ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Lun, 27 Apr 2015

Sentenza 8097 del 21 Aprile 2015: la Cassazione legittima la prosecuzione del matrimonio tra soggetti dello stesso sesso

Matteo Consiglio


In tema di unioni tra omosessuali, la Corte di Cassazione con la sentenza 21 aprile 2015, n. 8097, qui in commento, sembra operare una prima apertura confermando gli effetti di un matrimonio nato tra eterosessuali e continuato, a seguito di operazione chirurgo-plastica, tra omosessuali. (Sentenza completa allegata all´articolo)


Particolarmente dibattuto in Italia, come nel resto del mondo, è il tema delle unioni matrimoniali omosessuali, in relazione al quale si riscontrano forti contrapposizioni tra posizioni rigide e tradizionaliste ed altre caratterizzate da una maggiore apertura. Si rileva immediatamente che questo tipo di unioni non trova all’interno del nostro ordinamento una copertura legislativa.

Particolarmente dibattuto in Italia, come nel resto del mondo, è il tema delle unioni matrimoniali omosessuali, in relazione al quale si riscontrano forti contrapposizioni tra posizioni rigide e tradizionaliste ed altre caratterizzate da una maggiore apertura.
Si rileva immediatamente che questo tipo di unioni non trova all’interno del nostro ordinamento una copertura legislativa.

Interessante, in tal senso, è una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, depositata il 21 aprile, la quale, in buona sostanza, lascia intatti gli effetti civili del matrimonio tra due soggetti dello stesso sesso che al momento della loro unione erano di sesso differente.

La storia riguarda una coppia, marito e moglie, che sono diventati - in un momento successivo alla loro unione coniugale - dello stesso sesso a seguito di un intervento di chirurgia plastica (c.d. vaginoplastica) cui l'uomo, che aveva deciso di mutare il proprio sesso in quello di donna, si è sottoposto. A seguito dell’operazione la - divenuta - donna ha proposto domanda di rettificazione ed attribuzione di sesso femminile al Tribunale di Bologna. La rettificazione è stata disposta, ex art. 2 della l. 164/1982 (1), con modifica del prenome, dell’atto di nascita e dell’atto di matrimonio, con la relativa cessazione degli effetti civili del matrimonio ai sensi dell’art. 4 della l. 164/1982 (2). In ragione di ciò, i coniugi, temporaneamente ex, hanno proposto ricorso al Tribunale di Modena ai sensi dell’art. 95 del d.p.r. 396/2000 (3).

Il Tribunale di Modena ha accolto la domanda ed, a seguito del ricorso del Ministero dell’Interno, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda confermando così la decisione del Giudice di primo grado.

A questo punto, è stata adita la Corte di Cassazione la quale ha investito la Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 4 della l. 164/1982 i quali erano stati assunti, il primo alla base della domanda di rettificazione ed attribuzione del sesso diverso, ed il secondo alla base della cancellazione degli effetti civili del matrimonio della coppia, in violazione di una serie di norme della Carta del '48. Tra tutte le norme costituzionali ritenute violate, quella in forza della quale si è basata la sentenza della Corte Costituzionale, e di conseguenza quella del giudice di legittimità, è relativa all’art. 2.

La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 170/2014 ha sancito l’illegittimità costituzionale degli articoli di cui sopra, in quanto in contrasto con l’art. 2 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso -la quale comporta il conseguente scioglimento del vincolo matrimoniale- non consente ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima.

In buona sostanza, la pronuncia della Corte Costituzionale è tesa ad affermare il principio secondo il quale la relazione tra due soggetti è tutelabile come formazione sociale, ex art. 2 Cost., seppur sovvenga un mutamento di sesso di uno dei componenti della coppia, salvo che sussista il consenso di entrambi al mantenimento degli effetti civili del matrimonio.

Successivamente alla sentenza - manipolativa additiva - di accoglimento della Corte Costituzionale, la causa è stata riassunta dinanzi al Giudice di legittimità.

In ragione della sentenza costituzionale, i coniugi hanno chiesto la cancellazione dell’annotazione sul registro degli atti di matrimonio, mentre, il Procuratore Generale ha risposto chiedendo il rigetto del ricorso ed argomentando che la Corte Costituzionale si sia adoperata a dichiarare incostituzionale una norma non esistente, e non il c.d. divorzio imposto ex art. 2 e 4 l. 164/1982. Il Procuratore della Repubblica, nella memoria, pur concordando con l’affermazione di principio della Corte Costituzionale, in ordine all’art. 2 Cost., allo stesso tempo ha sostenuto che “la conservazione di un’unione coniugale tra persone dello stesso sesso” non può essere accettata in quanto, nell’ordinamento italiano, non esisterebbe una disciplina normativa al riguardo e, tutt’al più, sarebbe stato possibile configurare una responsabilità statuale per la mancata o tardiva attuazione delle direttive dell’Unione europea.

La Corte di Cassazione ha deciso che, in coerenza con l’affermazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 l. 164/1984, la Corte Costituzionale non ha deciso su di un “principio estraneo alle due norme ma ad una delle conseguenze del c.d. divorzio automatico che la Corte mira ad eliminare, ovvero quella che determina il passaggio da una condizione di massima protezione giuridica ad una condizione di massima indeterminatezza nella coppia che anche dopo la rettificazione di sesso voglia conservare la propria unione. Tali norme producono effetti incompatibili con il grado di protezione costituzionale riconosciuto alle unioni omoaffettive, nel senso che determina una soluzione di continuità costituzionalmente non tollerabile tra la condizione preesistente e quella successiva alla rettificazione di sesso”.

In buona sostanza la Corte ritiene che un sistema, quale quello italiano, che permette ad oggi le unioni matrimoniali a soli soggetti eterosessuali, non esclude il mantenimento degli effetti civili del matrimonio di due soggetti dello stesso sesso. Ciò che la Corte Costituzionale e, di conseguenza, la Corte di Cassazione ritengono intollerabile è che una situazione di tal fatta comporti un totale venir meno delle tutele, dei diritti fondamentali e doveri solidali che comportano le unioni affettive “sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale”.

La Corte ha anche delineato i limiti entro i quali dovrà operare l’intervento del Legislatore al fine di “riempire il vuoto normativo” con il monito di non dover legiferare necessariamente nel senso di legittimare le unioni omosessuali ma di evitare che possa crearsi una “condizione di massima indeterminatezza”, sul nucleo affettivo e familiare, ritenuta costituzionalmente intollerabile.

In definitiva, la Corte di Cassazione, conclude affermando che a seguito dell’illegittimità costituzionale, degli artt. 2 e 4 l. 164/1984 disposta con Sentenza Costituzionale 170/2014, si accoglie il ricorso delle parti e si conservano e riconoscono i diritti e i doveri conseguenti al vincolo matrimoniale che è stato legittimamente contratto. Allo stesso tempo, la Corte sollecita il Legislatore nel senso di colmare un tal vuoto normativo, individuando una forma di convivenza registrata che possa tutelare i diritti e gli obblighi delle parti in una situazione come quella esposta.

La Corte di Cassazione con tale sentenza, non ha inteso introdurre un nuovo principio all’interno dell’ordinamento ed, in virtù di ciò, passa la palla al Legislatore, il quale avrà il compito di formulare una serie di norme tali da evitare le situazioni di assoluta indeterminatezza in ordine ai diritti ed obblighi spettanti ai coniugi dello stesso sesso a seguito di matrimonio legittimamente contratto. In buona sostanza, la questione è da analizzare alla luce delle tutele da concedere e non nel senso di ampliare la disciplina del matrimonio alle unioni omoaffettive.

 


 

(1)  La domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di cui all'articolo 1è proposta con ricorso al tribunale del luogo dove ha residenza l'attore.
Il prisente del tribunale designa il giudice istruttore e fissa con decreto la data per la trattazione del ricorso e il termine per la notificazione al coniuge e al figli.
Al giudizio partecipa il pubblico ministero ai sensi dell'articolo 70 del codice di procedura civile.
Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con ordinanza l'acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell'interessato.
Con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all'ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l'atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro.

(2)  La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni.

(3)  1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento.
2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1.
3. L'interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale.