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Pubbl. Gio, 28 Mar 2019

Risarcimento danni per infortunio da buca stradale: il riparto dell´onere probatorio

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Matteo Bottino
AvvocatoUniversità degli Studi di Genova


Condannato al risarcimento del danno - in forza dell´art. 2051 - l´ente proprietario del tratto stradale in cui è avvenuto il sinistro, per non aver fornito la prova del caso fortuito o della causa di forza maggiore, necessaria ad elidere la responsabilità del custode. Presupposti e oneri probatori onde ottenere il risarcimento del danno


Sommario: 1. Premessa e inquadramento normativo; 2. La definizione di “cosa”; 3. La definizione di “custode”; 4. La valutazione del nesso causale; 5. La natura della responsabilità; 5.1 Il caso fortuito, la condotta del danneggiato e la forza maggiore; 6. La particolare ipotesi del manto stradale sconnesso ed i danni subiti dagli utenti; 7. La sentenza del Tribunale di Como

1. Premessa e inquadramento normativo

La sentenza in commento si occupa di una vicenda piuttosto frequente nella pratica, ovvero del caso di un infortunio causato da una buca presente nel manto stradale.

Il Tribunale di Como, con sentenza del 13.02.2019, ha infatti condannato l’amministrazione Comunale a risarcire i danni patiti da dalla parte attrice, a seguito di un sinistro occorso a causa di un’irregolarità del manto stradale non visibile.

Si rende opportuno dunque, per una più ampia comprensione della vicenda, analizzare il fondamento giuridico sulla base del quale l’infortunato può chiedere al gestore/custode della strada, il risarcimento dei danni patiti, nonché i relativi presupposti affinché la domanda venga accolta.

La norma a cui si deve fare riferimento è l’articolo 2051 del Codice Civile – rubricato come “Danno cagionato da cosa in custodia” - il quale sancisce come “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

2. La definizione di “cosa”

La prima questione da analizzare è sicuramente quella relativa alla nozione di “cosa” a cui si riferisce il disposto normativo. Il criterio di imputazione della responsabilità, è infatti basato sulla relazione di custodia che esiste tra la cosa che ha cagionato il danno, e chi viene chiamato a rispondere dello stessoi.

Nel concetto di “cosa” può rientrare qualsiasi elemento inanimato, mobile o immobile, pericoloso o meno, allo stato solido, fluido o gassoso. In sostanza ogni tipo di cosa può essere in grado di cagionare un danno e quindi essere sottoposta alla disciplina di cui all’art. 2051 c.c.. Vi sono alcune eccezioni, per le quali è prevista una disciplina specifica come possono essere gli edifici e gli autoveicoli.

3. La definizione di “custode”

Come anticipato, la responsabilità dei danni cagionati dalle cose in custodia, si fonda sulla relazione intercorrente fra quest’ultima e il custode. Si rende dunque necessario definire il concetto di custode, al fine di individuare il soggetto tenuto al risarcimento del danno.

Ebbene, su tale questioni si sono susseguite tre differenti tesi: la più risalente, che riconduce il concetto di custode a colui che utilizza la cosa, in forza del godimento e dello sfruttamento economico da cui il soggetto trae profitto e – dunque – dovrebbe rispondere anche degli eventuali danni da questa cagionatiii. Una seconda ricostruzione identifica la nozione di custodia con il dovere di controllo sul rischio derivante dalla cosa. Pertanto, dovrebbe essere considerato custode colui che abbia un rapporto duraturo e continuativo, dal quale derivi una prevedibilità dei rischi a cui la cosa espone i terziiii. Infine, la tesi prevalente, identifica il rapporto di custodia sulla base del potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerire sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno. In sostanza, il custode è colui che ha il potere/dovere esclusivo di interagire con la cosa, nell’istante in cui il danno viene cagionato.

La giurisprudenza ha spiegato come la legge ricolleghi la responsabilità del custode sulla base di un potere effettivo e dinamico sulla cosa, definendolo come “governo della cosa”, e che si concretizza nella disponibilità immediata e sul potere di intervenire sulla stessa e – quindi – anche nel caso della c.d. disponibilità giuridica della cosa.

Per fare un esempio, il proprietario di un immobile locato, conserva la disponibilità giuridica delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (come cornicioni, tetti, tubature idriche) e, quindi, la custodia delle stesse, su cui il conduttore non ha il potere-dovere di intervenire. Pertanto il proprietario è responsabile in via esclusiva dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed impianti. Questo potrà eventualmente rivalersi sul conduttore, sulla base dei rapporti interni, nel caso in cui lo stesso abbia omesso di comunicare tempestivamente al proprietario eventuali situazioni critiche e/o pericolose.

Con riguardo invece alle altre parti ed accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri (come i servizi dell'appartamento, ovvero le piante di un giardino), la responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni del citato art. 2051 c. c., grava soltanto sul conduttore medesimoiv.

La sussistenza di un reale potere di intervento sulla cosa ha quindi una valenza essenziale ai fini dell’individuazione di colui su cui grava l’obbligazione di risarcire i danni cagionati. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato come in tema di danni da cose in custodia, la disponibilità che l’utilizzatore ha della cosa, non comporta automaticamente il trasferimento in capo a quest’ultimo della custodia. Tale circostanza è da escludere quando il potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa è rimasto – per accordo tra le parti o per la natura del rapporto – in capo ad altro soggetto, il quale ne ha mantenuto la custodiav.

4. La valutazione del nesso causale

Naturalmente affinché si possa configurarsi il diritto al risarcimento del danno subito, è necessario la sussistenza di un nesso di causalità tra quest’ultimo e l’evento dannoso cagionato dalla cosa.

Pare opportuno evidenziare come nell’accertamento della responsabilità del custode, si esuli da ogni tipo di indagine circa il comportamento anche meramente colposo dello stesso. Il criterio di imputazione opera infatti unicamente sul piano oggettivo del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, che può essere interrotto solamente dalla ricorrenza del caso fortuito o della forza maggiore. In tali ipotesi graverà sul convenuto dedurre l’interruzione del nesso causale provocato dal caso fortuito e fornire adeguata prova di tale elementovi.

L’onere probatorio in capo all’attore sarà dunque quello di dimostrare il rapporto di custodia e che la cosa in custodia è stata condizione necessaria e sufficiente affinché l’evento si verificasse e dimostrando – anche in via presuntiva – che l’evento dannoso è stato una conseguenza normale della condizione potenzialmente lesiva - originaria o sopravvenuta – della cosa considerata nella sua globalità. Si evidenzia, per completezza espositiva, come se la cosa sia per sua natura normalmente innocua, è necessario che il danneggiato fornisca la prova degli elementi e delle circostanze che hanno portato a rendere offensivo tale oggetto, mentre nel caso di intrinseca pericolosità sarà sufficiente dimostrare la contestualità tra l’evento dannoso ed il contatto con la cosavii.

5. La natura della responsabilità

Abbiamo già evidenziato come la responsabilità del custode si fondi esclusivamente sulla circostanza per la quale quest’ultimo avesse un potere di controllo e interazione con la cosa che ha cagionato il danno, nonché dalla concomitante assenza di elementi che possano interrompere il nesso causale, quali il caso fortuito o la responsabilità del danneggiatoviii.

La giurisprudenza, dopo un iniziale orientamento che considerava la responsabilità del custode configurabile come una responsabilità per colpa presunta, ha successivamente rivisto la propria impostazione, ribadendo più volte come si tratti in realtà di una ipotesi di responsabilità oggettiva. Infatti, si prescinde totalmente dall’accertamento dell’elemento soggettivo, il quale - come già esposto – non rileva ai fini dell’esclusione dall’obbligo di risarcire il danno causato dalla cosa in custodia.

5.1 Il caso fortuito, la condotta del danneggiato e la forza maggiore

L’attore ha l’esclusivo onere di allegare e provare che il danno subito è stato cagionato dalla cosa in custodia, mentre ricadrà sul convenuto che voglia sottrarsi all’obbligazione risarcitoria, provare che l’evento dannoso è dovuto a caso fortuito, in cui rientra altresì la condotta del danneggiato, o a causa di forza maggiore.

Il caso fortuito è anzitutto definito come un evento imprevisto, imprevedibile ed assolutamente eccezionale, senza che possa riconoscersi alcuna rilevanza alla diligenza o meno del custodeix, a cui si deve aggiungere una valutazione circa la condotta del danneggiato.

Invero, se attraverso un comportamento pretendibile da quest’ultimo, si sarebbe potuto evitare l’evento dannoso o limitare il nocumento subito, la responsabilità del custode verrebbe rispettivamente esclusa o ridotta. Anche in questo caso viene in rilievo l’elemento della prevedibilità, intesa coma la concreta possibilità per il danneggiato di prevede la situazione di pericolo con l’ordinaria diligenza oppure nel caso in cui il rischio sia ben visibile e percepibilex.

La causa di forza maggiore è invece definita – a differenza del caso fortuito - come un evento che non è possibile evitarexi.

6. La particolare ipotesi del manto stradale sconnesso ed i danni subiti dagli utenti

Nelle ipotesi in cui la cosa da cui scaturisce il danno sia la strada, a causa di un cattivo stato di manutenzione, di buche, rattoppi o altri ragioni che costituiscano un pericolo, sarà l’ente gestore e/o proprietario della stessa a dover risarcire i danni subiti da chi la percorre.

Invero, è pacifico come il gestore di un tratto stradale possa essere considerato custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. e debba dunque rispondere dei danni derivanti dallo stesso. Anche in questo caso si applicano i criteri generali previsti dalla norma citata ed esposti precedentemente, con particolare riferimento alla condotta del soggetto danneggiato.

Quest’ultimo elemento – nella pratica – è l’elemento su cui si fonda più spesso la difesa del proprietario del tratto stradale, in quanto solo l’imprudenza di colui che ha subito il danno (salvo i casi di eccezionalità ed inevitabilità del danno), potrebbe portare ad un’esclusione della responsabilità del custode.

Pertanto, la condotta deve essere tale da interrompere quel nesso causale fondante la legittimità della richiesta del risarcimento, in quanto il danno - in tal caso – non è stato cagionato dalla cosa in custodia, bensì in forza di un comportamento negligente da parte del danneggiato stesso.

La giurisprudenza di legittimità è molto rigorosa nell’applicazione di tale principio, in quanto evidenzia come non si possa considerare idonea ad interrompere il nesso causale qualsiasi condotta imprudente. Invero è necessario che questa possa essere qualificata come abnorme, e cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare esclusivamente ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c.xii, andando a ridurre il risarcimento del danno dovuto, ma non escludendoloxiii.

7. La sentenza del Tribunale di Como

Nella sentenza in commento, datata 13.02.2019, il Tribunale di Como – dopo avere verificato la presenza di tutti i presupposti di legge al fine di addebitare la responsabilità del sinistro al custode – ha condannato il Comune al risarcimento dei danni patrimoniali e non, ad una signora con problemi di mobilità e che ha subito un infortunio a causa di una buca nel manto stradale.

Nel caso in esame, la carrozzina a motore dell’attrice rimaneva incastrata a causa delle presenza di una buca, resa invisibile da un notevole strato d’acqua e – quindi – rendendo particolarmente difficile la sua individuazione.

Il Giudice adito, verificata la versione dei fatti fornita dalla danneggiata sulla base delle escusse prove orali e verificato il mancato adempimento dell’onere di provare il caso fortuito o la causa di forza maggiore da parte del Comune, utile ad elidere il nesso di causalità, ha condannato il proprietario del tratto stradale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal danneggiato in forza del disposto di cui all’art. 2051 c.c.

Infine, si rileva come il Tribunale abbia quantificato il danno patrimoniale sulla base delle spese mediche sostenute da parte attrice, mentre in relazione ai danni non patrimoniali ha riconosciuto un danno biologico sulla base delle risultanze della CTU medico-legale utilizzando quale parametro le tabelle del Tribunale di Milano, aumentato – in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. – in forza del principio della c.d. “personalizzazione del risarcimento”.

i Di Giovine, “La R.C. per danni cagionati da cose, in Cendon (a cura di)”, Torino, 1998, 307

ii Valsecchi, “Responsabilità aquiliana oggettiva e caso fortuito”, in RDCo, 1947, I, 167

iii Trimarchi, “Rischio e responsabilità oggettiva”, Milano, 1961, 244

iv In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 11/11/1991, n. 12019 in Giust. Civ., 1992, I, 41

v In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. II, 27/12/2017, n. 30941, in Giur. It., 2018, 8-9, 1862 nota di RUSSO

vi In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. III Ord., 01/02/2018, n. 2477, n. 1064, nonché Cass. civ. Sez. III Sent., 19/05/2011, n. 11016 (rv. 618175), in CED Cassazione, 2011 secondo la quale “La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato”

vii Di Giovine, “La R.C. per danni cagionati da cose, in Cendon (a cura di)”, Torino, 1998, 363

viii Tribunale Roma Sez. XII Sent., 20/03/2018, secondo il quale “La responsabilità del custode disciplinata dall'art. 2051 c.c. costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta. Il danneggiato, pertanto, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l'esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito.”

ix In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. III Ord., 01/02/2018, n. 2477, nonché Cass. civ. Sez. III Ord., 10/07/2018, n. 18075, in “Corriere Giur.”, 2018, 10, 1314

x Vedi Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 09/03/2015, n. 4661, In “quotidiano giuridico” del 13/03/2015, Wolters Kluwer Italia – Utet giuridica italia, secondo cui “Ai fini dell'affermazione della responsabilità da cose in custodia rilevano due concetti fondamentali: la prevedibilità dell'evento ed il dovere di cautela da parte del soggetto cui è affidata la custodia della res. Il concetto di prevedibilità deve intendersi come concreta possibilità per il danneggiato di percepire o prevedere la situazione di pericolo o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo e ove tale pericolo sia visibile, si richiede una maggiore attenzione da parte del soggetto che entri in contatto con la cosa, essendo, la situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza”

xi In tal senso Cass. civ. Sez. III Ord., 31/10/2017, n. 25837, in “Foro It., 2018”, 1, 1, 223 vedi secondo cui “Posto che la responsabilità del custode è esclusa quando costui dimostri il caso fortuito, inteso come evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo evitato, perché la condotta della vittima possa escludere del tutto la responsabilità del custode, incombe su quest'ultimo non solo la dimostrazione dello stesso comportamento colposo della vittima, ma altresì la prova della sua imprevedibilità ed inevitabilità, ovvero la dimostrazione che tale condotta sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima e inattesa da parte di una persona sensata”

xii Art. 1227 c.c.: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.”

xiii In tal senso Cass. civ. Sez. III Ord., 01/02/2018, n. 2481 (rv. 647935-01), in “CED Cassazione”, 2018, nonché Cass. civ. Sez. III Sent., 29/07/2016, n. 15761 (rv. 641162), in “CED Cassazione”, 2016.

Bibliografia

Di Giovine, “La R.C. per danni cagionati da cose, in Cendon (a cura di)”, Torino, 1998

Valsecchi, “Responsabilità aquiliana oggettiva e caso fortuito”, in RDCo, 1947

Trimarchi, “Rischio e responsabilità oggettiva”, Milano, 1961