Pubbl. Lun, 8 Apr 2019
L´azione di arricchimento si applica anche alla convivenza more uxorio
Modifica paginaCome viene superato il contrasto tra l´obbligazione naturale e l´azione di ingiustificato arricchimento.
Sommario: 1. Premesse generali; 2. Il caso affrontato da Cass 4659/2018; 3. Brevi considerazioni sui parametri elaborati dalla giurisprudenza; 4. Riflessioni conclusive
1) Premesse generali
In estrema sintesi, secondo quella che è la ricostruzione ricorrente, la convivenza more uxorio rappresenta quel tipo di unione, tendenzialmente stabile nel tempo, tanto da essere assimilabile ad un'unione coniugale, e connotata dai caratteri dell'affezione. Infatti, viene anche indicata come il classico caso di obbligazione naturale ex art. 2034 c.c, ove le reciproche attribuzioni patrimoniali tra conviventi trovano radice nell'adempimento di obblighi di natura morale e sociale1. Non è, dunque, un vincolo di carattere giuridico, proprio di un'obbligazione avente carattere patrimoniale, che spinge un convivente a compiere elargizioni nei confronti dell'altro, ma l'adempimento di un obbligo naturale in forza dell'esistenza stessa della convivenza more uxorio. Sulla scorta di tale inquadramento normativo, la logica conseguenza, è che tali attribuzioni patrimoniali siano soggette alla soluti retentio. Non saranno soggette a ripetizione, proprio perché prestate spontaneamente, in conseguenza di un obbligo morale che si è sentito proprio. Se in linea di principio, ciò è vero, ad un'analisi superficiale può apparire contraddittorio se non illogico applicare l'istituto dell'ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. alle unioni di fatto2.
Allorquando due conviventi, durante la loro unione, in cagione delle rispettive possibilità economiche si sono prestati reciproca assistenza morale e materiale in virtù di obblighi morali, può sembrare un mercimonio dei sentimenti o quanto meno contraddittorio richiedere la restituzione di quanto prestato nel momento in cui tale legame si scioglie.
In verità, il ricorso alternativo allo strumento dell'obbligazione naturale o dell'azione di ingiustificato arricchimento è mosso dall'intento di tutelare il cd soggetto debole. Sul piano astratto si possono verificare due ipotesi opposte quando l'unione cessa: a) al soggetto debole viene richiesta la ripetizione di quanto prestato a suo favore, b) il soggetto debole chiede la restituzione di quanto prestato in costanza di unione, perché altrimenti si troverebbe privo di qualsiasi tutela.
Nel primo caso avremo l'applicazione dell'obbligazione naturale e dell'art 2034 c.c., nel secondo dell'azione di ingiustificato arricchimento e dell'art 2041 c.c.
L'accennata antinomia, peraltro, è superabile sulla scorta dei parametri elaborati da tempo, dalla giurisprudenza.
E tali indici hanno anche la funzione di definire, se nel caso concreto si ricade nell'ambito dell'art 2034 o dell'art 2041 c.c. In sede di premesse, è d'uopo evidenziare, come in ogni caso l'eventuale ristoro sul piano economico assuma i crismi dell'indennizzo e non del risarcimento del danno. Ciò, in ragione del fatto che la perdita patrimoniale subita da uno dei conviventi trova fonte non in un fatto illecito, bensì in un fatto lecito ed incolpevole come la convivenza more uxorio.
2) Il caso affrontato da Cass. 4659/2018
Il recente arresto giurisprudenziale in commento, analizza uno dei casi classici che si evidenziano nel momento in cui l'unione di fatto termina. Infatti, al cessare della convivenza uno dei due soggetti richiedeva la restituzione, in forza dell'art .2041 c.c., di quanto prestato a titolo economico per i lavori effettuati sull'immobile di proprietà esclusiva dell'altro convivente.
Sia in primo, sia in secondo grado tale domanda, seppur soggetta ad una riduzione nell'ammontare, veniva accolta. Mentre, veniva respinta l'eccezione che tali attribuzioni non fossero ripetibili in quanto correlate ad una convivenza more uxorio e quindi prestate in esecuzione di un'obbligazione naturale. E' pacifica e non contestata l'esistenza di un'unione che assume i connotati di una convivenza more uxorio3, e l'eccezione sull'incompatibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento viene risolta richiamando i ben noti principi dell'adeguatezza e della proporzionalità dell'attribuzione patrimoniale. In altri termini, se tale esborso si presenta, avuto riguardo alle condizioni patrimoniali e sociali dei componenti della famiglia di fatto, come sproporzionato e non adeguato avremo un ingiustificato arricchimento. L'altro e necessario parametro è che si realizzi un arricchimento esclusivamente nei confronti di uno dei conviventi, con danno dell'altro.
Se ciò accade, si deve constatare una mancanza di causa, non nell'originario spostamento patrimoniale, bensì nel suo ingiustificato trattenimento in costanza di una richiesta di restituzione4.
Va ricordato come la casistica si presenti piuttosto variegata e composita e che l'ingiustificato arricchimento non sia e non debba essere necessariamente correlato ad un attribuzione patrimoniale. L'arricchimento può essere ingiustificato anche laddove configuri un risparmio di spesa in favore del soggetto arricchito.5
Dalle considerazioni compiute si comprende come l'antinomia di partenza tra l'azione di ingiustificato arricchimento e la convivenza more uxorio, pacificamente compresa tra le forme di obbligazione naturale, possa essere superata ove l'attribuzione patrimoniale fornita dal soggetto depauperato travalichi i limiti dell'adeguatezza e della proporzionalità. Allorquando ciò accada, anche in forza di una massima di comune esperienza si deve escludere che questi abbia proceduto in tal senso in forza di un dovere morale e sociale.
Peraltro, l'ulteriore criterio dell'esclusivo arricchimento in favore di uno dei conviventi, esclude necessariamente che l'altro abbia agito in adempimento di un'obbligazione naturale. Infatti, se per definizione la convivenza more uxorio necessariamente si fonda sulla reciproca assistenza, questa non può essere invocata nell'eventualità in cui si registri un arricchimento unilaterale.
3) Brevi considerazioni sui parametri elaborati dalla giurisprudenza.
Sul piano del riparto dell'onere probatorio, spetta a chi esperisce l'azione di ingiustificato arricchimento dimostrare la non adeguatezza e proporzionalità dell'attribuzione patrimoniale resa. Tali parametri non configurano valori assoluti, ma relativi e devono essere in quanto tali calibrati sul patrimonio del soggetto depauperato. Non può essere altrimenti, anche per ovviare al caso che le condizioni economiche dei conviventi siano differenti tra loro. Infatti, in siffatti eventualità uno spostamento patrimoniale potrebbe essere proporzionale e adeguato per un soggetto, ma non per l'altro. Ancora, un convivente potrebbe definirsi impoverito, ma l'altro no. Altro aspetto, in verità non troppo chiarito nei vari arresti giurisprudenziali, è che tale giudizio deve avere come riferimento il periodo in cui l'attribuzione viene compiuta.
Tale conclusione, è da ritenersi preferibile, poiché tiene conto del fatto che, nel frattempo lo stato economico della parte o della parti possa essere mutato.
Circostanza, in verità non assolutamente inverosimile in rapporti come le unioni di fatto, che necessariamente sono di lunga durata.
La prova afferenti ai requisiti della proporzionalità e dell'adeguatezza può essere ricavata anche per presunzioni, anche in base a massime di comune esperienza, ovviamente di carattere relativo. Il giudizio anche se attinente al patrimonio soggettivo del depauperato deve essere condotto sulla scorta di parametri oggettivi.
4) Riflessioni conclusive
Grazie all'elaborazione dei parametri dell'adeguatezza e della proporzionalità dell'attribuzione patrimoniale, collegati all'arricchimento unilaterale ed esclusivo di uno dei conviventi, e relativo depauperamento dell'altro, è possibile subire l'antinomia tra l'azione di ingiustificato arricchimento e la convivenza more uxorio come espressione di un'obbligazione naturale.
A seconda della sussistenza o meno degli elementi sopra citati, il soggetto debole, rispetto all'altro, quello che rischia di rimanere privo di tutela, nel momento in cui la convivenza cessa, ha a sua disposizione gli strumenti alternativi dell'obbligazione naturale o dell'ingiustificato arricchimento.
Quindi, solo l'analisi del caso concreto, consente di stabilire quale sia lo strumento più corretti da applicare. Un giudizio necessariamente di fatto, che se immune da vizi logici e da contraddizioni, secondo quello che è il costante indirizzo della Cassazione, non può essere censurato in sede di legittimità.
1Brevemente si riporta il testo dell'art 2034 c.c al 1° comma:“ Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata resa da un incapace”.
2Al 1° comma l'art 2041 c.c dispone:” Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”
3Sul punto è interessante il riferimento prestato da Cass 1732/2018 III sezione, che in una fattispecie di costruzione di immobile sopra il terreno di proprietà esclusiva dell'altro convivente, escludeva l'esistenza di una convivenza per i primi anni, proprio in ragione della circostanza che i due soggetti non convivevano in quanto l'immobile era tutt'ora da realizzare. Peraltro la pronuncia citata risolve anche l'altra questione sulla natura sussidiaria dell'azione di ingiustificato arricchimento, laddove nega che nel caso concreto fosse possibile ricorrere all'art 936 c.c. che invece contempla la differente ipotesi in cui un terzo, senza alcuna legittimazione compia opere sul terreno altrui.
4Sull'arricchimento senza causa, Cass. 11330/2009-III sezione precisa quelli che sono i criteri di riferimenti, a cui le successive pronunce si riportano per relationem: “L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. E', pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confornti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza-il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimonali dei componenti della famiglia di fatto- e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza”.
5Il tema del risparmio di spesa è scrutinato da Cass 1266/2016 I sezione secondo cui la convivente che lavori con carattere di continuità, costanza tali da escludere l'occasionalità delle prestazioni lavorative rese, in favore del convivente, consente a questo di realizzare un risparmio di spesa, segnatamente: “ In via di principio-l'attività lavorativa e di assistenza svolta all'interno di un contesto familiare in favore del convivente more uxorio trova di regola la sua causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed effettività esistenti, alternativi rispetto ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, qual'è il rapporto di lavoro subordinato. Tuttavia, la sussistenza in concreto di un rapporto di lavoro subordinato, del quale il convivente deve fornire prova rigorosa, e la cui configurabilità costituisce valutazione in fatto, come tale demandata al giudice di merito e non sindacabile in cassazione, ove adeguatamente motivata”.