Pubbl. Gio, 26 Feb 2015
Contagio da HIV: dolo eventuale o colpa cosciente?
Modifica paginaNella recentissima pronuncia si affronta nuovamente lo spinoso problema circa il discrimen fra le due figure, entrambe di grande rilevanza, dando un´importanza alquanto singolare all´elemento volontà. Sarà questa la strada adatta per mettere a tacere dottrina e giurisprudenza, da sempre impegnate a ”litigare” in merito? Intanto, facciamo un po´ di chiarezza.
Con la sentenza n. 5597 del 5 febbraio 2015, la V sezione penale della Cassazione torna a pronunciarsi sul discusso problema circa la sostanziale differenza fra colpa cosciente e dolo eventuale.
Lo spunto nasce da un preciso fatto di cronaca. Una moglie veniva contagiata dal virus HIV da parte del marito - consapevole di essere sieropositivo asintomatico- con il quale aveva consumato numerosi rapporti sessuali non protetti. L’uomo veniva dunque processato per lesioni gravissime ex artt. 582 e 583, co. secondo, n. 1 c.p. e veniva ripetutamente condannato, tanto in primo grado, quanto in Appello, avendole taciuto il suo stato di salute.
La sentenza in commento, pur non essendo innovativa, si prospetta senza dubbio interessante, dato che contribuisce a chiarire una volta per tutte, aderendo al consolidato orientamento ribadito anche con la decisione delle SU n. 38343/2014 – c.d. caso Thyssenkrupp -, il corretto discrimen fra le due figure.
Infatti, secondo gli Ermellini, nella colpa cosciente si è in presenza di un malgoverno del rischio, nel senso che non si sono adottate le cautele necessarie ad evitare la conseguenza pregiudizievole. Si potrà quindi parlare di inadeguatezza rispetto agli obblighi precauzionali, dato che, nella figura, manca l’elemento volitivo, la “direzione della volontà” verso quello specifico evento, anche se è stato considerato a livello di mera possibilità.
Di contro, nel dolo eventuale si è in presenza di una condotta che, tanto sul piano rappresentativo quanto su quello volitivo, coinvolge la realizzazione del fatto-reato.
Invero, l’atteggiamento interiore caratteristico del dolo in oggetto è inteso quale volizione dell’evento, configurabile quando l’agente prevede la concreta e significativa possibilità che il fatto si realizzi, ma ciò nonostante ne accetta il rischio, rappresentandoselo chiaramente.
Per quanto, invece, concerne il raggiungimento della prova, appare opportuno ricordare che non vi sono particolari differenze.
Deve essere il giudicante, valutando le circostanze del caso, a stabilire se sussista o meno la volontà del soggetto agente; se cioè l’imputato abbia o meno previsto l’evento, accettandolo nel suo verificarsi.
Se da un lato, questa soluzione appare intrigante, dall’altro ha il grandissimo limite di investire il giudice di un potere smisurato e difficilmente gestibile, posto che molto dipende dalla corretta ricostruzione del fatto.
Non è certo un mistero, d’altronde, che l'istituto del dolo eventuale presenta nell'elaborazione teorica e nella prassi una grandissima varietà di posizioni: è il luogo problematico nel quale maggiormente si mostrano, prendono corpo concreto, confrontandosi con le esigenze applicative, le dispute teoriche tra rappresentazione e volontà nel dolo. Esso racchiude nella sua struttura definitoria il confine tra dolo e colpa e, ancor più, segna in molti casi il limite soggettivo dell'illecito penale.
Per tutte le considerazioni fin qui svolte, la Suprema Corte di Cassazione ha legittimamente ritenuto che l’imputato, avendo rapporti non protetti con la moglie e non avvertendola del proprio stato di sieropositività, si sia confrontato con la concreta possibilità di contagiarla, senza però curarsene. Lo stesso è stato dunque condannato, ancora una volta, al risarcimento dei danni in favore del coniuge, costituitasi nel frattempo parte civile.