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Pubbl. Lun, 9 Lug 2018

Al figlio che non lavora spetta il mantenimento?

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Editoriale a cura di


Con recente pronuncia, la Cassazione ha ricollegato l´obbligo di mantenimento del figlio al mancato ed incolpevole raggiungimento dell´indipendenza economica.


Il legislatore italiano, all'interno del I libro Titolo IV, nel disporre in ordine ai figli maggiorenni, ha previsto all'art. 155 quinquies c.c. che: “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”.

Tale previsione è frutto di un'importante riforma che ha preso vita nel 2006 e che ha assorbito parte dell'orientamento giurisprudenziale e dottrinale dell'epoca. E' ormai pacifico, pertanto, includere, tra gli aventi diritto a tale assegno, anche il figlio maggiorenne.
Il criterio di riferimento individuato dalla Suprema Corte è l'indipendenza economica: solo tale elemento "pregiudica" il diritto suddetto.
Il termine di persistenza dell'obbligo andrà determinato sulla base di un concreto apprezzamento delle possibilità oggettive e soggettive del figlio di raggiungere l'autosufficienza economica, valutando l'idoneità, l'abilità e le opportunità lavorative emerse.
Con tale impostazione la Cassazione non vuole giustificare od incentivare l'inerzia lavorativa della prole. L'assegno non può pertanto essere dovuto de iure, cioè per il solo fatto di essere figlio e non lavorare. Il giovane è tenuto ad attivarsi concretamente per reperire un'idonea occupazione che sia in sintonia e coerente con il proprio percorso formativo e con il proprio livello sociale.
Il concetto di non indipendenza economica deve collegarsi all'incolpevolezza dei figli maggiorenni per il mancato raggiungimento di essa. Pertanto non è concesso abusare di tale diritto , avendo un comportamento d'inerzia e rifiutando ingiustificatamente proposte di lavoro.

I giudici di piazza Cavour nella recentissima sentenza n. 18076 del 20/8/2014 hanno fatto un ulteriore passo per la ricostruzione della fattispecie. Partendo proprio dal concetto di indipendenza economica incolpevole del figlio hanno precisato come la dimostrazione di aver fatto tutto ciò che era necessario per renderlo autonomo economicamente spetti al genitore. Il rigore del suddetto onere probatorio, però, “ (..) è proporzionale all'avanzare dell'età, sino al punto da non poter essere più assolto nelle situazioni in cui quell'obbligo deve ritenersi estinto, con il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società. Il diritto del figlio si giustifica infatti all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo tenendo conto delle sue capacità, aspirazioni ed inclinazioni.”.
Ove ormai la personalità del soggetto si è formata, il compito dei genitori può considerarsi perfezionato e pertanto la persistenza nel godimento del diritto deve essere, a ben vedere, giustamente, superata. Il rischio è quello di demotivare giovani che, avendo assicurato un assegno a tempo indeterminato, si trovano quasi privi di motivazioni ad affacciarsi al mondo lavorativo.

La sentenza in esame ribadisce non solo il trinomio, finalità rieducativa - mantenimento - non dipendenza economica incolpevole, ma soprattutto si focalizza sulla necessità di non far perdurare all'infinito un diritto che può assurgere addirittura ad ammortizzatore sociale, dato l'aumento della disoccupazione giovanile.