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Pubbl. Mar, 4 Set 2018

Omessa liquidazione delle spese processuali: istanza di correzione errore materiale

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Simona Rossi


In caso di omessa liquidazione delle spese processuali, la Giurisprudenza si è orientata talora nel ritenere esperibile il rimedio di cui all´art. 288 c.p.c., talaltre considerando necessario l´esperimento degli ordinari mezzi di impugnazione. Sul punto, le Sezioni Unite si sono espresse con la sent. n. 16415 del 2018.


Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte. - 3. La pronuncia delle SS.UU. – 4. Osservazioni.

1. Introduzione.

Nella prassi può accadere che, talvolta, il giudice ometta di statuire in merito alla liquidazione delle spese processuali. A tal proposito, la Giurisprudenza non è sempre apparsa concorde riguardo quale sia il rimedio da esperire. Difatti dapprima si era consolidato l’orientamento per cui bastasse richiedere la correzione dell’errore materiale (Cass. 52/1967; Cass., n. 3007/1973); successivamente vi furono pronunce in virtù delle quali si rendeva necessario esperire gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass., n. 7274/1999; Cass., n. 12104/2003; Cass., n. 13513/2005).

Di recente la tesi della possibilità di fare ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali è stata di nuovo affermata con la sentenza Cass., n. 16959/2014, seguita da Cass., n. 15650/2016, ma contemporaneamente sono state emesse pronunce di segno inverso che negano la possibilità di avvalersi dell'istituto della correzione e la necessità di ricorrere agli ordinari mezzi di impugnazione. Cass., n. 17221/2014; Cass., n. 21209/2014).

Come si avrà modo di porre in evidenzia, in Giurisprudenza non si poteva attestare un tetragono orientamento.

È, quindi, di tutta evidenza la necessità di una pronuncia delle Sezioni Unite che potesse risultare risolutiva sul punto. Pertanto, la Suprema Corte a Sezioni Unite, ripercorrendo gli orientamenti giurisprudenziali avutosi al riguardo, si è pronunciata con la sentenza n. 16415 del 2018 al fine di fare chiarezza.

2. Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte.

Prima di entrare “nel vivo” del dibattito giuridico, è bene tener presente quale fosse il caso sottoposto all’attenzione degli Onorevoli giudici della Corte di Cassazione.

Innanzi al Tribunale di Verona, veniva proposta da Tizio e Caio domanda di reintegra nel possesso di un passaggio pedonale esercitato su un’area di proprietà di Sempronio, il quale aveva recintato l’area e costruito una scala di accesso per i locali di sua proprietà. Avverso la sentenza di rigetto, veniva proposto appello alla Corte d’appello di Venezia che accoglieva l’impugnazione e modificava la decisione di primo grado condannando Sempronio alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi e rifusione in favore degli appellanti delle spese del doppio grado di giudizio. Tuttavia, si ometteva nel dispositivo la quantificazione degli importi dovuti a tale titolo. Dunque, veniva proposto ricorso in Cassazione da Sempronio e Tizio e Caio proponevano autonomo ricorso, da considerarsi incidentale in quanto successivo al ricorso principale, per l’omessa liquidazione dell'entità delle spese processuali.

La Seconda Sezione civile della S.C., cui era stato sottoposto il ricorso, con ordinanza interlocutoria n. 21048/17 dell'11/9/2017, ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l'opportunità di demandare l'esame della controversia alla Sezioni Unite, “evidenziando un contrasto nella giurisprudenza di legittimità relativo alla questione oggetto del ricorso incidentale e chiedendo di chiarire se, a fronte della mancata liquidazione delle spese in dispositivo, debba farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 287 c.p.c. o esperire gli ordinari mezzi di impugnazione”.

Il Primo Presidente, valutata l’importanza della questione, ha ritenuto di rimettere la questione alle Sezioni Unite affinché fosse fatto chiarezza in merito al caso in cui se vi sia mancata liquidazione delle spese in dispositivo, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata debba esperire gli ordinari mezzi di impugnazione oppure fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c..

3. La pronuncia delle SS.UU.

Come si è già avuto modo di accennare, il dibattito giurisprudenziale aveva proposto diverse e contrapposte soluzioni negli anni. Dapprima (Corte di Cassazione sent. n. 52/1967 e n. 3007/1973) ci si era orientati nel ritenere che l’omessa liquidazione delle spese rappresentasse un mero errore e che, conseguentemente, dovesse essere esperita la procedura per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 288 del codice di procedura civile. Tuttavia, con un revirement, negli anni ’90 si era, invece, ritenuto che “stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto, vizio denunciabile ex art. 112 c.p.c.” (S.C. sent. n. 2869/1995 e n. 22019/2004) non si potesse ravvisare nell’omessa pronuncia sulla liquidazione delle spese un errore materiale. Inoltre (con la sent. n. 5266/1996) fu chiarito che “costituisce errore materiale correggibile solo quello consistente in una mera svista del giudice che abbia determinato la mancata od inesatta estrinsecazione di un giudizio, peraltro già svolto e desumibile dal contesto della pronuncia, e tali non sarebbero quegli errori che si caratterizzano come espressione di un giudizio mancante o quantomeno manchevole, come accade quando le spese non risultano liquidate in dispositivo e di tale liquidazione non è dato trarre elementi utili neppure motivazione”; fu, successivamente, puntualizzato (sentenza n. 255/2006) che “la sentenza che contenga una corretta statuizione sulle spese nella parte motiva, conforme al principio della soccombenza, ma non contenga poi alcuna liquidazione di esse nel dispositivo, non è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale, in quanto, ai fini della concreta determinazione e quantificazione delle spese, si rende necessaria la pronuncia del giudice”.

Dunque, era chiaro il mutamento di orientamento in seno alla S.C.: la mancata statuizione sulla liquidazione delle spese non poteva considerarsi un mero errore materiale bensì, essendovi la mancata decisione da parte del giudice, si riteneva necessario ricorrere agli ordinari mezzi di impugnazione.

Delineato così il nuovo orientamento che sembrava essersi consolidato, questo fu nuovamente mutato grazie anche all’apporto avutosi ad opera della Giurisprudenza penale: invero, la Cassazione Penale si è era già da tempo espressa nel senso di ritenere che per qualsiasi ipotesi di omessa statuizione sulle spese di lite fosse necessario ricorrere alla procedura di correzione degli errori materiali!

Le Sezioni Unite penali (con la sentenza n. 7945 del 2008) pronunciarono il principio secondo cui "la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell'atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all'art. 130 c.p.p.". Specificando che ciò l’omessa statuizione sulle spese consentisse di porvi rimedio con la procedura di correzione.

Rebus sic stantibus, anche la giurisprudenza civile, ritornando sui suoi passi, ritenne che la mancata statuizione sulle spese dovesse avere quale rimedio la procedura di correzione e non l’esperimento degli ordinari mezzi di impugnazione.

A tal proposito, si possono rammentare le pronunce rese dalla Cassazione con la sent. n. 19229 del 2009 con cui fu affermato che l’omessa liquidazione nella sentenza degli onorari dell’avvocato rappresentasse un errore materiale, pertanto, correggibile con il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e ss. cod. proc. civ.: i giudici osservarono infatti che tale omissione riguardasse “una statuizione di natura accessoria ed a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi, quale strumento per eliminare la disarmonia tra la manifestazione esteriore costituita dal documento sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito ex lege, senza che si venga ad incidere, modificandolo, nè sul processo volitivo o valutativo del giudice, nè sulla sua decisione di interpretazione che - corretta o errata che sia - sia stata posta a fondamento della pronuncia finale sul thema decidendum.

Successivamente, con l’ordinanza n.16959/2014, la Cassazione chiarì che fosse ammissibile la procedura di correzione dell'errore materiale ogni qual volta non sussista contrasto logico fra la motivazione ed il dispositivo; diversamente, sarebbe, invece, necessaria un'attività di interpretazione dell'effettivo decisum, inammissibile nel procedimento di correzione materiale e, quindi, si renderebbe imprescindibile l’esperimento degli ordinari mezzi di impugnazione.

Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale ancora non si poteva considerare assestatosi saldamente su tali posizioni in quanto vi furono, poi, due pronunce che riaffermarono l’inammissibilità della procedura della correzione dell’errore materiale per l’omessa liquidazione delle spese processuali: difatti, dapprima con la sent. n. 21109/2014 si osservò che la mancata statuizione a tal proposito rappresentasse un’omessa valutazione sull’attività difensiva della parte vittoriosa e che tale valutazione necessitasse della pronuncia del giudice; poi, con la sent. n. 3020/2016, sempre la Cassazione, ha ritenuto che, qualora nella sentenza vi sia la corretta statuizione sulle spese nella parte motiva, conforme al principio della soccombenza, ma non la liquidazione di esse, “non è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale, in quanto essa si tradurrebbe in una sostituzione del momento volitivo del giudice della correzione a quello della deliberazione nel determinare i compensi dovuti al difensore; determinazione che si sviluppa dapprima attraverso l'individuazione del valore della causa, per poi considerare, nel fissare il compenso dovuto tra i limiti minimo e massimo dello scaglione di valore di riferimento, la qualità dell'operato del difensore e la complessità dell'attività prestata”.

Con queste pronunce viene eviscerato quello che rappresenta il punctum dolens della dibattuta questione ossia se la procedura di liquidazione delle spese processuali rappresenti una mera operazione tecnica-esecutiva (che va svolta sulla scorta di criteri oggettivi) o se, diversamente, si debba ritenere che vi sia una valutazione del giudice il quale (tenuto conto dei criteri dettati dal D.M. n. 55 del 2015 all’art. 4) liquidi il compenso del difensore col riconoscimento di un importo per ogni fase del giudizio ed operando, discrezionalmente, aumenti o diminuzioni sulla base dei predetti parametri e che, quindi, vi sia una potest iudicandi.

Al fine di maturare una soluzione a tale vexata quaestio, le SS.UU. hanno rammentato la pronuncia n. 16037 del 2010 con cui si era affermato il principio per cui "è da considerare errore materiale qualsiasi errore anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, oppure una statuizione obbligatoria di carattere accessorio anche se a contenuto discrezionale": tale pronuncia che riguardava l’omessa pronuncia sulla detrazione a favore del procuratore dichiaratosi antistatario, aveva ammesso la correzione materiale ex art. 287 c.p.c. chiarendo che per le statuizione che il giudice deve emettere in virtù di un obbligo normativo si può avere la correzione materiale in quanto si ha “una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale”.

Alla luce di ciò, è evidente che, stante la natura accessoria della statuizione sulle spese che risulta estranea al giudizio di merito ed alla pronunzia principale, questa è necessaria ed obbligatoria (ai sensi dell’art. 91 comma 1 c.p.c.) è da ritenersi che in caso di omessa pronuncia debba ricorrersi alla procedura di correzione degli errori materiali.

Le Sezioni Unite hanno anche osservato come una simile soluzione consenta di applicare il dettame di cui all'art. 111 Cost., che prevede la ragionevole durata del processo in quanto il procedimento di correzione degli errori materiali, per la sua celerità, consente rispetto agli altri rimedi processuali quali l’esperimento degli ordinari mezzi di impugnazione, di salvaguardare l’effettività di tale principio che prevede, infatti, che siano evitati comportamenti che ostacolino la rapida definizione del processo.

In ogni caso, è doveroso puntualizzare che perché si possa ricorrere alla procedura di correzione di cui all’art. 288 del c.p.c. è necessario che nella sentenza vi sia la statuizione che pone le spese a carico del soccombente in quanto solo in tale ipotesi qualora vi sia l’omessa liquidazione delle stesse questa rientrerebbe nella statuizione principale; diversamente, vi sarebbe una divergenza tale da escludere la procedura di correzione di errore materiale, richiedendo invece che vi sia il giudizio del giudice. (le SS.UU. hanno difatti chiarito che i “una volta che nella motivazione della sentenza il giudice abbia provveduto col porre le spese a carico del soccombente, l'omissione degli importi contenuta nel dispositivo della sentenza deve essere integrata con il procedimento di correzione degli errori materiali”).

E’ stato anche specificato che “tale procedura è applicabile anche alla correzione degli errori materiali nei procedimenti trattati con il rito del lavoro, quando il dispositivo letto in udienza manca della liquidazione del spese processuali la cui regolamentazione sia contenuta nella motivazione della sentenza, non essendovi alcun motivo per segnare su questo punto una differenza fra i due tipi di procedimento”, difatti nel caso in cui manchi la liquidazione delle spese non può ritenersi sussistente un contrasto tra statuizione e motivazione e quindi l’omissione può essere celermente sanata con la procedura di correzione degli errori materiali.

I giudici hanno, inoltre, evidenziato come una simile scelta (ossia optare per l’utilizzo del rimedio correttivo) consenta di colmare la lacuna in merito alla mancata statuizione sulle spese nelle sentenze della Corte di Cassazione. Basti pensare, difatti, che avverso le pronunzie di legittimità non sono ammessi altri mezzi di impugnazione ma soltanto i rimedi previsti ai sensi degli artt. 391 bis e ter c.p.c. quali revocazione per errore di fatto, l'opposizione di terzo e, per l’appunto, la correzione degli errori materiali.

Alla luce di quanto sopra illustrato, la S.C. ha ritenuto che il tipo di errore denunciato dai ricorrenti andasse corretto con la procedura di correzione degli errori materiali, che va proposta al giudice di merito che ha emesso la sentenza viziata e non alla Corte di legittimità, nonostante sia stato già proposto ricorso per cassazione (come confermato dalla sentenza n. 335/2004 della Corte Cost. che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 287 c.p.c. limitatamente alle parole "contro le quali non sia stato proposto appello", avvalorando ulteriormente la competenza esclusiva del giudice che ha emesso la sentenza a correggerne gli eventuali errori materiali); pertanto, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

4. Osservazioni.

E’ bene sottolineare che la Giurisprudenza si è, altresì, espressa nel senso di ritenere (vedasi le pronunce della Suprema Corte: SS.UU. n. 16037/2010; n. 293/11 e n. 1310/2012) che anche qualora vi sia omissione della pronuncia sulla domanda di distrazione a favore del procuratore antistatario deve avviarsi una procedura di correzione degli errori materiali. Per tali ipotesi, è il difensore ad essere legittimato attivo, il quale, se dichiaratosi antistatario nel primo atto, può proporre ricorso affinché vi sia la correzione dell’errore materiale qualora nel provvedimento, pur essendo stata ritualmente richiesta, non sia stata disposta la distrazione delle spese legali ai sensi dell’art. 93 c.p.c. Orbene, che ciò vale anche per i giudizi innanzi le Commissioni tributarie in quanto la S.C. con la sentenza n. 22190 del 2016 ha chiarito che “se il difensore fiscale vuole far contestare l’omessa pronuncia del giudice adito sull’istanza di detrazione delle spese del giudizio a suo favore, non deve farlo con le modalità del ricorso in appello bensì  e con l’istanza di correzione degli errori materiali previste dagli articoli 287 e 288 del codice di procedura civile”. Pertanto, si evince anche la necessità che il procuratore si sia dichiarato antistatario fin dal primo atto difensivo.

In ogni caso, si può concordare con quanto previsto dalla Suprema Corte poichè appare pienamente ragionevole che in caso di omissione di statuizione in merito alla liquidazione delle spese processuali si possa porre rimedio ricorrendo ad una semplice istanza di correzione dell’errore materiale piuttosto che far ricorso agli ordinari mezzi di impugnazione, Difatti, la procedura prevista ai sensi dell’art. 288 c.p.c. risulta assai più rapida nonché evidentemente meno gravosa il che, stante la considerazione per cui si tratta di una statuizione obbligatoria, fa sì che risulti il rimedio più adeguato.