principali conseguenze dello scontro della norma con la realtà.

Sebbene la competenza in ambito vaccinale spetti alle singole autorità nazionali, la Commissione Europea svolge, anche in questo campo, un ruolo attivo nell’armonizzazione del tessuto normativo dei singoli Paesi, attraverso il tentativo di coordinamento delle politiche e dei programmi da condurre in ambito nazionale. La natura transfrontaliera delle malattie prevenibili attraverso il vaccino e le sfide comuni che i programmi nazionali di vaccinazione si trovano ad affrontare, è stato osservato, trarrebbero indubbio vantaggio da un’azione e da approcci più coordinati[3]. La vaccinazione costituisce infatti il principale strumento per la prevenzione primaria delle malattie e una delle misure sanitarie più efficaci sotto il profilo dei costi di cui disponiamo. Il fatto di rendere le persone immuni dalle malattie è la migliore difesa che abbiamo dalle malattie contagiose - gravi e a volte mortali - che si possono prevenire[4]

Sul piano nazionale, il d.l. 7 giugno 2017, n. 73, convertito con modifiche dalla l. 31 luglio 2017, n. 119, concretizza le risposte alle preoccupazioni suscitate dall’importante calo delle vaccinazioni, iniziato nel 2013 e culminato nel boom del 2015, proponendosi di assicurare la tutela della salute pubblica e il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale, garantendo il conseguimento degli obiettivi prioritari del Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale, ed il rispetto degli obblighi assunti a livello europeo ed internazionale[5].

Il fulcro del tema affrontato è l’art. 1, con il quale viene introdotto, per i minori di età compresa tra zero e sedici anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati, l’obbligo di vaccinazione per una serie di patogeni specificamente individuati, che si aggiungono ai quattro già obbligatori secondo la previgente normativa, e la gratuità della prestazione a carico del SSN[6]. Si segnala dunque un aumento del numero delle vaccinazioni obbligatorie che, mentre secondo la previgente normativa erano quattro (ma nella prassi diventavano in molti caso sei, essendo il vaccino somministrato in formulazione esavalente), diventano dieci.

Affermato l’obbligo generale di vaccinazione, vengono poi previste due ipotesi di esonero[7]:

a. l’avvenuta immunizzazione del soggetto a seguito di malattia naturale. In questa ipotesi tuttavia l’esonero si riferisce al solo antigene per cui si è effettivamente immunizzati, pertanto l’obbligo vaccinale permane per le vaccinazioni residue e viene assolto, compatibilmente con le disponibilità del SSN, attraverso la somministrazione di vaccini in formulazione monocomponente o combinata in cui sia assente l’antigene per la malattia infettiva per la quale sussiste già immunizzazione;

b. in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.

L’obbligo è il risultato di una scelta politica consapevole ma non è, ovviamente, la strada preferibile. Viene faticosamente compreso dal cittadino e provoca spontanea resistenza, più o meno informata, ma sicuramente in grado di essere facilmente amplificata e strumentalizzata. In tal senso probabilmente, anticipando la fase obbligatoria, espressamente il «Ministero della salute si impegna a finanziare campagne per promuovere un'adesione volontaria e consapevole alle vaccinazioni previste dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale, nonché per diffondere nella popolazione e tra gli esercenti le professioni sanitarie la cultura delle vaccinazioni». Una corretta informazione, all’unisono con il riconoscimento e l’implementazione del fondamentale rapporto di fiducia medico-paziente sono l’auspicabile strada per la scelta spontanea e consapevole di sottoporsi, e far sottoporre i minori, a vaccinazione.

L’alternativa è la sanzione che, notevolmente ridimensionata in sede di conversione del decreto, è di due tipi:

  1. l’irrogazione di una sanzione pecuniaria amministrativadalla scarsa capacità deterrente, infatti in sede di conversione il tetto massimo di Euro 7500 è stato sostituito da quello, decisamente meno afflittivo, di Euro 500;
  2. l’adempimento dell’obbligo vaccinale come requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole dell’infanzia(per i bambini da 0 a 6 anni); nessuna preclusione è prevista per i successivi gradi di istruzione.

In linea poi con le premesse di urgenza che hanno determinato l’irrigidimento della politica vaccinale, il comma 1-ter esclude la permanenza tout court di tale normativa, fissando un primo orizzonte per cui sulla base della verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse segnalate in attuazione delle vigenti disposizioni di legge e delle coperture vaccinali raggiunte, nonché degli eventuali eventi avversi segnalati in attuazione delle vigenti disposizioni di legge, il Ministro della salute può, con decreto da adottare decorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione, disporre la cessazione dell’obbligatorietà per una o più delle vaccinazioni di cui al comma 1-bis. Non si tratta, dunque, di un’arbitraria e ingiustificata aggressione alla libertà del singolo, ma di un più ampio intervento giustificato dalla improcrastinabile urgenza di invertire il trend negativo dell’abbandono vaccinale, salvaguardando esigenze di salute pubblica e vincolando la permanenza dell’obbligo alla permanenza dell’urgenza da accertarsi con caduta triennale, promuovendo nel mentre un’auspicabile presa di coscienza del cittadino attraverso una corretta informazione sui dati scientifici e sull’efficacia delle immunizzazioni. La clausola di aggiornamento, consente di rendere il decreto in esame immune da obsolescenza, permettendone un adeguamento a cadenza regolare parametrato alle concrete esigenze di immunizzazione sul territorio nazionale. In questa cornice normativa si è cercato allora di esprimere un bilanciamento tra la tutela della salute collettiva e il contenimento delle derive ideologiche, potenzialmente in grado di attentare alla stessa.

3. La sent. n. 5/2018 della Corte cost. e il dovere inderogabile di solidarietà sociale.

Il decreto legge n. 73 del 7 giugno 2017, convertito dalla legge 31 luglio 2017, n. 119, recante “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci”, non ha mancato di alimentare fin da subito un acceso dibattito, sia politico che giuridico.

È stata la Regione Veneto, in particolare, ad opporsi alla scelta del legislatore nazionale di imporre un obbligo vaccinale uniformemente disciplinato, impugnando la predetta normativa dinanzi alla Corte Costituzionale, pur premurandosi di precisare che tale iniziativa non contesta la validità, in sé, dei programmi di vaccinazione. 

I motivi che sono stati posti all’esame della Consulta coinvolgono molteplici profili.

Con il primo motivo si sollevala violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 

Preliminarmente dunque la Regione Veneto contesta lo strumento tecnico utilizzato, ossia la decretazione d’urgenza, rimarcando l’insussistenza dei presupposti cui la stessa è subordinata. In breve, partendo dalla considerazione che sul proprio territorio non esiste alcuna emergenza di sanità pubblica in relazione alle patologie di cui al d.l. n. 73 del 2017, non troverebbe giustificazione il travolgimento del programma regionale, basato sul consenso informato e sull’alleanza terapeutica, e la sua sostituzione con un esteso obbligo vaccinale. La violazione dell’art. 77 Cost. provocherebbe poi come inevitabile conseguenza anche la lesione delle attribuzioni regionali in materia di tutela della salute e di istruzione. 

Secondo la Corte Costituzionale le questioni concernenti l’art. 77 Cost. sono infondate. La decretazione d’urgenza è infatti soggetta ad un largo margine di elasticità, in considerazione della valutazione politica che ne costituisce il fondamento, per cui, dato atto degli indici estrinseci ed intrinseci su cui la Corte ha fondato il suo sindacato, non può ritenersi che il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost., nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge in materia.

Mentre la censura relativa all’art. 118 Cost. risulta inammissibile per carenza e genericità della motivazione, quella relativa all’art. 117, commi terzo e quarto, risulta infondata in quanto «debbono ritenersi chiaramente prevalenti i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato».

Quanto all’ultimo motivo di ricorso si deduce invece la violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., con conseguente automatica violazione dell’art. 119, primo e quarto comma, Cost.

La normativa in esame, si sostiene, metterebbe a rischio gli equilibri finanziari della regione in conseguenza della mancata copertura dei maggiori oneri.

Le questioni riguardanti l’art. 119, primo e quarto comma, Cost. risultano inammissibili, mentre infondate sono le censure riguardanti l’art. 81, terzo comma, Cost.

Il secondo motivo di censura risulta più esteso, e di maggior interesse rispetto a questa trattazione. 

L’art. 1, commi da 1 a 5, e gli artt. 3, 4 e 5 del d.l. n. 73 del 2017 sono censurati per violazione degli artt. 2, 3, 31, 32, 34 e 97 Cost., ancora in combinato disposto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.Le disposizioni menzionate, a giudizio del ricorrente, «si paleserebbero ingiustificate ed eccessive, in pregiudizio del diritto alla salute e allo studio, dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché del buon andamento dell’amministrazione, sempre con ridondanza sulle già citate attribuzioni regionali in materia di sanità e istruzione, e con autonoma violazione di esse». Con riguardo a tale motivo le questioni richiamanti gli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost. sono giudicate inammissibili per carenza assoluta di motivazione; mentre quelle in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost. sono infondate.

Particolare rilievo assume la ricostruzione offerta dalla Corte Costituzionale in merito all’art. 32 Cost. 

La nostra Costituzione, laddove prevede che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo», tutela la libertà di ciascuno a non essere sottoposto a cure o terapie che non discendano dalla libera autodeterminazione. Emerge qui il primo contrasto cui si è accennato in premessa, ossia quello tra la dimensione collettiva e quella individuale del diritto alla salute. La composizione di tale contrasto spetta inevitabilmente al legislatore, che gode di ampia discrezionalità nel bilanciamento tra i molteplici valori coinvolti, sulla base delle pulsioni sociali e del dato tecnico-scientifico, trovando necessario limite solo nel dettato costituzionale. 

La libertà di autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari, che si concreta nell’espressione del consenso informato, acquisizione di civiltà, è tutelata inoltre sia a livello sovranazionale che internazionale. Guardando alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è l’art. 3 comma 2 a chiarire come «nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati» tra l’altro«il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge»; sul piano internazionale invece si è soliti guardare, pur se in mancanza del deposito dello strumento di ratifica, e dunque senza una piena efficacia, alla Convenzione sui Diritti dell’uomo e la biomedicina, firmata ad Oviedo nel 1997, il cui art. 5 sancisce che «un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato»[8].

Ebbene, richiamando la propria giurisprudenza pregressa la Consulta ricorda che un trattamento sanitario obbligatorio non contrasta, di per sé, con l’art. 32 Cost. «se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria»[9]. Il principio di autodeterminazione del singolo dunque non è assoluto, e ben può trovare compressione, se tale compressione si giustifica con l’esigenza oggettiva di salvaguardare la salute della collettività[10]. Ciò può essere sostenuto ricordando la funzione centrale dell’art. 2 Cost., infatti «il singolo, sottoponendosi al trattamento obbligatorio, adempie a uno dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, che hanno fondamento nell’art. 2 Cost. L’intervento pubblico non è unidirezionale, ma bidirezionale e reciproco: si esprime non solo nel senso della solidarietà della collettività verso il singolo, ma anche in quello del singolo verso la collettività; è per questa stessa ragione che, quando il singolo subisce un pregiudizio a causa di un trattamento previsto nell’interesse della collettività, quest’ultima si fa carico dell’onere indennitario»[11]. Intesa in tal senso, la nozione di solidarietà sociale diviene principio regolatore della coesistenza pacifica e ragionata dei diritti e doveri dei cittadini, idonea al raggiungimento del necessario equilibrio tra tutti[12]. La Corte Costituzionale ha così messo in luce una indicazione ben chiara, ancorando l’art. 32 Cost. al disposto dell’art. 2 Cost. e offrendone una lettura sistematica, ha fatto emergere che con riferimento alla profilassi vaccinale i valori da preservare non si esauriscono nella tutela del bene salute, ma coinvolgono anche il principio di solidarietà sancito dall'art. 2 della Costituzione, sicché l'individuo che si sottopone a un trattamento medico diretto a salvaguardare anche la salute altrui, correndo il rischio di subire una lesione alla propria integrità psico-fisica, adempie ad un dovere di solidarietà. In definitiva, dalla lettura sistematica degli artt. 32 e 2 Cost. si ricava che in materia di salute il principio generale è la consensualità ma, se un determinato trattamento risulta necessario per assicurare la salute individuale e collettiva, è responsabilità delle istituzioni pubbliche garantirne la massima diffusione, se occorre anche in via autoritativa[13].

4. Orientamento delle forme di tutela in una prospettiva storica e comparata: tra obbligo e raccomandazione.

L’introduzione dell’obbligo vaccinale non rappresenta un novus nella storia del nostro continente, né del nostro Paese. Se il flusso veloce dei nostri tempi sembra imporre un allentamento della memoria per far spazio all’immediata reazione agli impulsi, c’è ancora chi ritiene, come chi scrive, che sia insuperabile la conoscenza degli eventi che hanno determinato l’attualità e l’indagine costante sul perché, sulla ratio, che ha indotto in passato all’adozione di determinate misure, anche coercitive.

In Europa, l’obbligo vaccinale può farsi risalire all’inizio dell’Ottocento, con la diffusione della vaccinazione contro il vaiolo, dovuta all’intuizione di un medico inglese, Edoardo Jenner (1749-1823), membro della Royal Society di Londra[14]

Nell’Italia post-unitaria invece possiamo rinvenire la prima forma di obbligo vaccinale nella l. 5849/1888 (Legge Crispi – Pagliani), il cui art. 51 inequivocabilmente sancisce «La vaccinazione è obbligatoria e sarà regolata da apposito regolamento approvato dal ministro dell’interno», rimandando poi allo stesso regolamento nel successivo art. 54, laddove «saranno stabilite le pene pecuniarie e di arresto o di carcere a cui andranno soggetti i contravventori»[15]

Tale legge, pur presentando problemi applicativi che si sarebbero rivelati nell’immediato futuro[16], segna un punto di svolta. Acquisita consapevolezza del crescente numero di epidemie, dell’elevato tasso di mortalità e delle basse aspettative di vita della popolazione la politica si muove, in modo incisivo, per migliorare la tutela della sanità pubblica. Risale a quegli anni la presa di coscienza che «l’esplosione della ricerca scientifica e la nascita di una rigogliosa medicina sociale, con in primo piano il momento della prevenzione rispetto a quello della terapia, non sono che due facce della stessa medaglia»[17]. Attuazione di misure preventive, dunque, assistite da una sanzione penale.

La concretizzazione dell’obbligo vaccinale si ha poi con il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, di “Applicazione del testo unico delle leggi sanitarie” il cui art. 266 dispone la vaccinazione contro il vaiolo «obbligatoria entro il primo semestre dalla nascita», oltre a prevederne la ripetizione nel semestre successivo nel caso in cui la prima avesse avuto esito negativo, nonché la rivaccinazione all’ottavo anno di età ed ogni qualvolta questa sia ritenuta necessaria dall’autorità sanitaria[18]

Negli anni successivi l’obbligo vaccinale venne notevolmente esteso, ricomprendendovi: la vaccinazione antidifterica (l. 6 giugno 1939, n. 891), la vaccinazione antitetanica (l. 5 marzo 1963, n. 292), la vaccinazione anti-poliomielitica (l. 4 febbraio 1966, n. 51), la vaccinazione anti epatite B (l. 27 maggio 1991, n. 165); l’inosservanza di tale obbligo era, ancora, assistito da una sanzione penale.

Sarà la l. 24 novembre 1981, n. 689, nell’ambito di un intervento di depenalizzazione a ricollocare l’inosservanza dell’obbligo vaccinale negli illeciti amministrativi, prevedendo come reazione una sanzione amministrativa a carattere pecuniario. L’adempimento dell’obbligo vaccinale costituiva inoltre condizione per l’ammissione alla scuola dell’obbligo, fino al D.P.R. n. 355 del 1999, con cui, preso atto dell’efficacia delle strategie vaccinali adottate e verificato l’elevato livello di coperture raggiunto, si ritenne non più necessaria tale limitazione esplicitando che «la mancata certificazione non comporta il rifiuto di ammissione dell'alunno alla scuola dell'obbligo o agli esami», salvo interventi di urgenza. L’obbligo vaccinale, così inteso, ha continuato ad interessare le sole ultime quattro vaccinazioni elencate, fino all’intervento del d.l. 73/2017.

In sintesi, ricapitolando, il regime normativo originario, nato in seno alla legislazione pre-costituzionale, e protrattosi fino agli anni '90, prevedeva l'obbligatorietà delle vaccinazioni esaltando la centralità del ruolo dello Stato nella salvaguardia della salute pubblica attribuendo assoluta priorità all'interesse all'immunizzazione generale rispetto all’autodeterminazione del singolo. A fronte della riuscita, in termini di immunizzazione, di tali politiche sanitarie la scelta è stata dunque quella di adottare una strategia di informazione e persuasione, incentivando l'adesione volontaria alla profilassi vaccinale, favorendo la libertà di scelta individuale, ritenendo probabilmente raggiunto un adeguato grado di coscienza sociale sulla tematica vaccinale. Ma la coscienza sociale, oggi più che mai, esposta a stimoli infiniti, disorientata ed estremamente mutevole, scopre la diffidenza verso la tecnica e la scienza, provocando indirettamente il ritorno nel ruolo di controllore dello Stato.

Estendendo lo sguardo oltre confine, le soluzioni adottate risultano molto diverse ed influenzate da fattori molteplici, principalmente socio-culturali. Tra i 28 Paesi europei, 13 hanno almeno una vaccinazione obbligatoria inclusa nel loro programma vaccinale, mentre i restanti 15 affidano la prevenzione ad una strategia fondata sulla raccomandazione. Nonostante i calendari vaccinali risultino molto simili tra loro, le percentuali di copertura vaccinale tra i vari paesi variano sensibilmente, indipendentemente dalla circostanza che sussista unobbligo o una raccomandazione alla vaccinazione[19]. La spiegazione che è possibile dedurre da tali dati è una: c’è un problema di cultura sanitaria. 

In Francia, ad esempio, il sistema delle vaccinazioni è di tipo impositivo. Da ultimo, la legge per il finanziamento della sicurezza sociale ha previsto l’estensione, a partire dal 2018, del numero di vaccinazioni obbligatorie, che passano da tre a dieci[20]. Dal punto di vista sanzionatorio poi la vaccinazione rappresenta condizione per l’ammissione dei bambini in qualunque struttura sanitaria o scolastica[21], ed è assistita da sanzioni di natura penale, a carattere sia pecuniario che carcerario[22]. Una strategia particolarmente rigida, nonostante una media di copertura vaccinale complessivamente alta[23].

Sistema opposto quello adottato dalla Germania, che basa la sua strategia vaccinale sulla raccomandazione ed un efficiente sistema di informazione, ottenendo anch’essa una copertura vaccinale media abbastanza elevata, non mancando però di richiedere ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie. Come prima frettolosamente rilevato tuttavia, le strategie vaccinali sono soggette a mutamenti che si rendono necessari per realizzare una tutela effettiva della salute pubblica e vengono in ogni caso guidati dal dato tecnico-scientifico. È quello che sta avvenendo negli ultimi anni proprio in Germania, dove l’incremento dei casi di morbillo ha riacceso il dibattito sulla possibile introduzione di un obbligo vaccinale e la sua compatibilità con la Costituzione tedesca[24].

Anche oltre oceano la tutela della salute pubblica passa attraverso la previsione di un obbligo vaccinale[25], cui è subordinata la possibilità di accedere all’istruzione pubblica e in alcuni casi anche privata. Il panorama resta tuttavia frammentato in quanto la disciplina relativa alle vaccinazioni è affidata ai singoli Stati, con differenze rilevanti in ordine alle modalità ed alle tipologie di vaccinazione da somministrare, nonché in ordine alla portata effettiva dell’obbligo stesso, dovendo tenere conto di molteplici cause di esenzione, che superano la comune previsione di esenzione per motivi medici, ricomprendendovi anche motivi religiosi e filosofici[26].

Si osserva quindi come da un lato le modalità di attuazione dei programmi vaccinali siano molteplici spaziando dalla raccomandazione all’obbligo, con sfumature e gradi di afflittività diversi, mentre dall’altro è un dato comune la tendenza, anche nei sistemi prevalentemente improntati all’informazione e raccomandazione, a convergere verso forme di obbligo laddove la libera autodeterminazione dei cittadini non risulti efficacie nel contrasto di determinate forme infettive.

5. La tutela del minore nell’irresponsabilità genitoriale.

Ultimo punto di contrasto. Il tema delle vaccinazioni obbligatorie assegna il non semplice compito di realizzare la convivenza della tutela della pubblica incolumità con la tutela della salute del minore. Il minore, è stato suggestivamente evidenziato, è in un vortice di poteri. Quello pubblico, che deve tendere ad i) imprimere alle relazioni familiari un indirizzo coerente con la Carta costituzionale, ii) dare ad esso compiuta esecuzione e iii) offrire protezione anche giurisdizionale ai beni ritenuti meritevoli, nel rispetto dell’autonomia. Quello privato, che è espresso essenzialmente nel sintagma responsabilità genitoriale[27]. La scelta del d.l. n. 73 del 2017 è quella di individuare i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori o i soggetti affidatari come soggetti in capo ai quali porre il dovere di assolvere l’obbligo vaccinale per i minori. Nel caso in cui i genitori decidano di non assolvere, fuori dalle ipotesi di esenzione, tale obbligo, il meccanismo previsto dagli artt. 316 ss c.c. per garantire la tutela del minore non funziona e deve essere capovolto, nel senso che la tutela della salute del minore esige una protezione soprattutto nei confronti dei genitori - o nei riguardi dei soggetti tenuti - che non adempiono i loro compiti di cura. Tale condotta, oltre a poter cagionare pregiudizi alla salute del minore, compromette il pieno godimento del diritto costituzionale all'istruzione[28].

È agevole comprendere come il tema in discorso imponga di tenere in considerazione i vari interessi che si incontrano e spesso si scontrano, nell'assumere le decisioni in materia di salute dei minori: il preminenteinteresse del minore, l'interesse dei genitori all'autonomo esercizio della responsabilità genitoriale e l'interesse generale che le istituzioni mirano a salvaguardare, anche - direttamente o meno - a vantaggio del minore medesimo[29].

Per una corretta lettura delle predette problematiche è necessario porre estrema attenzione alle modifiche apportate dalla riforma della filiazione, attuata con la l. n. 219 del 10 dicembre 2012 e con il d. lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013, che ha comportato la riscrittura dell’art. 316 c.c. e la conseguente rivoluzione, tutt’altro che meramente terminologica, del superamento della figura della “potestà genitoriale” optando per la più ampia espressione di “responsabilità genitoriale”. Questione tutt’altro che terminologica, si è detto. La potestà infatti, richiamando la figura della potestastipica della tradizione romanistica, richiama etimologicamente una situazione in cui un soggetto viene a trovarsi in una posizione di preminenza, di supremazia, rispetto ad un altro, da considerarsi ad esso sottoposto. La riforma della filiazione invece, in linea con le indicazioni provenienti dalle fonti internazionali, laddove introduce la “responsabilità genitoriale” evidenzia una scelta precisa, infatti «l'innovazione legislativa trae ispirazione proprio da una mutata considerazione del rapporto tra genitori e figli, nell'ambito del quale vengono posti in primo piano i diritti di quest'ultimi»[30].

Punto di partenza per ogni analisi sul tema è dunque l’osservazione che la responsabilità genitoriale non è un potere pieno e incontrastato sul minore, ma diritto-dovere che trova nell'interesse del figlio la sua funzione e il suo limite[31]

Se questo è vero, l’attenzione deve allora spostarsi sugli strumenti previsti dal legislatore per superare l’inerzia dei genitori, o il contrasto tra gli stessi, nell’adempiere l’obbligo vaccinale e dunque nelle modalità, alternative alla responsabilità genitoriale, attraverso cui il preminente interesse alla salute, nonché all’istruzione, del minore deve essere salvaguardato. 

La responsabilità genitoriale è un ufficio privato che si specifica in poteri e doveri, ufficio che i genitori devono esercitare nell’interesse della prole[32], anche ai sensi degli artt. 30 e 31 Cost. In ipotesi di contrasto tra i genitori nell’esercizio di tale ufficio, il codice civile consente il ricorso al Tribunale ordinario, ai sensi dell’art. 316 c.c. o 337 ter c.c.[33]Legittimato a promuovere il ricorso sarà, a seconda delle evenienze, uno dei genitori, un parente o il Pubblico Ministero[34], al fine di ottenere un provvedimento cd. de potestate.

Si deve osservare a tal proposito che, se in sede di conversione del d.l. 73/2017 il legislatore ha ritenuto di “allegerire” la pervasività dell’obbligo, caducando l’art. 1 comma 5, a norma del quale l’omissione vaccinale non regolarizzata implicava una comunicazione della ASL alla procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, ciò non impedisce in alcun modo il ricorso al giudice. Consolidata giurisprudenza costituzionale infatti è inequivocabile laddove specifica che «l'applicazione degli artt. 333 e 336 cod. civ. non può ritenersi preclusa in ragione dell'espressa previsione di una sanzione amministrativa per il caso di violazione dell'obbligo in esame. Gli interventi previsti dalle norme suddette infatti non hanno natura sanzionatoria e, pertanto, non può essere fatto richiamo al principio di specialità. Nè può, in generale, ritenersi che sia precluso il ricorso alle misure istituite per l'attuazione specifica della legge in ragione del fatto che sono previste sanzioni per la violazione di essa»[35].

Per effetto delle norme soprarichiamate spetta al giudice[36]rimuovere o superare decisioni dell'esercente la potestà che, in violazione di precisi doveri, siano pregiudizievoli al minore stesso, adottando i provvedimenti che egli ritiene convenienti nell'interesse del minore. L’intervento del giudice può essere di due tipi, con diversa gradazione a seconda della gravità della violazione in pregiudizio del minore.

In primo luogo, ex art. 330 c.c., può essere pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale nei confronti di quel genitore che violi o trascuri i propri doveri, ovvero abusi dei poteri inerenti alla responsabilità stessa, arrecando grave pregiudizio all’indirizzo del figlio; l’applicazione della decadenza tuttavia risulterebbe con ogni probabilità sfornita della necessaria proporzionalità tra l’obbligo violato (la profilassi vaccinale) e la risposta sanzionatoria.

Ove il comportamento del genitore invece non sia tale da giustificare la pronuncia della decadenza della responsabilità, ma sia in ogni caso pregiudizievole per il figlio, potranno essere adottati i più opportuni provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c.[37].

Il fondamento di pronunce di questo tipo è rappresentato, come già detto, dal preminente interesse del figlio. Se, infatti, le scelte del genitore nell'ambito della responsabilità genitoriale devono essere necessariamente orientate all'interesse del figlio, sarà lo speculare pregiudizio del figlio a legittimare i provvedimenti giurisdizionali che ne determinano la decadenza ovvero l'affievolimento.

In questo solco si inseriscono diversi provvedimenti di merito. L’orientamento più recente depone per la soluzione ablativa della responsabilità genitoriale, nel senso che nell'ambito di un procedimento di divorzio e nell'incapacità dei genitori di esercitare la responsabilità genitoriale in maniera concorde e nell’interesse della prole, deve essere disposta la vaccinazione dei figli per tutte le vaccinazioni obbligatorie previste dal d.l. n. 73 del 2017[38]. Si osserva, in particolare, una tendenza dei giudici ad intervenire con provvedimenti di affievolimento della responsabilità genitoriale, limitatamente alla mera somministrazione della dose vaccinale, con riferimento al genitore che si oppone al trattamento a tutela del minore[39]

Infine, ulteriore strumento a disposizione del giudice, al fine di assicurare la tutela del minore e al contempo promuovere l’adempimento dell’obbligo vaccinale, seppur circoscritto alle sole controversie insorte fra genitori nelle more della crisi familiare, è rappresentato dall’art. 709-ter c.p.c. Il risultato di tale norma consiste nell’attribuzione al giudice, anche d'ufficio, di alcuni poteri: quello di ammonire il genitore inadempiente, quello di condannarlo al risarcimento del danno nei confronti del minore e/o dell'altro genitore, quello di condannarlo al pagamento di una sanzione pecuniaria[40].

6. Gestione del paradosso: il danno da vaccino e il rapporto di causalità.

La profilassi vaccinale, come ampiamente esposto, rappresenta un’irrinunciabile conquista del sapere medico costituendo lo strumento d’elezione per la prevenzione di numerose malattie infettive e mezzo attraverso cui il potere pubblico tutela la salute collettiva, e tuttavia non è esente da rischi. È proprio questo il delicato profilo che ci si propone ora di approfondire.

Riprendendo e riordinando genericamente quanto meglio già esplicitato, nella tematica de qua si assiste all’intervento del legislatore per la tutela di un interesse, la salute pubblica, e l’obbligo rappresenta null’altro che la tecnica adottata discrezionalmente per meglio garantire tale interesse. Discrezionalmente si badi, e non arbitrariamente, in quanto la propensione per l’obbligo discende dal dato statistico sulla diffusione delle malattie infettive e corrispondenti coperture vaccinali, nonché dal sapere medico-scientifico che raramente come in questo campo orienta le scelte del legislatore. L’imposizione di un trattamento sanitario, ontologicamente, determina una speculare compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto che lo subisce. Il mezzo affinché tale compressione possa superare il vaglio di legittimità costituzionale è una lettura sistematica del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. che, valutato nel combinato disposto con i doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., giustificherebbe il sacrificio del singolo a tutela della collettività. Laddove il sacrificio del singolo consista non solo nella limitazione della sua libertà, ma addirittura nella sopportazione di un danno, origina il paradosso. Il potere pubblico incisivamente impone al soggetto un trattamento sanitario a tutela della salute e dal medesimo trattamento il soggetto subisce una lesione, alla salute. La casistica è rara[41], soprattutto avendo riguardo a danni ritenuti gravi, e tuttavia impone una riflessione: deve essere la stessa ricostruzione giuridica risultante dal combinato degli artt. 2 e 32 Cost., per cui si giustifica l’imposizione, a sancire la bi-direzionalità della solidarietà sociale risultando pertanto che, a contrario, deve essere la collettività, in nome della quale il diritto del singolo è stato sacrificato, a farsi carico del danno da questi eventualmente sofferto. E in tal senso si muove ormai da decenni la giurisprudenza costituzionale, ispirando poi le scelte del legislatore[42].

La vaccinazione è infatti un trattamento sanitario, come tale comportante uno specifico rischio, che nel caso di specie si concretizza in una cd. reazione avversa. Occorre precisare ulteriormente: la reazione avversa, per essere definita tale, deve rispondere ad alcuni criteri ben precisi al fine di determinare la relazione tra vaccino e reazione. Tra tali criteri i più importanti sono: la temporalità (cioè il tempo trascorso tra somministrazione e inizio dell’evento) e la correlazione biologica[43]. Una definizione medica questa, che riportata nel lessico giuridico consente di individuare subito il problema centrale degli strumenti rimediali previsti a favore del soggetto danneggiato a seguito di vaccinazione: la prova del nesso causale. Il problema della causalità della condotta umana sorge per una triplice ragione: se ogni evento è il risultato di una pluralità di condizioni, la causa è l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti per il verificarsi dell’evento stesso; la condotta umana non realizza mai l’insieme di tali condizioni, concorrendo sempre con altre condizioni cd. esterne; l’insieme dei fattori causali, concorrenti e necessari, non rientra sempre nella sfera di disponibilità umana. Ciò importa l’esigenza di stabilire quando la condotta umana, che sul piano naturalistico si pone come causa concorrente dell’evento, possa considerarsi come causa anche in senso giuridico dell’evento stesso[44]. La cultura giuridica oggi prevalente ritiene che il nesso causale presenti un oggetto duplice, distinguendo: causalità in fatto o materiale, ossia la ricostruzione dell’evento lesivo; causalità giuridica, intendendo invece la selezione delle conseguenze dannose risarcibili[45]. I principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati, come noto, dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, in assenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso eziologico ed integrando essi principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza[46]

Ciò che più evidentemente distingue l’applicazione della costruzione causale è la regola probatoria che in sede penale non può che essere quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio, mentre nel giudizio civile è ritenuto sufficiente il principio della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non[47].La determinazione del più probabile che non,in campo medico rappresenta con tutta evidenza un giudizio allo stato dell’arte, dovendo il giudicante fare riferimento alle risultanze di CTU che pur riportando l’esito delle migliori conoscenze tecnico – scientifiche disponibili, restano vincolate ai risultati raggiunti dalla scienza medica in un determinato momento storico, e dunque suscettibili di mutamenti, anche sostanziali, in un futuro indefinito. Ciò potrebbe porre alcuni interrogativi sull’effettiva libertà di valutazione del giudice, cui il nostro ordinamento affida, si rammenti, il ruolo di peritus peritorum[48]. Emblematica in tal senso risulta, per restare nel campo civilistico, la recente ordinanza della Cassazione, VI sez. civile, n. 19699 del 2018 che ha nettamente escluso qualsiasi correlazione causale tra la somministrazione di vaccino e lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico[49]

Tanto doverosamente premesso, la tutela offerta al soggetto che ha subito un danno in conseguenza della profilassi vaccinale segue due strade, la tutela indennitaria e la tutela risarcitoria, rispetto ad entrambe le quali l’approfondimento del nesso causale risulta trasversale.

6.1 La tutela indennitaria.

Il primo strumento in grado di realizzare la tutela economica della persona danneggiata dalla somministrazione del vaccino è, appunto, il riconoscimento di un indennizzo, una prestazione patrimoniale, ossia la somministrazione di una somma di denaro da parte dello Stato. La tutela indennitaria ha origini ormai risalenti, ossia nella legge n. 210 del 25 febbraio 1992. La ratiodi questo intervento legislativo deve ricercarsi nei principi enucleati dalla Corte Costituzionale quando, in sede di declaratoria di illegittimità costituzionale della legge n. 51 del 1966, rilevò il contrasto tra la legge ordinaria e la norma costituzionale, nella parte in cui non prevedeva, a carico dello Stato, un’equa indennità in caso di danno derivante da contagio o da altra apprezzabile malattia casualmente dipendente da vaccinazione obbligatoria[50]. Recependo tali principi dunque la legge n. 210 del 1992, con la previsione dell’indennizzo, ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema di sicurezza sociale con finalità solidaristica diretto a tutelare i soggetti che abbiano subito danni nell’esercizio di attività di cura promosse o gestite dallo Stato e necessarie per la tutela della salute pubblica, conformemente ai principi contenuti negli artt. 2 e 32 della Costituzione e ai doveri di solidarietà sociale[51]

L’art. 1 della legge citata, statuisce che «chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato». La legittimazione passiva in tali controversie spetta in ogni caso al Ministero della Salute[52]. Si tratta di un intervento che risponde ad esigenze di socializzazione del rischio, ripartendo all’interno della collettività le conseguenze economiche del danno subito dai soggetti a cui è stato imposto di sottoporsi alla vaccinazione[53]. La Corte Costituzionale ha poi esteso questa forma di tutela anche alle ipotesi in cui un soggetto abbia subito menomazioni permanenti a causa di vaccinazioni anche non obbligatorie, ma raccomandate[54]

Una normativa assistenziale di questo tipo è volta ad agevolare il danneggiato. Attraverso la previsione di un importo già individuato dal legislatore, il danneggiato può ottenere il versamento di un indennizzo vitalizio, prescindendo dall’indagine sugli elementi tipici dell’illecito aquiliano, non essendo gravato da alcun onere circa la prova dalla sussistenza e dall’accertamento in ordine all’elemento soggettivo, nonché alla quantificazione del danno. L’attore dovrà limitarsi ad allegare il danno subito e, operazione come si è spiegato tutt’altro che agevole, il nesso causale tra il danno e la vaccinazione. 

L'art. 5-quater del d.l. n. 73/2017 opera un rinvio generale alla disciplina contenuta nella l. n. 210/1992, così prevedendo l’estensione della tutela indennitaria per chi abbia riportato lesioni o infermità da cui sia derivata una menomazione permanente dell'integrità psico-fisica a causa dei vaccini indicati nell'art. 1 del decreto stesso. Dal punto di vista processuale, poi, la legge 119/2017 con cui è stato convertito il d.l. 73/2017, con l’art. 5 bis, prevede che «nei procedimenti relativi a controversie aventi ad oggetto domande di riconoscimento di indennizzo da vaccinazione di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, e ad ogni altra controversia volta al riconoscimento del danno da vaccinazione (…) è litisconsorte necessario l'AIFA». Resta da precisare però che, seppur agevolato, seguendo questa strada il danneggiato non potrà addivenire ad un ristoro economico che risulti pienamente satisfattivo. È la stessa giurisprudenza costituzionale a chiarire in tal senso che la disciplina approntata dalla legge n. 210 del 1992 opera su un piano diverso da quello in cui si colloca quella civilistica in tema di risarcimento del danno. Al fine di evidenziare la distanza che separa il risarcimento del danno dall’indennità prevista dalla legge in esame, basta rilevare che la responsabilità civile presuppone un rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile e configura quest’ultimo, quanto alla sua entità, in relazione alle singole fattispecie concrete, valutabili caso per caso dal giudice, mentre il diritto all’indennità sorge per il sol fatto del danno irreversibile, in una misura prefissata dalla legge. Ferma la possibilità per l’interessato di azionare l’ordinaria pretesa risarcitoria, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha dunque previsto una misura economica di sostegno aggiuntiva, in un caso di danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente da ragioni obiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in modo da consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell’ane nel quantum[55].

Giova infine precisare che, dal punto di vista della prescrizione, per ottenere l'indennizzo, il soggetto che si ritenga interessato deve presentare l’apposita domanda al Ministero della sanità, entro il termine perentorio di tre anni, che decorre dal momento in cui l'avente diritto abbia avuto conoscenza del danno.

6.2 La tutela risarcitoria.

Concorrente alla tutela indennitaria[56], è l’ordinaria tutela risarcitoria con cui il danneggiato persegue un’affermazione di responsabilità extracontrattuale e la contestuale condanna del danneggiante ad un risarcimento del danno che, in linea con l’interpretazione prevalente, mira alla riparazione integrale del pregiudizio subito. La definizione del rapporto tra rimedio indennitario e risarcitorio si arricchisce di due recenti pronunce in tema di compensatio lucri cum damno, rese dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, con cui viene confermato il principio, già desumibile dalla giurisprudenza in tema di emotrasfusioni, sulla non cumulabilità dei proventi del risarcimento del danno e dell’indennizzo, specificando a tal fine che: vi è unicità del soggetto responsabile a titolo indennitario e risarcitorio; le due obbligazioni condividono la finalità compensativa; consentire la duplicazione delle poste condurrebbe a un ingiustificato arricchimento del soggetto percipiente. Il divieto di cumulo, opera solo nel caso in cui il soggetto debitore sia un ente pubblico, quindi per quanto riguarda l'indennizzo da vaccinazioni, ai sensi dell'art. 3, comma 1°, d.l. n. 210/1992, il Ministero della sanità. Nel caso di responsabilità per danni da vaccinazioni ascrivibile ad una struttura sanitaria privata, a un pediatra di libera scelta, o all'azienda farmaceutica produttrice, quindi in presenza di un rapporto trilaterale, lo scorporo di quanto ottenuto per via di indennizzo non opera, difettando il meccanismo della surroga[57]. Il ricorso al rimedia aquiliano tuttavia, a differenza di quello indennitario, è complicato dalla necessità che ne vengano soddisfatti tutti i presupposti applicativi: in particolare la sussistenza dell’elemento soggettivo. La casistica è varia, pertanto occorre distinguere. Il danneggiato può far valere le sue ragioni nei confronti di soggetti differenti:

       a. Responsabilità del Ministero della salute.

Tale responsabilità va inquadrata nella clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., in forza dei compiti istituzionali di «tutela della salute pubblica»[58], tra cui fondamentali risultano l’attività di farmacovigilanza attiva e l’attività di controllo sull’idoneità e la sicurezza dei prodotti acquistati anche attraverso la predisposizione di appositi strumenti normativi. La responsabilità nasce dall’aver consentito la commercializzazione e circolazione di un prodotto vaccinale intrinsecamente dannoso. Nel caso di danno causato da vaccinazione obbligatoria, la responsabilità extracontrattuale del Ministero della salute consegue alla condotta non solo omissiva ma, è stato osservato, anche commissiva, attiva, che si configura come un antecedente causale dell’evento, costituita da un trattamento sanitario imposto per legge al singolo, che gli ha direttamente provocato il danno. Con riguardo all’elemento soggettivo invece, l’integrazione della colpa è da rapportarsi alla conoscenza o conoscibilità della pericolosità o dei possibili effetti collaterali derivanti dallo specifico prodotto vaccinale somministrato alla persona che, in conseguenza, ne è risultata danneggiata. Affinché possa configurarsi la responsabilità del Ministero della salute, occorre accertare: 1) la sussistenza del nesso causale tra la vaccinazione e l’evento dannoso, verifica che implica un giudizio controfattuale, da cui possa evincersi che evitando o sospendendosi la somministrazione del vaccino la malattia post vaccinale non si sarebbe manifestata; 2) la colpa, dovendosi in particolare valutare se nella fattispecie il danno era prevedibile (sulla base di studi scientifici o epidemiologici o di particolari situazioni cliniche o reazioni individuali specifiche sottovalutate, o altro)[59].

b. Responsabilità del personale sanitario e/o ASL.

In queste ipotesi la responsabilità aquiliana può configurarsi a causa della relazione tra il vaccino, di per sé innocuo, e la particolare condizione del soggetto cui viene somministrato. Si pensi alla reazione avversa dovuta all’errore medico nella valutazione della idoneità alla vaccinazione del soggetto, ad un errore di tipo esecutivo nella somministrazione del vaccino ovvero ancora in un difetto di corretta informazione circa i possibili effetti collaterali.

In tema di responsabilità medica il legislatore è recentemente intervenuto con la l. 24 del 2017, prevedendo espressamente, all’art. 7 comma 3, che «l'esercente la professione sanitaria (…) risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale   assunta  con   il   paziente». In sede di giudizio, dunque, sarà onere del paziente, dimostrare l'esistenza del rapporto di cura, del danno subito, del nesso eziologico, nonché dell’elemento soggettivo. 

Diversa invece la responsabilità della struttura sanitaria, per cui l’art. 7 comma 1 della citata legge, rimanda al vincolo contrattuale, disponendo che «la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata  che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti  dal  paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde,  ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice  civile, delle  loro  condotte dolose o colpose».

A seguito di tale novella, «affianco al doppio binario di responsabilità civile, della struttura sanitaria e dell'operatore professionale che scontano differenti criteri di responsabilità, opera una sottomodulazione della responsabilità dell'operatore professionale in ragione della incardinazione o meno nella struttura. La previsione, consentendo la congiunta presenza delle due tipologie di responsabilità, comporta che (…) figure sanitarie omogenee concorrono verso un unico risultato con regimi di responsabilità differenti, cui si aggiunge la ulteriore responsabilità che afferisce alla struttura sanitaria»[60].

      c. Responsabilità del produttore

Analizzando la responsabilità delle imprese che hanno prodotto il vaccino, si osserva che la qualificazione del vaccino come prodotto medicinalerende ascrivibile la responsabilità in esame a quella per danno da prodotto farmaceutico, alla quale, da ultimo, si è applicata la disciplina di derivazione europea della responsabilità del produttore[61], poi confluita quasi integralmente negli artt. 114-127 cod. cons.[62]. Il recepimento della Direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ha avuto come risultato un progressivo superamento della tradizionale impostazione che riconduceva tale responsabilità alla disciplina prevista per le attività pericolose all'art. 2050 c.c., tendenza per la quale la Corte di Giustizia aveva peraltro sanzionato gli Stati membri[63].

L’art. 120 cod. cons. dispone chiaramente che è onere del danneggiato da prodotto difettoso «provare il difetto, il danno e la connessione causale tra difetto e danno». È chiaro dunque che è il danneggiato a dover fornire la prova della connessione causale tra difetto e danno, dovendo inoltre preliminarmente provare il difetto, ma non, inderoga alla regola generale di cui all'art. 2043 c.c., la colpa o il dolo. Seguendo tale ricostruzione è stato sostenuto che, nella norma citata,  trovi conferma l’opinione per cui la responsabilità da prodotti difettosi non è responsabilità di natura oggettiva, ma piuttosto una responsabilità oggettiva limitata o, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, una responsabilità presunta[64].

Rispetto alla posizione del produttore invece, egli dovrà dimostrare fatti e circostanze idonei a escludere la sua responsabilità, quindi provare di non aver messo il prodotto in circolazione, che il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione, che non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso, né lo ha fabbricato o distribuito nell'esercizio della sua attività professionale, che il difetto è dovuto alla necessaria conformità del prodotto ad una norma imperativa o a un provvedimento vincolante. Ulteriormente ed infine, il produttore potrà esimersi da responsabilità, provando che, lo stato conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerarlo come difettoso o che, il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata, nelle ipotesi in cui egli risulti essere produttore o fornitore solo di una parte componente o di una materia prima del prodotto messo in circolazione[65].

Nel caso in cui le cause di esclusione della responsabilità appena elencate trovino applicazione, l'art. 127 cod. cons. contempla una cd. clausola di salvezza[66], non escludendo così, in astratto, che il produttore possa rispondere secondo altre disposizioni di legge. In tal senso non è possibile escludere allora che, qualora ne ricorrano i presupposti applicativi, la tutela del danneggiato possa realizzarsi attraverso l’applicazione dell'art. 2050 c.c.[67].

Rilievo centrale assume la esatta ripartizione dell’onere probatorio. Stando alla già menzionata regola probatoria contenuta nell’art. 120 cod. cons. sarà il danneggiato a fornire la prova del difetto, del danno, e del nesso causale tra questi. 

Per prodotto difettoso, ai sensi dell’art. 117 cod. cons. si intende quel prodotto che «non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze», avendo riguardo cioè al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; all'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione; alla sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie. Il prodotto difettoso non è dunque quello insicuro in sé, venendo piuttosto in rilievo una un’insicurezza relativa: il difetto identifica la differenza tra il livello di sicurezza offerto dal prodotto e quello che ci si poteva aspettare da quella specifica categoria di prodotti. 

Per provare il difetto del prodotto è necessario mettere in relazione il danno con l’uso del prodotto stesso. È infatti proprio l’uso a far emergere l’insicurezza in cui il difetto si concretizza, potendosi ritenere provato il difetto soltanto dopo che sia stata conseguita la prova della connessione causale del danno con l'uso del prodotto[68].

Raggiunta tale prova occorrerà ulteriormente dimostrare il nesso eziologico esistente tra il difetto del prodotto, nella materia di cui ci si occupa il vaccino, e il danno, cioè lo sviluppo di una malattia. 

La verifica della sussistenza del nesso causale sarà affidata con tutta probabilità ad una CTU, il cui contenuto presumibilmente verrà recepito dal giudice nella sua decisione. Tuttavia, in mancanza di consenso scientifico, situazione tutt’altro che infrequente nel campo vaccinale, il giudice potrebbe inferire il danno dall'uso del prodotto, utilizzando il mezzo di prova espressamente previsto dell'art. 2729 c.c., rubricato «Presunzioni semplici», che gli consente, secondo il prudente apprezzamento, di desumere un fatto noto da uno ignoto basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti. In linea con tale possibilità la pronuncia della Corte di Giustizia UE del 21 giugno 2017 che, con la sentenza nella causa C-621/15, W e a. / Sanofi Pasteur MSD e a., sottolinea come «in mancanza di consenso scientifico, il difetto di un vaccino e il nesso di causalità tra il medesimo e una malattia possono essere provati con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti» ritenendo che, nel caso sottoposto alla Sua attenzione «la prossimità temporale tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza di una malattia, l’assenza di precedenti medici personali e familiari della persona vaccinata e l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni possono eventualmente costituire indizi sufficienti a formare una simile prova»[69]. Pertanto l’incertezza della comunità medica, laddove non afferma né esclude l'esistenza di un nesso eziologico tra la somministrazione del vaccino e l'insorgenza della malattia nel danneggiato, apre al giudice la possibilità di valutazione rispetto a specifici elementi che possono costituire indizi gravi, precisi e concordanti circa la sussistenza del carattere difettoso del prodotto vaccino e, ulteriormente di un nesso di causa tra difetto e malattia.

Note e riferimenti bibliografici

[1]Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/epidemia

[2]L’Oms fissa tale soglia al 95%. Al di sotto di tale soglia l’agente patogeno che si vorrebbe estirpare continuerebbe a circolare, rendendo inefficace l’immunità di gregge, con un esponenziale aumento del rischio, in particolare per i soggetti più vulnerabili, di contrarre malattie.

[3]Così la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea, 2018/C 466/01, del 7 dicembre 2018.

[4]Come evidenza la stessa Commissione Europea su https://ec.europa.eu/health/vaccination/overview_it

[5]Così l’art. 1, D.L. 73/2017.

[6]In particolare, ai sensi dell’art. 1, D.L. 73/2017, sono obbligatorie e gratuite, in base alle specifiche indicazioni del Calendario vaccinale nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita, le vaccinazioni di seguito indicate:

    a) anti-poliomielitica; 

    b) anti-difterica; 

    c) anti-tetanica; 

    d) anti-epatite B; 

    e) anti-pertosse; 

    f) anti-Haemophilus influenzae tipo b; 

  1-bis. Agli stessi fini di cui al comma l, per i minori di eta' compresa tra zero e sedici anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati sono altresi' obbligatorie e gratuite, in base alle specifiche indicazioni del Calendario vaccinale nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita, le vaccinazioni di seguito indicate:

    a) anti-morbillo; 

    b) anti-rosolia; 

    c) anti-parotite; 

    d) anti-varicella.

[7]In particolare l’art. 1 comma 2, D.L. 73/2017, prevede che «L’avvenuta immunizzazione  a seguito  di  malattia naturale, comprovata dalla notifica effettuata dal  medico curante,  ai  sensi dell'articolo 1 del decreto del Ministro della  sanita' 15  dicembre 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 6 dell'8  gennaio  1991, ovvero dagli esiti  dell'analisi sierologica,  esonera dall'obbligo della relativa vaccinazione.»; l’art. 1 comma 3 aggiunge che « Salvo quanto disposto dal comma 2, le vaccinazioni  di  cui  al comma 1 possono essere omesse o differite solo in caso  di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.»

[8]Rispetto al difetto di deposito della ratifica, Cass. 21748/2007 chiarisce che ciò non la priva «di alcun effetto nel nostro Ordinamento. Difatti, all'accordo valido sul piano internazionale, ma non ancora eseguito all'interno dello Stato, può assegnarsi - tanto più dopo la legge parlamentare di autorizzazione alla ratifica - una funzione ausiliaria sul piano interpretativo: esso dovrà cedere di fronte a norme interne contrarie, ma può e deve essere utilizzato nell'interpretazione di norme interne al fine di dare a queste una lettura il più possibile ad esso conforme».

[9]La Suprema Corte fa espresso riferimento a Cass.n.258/1994 e Cass. n.307/1990.

[10]Così Corte cost., sent. n. 5, 2018: «la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994)».

[11]Ancora Corte cost., sent. n. 5, 2018, nel ripercorrere la difesa statale.

[12]Cfr. L. Pedullà, Vaccinazioni obbligatorie e dovere di solidarietà costituzionale (alla luce della sent. n. 5 del 2018 della Corte cost.), in forumcostiruzionale.it per cui, inoltre «La determinazione democratica dei contenuti dello Stato sociale, poggiata sulla solidarietà costituzionale, non può non trovare adeguata sintesi che “nel collegamento tra Costituzione, legislazione e amministrazione”, che trova facile evidenza nella legislazione e (soprattutto) nella giurisprudenza in tema di vaccinazioni. Non può escludersi, dunque, che l’obbligo vaccinale possa ritenersi socialmente necessario per garantire a tutti, in condizioni di effettiva parità, la tutela della salute. Altrimenti, il rifiuto dei vaccini da parte di alcuni, in nome di una malintesa “libertà delle cure”, potrebbe esporre al rischio di contagio coloro che vengono a contatto con i non vaccinati, ciò ponendo un problema particolarmente serio per i bambini in età prescolare che si trovino inseriti in classi non immunizzate, esposti a massimo rischio di contagio e di complicanze».

[13]Così N. Vettori, L’evoluzione della disciplina in materia di vaccinazioni nel quadro dei principi costituzionali, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), fasc.1, 1 febbraio 2018, pag. 237, in un’attenta lettura di sistema alla luce del dettato costituzionale.

[14]Per un interessante approfondimento, A. Semprini, Storia del vaioloDalle origini al vaccino, su pediatria.it.

[15]L. 5849/1888, pubblicata in G.U. del Regno d’Italia n. 301 del 1888.

[16]Si veda M. Di Simone, Politiche sanitarie in Italia da Crispi a Giolitti: percorsi di ricerca nelle carte dell’Archivio centrale dello Stato, in Popolazione e storia, 2002, pp. 143-156.

[17]Roberto Koch, 1890.

[18]R.D. 1265/1934 pubblicato in G.U. n. 186/1934.

[19]La consultazione dei calendari vaccinali è possibile tramite il sito https://vaccine-schedule.ecdc.europa.eu, dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC).

[20]L’art. 49 della LOI n° 2017-1836 du 30 décembre 2017, così modifica l’art. L. 3111-2:

«Les vaccinations suivantes sont obligatoires, sauf contre-indication médicale reconnue, dans des conditions d'âge déterminées par décret en Conseil d'Etat, pris après avis de la Haute Autorité de santé: 

«1° Antidiphtérique; 

«2° Antitétanique; 

«3° Antipoliomyélitique; 

«4° Contre la coqueluche; 

«5° Contre les infections invasives à Haemophilus influenzae de type b; 

«6° Contre le virus de l'hépatite B; 

«7° Contre les infections invasives à pneumocoque; 

«8° Contre le méningocoque de sérogroupe C; 

«9° Contre la rougeole; 

«10° Contre les oreillons; 

«11° Contre la rubéole. 

«II.-Les personnes titulaires de l'autorité parentale ou qui assurent la tutelle des mineurs sont tenues personnellement responsables de l'exécution de l'obligation prévue au I. La preuve que cette obligation a été exécutée doit être fournie, selon des modalités définies par décret, pour l'admission ou le maintien dans toute école, garderie, colonie de vacances ou autre collectivité d'enfants».

[21]Code de la santè publique, Art. R3111-17: «L'admission dans tout établissement d'enfants, à caractère sanitaire ou scolaire, est subordonnée à la présentation soit du carnet de santé, soit des documents en tenant lieu attestant de la situation de l'enfant au regard des vaccinations obligatoires».

[22]Code de la santè publique, Art. L3116-2: «L'action publique pour la poursuite des infractions aux dispositions des articles L. 3111-1 à L. 3111-3 peut être exercée tant que l'intéressé n'a pas atteint un âge fixé par décret pour chaque catégorie de vaccination».

[23]I dati aggiornati sulle coperture vaccinali possono essere visionati su http://www.euro.who.int/en/home.

[24]Per approfondire l’aspetto comparato della normativa sulla vaccinazione obbligatoria si veda P. Passaglia, LA DISCIPLINA DEGLI OBBLIGHI DI VACCINAZIONE, 2017 su cortecostituzionale.it laddove a p. 32-33 si rileva che «La questione della costituzionalità di un eventuale obbligo di vaccinazione è stata affrontata da una remota giurisprudenza del BGH7 e della Corte suprema amministrativa (BVerwG) negli anni cinquanta con particolare riferimento alla vigenza della legge prussiana sui vaccini del 1874. Le corti hanno entrambe dovuto emettere una decisione in merito alla vaccinazione contro il vaiolo che all’epoca era considerata obbligatoria (l’obbligo è stato abolito dalla legge del 1° luglio 1983). L’obbligo, previsto in detta normativa, è stato ritenuto all’epoca legittimo dal punto di vista costituzionale. L’ingerenza sull’integrità fisica “tramite una semplice puntura di siringa” è stata valutata poco grave, se ponderata con le conseguenze derivanti dal vaiolo. Tale tipo di valutazione, specie nella parte in cui ha fatto perno sulla “banalizzazione” dell’ingerenza nell’integrità fisica tramite una semplice iniezione, viene oggi criticata, sebbene non sia ritenuta rilevante per l’attuale dibattito sull’obbligo del vaccino contro il morbillo, attesa l’impossibilità di paragonare le due questioni alla luce del rilevantissimo problema che, a quei tempi, assumeva la “questione vaiolo”».

[25]È possibile verificare la copertura dei programmi vaccinali sul sito https://www.cdc.gov/vaccines/index.html

[26]Si rimanda ancora a P. Passaglia, op. cit., pp. 67 ss.

[27]L. Principato, Obbligo di vaccinazione, “potestà” genitoriale e tutela del minore, in dirittoesalute, n. 5/2017.

[28]M. Renna, Profili civilistici delle vaccinazioni obbligatorie, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018, 6, 1448.

[29]M. de Pamphilis, LA TUTELA DELLA SALUTE DEL MINORE TRA AUTONOMIA DEI GENITORI E INTERVENTO PUBBLICO, in Famiglia e diritto, n. 12/2017, pp. 1106-1120.

[30]A. Figone, E. Raviot, Responsabilità genitoriale: contenuto, limitazioni e decadenza, La Nuova Famiglia, Giuffrè Editore, Milano, 2016.

[31]Cfr. M. Renna, op. cit.

[32]Cfr. C. M. Bianca, Vol. 2.1 La famiglia, in Diritto Civile, Giuffrè, Milano, 2017, p.378.

[33]Art. 337 ter c.c. «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare».

[34]Art. 336 c.c.: «I procedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato».

[35]Corte Cost. sent. n. 132 del 1992.

[36]In merito al giudice competente, l’intervento chiarificatore della Cassazione civile, sez. VI, 14/09/2017, n. 21348, che ha enunciato il seguente principio :«In tema d’individuazione del giudice competente a decidere in ordine all’adozione di provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, in caso di contemporanea pendenza di un giudizio di separazione o divorzio o di un giudizio promosso ai sensi dell’art. 316 c.c., questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che la competenza del tribunale per i minorenni resta esclusa, ai sensi del secondo periodo dell’art. 38 disp. att. c.p.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 219 del 2012, art. 3, soltanto nell’ipotesi, espressamente contemplata da tale disposizione, in cui al momento dell’instaurazione del relativo procedimento sia già pendente quello dinanzi al giudice ordinario, non operando altrimenti la vis attractiva della competenza di quest’ultimo, sia in virtù del principio della perpetuatio jurisdictionis, secondo cui la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda (art. 5 c.p.c.), sia per esigenze di economia processuale e di tutela dell’interesse del minore, suffragate da norme costituzionali (art. 111 Cost.) e sopranazionali (art. 8 della CEDU, art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), le quali impongono di evitare che resti vanificato il percorso processuale svolto anteriormente all’instaurazione del giudizio avente ad oggetto la risoluzione del conflitto familiare (cfr. Cass., Sez. 5, 14/01/2016, n. 432; 12/02/2015, n. 2833)».

[37]Cfr. A. Torre, I provvedimenti ablativi e modificativi della responsabilità genitoriale, in Diritto&processo, 23 luglio 2018.

[38]Trib. Milano, sez. IX, ordinanza del 09/01/2018.

[39]S. Stradi, Vaccinazioni obbligatorie: interesse del minore, discrezionalità dei genitori, obblighi di legge,La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata n. 6/2018, CEDAM, Padova.

    Si veda in tal senso, Corte d’App. Napoli, sez. famiglia, decreto 30 agosto 2017.

[40]D. Amram, Responsabilità genitoriali e vaccini, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), fasc.1, 1 febbraio 2018, pag. 279.

[41]AIFA, Rapporto sulla sorveglianza postmarketing dei vaccini in Italia: «La maggior parte delle reazioni segnalate nel 2017 sono state definite non gravi (circa l'80%). Le segnalazioni di sospette reazioni avverse considerate gravi sono più rare, più frequentemente a carattere transitorio, con risoluzione completa dell’evento segnalato e non correlabili alla vaccinazione imputata sulla base dei criteri standardizzati di valutazione del nesso di causalità. Dai risultati complessivi delle analisi condotte per tipologia di vaccino nel 2017 non è emersa al momento nessuna possibile associazione fra sospetti rischi aggiuntivi e vaccini e quindi, nessuna problematica che possa destare allarme sulla sicurezza dei vaccini. L’approfondimento dei casi a livello della singola segnalazione e l’andamento generale non suggeriscono, infatti, la presenza di rischi aggiuntivi a quelli noti che possano modificare il rapporto beneficio/rischio dei vaccini utilizzati».

[42]Ci si riferisce alla Corte Cost. n. 307/1990 che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della L. 51/1966 in tema di vaccinazione antipoliomielitica ravvisa che «Un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute - e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell'imposizione del trattamento sanitario-implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l'essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito».

[43]A. Lizioli, Vaccini, verità e leggende sulle reazioni avverse, su SantagostinoMagazine. Ulteriormente, per correlazione biologica si intende che «un vaccino stimola il sistema immunitario a creare una risposta solo ed esclusivamente nei confronti del virus, tossina o batterio per il quale è stato creato».

[44]Cfr. F. Mantovani, Diritto penale – Parte generale, X edizione, CEDAM, Padova, 2017, p. 137.

[45]Cfr. C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudice e P. Zatti, Giuffrè, Milano, 2005, p. 225.

[46]Cfr. Cass. S.U. n. 174/1971; Cass. S.U. n. 9566/2002; Cass. S.U. n. 30328/2002.

[47]Cfr. Cass. S.U., n. 581/2008 per cui ulteriormente «la regola della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa- statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica)»

[48]Per un approfondimento P. Cendon, La prova e il quantum nel risarcimento del danno, Utet,  Milano, 2014.

[49]Così Cass. civ. n.19699/2018 evidenziando che «la relazione del consulente tecnico recepita dal giudice di merito ha  tenuto conto sia dello stato della letteratura scientifica in materia, che qualifica di incidenza non comune o rara le reazioni avverse a carico del sistema nervoso ai vaccini nel caso somministrati, sia delle caratteristiche del caso concreto, che non consentivano nel caso di ritenerle ipotizzabili, in considerazione della risonanza magnetica dell’encefalo, che, seppure seguita a distanza di anni, era risultata del tutto negativa; del fatto che non vi era stato alcun ricovero né visita neurologica per asserite reazioni allergiche ai vaccini; del fatto che la diagnosi di sindrome autistica era stata posta almeno due anni dopo. Vi è stata quindi una valutazione di convergenza tra la determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa) e gli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica), sicché l’eziologia ipotizzata dal ricorrente è rimasta allo stadio di mera possibilità teorica. Non rileva poi che non sia stata individuata una possibile eziologia alternativa, considerato che trattasi di complesse malattie la cui origine è ancora ignota e la ricerca di fattori ulteriori e diversi rispetto al patrimonio genetico è oggetto di studi della ricerca scientifica».

[50]Ancora sul punto Corte Cost. n. 307 del 1990.

[51]V. Lionello, Indennizzo per danni derivanti da vaccinazioni non obbligatorie – Corte Cost. 107/2012, su personaedanno.it

[52]Vedi Cass. S. U. n. 12538 del 9 giugno 2011 per cui «legittimato passivo in una controversia avente ad oggetto una prestazione di assistenza sociale è il soggetto che, in forza della disciplina (sostanziale) di tale prestazione, è tenuto a riconoscerla; ossia è il soggetto coinvolto nel lato passivo del rapporto obbligatorio che sorge al verificarsi di certi presupposti di spettanza del beneficio».

[53]Cfr. V. Lionello, op. cit.; A. Princigalli, Tutela della salute e vaccinazioni a rischio, nota a Corte cost., 22.06.1990, n. 307, cit., in Foro it., 1990, p. 2697.

[54]Secondo Corte Cost. n. 107/2012 infatti «lo Stato non può ignorare o limitare la propria responsabilità oggettiva nei confronti dei cittadini, per lo più bambini, danneggiati da trattamenti scientificamente gravati da un rischio di effetti collaterali, più o meno gravi e permanenti, dopo averne consigliato il trattamento sanitario».

[55]In questi termini Corte Cost. n. 423/2000.

[56]Si tratta di rimedi concorrenti i cui benefici non sono cumulabili. Tanto si desume da Cass. S.U. n. 584/2008 che, pur pronunciando in relazione al danno da emotrasfusione, consente di estendere il principio per cui «la diversa natura giuridica dell’attribuzione indennitaria ex L. n. 210 del 1992, e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione infetta da Hiv ed Hcv a seguito di un giudizio di responsabilità promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità, per aver omesso di adottare adeguate misure di emovigilanza, non osta a che l’indennizzo corrisposto al danneggiato sia integralmente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento».

[57]M. Renna, Profili civilistici delle vaccinazioni obbligatorie, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018, 6, 1448 (commento alla normativa); M. Franzoni,La compensatio lucri cum damno secondo il Consiglio di Stato, in Corr. giur., 2018, p. 165 ss.; E. Bellisario, Compensatio lucri cum damno: il responso delle Sezioni Unite, Danno e resp., p. 447.

[58]L. 13 marzo 1958, n. 296, art. 1: «É istituito il Ministero della sanità con il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica».

[59]Così M. Dragone, Il danno da vaccinazione obbligatoria, in La responsabilità medica, UTET, Milano, 2016, pp. 861 ss. in cui ulteriormente si sottolinea come «la giurisprudenza peraltro esclude che l’attività ministeriale possa qualificarsi «pericolosa» ex art. 2050 c.c.»; Cfr. Cass. 27 aprile 2011, n. 9406.

[60]F. Bocchini, La sanità lesiva. Ideologie e strategie a confronto, Contratto e Impr., 2018, n. 4, 1284 (commento alla normativa), Giuffrè, Milano.

[61]D.p.r. 24-5-1998 n. 224, in attuazione della dir. 25-7-1985 n. 374.

[62]Cfr. A. Purpura, Responsabilità del produttore per danno da vaccino e onere della prova, in Europa e Diritto Privato, fasc.2, 1 giugno 2018, pag. 809 ss.; 

[63]Trib. Torino, sez. IV, n. 1625 del 9 aprile 2018.

[64]Cfr. A. Fusaro, Prodotti difettosi, danni da vaccino e onere della prova: la posizione della Corte di Giustizia, in Europa e diritto privato, 2018, n. 2, Giuffrè, Milano, p. 345; Cass. Civ., sez. III, n. 3258 del 2016 ribadisce che «la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto».

[65]Cfr. artt. 120 comma 2 e 118 cod. cons.

[66]Art. 127 cod. cons.: «Le disposizioni del presente titolo non escludono né limitano i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi».

[67]Cfr. A. Purpura, op. cit.

[68]Ancora A. Purpura, op. cit.; vedi anche Cass. Civ. n. 3258/2016.

[69]La vicenda alla base della decisione della Corte di Giustizia UE, 21 giugno 2017, C. 621-15: «Al sig. W è stato somministrato, tra la fine dell’anno 1998 e la metà dell’anno 1999, un vaccino contro l’epatite B prodotto dalla Sanofi Pasteur. Nell’agosto 1999, il sig. W ha iniziato a manifestare vari disturbi, che hanno condotto, nel novembre 2000, alla diagnosi di sclerosi multipla. Il sig. W è deceduto nel 2011. Fin dal 2006 lui e la sua famiglia hanno promosso un’azione giudiziaria contro la Sanofi Pasteur per ottenere il risarcimento del danno che il sig. W affermava di aver subìto a causa del vaccino».