Il principio consensualistico
Modifica paginaIl negozio traslativo unilaterale: il pagamento traslativo.
Sommario: 1. Inquadramento normativo e profili storici. 2. Disciplina. 3. Ammissibilità del negozio traslativo unilaterale. 4. Il pagamento traslativo. 5. Conclusioni.
1. Inquadramento normativo e profili storici.
La regola del consenso traslativo è sancita dall’art. 1376 c.c., il quale dispone che “nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di qualche diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.
In altri termini, mediante l’applicazione della norma in esame, si verifica un’identificazione tra accordo ed effetto, tale per cui con la conclusione del contratto si produce anche l’effetto programmato nel medesimo: ossia il trasferimento della proprietà.
Autorevole dottrina - Rescigno - osserva, con particolare riferimento al contratto di compravendita, che “la compravendita presenta […] un carattere originale rispetto ai principi romani ed in confronto della persistente concezione germanica della vendita. Il principio del nostro ordinamento è dunque questo: nei contratti traslativi della proprietà o di un diverso diritto la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.
Conseguentemente, ogni attività successiva - come la consegna del bene oggetto del contratto - costituisce attività meramente esecutiva di interessi compiuti. In questi termini, è di solare evidenza, che il consenso traslativo opera nell’ambito dei contratti sinallagmatici, che prevedono l’interazione di due parti contrattuali con prestazioni corrispettive.
Deve osservarsi, con riferimento all’origine del principio in analisi, che il diritto romano non conosceva tale principio. Arangio Ruiz definisce la compravendita “un contratto consensuale e bilaterale in virtù del quale una delle parti si obbliga a trasmettere all’altra il pacifico godimento di qualcosa, mentre l’altra si obbliga a trasferire alla prima la proprietà di una somma di denaro, detta prezzo”. Ebbene, sulla scorta di tale definizione, è indubbio che la compravendita romana è concepita come un contratto ad effetti obbligatori, per cui si configura una netta distinzione tra il contratto quale fonte di obbligazione e l’atto traslativo della proprietà o del possesso.
Una prima manifestazione piuttosto “rudimentale” del principio consensualistico viene elaborata dai giuristi romani nell’ambito dello ius gentium al fine di garantire un’elastica circolazione delle merci nel mondo dei rapporti commerciali.
Il principio consensualistico, tuttavia, emerge chiaramente con il Code Napoleon, il quale, all’art. 1589 c.c. sancisce che “la promesse de vente vaut vente, lorsqu’il y a consentement réciproque des deux partis sur la chose et sur le prix”.
Dello stesso tenore risulta essere anche il codice civile italiano del 1865 - di chiara e risaputa derivazione napoleonica - in cui si legge all’art. 1125 che “nei contratti che hanno per oggetto la traslazione della proprietà o di altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmette si acquista per effetto del consenso legittimamente manifestato, e la cosa rimane a rischio e pericolo dell’acquirente, quantunque non ne sia seguita la tradizione”.
Visione ed elaborazione dogmatica opposta, invece, ha assunto la pandettistica tedesca, secondo cui compravendita e trasferimento della proprietà non dipendono l’uno dall’altra, sono autonome in ragione del carattere astratto del contratto ad effetti reali. Conseguentemente, vendita e trasferimento, coerentemente con la visione pandettistica, sono separati l’uno dall’altro e la validità del negozio di trasferimento non dipende dalla validità del contratto di vendita e viceversa. In altri termini, nel procedimento vanno tenuti distinti tre negozi giuridici: il contratto di vendita con effetti obbligatori, il trasferimento della cosa dal venditore all’acquirente (come negozio di adempimento) e il versamento del prezzo di acquisto come secondo negozio di esecuzione.
In conclusione, nel panorama giuridico vengono a delinearsi due diverse concezioni: il code civil si ispira all’idea del consenso (titulus) ed il BGB tedesco al modus, giungendo così alla formulazione odierna dell’art. 1376 c.c. precedentemente esposta .
2. Disciplina.
Dunque, l’art. 1376 c.c. costituisce il perno sul quale ruota la costruzione dei negozi c.d. traslativi, ossia quelli che hanno come effetto il trasferimento della proprietà la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di altro diritto.
In particolare, il trasferimento della proprietà può avvenire in via immediata, se la cosa oggetto del trasferimento è determinata (1376 c.c.), ovvero in via differita e subordinatamente all’adempimento di un’obbligazione strumentale se la cosa è indeterminata - in tal caso è necessaria l’individuazione (artt. 1377 e 1378 c.c.) - in proprietà di altri (1476 c.c.) o ancora non venuta ad esistenza (1472 c.c.).
È in relazione a queste ultime ipotesi che la legge, “dopo aver posto a carico del venditore l’obbligazione di consegnare la cosa al compratore, quando già esiste ed è certa e determinata nel momento del contratto (1476, n. 1), impone al venditore, sempre in confronto del compratore, l’obbligazione di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto (1476, n. 2 c.c.). Si è soliti parlare, per le figure descritte, di vendita obbligatoria o ad effetti puramente obbligatori, per sottolineare che il contratto non produce immediatamente effetti di natura reale: il mutamento della titolarità dei beni è differito a un momento successivo al contratto, ad accadimenti - il venire ad esistenza del bene, l’individuazione nell’ambito del genere, l’acquisto dal vero titolare - che rivelano come fatti giuridici in senso stretto anche quando si risolvano (come nella vendita di cose altrui) o possano richiedere (come nella specificazione nella vendita di genere) un’attività del venditore”.
3. Ammissibilità del negozio traslativo unilaterale.
Orbene, una volta individuato il meccanismo giuridico mediante il quale opera il principio consensualistico, in questa sede ci si concentrerà su un particolare interrogativo posto da dottrina e giurisprudenza, ossia l’ammissibilità del negozio traslativo unilaterale. Ci si è chiesti se il consenso traslativo possa operare anche nell’ambito degli atti di disposizione unilaterali, ossia negozi nei quali mancano due presupposti necessari per l’applicazione della regola ex art. 1376 c.c.: il consenso e la sinallagmaticità.
Ebbene, con riferimento alla categoria dei diritti reali, il codice civile mostra una certa diffidenza verso gli spostamenti unilaterali; a conferma basti considerare che lo stesso art. 1376 c.c. non fa riferimento in maniera generica ai negozi dispositivi, ma utilizza espressamente il termine “contratto”, escludendo, pertanto, gli atti dispositivi unilaterali. Continuando con l’esegesi delle norme codicistiche, è possibile ricavare la configurabilità del negozio dispositivo unilaterale (avente ad oggetto diritti reali) solo nell’ambito degli atti mortis causa; tuttavia, anche in questa ipotesi, l’acquisto della titolarità del diritto non avviene mediante il meccanismo del consenso traslativo, bensì è necessaria l’accettazione del beneficiario (470 c.c.). Con riferimento alla categoria degli atti inter vivos deve osservarsi che la donazione - negozio dispositivo unilaterale per eccellenza - è stata costruita come un contratto caratterizzato dallo spirito di liberalità (769 c.c.).
Inoltre deve osservasi che lo schema negoziale descritto nell’art. 1333 c.c. si discosta notevolmente da quello contenuto nell’art. 1321 c.c.; il primo presuppone il perfezionamento del contratto nel momento in cui l'oblato non rifiuti la proposta nel termine stabilito dalla natura o dagli usi dell’affare; il secondo, ex adverso, unitamente all’art. 1326 c.c., richiede necessariamente l'incontro tra proposta e accettazione al fine di considerare concluso l’accordo contrattuale. Inoltre le norme generali sui diritti reali (artt. 922 e ss.) non prevedono l’atto unilaterale come modo di acquisto e gli artt. 1350 e 643 c.c. menzionano solo i contratti immobiliari.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, sembra difficile ipotizzare l’esistenza di ipotesi di attribuzione unilaterale di beni al di fuori delle ipotesi tipiche previste e disciplinate dal legislatore. A tanto, infine, si aggiunga la difficoltà di concepire negozi dispositivi unilaterali retti da una causa diversa da quella retta dall’intento di liberalità. Peraltro, anche qualora si volesse ammettere un negozio unilaterale “atipico” ad effetti reali, l’effetto traslativo non può realizzarsi a seguito della sola manifestazione di volontà, non accompagnata da un atto reale - che sia materiale o giuridico - poiché il principio del consenso traslativo richiede un accordo tra due parti.
A ben guardare, una disposizione traslativa unilaterale sembra da qualificarsi sempre come atto ad effetti obbligatori, basti pensare e prendere in considerazione la figura del preliminare unilaterale, ovvero la promessa gratuita della prestazione di un bene. Tuttavia, trattandosi appunto di promessa, ci si colloca all’esterno dell’ambito dei negozi dispositivi, atteso che l’atto posto in essere non dispone il trasferimento di un bene, bensì l’assunzione di un impegno.
4. Il pagamento traslativo.
L’ammissibilità di negozi traslativi unilaterali sembra, dunque, ridotta alle ipotesi di cd. pagamento traslativo, la cui ammissibilità va però verificata alla luce dell’art. 1376 c.c.
Sul punto, una prima teoria riteneva che non si potesse scindere fra titulus e modus adquirendi, per la necessaria contestualità del momento conclusivo del contratto con il trasferimento del diritto reale e per la nullità del trasferimento per mancanza di causa. Di contro, una seconda e più recente tesi ritiene che si possano eseguire gli obblighi derivati dal contratto attraverso altri negozi attuativi, in ragione tanto della possibilità di distinguere fra il negozio di disposizione e quello di attuazione, quanto della possibilità di rinvenire la giustificazione causale dell’effetto traslativo nel negozio precedente, per cui la causa può collocarsi al di fuori dello schema negoziale che determina il passaggio del bene o del diritto. Questa interpretazione è accolta anche dalla giurisprudenza, che nell’ipotesi di collegamento negoziale, tende ad individuare una causa unica per l’intera operazione eseguita. La dottrina attuale ritiene, pertanto, che sia ammissibile trasferire un bene attraverso un atto esecutivo di un precedente rapporto obbligatorio e che tale negozio rientri nella categoria del “pagamento traslativo”.
Ulteriore questione che si è posta in ordine all’istituto del pagamento traslativo riguarda la necessità che le parti indichino o meno la causa negoziale posta a giustificazione del trasferimento. Sul punto, alcuni ritengono necessaria la cd. “expressio causae” soggettiva, ossia collegano la validità di tali atti alla inequivocabile dichiarazione che la causa negoziale sia contenuta in un atto esterno. Secondo altra parte della dottrina, il collegamento negoziale è sufficiente per giustificare il negozio.
Con riferimento alla causa, merita attenzione la riflessione riportata da Gazzoni, secondo cui “un particolare atteggiarsi della giustificazione causale si osserva in tutte le ipotesi in cui essa non sia desumibile dal contesto dell’atto, ma da elementi esterni. Si parla a riguardo di negozio astratto, ma l’espressione è fuorviante perché la causa pur sempre esiste ed è rilevante anche se esterna”. “Più che di astrattezza, dovrebbe dunque parlarsi di neutralità, nel senso che l’atto, considerato in sé e per sé, potrebbe essere giustificato da una o da un’altra causa, di regola solvendi o donanadi”. Ciò è quanto avviene nell’ipotesi del pagamento traslativo, che si configura quando "il trasferimento di proprietà avviene solvendi causa, cioè in adeguamento di un obbligo preesistente”. Tale obbligo ha per oggetto un dare - del tutto distinto da quello previsto dall’art. 1476 n. 1 c.c. - il quale, come già evidenziato, risulta meramente esecutivo di un effetto reale già realizzato. Secondo Gazzoni, l’obbligo di dare si risolve nell’obbligo di porre in essere un atto (consensuale e non reale) idoneo a trasferire la proprietà (anche) inter partes. Ecco perché tale atto traslativo è concluso solvendi causa del precedente obbligo ed ecco perché si usa l’espressione pagamento traslativo, che fa riferimento ad un adempimento atto a trasferire il diritto di proprietà di un bene.
In particolare, la fonte dell’obbligo di dare può essere la legge (art. 746 c.c. - con riferimento all’ipotesi in cui il bene sia reso in natura), una sentenza (art. 2058 c.c. - qualora la condanna - in adempimento al risarcimento in forma specifica - riguardi il trasferimento (dal danneggiante al danneggiato) della proprietà di una cosa dello stesso genere di quella distrutta), da testamento (art. 651 c.c. - nell’ipotesi in cui dal testare risulti che fosse a conoscenza dell’appartenenza ad altri della cosa legata), un contratto, un malato senza rappresentanza (art. 1706 c. 1 c.c. - nel caso di trasferimento immobiliare dal mandatario al mandante).
In merito alla natura del pagamento traslativo, si contrappongono due macro orientamenti dogmatici: secondo il primo, tale istituto ha natura negoziale, tuttavia, diverse sono le interpretazioni fornite dalla dottrina in ordine alla natura del negozio, contratto con obbligazioni a carico del solo preponente (1333 c.c.), oppure come un negozio unilaterale puro, oppure come un contratto ordinario; mentre per il secondo, esso ha natura d’atto dovuto, tuttavia, tale ricostruzione è minoritaria.
Ci si è chiesti, inoltre, se sia applicabile l’art. 2645 bis c.c. al pagamento traslativo. Ebbene, tale norma è stata dettata dal legislatore per consentire la trascrizione dei contratti preliminari aventi ad oggetto beni immobili.
Secondo la tesi che assegna natura negoziale al pagamento traslativo, l’art. 2654 bis c.c. si può applicare ai pagamenti traslativi solo se si ritiene che essi abbiano la medesima natura del contratto preliminare. Inquadrando il definitivo come un atto dovuto che adempie ad un’obbligazione precedente, ed il preliminare come un’ipotesi di vendita obbligatoria, è possibile utilizzare tale disciplina; mentre se si considera il definitivo un contratto autonomo non si può applicare l’articolo 2645 bis c.c. per la sostanziale differenza esistente fra le due fattispecie. Nel caso in cui, invece, si ritenga che il contratto definitivo sia un negozio a causa doppia, il titulus può essere trascritto.
5. Conclusioni.
Il codice civile prevede alcuni istituti, che si prestano al meccanismo del differimento dell’effetto traslativo (alcuni già richiami a proposito delle fonti dell’obbligazione di dare), tra cui: il mandato ad acquistare senza rappresentanza immobili o mobili registrati, il legato di cosa di un terzo, la collazione di immobili mediante conferimento in natura, dei beni in ambito societario, la fiducia testamentaria, il negozio fiduciario e il preliminare ad effetti anticipati.
La dottrina peraltro ritiene che ulteriore ipotesi di pagamento traslativo possa essere riconosciuta nella collazione d’immobili mediante conferimento in natura ed in quello di beni in proprietà nell’ambito societario. In particolare, a sostegno della tesi, tale dottrina osserva che il conferimento del bene da parte del socio avvenga attraverso un atto traslativo d’adempimento, che si trova in un contratto diverso da quello di società. Tuttavia, sul punto, la dottrina maggioritaria, di contro, sostiene che il trasferimento del diritto di proprietà avvenga proprio attraverso lo stesso negozio di costituzione della società.
In conclusione, alla luce dell’esegesi delle norme codicistiche, si ritiene che tanto la dottrina quanto la giurisprudenza siano restie ad ammettere la possibilità di dar vita a negozi unilaterali traslativi fuori dei casi previsti dalla legge, attesa la tendenza ad inquadrare le attribuzioni unilaterali reali atipiche sempre come promesse o come negozi reali.
Note e riferimenti bibliografici
- Kuntel, vendita e trasferimento di proprietà del diritto tedesco, in vendita e trasferimento della proprietà, p. 603
- M. Bessone, Trattato di diritto privato, 13-5, Torino, 2000, p. 185 e ss.
- F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVII ed., Napoli, 2015, p. 840 e ss.
- P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, II ed. Napoli 1975, p. 655 e ss.
- P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, II ed., Napoli 1975, p. 711.
- G. Pugliese, Istituzioni di diritto romano, Sintesi, II ed., Torino 1998, p. 428 e 429.
- P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, II ed., Napoli 1975, p. 714
- F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVII ed., Napoli, 2015, p. 832.
- F. Giorgianni, in voce causa in Enc. Dir. Ed. VI, 1960, p. 565
- Considerazioni d'ordine generale sulle obbligazioni di dare in senso tecnico, in Contr. impr., 1998, p. 627