Pubbl. Gio, 18 Apr 2019
La riforma del giudizio abbreviato
Modifica paginaBreve commento al recentissimo Disegno di Legge n. 925 relativo alla ”inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo.”
Il 2 aprile il Senato della Repubblica ha approvato il Disegno di Legge n. 925 relativo alla “Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo”.
Anzitutto, il giudizio abbreviato è un procedimento speciale in cui l’imputato viene giudicato allo stato degli atti (quindi in base agli atti delle indagini preliminari raccolti dal PM ed eventualmente anche sulla base delle risultanze delle indagini difensive).
E’ un rito alternativo rispetto al rito ordinario ed ha funzione deflattiva e premiale:
- Deflattiva perché si rinuncia al dibattimento e quindi alla formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, con evidente riduzione dei tempi processuali. L’imputato presta il proprio consenso alla rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova, come richiesto dall’art. 111 della Costituzione.
- Premiale perché in caso di condanna la pena è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto. Alla pena dell’ergastolo è (era, a seguito della riforma in commento) sostituita quella della reclusione di anni 30; alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e reato continuato, è (era) sostituita quella dell’ergastolo senza isolamento.
L’applicabilità del rito abbreviato ai reati che prevedono la pena dell’ergastolo ha subito negli anni alterne vicende.
Prevista dalla disciplina originaria del codice del 1989, fu dichiarata incostituzionale per eccesso di delega nel 1991; reintrodotta con la Legge Carotti del 1999, fu modificata dall’intervento del 2000 in base al quale alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e reato continuato, era sostituita quella dell’ergastolo senza isolamento.
L’odierna riforma prevede nuovamente di escludere il ricorso al giudizio abbreviato per i reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo. Fulcro della novella è, infatti, l’inserimento, nel testo dell’art. 438 c.p.p., del comma 1-bis in forza del quale “Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo”.
La scelta è stata suggerita, a detta degli stessi fautori della riforma, da ragioni di politica criminale, in quanto si ritiene troppo lieve una pena diversa da quella della detenzione a vita per reati particolarmente gravi. Esigenza ritenuta impellente a seguito di alcuni casi giudiziari che hanno conquistato risalto mediatico e suscitato polemiche e proteste.
Le motivazioni dell’intervento legislativo lasciano intravedere un ennesimo caso di populismo penale.
Come visto, già prima della riforma, anche in caso di rito abbreviato, poteva giungersi ad una sentenza di condanna all’ergastolo per i reati più gravi.
Perciò sono giunte critiche circa la necessità di tale riforma dall’Accademia, dalla Magistratura[1] e dall’Avvocatura[2].
Data la ratio dell’intervento, è stata inoltre ritenuta errata la decisione del legislatore di intervenire sulla scelta del rito e non sulla determinazione della pena mediante altri strumenti specifici e più efficaci[3].
Si è invece così deciso di limitare un diritto dell’imputato, perché tale è la scelta di accedere al rito abbreviato (particolarmente da quando non è più assoggettato al previo consenso del Pubblico Ministero), che si ricorda essere presunto innocente e che tale potrebbe risultare anche all’esito del processo.
Diritto ad una definizione più rapida del processo sempre più impellente, soprattutto alla luce dei tempi della Giustizia italiana e della considerazione del processo quale pena aggiuntiva.
L’effetto reale della riforma sarà quello di impedire a priori l’accesso al giudizio abbreviato rendendo inevitabile l’approdo dibattimentale con l’unico risultato certo di allungare i tempi di questi procedimenti e gravare ulteriormente il carico di lavoro delle Corti d’Assise.
La tenuta del nuovo codice di procedura penale, ispirato al sistema accusatorio, si fondava sulla centralità dei riti alternativi, proprio come avviene nei sistemi anglosassoni. Il fallimento di questa scommessa ha portato alle odierne disfunzioni dei procedimenti penali.
Se il principale problema della Giustizia italiana è comunemente individuato nei tempi eccessivi, il rimedio dovrebbe essere incentivare e non limitare i riti alternativi.
Tanto a conferma della schizofrenia e della contraddittorietà del legislatore degli ultimi anni in materia penale, sia sostanziale che procedurale, che si limita ad interventi continui e disorganici anziché procedere ad una riforma profonda e sistematica.
[1] Parere del C.S.M., approvato dal plenum il 6 febbraio 2019, sulla proposta di legge di riforma del giudizio abbreviato all'esame del Parlamento.
[2] Documento della Giunta dell’U.C.P.I. del 3 aprile 2019.
[3] Spangher, Rito abbreviato: il testo definitivo approvato dal Senato, su Il quotidiano giuridico, 3 aprile 2019.